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Per il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma
 

Capolavori d’Europa in mostra al Quirinale


di Elzbieta Cywiak

Uno scorcio del Salone dei Corazzieri che ospita la Mostra dei capolavori dell'arte europea allestita in occasione del Cinquantesimo anniversario della Firma dei Trattati di Roma.

Le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, che diedero  l’avvio all’unità europea, hanno segnato un importante momento storico-culturale con la Mostra dei Capolavori dell’Arte europea allestita nel Palazzo del Quirinale. L’idea è stata dello stesso presidente Giorgio Napolitano che ha chiesto ai 27 Paesi che ormai formano l’Ue, di destinare all’esposizione romana un’opera d’arte rappresentativa delle singole tradizioni nazionali in vari periodi storici, dato che “ogni forma artistica in Europa - secondo Fernand Braudel - supera i limiti della sua patria originaria”. Tutti i Paesi hanno risposto con entusiasmo inviando opere che coprono un lunghissimo arco temporale espressivo, dalla lontana preistoria fino all’età contemporanea, opere presentate nel Salone dei Corazzieri dal 23 marzo al 20 maggio 2007 accanto agli originali dei Trattati di Roma.

La mostra dei Capolavori europei copre un arco cronologico impressionante, da capogiro, che va dal terzo millennio a. C. con la figurina scolpita “Madre terra” di Malta, al 1976 con il dipinto di Per Kirkeby “Profezia su Venezia”, prestato dalla Danimarca. La testimonianza più antica, la statuina corpulente di una donna senza testa, nota come “Fat Lady”, simbolo di maternità e di fertilità, proviene da Hagar Qim, sito dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità e indica il nesso tra le prime esperienze culturali europee e le più antiche civiltà del Vicino Oriente, da dove trae origine, appunto il culto della divinità di Madre terra. Fa da contrappunto la statua in marmo pario a grana grossa di Kore attica, figlia di Zeus e Demeter, dell’Acropoli di Atene che risale al VI secolo a. C. vertice dell’arte arcaica in Grecia nella cui delicata bellezza è impossibile non ritrovare “la classica  anima europea” forgiata dai modelli della civiltà greca.

Durante la visita si viene attratti da stimoli sempre nuovi, dal mondo sospeso tra il Medioevo e l’Età Bizantina periodo in cui rientrano le opere scelte dalla Bulgaria  (l’icona di San Teodoro Stratilato e i gioielli d’oro di Veliki Preslav), da Cipro (l’icona con la Comunione degli Apostoli) e dalla Romania (frammenti di affreschi raffiguranti San Demetrio, San Nicola e San Giorgio attribuiti al pittore Dobromir).

Tiziano. Ritratto di gentiluomo (1520)

Al periodo del Rinascimento appartengono il meraviglioso “Ritratto di gentiluomo dagli occhi grigi” di Tiziano (datato intorno al 1520), il cui sguardo magnetico s’impone per rappresentare l’intera arte italiana  (ovviamente è superfluo aggiungere che, data la ricchezza del patrimonio artistico della Penisola, l’imbarazzo della scelta è inevitabile).  Della stessa epoca l’opera scelta dalla Germania l’altrettanto notevole “Ritratto di Jakob Muffel” (1526) di Albrecht Durer , il grande pittore tedesco che era in continuo contatto con le opere dei più affermati artisti italiani a lui contemporanei.

La famiglia reale di Spagna ha inviato alla mostra del Quirinale la “Veduta del  giardino di Villa Medici, a Roma” (1629-30) di Diego Velasquez, considerato dalla critica romantica “il pittore puro, l’interprete diretto e spontaneo della natura”. Il Belgio ha scelto un dipinto di alta intensità “Il Compianto di Cristo” (1634-1636) di Antoon Van Dyck, che operò tra le Fiandre, l’Inghilterra e l’Italia.

Il viaggio attraverso l’arte europea arriva all’Ottocento per sostare davanti al quadro  prestato dal Regno Unito: “L’arrivo di Louis-Philippe a Portsmouth nel 1844” di William Turner, paesaggista fortemente segnato dalla corrente romantica, considerato da alcuni un precursore dell’impressionismo. Ma proprio in questo lavoro, definito “opera messaggera di ogni modernismo”, egli appare, rinunciando ad ogni supporto descrittivo, come pittore dell’astrazione lirica.

Questo viaggio ideale tra la creatività artistica d’Europa assume a volte accenti in verità più storici e politici, come nei dipinti ottocenteschi che rappresentano sia la Svezia, sia la Polonia. Nel primo caso il quadro “La morte di re Gustavo II Adolfo di Svezia nella battaglia di Luetzen” (1855) di Carl Wahlbom, illustra lo scontro del 6 novembre 1632 (durante la Guerra dei Trent’anni) in cui il sovrano svedese sconfisse  l’esercito tedesco dell’imperatore Ferdinando II, ma perse la vita. In questa composizione piena di tensione emotiva (dipinta da Wahlbom in un suo soggiorno romano) gli stilemi della pittura storica particolarmente tipici per l’Ottocento si combinano con immagini di tradizione più antica.

"La Costituzione del 3 Maggio 1791" di Jan Matejko (1891).

Anche la Polonia ha scelto un’opera di pittura accademica e monumentale che evoca  un evento fondante della storia del paese: “La Costituzione del 3 Maggio 1791” che fu dipinto da Jan Matejko nel 1891 per celebrare il centenario della promulgazione di questa legge fondamentale. La Costituzione del Tre Maggio, dopo la Costituzione americana e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, stilata in Francia nel 1789, ha rappresentato - in ordine di tempo - il terzo importante passo  verso  la formazione di uno Stato democratico. Matejko fissa nel quadro i momenti salienti di questa importante conquista che fu il “canto del cigno” della Polonia settecentesca, del suo spirito progressista , tanto che provocò la furiosa reazione dei potenti Stati vicini, Russia, Prussia e Austria fino a cancellare, con la definitiva spartizione  nel 1795, il paese dalla carta geografica. Ma come non vedere in questo quadro anche un richiamo all’importanza stessa della Costituzione dell’Unione Europea? 

Sempre nel periodo dell’Ottocento si colloca il quadro dell’artista finlandese Albert Edelfelt “La collina di Kaukola al tramonto” (1889-1890) in cui si coglie la nostalgia per il paese natio percepita dall’animo cosmopolita del pittore.

Passando al Novecento s’impone nella magnifica Sala dei Corazzieri la celeberrima scultura “Il pensatore” di Auguste Rodin del 1903, voluta dallo stesso presidente francese Chirac in quanto “insegna che i valori universali di umanesimo e libertà  possono e debbono essere difesi con la forza e la potenza del pensiero”. A questa figura emblematica si accompagnano altri capolavori con tutta la ricchezza di stili e di temi trattati “nell’unità della diversità” del Vecchio Continente: dall’espressionismo erotico dell’austriaco Egon Schiele nella “Donna sdraiata”  (1917), fino al “Bronzo cubista” di Otto Gutfreund (1913-14) opera significativa della produzione artistica ceca dei primi decenni del secolo, al figurativo e lirico dipinto “Verso il campo” (1934) dello slovacco  Martin Benka.

La tragica storia contemporanea dei paesi baltici è raffigurata nella “Famiglia nell’acqua” dipinta da Eerik Haamer nel 1941, appena un anno dopo l’occupazione dell’Estonia da parte dell’URSS.  Ma c’è anche la sintesi di musica e arte permeata di simbolismo del lituano Mikalojus Konstantinas Ciurlonis nel dittico “Sonata n. 6  e Sonata delle Stelle” (1908) che si avvicina all’astrattismo e “Inverno” (1910 circa) di Vilhelms Purvitis, considerato universalmente il più importante pittore di paesaggi della Lettonia. Anche l’Ungheria si è affidata ad un paesaggista con il “Cedro solitario” (1907) di Tivadar Csontvary Kosztka, qui però siamo in Libano e l’albero ritenuto  millenario viene interpretato come metafora della propria sorte e del percorso storico degli ungheresi.

Portogallo, Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Slovenia e Danimarca hanno scelto per la mostra del Quirinale opere del ‘900 che rispecchiano aspetti variegati della ricerca artistica del “Secolo breve”. Ecco quindi il dialogo con le avanguardie elaborato da Amedeo de Souza-Cardoso nei due dipinti  “Senza  titolo” (!917) in cui il pittore portoghese mostra un forte influsso del cromatismo e l’impronta del cubismo. Del  pittore olandese Piet Mondriaan si ammira “Composizione con griglia 3: composizione a losanga” (1918) che introduce un rinnovato orizzonte concettuale e visuale nell’ambito del linguaggio astratto. 

"Il ratto d'Europa" di Asteas. Cratere
a calice di fabbricazione pestana

Nell’arte del lussemburghese Joseph Kutter la figura umana ha invece un posto d’onore e l’opera “Il cavallino di legno” (1937) rappresenta le caratteristiche del pittore più importante del Granducato. Di contro “Il cavaliere che canta” (1949) di Jack Butler Yeats può essere letto come espressione del sentimento nazionalistico irlandese, tramandando un’idea lirica, tipica di questo mondo, dello stretto contatto  tra uomo e natura. Colpisce anche la densità formale e psicologica nell’arte figurativa dell’opera che rappresenta la Slovenia: “Autoritratto con la figlia” (1956) di Gabrijel Stupica che trae le basi formali della sua pittura dalla grande tradizione dell’Europa Occidentale. L’ordine cronologico espositivo viene chiuso da “Profezia su Venezia”  (1976) del danese Per Kirkeby. Se nel titolo rende omaggio alla città lagunare, il quadro (tecnica mista su masonite) richiama le atmosfere oniriche della pittura romantica, ma vuole essere metafora e riflessione sul rapporto tra la cultura intesa accumulo della memoria e della tradizione e l’indomita forza della natura percepita come incombente minaccia distruttiva.

Nella mostra è compresa una 28esima opera, assorta a simbolo di tutta l’Unione, il preziosissimo vaso del IV secolo avanti Cristo, raffigurante il “Ratto d’Europa”. Il capolavoro che porta la firma di Asteas, attivo a Paestum, esprime e sintetizza la cultura europea  e la sua storia millenaria. Europa, infatti, è il nome della fanciulla della terra di Caanan rapita da Zeus che sotto le sembianze di un toro bianco la incanta trasportandola verso Creta. Questo mito era considerato nell’antichità come fondativo di una identità europea, la cui ultima tappa consisterà nell’inclusione del nome geografico del Continente tra le terre conosciute del Vecchio Mondo.

 

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