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“I conti con la storia”  
 

Incontro a Roma con Adam Michnik


di Elzbieta Cywiak

Grande interesse ha riscosso al Goethe Institut di Roma l’incontro con Adam Michnik, uno dei principali protagonisti del dissenso polacco dal 1969 al 1989, ora direttore del maggiore quotidiano di Varsavia “Gazeta Wyborcza” e prestigioso membro della sezione polacca dell’AJE.

L’ occasione l’ha fornita il suo saggio “Pogrom” di recente pubblicato per i tipi di Bollati Boringhieri e dedicato al tema del pogrom di Kielce nel 1946. In questa città della Polonia centrale, infatti, subito dopo la seconda guerra mondiale i pochi ebrei superstiti della Shoa furono vittime di un massacro  da parte di una folla inferocita.

Al dibattito sul tema “I conti con la storia” hanno preso parte il filosofo e opinionista Paolo Flores d’Arcais, il giornalista dell’ “Espresso”, Włodek Goldkorn, e lo studioso e traduttore della letteratura polacca Francesco Cataluccio nonché direttore della casa editrice Bollati Boringhieri.  Proprio Cataluccio ha sottolineato il merito di Michnik di aver saputo individuare nel suo lavoro “l’egoismo del dolore”, quando “chiusi nelle fortezze della nostra memoria e del nostro dolore non ci accorgiamo neanche di come l’avversione e il dolore si trasformano in odio e vendetta”. Le conclusioni del saggio indicano che oggi “è indispensabile sforzarsi di comprendere l’esperienza altrui, immedesimarsi nella posizione altrui, guardare il mondo con gli occhi dell’altro, del diverso”. Ma comprendere – secondo Cataluccio - non significa minimamente giustificare il crimine. 

Il direttore della “Gazeta Wyborcza” ha spiegato che la sua intenzione era di analizzare le reazioni diametralmente opposte verso il pogrom di Kielce, incluse quelle dei rappresentanti della Chiesa polacca. Ha ricordato le parole del vescovo di Częstochowa, Teodor Kubina, che dopo il pogrom aveva detto sulla tomba delle vittime che l’odio antisemita porta al crimine, e l’opinione del vescovo di Kielce, Czesław Kaczmarek, per il quale i colpevoli erano gli ebrei in quanto collaboratori del regime comunista che in quel periodo era imposto alla Polonia secondo il modello sovietico. 

Michnik ha ammesso di non essersi sorpreso del fatto che in Polonia il pogrom di Kielce fu messo per anni sotto silenzio, ma si è stupito quando “dopo il 1989 i vescovi polacchi non vollero ammettere che la ragione era dalla parte del vescovo Kubin e che invece il vescovo Kaczmarek aveva torto”.

L’autore del saggio ha ricordato la tragica situazione della società polacca che aveva vissuto il dramma della guerra e dell’occupazione, e in seguito – ha detto – “rispondeva con aggressività allo stato della sua degradazione e sconfitta, tra cui  la disfatta di Jalta”. 

Michnik è anche intervenuto sulle questioni attualmente sottoposte ad un vivo dibattito in Europa. E si è decisamente schierato contro la proposta di perseguire legalmente chi nega l’Olocausto in base al codice penale, dicendosi contrario che siano i parlamenti a stabilire ciò che sia la verità storica poiché – ha detto – “i parlamentari non possono sostituire gli storici”. Ciò riguarda nella sua opinione anche la storia contemporanea.

Secondo Michnik “scrivere la storia più recente in base ai documenti dei servizi segreti del precedente regime polacco è come scrivere la storia della Resistenza basandosi sui documenti della Gestapo. Mi sembra che oggi si può, anche se ciò è difficile, tentare di scrivere la storia degli ultimi 50 anni senza attingere alle fonti della polizia. E in ogni modo, se uno lo fa, bisogna usare la più grande cautela”.

 

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