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Lettera dalla Sardegna

E' facile descrivere ciò che vedo dalla mia veranda, ma è difficile darti l'idea della bellezza di questo angolo della Sardegna. Sono le dieci della mattina, uno splendido sole si riflette sul mare rendendolo argenteo. La tozza isola di Tavolara delimita il mio orizzonte verso sud; sotto di me si estende la nostra spiaggia, una piccola penisola a forma di mezza luna. La mia vista è spezzata da un' enorme palma nel nostro giardino. Il verde delle tante piante spicca in contrasto con la sabbia. Alla fine della spiaggia c'è un piccolo promontorio pieno di macchia mediterranea e oltre questo il mare aperto di un blu intenso. Sento il vociferio dei - ormai pochi - bagnanti, i gridolini dei bambini piccoli e lo scroscio delle onde che si infrangono sulla spiaggia. Mi dà tanta serenità. Ma pur essendo serena non dimentico mai di trasformarmi in Mr. Hyde quando le formiche in formazione di battaglia invadono la mia cucina, si danno appuntamento sulla veranda. Le combatto con veleni (rimpiango il mio già noto bar Bin Laden) e con la classica "ciabattata". Le mosche poi hanno vita difficile: il mio schiacciamosche è un'arma quasi infallibile. Purtroppo per ogni mosca uccisa sembrano arrivare tanti parenti per il funerale. Infine combatto due bellissimi gattini. Mi dirai, ma come, tu che ami i gatti. Spiegami tu come si può amare due pesti che la prima mattina ci hanno fatto trovare le nostre ciabatte da mare piene di bisognini loro, che non ti danno pace quando vorresti gustarti il pranzo, che tentano di entrare in casa appena vedono qualcosa di aperto, che si sono pappati la carne messa a scongelare dei nostri vicini. Sto infatti sorvegliando le mie fettine che possibilmente dovrebbero diventare dei cordon bleu per un pranzo con i nostri amici che partono stasera, e non una scorpacciata per due felini.
Conosco la Sardegna da molti anni, ma l'ho sempre vissuta da turista. Quest' anno, invece, ho avuto due esperienze diverse. Domenica scorsa Giovanni e io siamo stati in una piccola frazione di Olbia dove si celebrava la festa di Santa Lucia. C'era grande affluenza di gente, persone di Olbia e dintorni, molte vedove con le loro tipiche gonne nere lunghe e il fazzoletto nero in testa, intere famiglie in costume sardo, e la devozione a questa santa era commovente.Evidentemente anche il prete era commosso da tanta gente e non la finiva mai con la sua predica. La processione poi rischiava di diventare un perpetuo mobile intorno alla chiesetta. La cerimonia non era solo accompagnata dalla banda, ma anche dal profumo delle centinaia di orate e spigole che intanto cucinavano su un immenso braciere.
Lunghe tavolate invitavano i fedeli a un pranzo gratuito: la pasta con le cozze e uno di quei pesci nonché acqua e vino a volontà e come aperitivo dolcetti sardi. Considerata la mia avversione per il pesce mi sono cibata con un pezzo di pane, ma ho visto persone che senza difficoltà mangiavano tre piatti di pasta, quattro pesci e per giunta si facevano dare altri da portare a casa. Il vino contribuiva all' allegria della combriccola e così siamo venuti a conoscenza di un'altra festa il giorno dopo. Sembra esista una specie di mappa di queste celebrazioni e con  un po' di fortuna si potrebbe mangiare gratis ogni giorno.
Fatto sta che Giovanni era molto interessato a quest'altra festa ... io un po' meno; dovessi accontentarmi anche l'indomani di pane! Non c'entrava ovviamente di andare a mangiare a "uffa", ma di conoscere meglio questo popolo. Lunedì ci siamo "sorbiti" una ottantina di chilometri e curva dopo curva siamo arrivati a Buddusò, centro importante per le cave di granito. In mezzo ad un sughereto sorge il santuario di Santa Reparata. Questa volta non abbiamo visto centinaia, ma migliaia di persone. Essendo quasi al centro dell'isola la gente è arrivata da ogni dove, persino in pullman. L'aria è di un grande mercato con tante bancarelle di ogni genere. Una mi ha particolarmente attratto. Ci sono coltelli di tutti i tipi e tutte le misure, dal coltellaccio del macellaio fino al temperino, dalle cesoie del giardiniere alle forbicine per le unghie. Ho deciso di acquistare una forbicina che mi serviva da tempo e il venditore, un signore di quasi ottant'anni mi dice, se mi servisse mi potrebbe vendere anche bombe a mano. L'offerta era allettante ma mi sono accontentata di un paio di forbici.
Anche qui è allestita una fila di tavoloni che man mano si riempiono di gente. E' incredibile quanto è facile il contatto umano con queste persone. Ti raccontano la loro vita e intanto di offrono come se fosse la cosa più naturale del mondo ciò che si sono portati da casa, focacce, formaggi, vino e dolcetti. Si ride e si scherza fino che arrivano le donne con enormi calderoni pieni di zuppa con tanti pezzi di carne di manzo e una pastina piccola piccola, le "fregole". Ci riempiono i nostri piatti di metallo smaltato e quindi scende il silenzio. Siamo tutti occupati a gustare questa ottima pietanza tipica dell'entroterra sardo. Man mano che le pance sono piene tornano le chiacchiere e le risate. Alla fine lasciamo un obolo a Santa Reparata e ci rimettiamo in cammino. Ad ogni curva la minestra si sposta nello stomaco man non travasa. Sarebbe stato un vero peccato.
Abbiamo deciso che basta con le mangiate gratis. In fondo abbiamo il dovere di abbronzarci; sennò che invidia possiamo fare ai poveri sbiaditi a casa?
Per fortuna Giovanni ha lasciato a casa la canna da pesca; i pescatori della spiaggia non fanno altro che tenere a bagno il verme. L'unico che sembra avere successo è il cormorano che sfreccia da una parte all'altra della nostra baia.
 La mia lettera è rimasta incompiuta. Ero troppo occupata ad andare al mare, raccogliere sassi per il giardino di mia figlia, conchiglie da mettere sulle ciotole con le piante grasse, passeggiare su e giù per la nostra spiaggia e fare tanti bagni in quell'acqua da sogno. Su quello "struscio" incontravamo anche tante persone che, come noi, tornano ogni anno in questo piccolo paradiso.
Nei pochi giorni brutti Giovanni ed io andavamo a fare la spesa ad Olbia, visitavamo la Costa Smeralda (che non amiamo) e facevamo tappa a Golfo Aranci dove si trova l'unico fornaio che fa un pane mangiabile. Lì abbiamo visto anche la nave che si era incagliata e che, poverina, era appoggiata tutta storta al molo. Le macchine che dopo cinque giorni nel garage allagato venivano issate con la gru sul molo facevano piangere i loro proprietari. Erano ormai solo da rottamare insieme a tutti i bagagli che erano rimasti a bordo. L'acqua salata distrugge quanto un acido. Per ritornare sui gatti - hanno vinto loro. Dopo aver tentato inutilmente di cacciarli via, abbiamo ceduto ai loro occhi imploranti, ai miagolii accorati e alla loro furbizia. Invece di assalirci come all'inizio, avevano cambiato tattica. Passavano come per caso sulla nostra veranda, due tre volte durante la mattinata, e appena sentivano l'odore di pappa, le passate aumentavano. Accettavano con grazia pezzetti di pane, strusciavano addosso alle nostre gambe e infine questi umani così crudeli preparavano i piattini. Ci avevano circuiti e plagiati e finalmente i piattini erano due, ricolmi di pasta e quant'altro. Invece di due commensali ne avevamo sei. Il giorno che avevo preparato una minestra di pasta e fagioli, in mancanza del passaverdura con i pezzi interi di carote, cipolla, sedano e fagioli assistevamo all'avida mangiata di tutte le verdure. La fame è proprio la migliora cuoca.

Il sogno è finito; oltre ai bei ricordi sono rimasti i panni da lavare. Mi consola il mio nipotino Niki con il suo splendido sorriso e i suoi "ba, ba, ba" in tutte le tonalità.

Ti abbraccio, Annemarie