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Discorso pronunciato il 4 giugno 2005 dal Presidente José Manuel Barroso in occasione del 50° anniversario della conferenza di Messina

 

Cari messinesi, miei carissimi europei,
 
Signore e signori,
 
è un onore per me essere stato invitato oggi a parlare dinanzi a questa assemblea. L’occasione mi era già stata offerta dieci anni fa, quando, in veste di ministro degli affari esteri portoghese, avevo presenziato alle celebrazioni per il 40° anniversario della conferenza di Messina. Ma stavolta sono qui in circostanze alquanto particolari.
 
I francesi hanno respinto un grande trattato europeo con un clamoroso “no”. Le prime pagine dei giornali hanno dichiarato che l’Europa è “in crisi”. I politici hanno richiamato alla calma. È esattamente ciò che accadeva nel 1955, alla vigilia della conferenza di Messina.
 
“La storia non si ripete mai”, diceva Mark Twain, “ma spesso compone rime”. Ebbene, per il cinquantesimo anniversario di questa conferenza la storia ha dimostrato di poter comporre rime degne di Dante Alighieri. Ancora una volta, parte della stampa parla di “catastrofe per l’Europa”. La Francia, stavolta insieme ai Paesi Bassi, ha detto “no” alla Costituzione europea.
 
Come reagire al “non” dei francesi e al “nee” degli olandesi? Quali lezioni possiamo trarre, in questo momento così difficile, dalla conferenza di Messina di cui oggi celebriamo l’anniversario?
 
Innanzitutto, devo confessarvi che la mia prima reazione al rifiuto della Costituzione da parte di due membri fondatori dell’Unione europea è stata una reazione di tristezza. Un voto negativo è segno di un’inquietante mancanza di fiducia da parte dei cittadini europei e fa pensare che una parte dell’opinione pubblica abbia paura del futuro, opponga resistenza al cambiamento e non creda più che l’Unione possa offrire soluzioni alle sfide comuni alle quali siamo confrontati.
 
Certo, dobbiamo considerare come un segnale positivo il fatto che le preoccupazioni dei cittadini siano state espresse attraverso un voto democratico, al termine di un dibattito molto vivace. Ciò è di per sé positivo, e noi dobbiamo rispettare l’espressione della volontà dei cittadini. Ma nel dibattito si sono spesso intrecciate questioni di politica interna, e occorre riconoscerlo che gli argomenti discussi nel corso di entrambe le campagne referendarie spesso hanno avuto poco a che fare con la Costituzione europea. A parte le considerazioni puramente nazionali, la verità è che la Costituzione è diventata il capro espiatorio delle paure dei cittadini: paura di perdere il modello sociale, paura delle “delocalizzazioni”, paura che l’Europa proceda troppo velocemente e si estenda eccessivamente, paura dell’Euro e paura della globalizzazione.
 
Ma il voto non riguardava questi aspetti. Il voto non riguardava gli allargamenti passati o futuri, non riguardava il mercato unico e le sue quattro libertà – libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali – che risalgono proprio al trattato scaturito dalla conferenza di Messina di cinquant’anni fa. Troppo spesso nel corso della campagna per il referendum ciò non è stato detto chiaramente. Ciò che invece è risultato molto chiaro è che durante una campagna referendaria è difficile evitare interferenze con temi non direttamente collegati alla consultazione.
 
Esaminiamo insieme le principali questioni in gioco durante la campagna referendaria.
 
Parte dell’opinione pubblica è preoccupata per l’erosione del modello sociale europeo. Tuttavia il progetto di Costituzione tutela tale modello. Un’esplicita “clausola sociale”  (articolo III-117) impone all'Unione di tener conto, nella definizione delle sue politiche, di aspetti sociali quali la promozione di un livello di occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata e la lotta contro l’esclusione sociale. Vogliamo davvero rinunciare a questi principi?
 
Molti dicono di essere preoccupati per l’assenza di democrazia nelle istituzioni europee. Tuttavia il progetto di Costituzione contribuisce ampiamente a ridurre il deficit democratico. Esso infatti attribuisce al Parlamento europeo un ruolo molto più importante nel processo decisionale, conferendogli il potere di modificare e approvare la quasi totalità dei nuovi atti legislativi. Anche il Consiglio, nella sua veste di legislatore, aprirà le sue porte al pubblico, permettendo così ai cittadini e ai parlamenti nazionali di conoscere meglio le posizioni dei governi. La democrazia partecipativa acquista in realtà uno status costituzionale, in quanto un intero titolo della Costituzione (titolo VI) è dedicato alla «vita democratica dell’Unione». Vogliamo davvero rinunciare a questi principi?
 
Altri temono che l'Europa sia un progetto elitario, imposto ai cittadini a dispetto delle loro convinzioni. E tuttavia il progetto di Costituzione avvicina l’Europa sia ai cittadini che ai parlamenti nazionali, in quanto attribuisce ai primi il diritto di invitare la Commissione a presentare proposte su materie in merito alle quali è opportuno un intervento normativo, purché sia raccolto almeno un milione di firme in un numero significativo di Stati membri, e conferisce ai secondi nuove importanti competenze per dare attuazione alla sussidiarietà. I parlamenti nazionali   saranno informati di tutte le nuove proposte legislative della Commissione e potranno esercitare il potere di rinvio e chiedere un riesame del testo. Vogliamo davvero rinunciare a questi principi?
 
Altri ancora sono preoccupati per la globalizzazione e per le eventuali minacce al ruolo dell’Europa. E tuttavia il progetto di Costituzione rafforza l’influenza dell’Unione europea nel mondo, la visibilità, la coerenza e l’efficacia delle sue azioni. Vogliamo davvero rinunciare a questi principi?
 
In generale i cittadini temono che l’Europa sia troppo distante e troppo complessa, con le sue procedure talvolta “bizantine” che sconcertano perfino gli esperti. E tuttavia il progetto di Costituzione rappresenta un esercizio di semplificazione notevole, che consolida in un testo leggibile un coacervo di trattati in cui è difficile districarsi e le cui disposizioni spesso si sovrappongono. Sei tipi di strumenti giuridici sostituiscono i 36 diversi tipi attualmente previsti. Vogliamo davvero rinunciare a questo sforzo di semplificazione?
 
Nel corso delle discussioni, quanto spazio è stato dedicato a questi aspetti del progetto di Costituzione? Come abbiamo affermato nella dichiarazione congiunta che il presidente del Parlamento europeo, il presidente del Consiglio ed io abbiamo formulato domenica scorsa dopo il referendum francese:
 
“i responsabili politici nazionali ed europei devono impegnarsi più a fondo per spiegare la vera dimensione delle sfide e il tipo di soluzioni che soltanto l’Europa può offrire. (…) Dobbiamo chiederci in che modo ciascuno di noi – governi nazionali, istituzioni europee, partiti politici, parti sociali, società civile – può contribuire a una migliore comprensione di questo progetto, che non può avere una propria legittimità se non si ascoltano i cittadini”. 
 
Cosa faremo ora? Dobbiamo rinunciare all’Europa proprio a distanza di cinquant’anni da quando i coraggiosi visionari di Messina la avviarono verso una nuova politica di stabilità e di prosperità? O piuttosto dobbiamo lottare per trovare un nuovo consenso politico e sfruttare questo momento difficile come un mezzo per rilanciare l’Europa ?
 
Occorre innanzitutto sottolineare chiaramente che le ratifiche competono in primo luogo agli Stati membri. Ad essi spetta decidere quando e come ratificare e se desiderano mantenere l’impegno preso o modificare la loro posizione. Tuttavia, ciò che oggi mi sembra importante è che gli Stati membri reagiscano insieme, evitando azioni unilaterali e dispersive. È per questa ragione che ho chiesto loro di attendere il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno per decidere la loro posizione. È importante che il Consiglio ne discuta e invii un messaggio chiaro a tutti gli europei. Sono convinto che un messaggio consensuale sia possibile ed auspicabile. Se è vero che dovremo esaminare le implicazioni del no francese e olandese in tempo utile, è altrettanto vero che in nome della Costituzione e della democrazia dobbiamo consentire a ciascuno Stato membro di esprimere la propria opinione. Tutti gli Stati membri hanno gli stessi diritti e tutti devono avere la possibilità di definire la loro posizione. Non bisogna dimenticare che dieci Stati membri, che rappresentano la metà dei cittadini europei, hanno già detto “sì” alla Costituzione, e tra questi anche l’Italia. Con la ratifica della Costituzione, il Parlamento italiano - ossia  il parlamento di un paese fondatore - ha inviato un segnale forte all’Europa. L’Italia deve continuare a svolgere il suo ruolo tradizionale a favore del processo di integrazione.
 
Allo stesso tempo, sono perplesso circa la possibilità di riaprire i negoziati in vista di una revisione della Costituzione, daI momento che il testo rappresenta un compromesso molto delicato frutto di un’elaborazione durata vari anni. È difficile immaginare che possa essere approvato un nuovo compromesso sensibilmente diverso da quello attuale. E se si cerca di tenere conto delle paure di coloro che hanno votato “no”, quale “no” bisogna scegliere? Gli elettori olandesi e francesi che hanno votato “no” sono stati animati da motivazioni molto differenti. Dobbiamo riconoscere che il “no”  espresso in questi due paesi rappresenta chiaramente un’opposizione alla proposta che è stata loro presentata, ma non si traduce in alcun modo in un sostegno ad un progetto alternativo.
 
È proprio in un momento come quello attuale che possiamo trarre una lezione dagli avvenimenti che portarono  alla conferenza di Messina. Si dimentica troppo facilmente che quando, nel 1954, l’Assemblea nazionale francese votò contro la Comunità europea di difesa, lo choc dei leader europei dell’epoca era paragonabile a quello che proviamo oggi dinanzi al “no” francese e olandese.
 
Eppure essi non rinunciarono ai loro ideali europei. Anzi, al contrario, era diffusa la convinzione che fosse necessaria una reazione forte e rapida. Paul-Henri Spaak, divenuto ministro degli esteri belga, propose quindi di convocare una conferenza per  preparare un piano di rilancio. L’iniziativa fu accolta molto favorevolmente da Johan Willem Beyen, ministro degli esteri olandese, che desiderava spingersi ancora oltre, verso una “integrazione economica generale”. Su proposta del ministro italiano Gaetano Martino la conferenza ebbe luogo a Messina e portò, come tutti sappiamo, alla nascita della Comunità economica europea e della Comunità europea dell’energia atomica.
 
Nel 1954, una crisi ha portato al rilancio e al rafforzamento dell’Europa. Invece di imporre una brusca battuta di arresto, i leader europei raddoppiarono i loro sforzi per trovare una soluzione che rispondesse alle preoccupazioni dei loro concittadini, ossia la pace e la prosperità. È curioso constatare oggi che, dinanzi alla crisi istituzionale dell’epoca, la via scelta fu quella di cercare una risposta tramite l’integrazione economica.
 
Ora dobbiamo evitare di rifugiarci nella paralisi. Dobbiamo dimostrare ai nostri concittadini, talvolta un po’ scettici, che ora più che mai l’Unione europea può fornire una risposta efficace alle loro preoccupazioni. Certamente i risultati dei referendum di questa settimana rappresentano un insuccesso, ma l’Europa è più che mai attiva e la sua azione prosegue anche al di là del dibattito sulla Costituzione.
 
La Commissione continua e continuerà a prendere importanti decisioni che portano benefici concreti a tutti i cittadini europei. Abbiamo un programma da realizzare, un programma sostenuto all’unanimità dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo, un partenariato che risponde concretamente alle preoccupazioni dei cittadini, in quanto si concentra sulla prosperità, sulla solidarietà e sulla sicurezza. Tutte le istituzioni europee devono essere solidalmente unite nella loro aspirazione a compiere ulteriori progressi, a realizzare tale partenariato e a risolvere in tal modo i problemi che preoccupano i cittadini. La nostra azione è diretta a creare nuovi e migliori posti di lavoro, a favorire la crescita economica, lo sviluppo sostenibile, a mantenere e modernizzare il modello sociale europeo e a garantire maggiore sicurezza ai cittadini. In questo modo restituiremo loro fiducia nell’Europa e nelle sue istituzioni.
 
Il primo grande test sarà probabilmente il raggiungimento di un accordo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. L’Unione europea ha bisogno di un nuovo quadro di bilancio per finanziare le politiche e le attività dell’Unione, e non vi è alcuna ragione per rinviare il negoziato. Semmai, al contrario, tutto ci spinge a dimostrare che l’Europa può agire con determinazione. La Commissione farà tutto quanto è in suo potere per giungere ad un risultato che rifletta la nostra volontà di dar vita ad un’Europa più competitiva e più solidale.
 
***
 
Signore, Signori,
 
i sei ministri degli affari esteri riuniti a Messina cinquant’anni fa sapevano benissimo che la costruzione dell’Europa è un processo complesso, esposto a crisi occasionali. Tuttavia, dando prova di un’effettiva leadership, essi seppero trasformare la crisi in opportunità, permettendo all’Europa di uscirne rafforzata e migliore di prima, pronta a raccogliere le nuove sfide e ad assumere le sue responsabilità.
 
Il destino della Costituzione è ormai nelle mani degli Stati membri. Spetta a loro pronunciarsi. Poco più di sei mesi fa, a Roma, i 25 governi degli Stati membri hanno firmato il trattato costituzionale. È ora fondamentale che i 25 analizzino insieme la situazione e trovino un accordo sulla via da seguire. Ancora una volta, è venuto il momento di dar prova dello “spirito di Messina”, ossia di non indietreggiare davanti alle difficoltà, di non abbandonare i valori e i principi che sono al centro del nostro progetto.
 
È fondamentale sfruttare il momento attuale per  dare forma ad un nuovo consenso politico. Il compito della Commissione – così come io lo concepisco - è di favorire tale consenso e scongiurare uno scontro tra due diversi modelli o percezioni dell’Europa. Senza un nuovo consenso, indispensabile in questo momento, il compromesso e le soluzioni saranno più difficili.
 
Ma, nella ricerca del consenso, occorre evitare due pericolose trappole.
 
La prima trappola consiste nel barricarsi dietro a steccati ideologici. Scavare divisioni attorno a due monoteismi politici - il monoteismo del mercato e il monoteismo dello Stato - non giova all’Europa. Nessuno dei due può risolvere tutti i problemi e qualsiasi tentativo diretto ad imporre uno dei due in Europa è destinato al fallimento. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è una sintesi intelligente tra il mercato e lo Stato che possa aiutare l’Europa a vincere, e non a perdere, dinanzi alla globalizzazione.
 
La seconda trappola è la tentazione di giocare allo “scaricabarile”, di lanciarsi in accuse inutili e pericolose e, in particolare, di trasformare le istituzioni europee con la scusa delle difficoltà esistenti sia a livello nazionale sia di fronte alle sfide globali. Certo, le istituzioni europee non sono perfette. Chi potrebbe pretendere di essere perfetto ? D’altronde è proprio perché ha riconosciuto l’esistenza di alcuni problemi che la Commissione da me presieduta, sin dalla sua entrata in carica sei mesi fa, ha deciso di predisporre alcune iniziative per sviluppare una comunicazione più efficace e per migliorare la qualità della legislazione (iniziativa “better regulation”). Riconosciamo infatti che è possibile compiere ulteriori passi in avanti nel rapporto di fiducia, trasparenza e responsabilità tra i cittadini e le istituzioni europee, e che le istituzioni possono impegnarsi più a fondo per assicurare il rispetto del principio di sussidiarietà e per semplificare le loro decisioni, soprattutto nei rapporti con i cittadini e con le imprese. Ma la tentazione di imputare a “Bruxelles” le decisioni impopolari ha già provocato in passato e continua a provocare un enorme pregiudizio. È ciò che succede quando si descrivono le riunioni a Bruxelles come battaglie in cui ogni giorno si contano vincitori e vinti, invece di presentarle come occasioni per discutere, trovare consensi e compromessi per risolvere problemi difficili ma comuni.
 
Se si attacca “Bruxelles” sei giorni a settimana, dal lunedì al sabato, come si può poi sperare in un totale cambiamento di rotta il giorno dopo e aspettarsi che i cittadini sostengano l’Europa la domenica ?
 
Se i capi di Stato e di governo attuali dimostreranno lo stesso senso di responsabilità che i leader politici dell’epoca dimostrarono cinquant’anni fa a Messina ed eviteranno queste due trappole, allora io credo che il futuro possa essere promettente e che l’attuale crisi possa trasformarsi in un’opportunità. Perciò proprio qui a Messina vorrei lanciare un appello a riunirci attorno ai valori europei, alla civiltà e all’anima dell’Europa, a sforzarci di cercare un sostegno che ci permetterà di ritrovare un consenso dinamico per un’Europa capace di adeguarsi alle nuove sfide della globalizzazione. Può darsi allora che, quando i leader europei di domani si ritroveranno qui per celebrare il centenario della conferenza di Messina, si ricorderanno che anche nel 2005 si è verificata una crisi poi trasformata in un’opportunità, e che l’Europa ne è uscita rafforzata e migliore di prima.
 
Grazie.
 

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