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La scomparsa del famoso giornalista polacco
 
Ryszard Kapuściński
portavoce delle minoranze


di Elzbieta Cywiak

La cultura europea piange la scomparsa di Ryszard Kapuściński, uno dei più noti e stimati scrittori-giornalisti polacchi, spentosi a Varsavia all’età di 74 anni, per complicazioni dopo un intervento chirurgico. Kapuściński era diventato famoso per i suoi reportage di guerra e per i suoi libri sulla caduta di Haile Salassie in Etiopia e di Mohammad Reza Pahlevi in Iran. Ha viaggiato come reporter per 47 anni in più di cento paesi del mondo, dall’Asia all’Africa, dall’America Latina all’ex impero sovietico e ha raccolto le sue testimonianze in una ventina di libri tradotti in oltre trenta lingue.

Nato nel 1932 a Pinsk, nella parte sperduta dell’allora Polonia orientale (oggi Bielorussia), Kapuściński era considerato cittadino del mondo per eccellenza e portavoce delle minoranze. Infatti egli era solito dire: “Eravamo una grande comunità formata da lituani, ebrei, polacchi, bielorussi, tedeschi, tartari. Ed è stato lì che ho imparato a capire l’Altro e a rapportarmi con gli Ultimi”. Questa è in estrema sintesi l’etica che ha illuminato il mestiere di giornalista di Kapuściński, sin da quando, giovane cronista fu inviato in India a in Cina (esperienze ricordate nel volume “In viaggio con Erodoto” (2004).

Tra gli altri suoi lavori pubblicati in Italia da Feltrinelli sono da citare “Il Negus. Splendori e miserie di un autocrate” (1983), “Imperium” (1994), “Lapidarium. In viaggio tra i frammenti della storia” (1997), “Ebano” (2000), “Shah in Shah” (2001), “La prima guerra del foot-ball e altre guerre di poveri” (2002), “Autoritratto di un reporter” (2006). Kapuściński reinventa le regole del reportage affidando al dettaglio il significato dell’insieme sullo sfondo della ricerca storica, dell’analisi sociale e della cronaca coraggiosa.

Numerosi sono i premi letterari internazionali ricevuti da questo instancabile reporter che nella sua vita ha incontrato i potenti, ma che viaggiava soprattutto tra i poveri dei poveri e che non era cliente dei grandi alberghi. Nel novero dei riconoscimenti: il “Grinzane Cavour”, il “Principe de Asturias” (2003), il Premio Napoli (2005), il Premio “Ilaria Alpi” (2006), senza dire che nel 2003 aveva anche sfiorato il Nobel della letteratura.

In patria Kapuściński è considerato tra gli scrittori e poeti di più alto livello della cultura polacca perché ha saputo dimostrare che viviamo in un villaggio globale, dove accanto a noi vivono miliardi di altri esseri umani di religioni, di opinioni, di costumi diversi e che la “nostra” cultura non è la più importante e unica al mondo.

Con l’Italia e con Roma in particolare Kapuściński aveva un rapporto privilegiato tanto che i suoi versi “Taccuino di appunti” aprirono nell’ottobre scorso il Festival di Roma-Poesia. “Questa città sacra - affermò nell’occasione - mi riempe ogni volta di commozione perché è la prima capitale dell’Europa Occidentale che ho visto nella mia vita”.

 

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