La stanza del burattinaio

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LA STANZA DEL BURATTINAIO

Qualcuno di voi è così fortunato da possedere la stanza del burattinaio?
Chi ha questa stanza è senz'altro un artista. Perché è un luogo dove non solo nascono le idee, ma ci sono tutti materiali per rendere viva qualunque fantasia, proprio come fa il burattinaio che con poche cianfrusaglie e con qualche oggetto inutile sa creare abbigliamenti e quant'altro occorre ai suoi fantocci per interpretare affascinanti vicende.
Lo sa molto bene chi ha avute soffitte e cantine ove si riponevano le cose più impensate!
Tutto ciò che non si aveva il coraggio di buttare per qualche ricordo che vi era legato oppure perché si intendeva riutilizzare era lì che finiva!
Spesse volte era proprio ciò che avveniva andandovi a rimestare a distanza di anni e restando estatici dinanzi a qualche materiale che ci si rammaricava di non trovare più.
Molte cose sono degne di essere ripristinate o riciclate perché tornate di moda, ne fanno fede i molteplici Mercatini dell'usato che sono in auge.
Molti antiquari hanno proprio iniziata così la loro carriera!
Ora che anche le mansarde sono state rivalutate non solo come rifugio di pittori e poeti squattrinati, nessuno le guarda come ripostigli polverosi, ma sono assurti ad abitazioni ricercate divenendo quegli attici costosi e ben arredati che formano il vanto di chi li abita.
Forse fanno parte di quelle terrazze che si usavano come lavatoi condominiali e che adesso sono i meravigliosi giardini pensili.
Avere, quindi, uno spazio da adibire a "conservatorio" nel senso di conservare, diventa più problematico e ci si deve accontentare, magari di un solo cassetto, per mettere da parte qualche ricordino e sarà sempre uno spazio troppo piccolo per una persona creativa.
Perciò, avere la stanza del burattinaio a portata di mano, fa vivere felice colui o colei che ama concretizzare qualche sogno, forse inutile, ma che è una immensa fonte di soddisfazione quando l'ingegno e la buona volontà concretizzano qualcosa di invidiabile.
Talvolta è solo una sfida con sé stessi, realizzare creazioni originali.
Ebbene, la stanza del burattinaio è proprio il regno del creativo che sa far rivivere le cose morte.
In questo spazio che appare ingombro e disordinato per un estraneo c'è invece l'ordine dell'artista artigiano che sa sempre dove trovare ciò che ha conservato amorosamente. Vi si ritrovano scampoli di tessuti e merletti, bottoni variopinti e nastri sgargianti... e fiori finti utilissimi per collage e,  infiniti tracciati e spunti, seguendo i quali si crea.
E dove ritrovare all'occorrenza, proprio quella tonalità per un vestito di bambola antico o la canapa per acconciature fluenti oppure una piuma per un copricapo speciale? E i foulard, quasi evanescenti e le vecchie stampe e le infinite, variopinte "margheritine" delle vecchie collane?
Cianfrusaglie inutili per i più, ma non per chi li saprà utilizzare al meglio seguendo un filo logico.
 E’ una fortuna  poter disporre di una stanzetta in cui poter tenere le cose che non sono indispensabili alla vita giornaliera, ma che in un "giorno X "chi ha bisogno di creare un Arlecchino, una Damina o un Moschettiere o  un collage di natura morta, possa avere a portata di mano tutto l'occorrente.
Solo nella stanza del burattinaio vivono tante vite passate!
Talvolta l'Arte nasce dalla possibilità di dar vita all'estro di un momento avendo sottomano l'occorrente adatto.
In conclusione,  si consiglia di non stigmatizzare il disordine di un tale locale perché può trattarsi proprio della Stanza di un Burattinaio estroso!

 

FINE

 


UN FASCIO DI ROSE ROSSE

Gilda Navarri, malinconica quindicenne, se ne stava  dietro i vetri della sua bella camera di signorina altolocata, guardando la pioggia cadere su quella piazza di paese che non offriva nessuno svago e pensava a quanto le era stato difficile ottenere il permesso di partecipare alla festa di compleanno di Mariuccia, sua compagna di banco, nell'Istituto di suore che entrambe frequentavano.
Mariuccia pareva sempre contenta, eppure, orfana dei genitori, era vissuta sempre con la sorella più grande, vivendo dei proventi della merceria materna, una semplice esistenza che a lei sembrava bastare.
Al confronto, Gilda, avrebbe dovuto sentirsi molto privilegiata. Ma non era così a causa di una madre di nobile famiglia che sentiva ancora il retaggio del suo rango e, malgrado i tempi fossero mutati,  l'occasione per far pesare la sua autorità dispotica  con tutti, non mancava mai. La voce autoritaria della signora, metteva a tutti tanta apprensione.
Anche a sua figlia non risparmiava aspre rampogne e non  le concedeva svaghi, facendola sentire costantemente in stato di soggezione. Questo era potuto accadere perché il marito, diplomatico sempre in viaggio, le aveva lasciato il compito di educare a suo modo la loro unica figlia. Per questo alla giovanetta era stata costata fatica carpirle il permesso di partecipare alla festa di compleanno dell'amica. Il fatto era che sua madre aveva molta stima delle sue merciaie che conosceva dall'infanzia e non voleva che poi in classe, un suo diniego , fosse stato commentato sfavorevolmente.
Il giorno atteso, alfine , giunse e figurarsi con quale batticuore Gilda  si presentò alla festosa riunione e a tutti fu evidente la timidezza della ricca signorina che, per la prima volta, appariva ad una festa di giovani.
Per la verità, una riunione molto modesta, ma dove l'allegria non faceva difetto e dove amici avevano portati altri amici perché la vecchia casa delle merciaie che sorgeva appena fuori l'abitato, era  molto spaziosa e c'era posto per ballare spensieratamente. Gilda, dopo aver consegnata la collana che aveva portata in dono alla festeggiata e salutate  le compagne che conosceva, si tenne in disparte perché non sapeva ballare. Di questo approfittò uno dei giovani presenti che le offrì da bere e, con un fare ardito, quasi la trascinò al centro del salone, dicendo allegramente: " Ad  una ragazza così bella tutti sarebbero felici di insegnare i primi passi e siccome io sono il più esperto questo compito tocca a me."  E i balli si susseguirono uno dopo l'altro. Gilda che alle parole rivoltele era avvampata, non ebbe la prontezza di spiccicare un rifiuto e, sgomentata da tanta spavalderia da parte di uno sconosciuto che nessuno le aveva presentato, si lasciò trascinare, coinvolta dalla musica che superava ogni voce e, pian piano si sciolse, tra le braccia del suo primo corteggiatore. Sul finire della serata il giovanotto che l'aveva fatta  bere in continuazione, tra un ballo e l'altro, si ritrovò accanto una ragazza divertita, spensierata e disinvolta e fu assai  contento di essersi dedicato soltanto a lei e lusingato nel vederla euforica e, forse un po’ brilla, si offrì di riaccompagnarla a casa con la sua automobile e non fu affatto sorpreso di vederla così accondiscendente e fiduciosa.
Fortunatamente la signora Navarri stava leggendo a letto quando sua figlia rientrò e ci fu tra loro un rapido saluto dall'uscio, senza troppe domande cosicché sua  figlia, accusando la stanchezza, si defilò immediatamente nella sua stanza. Fantasticando su quella serata insolita che le aveva recato gioia e turbamento,  restò insonne fino all'alba e nel levarsi accusò un forte mal di capo che le durò per alcuni giorni. Gilda si sentiva fra le nuvole perché non riusciva a mettere a fuoco perfettamente le sue sensazioni e, fra le novità che le erano accadute, capì di aver fatto qualcosa che non doveva e la cosa più grave fu che, dello sconosciuto cavaliere che era riuscito a soggiogarla, non conosceva neppure il nome.
Lo chiese a Mariuccia, ma neppure lei sapeva chi fosse perché degli amici avevano condotto alla sua festa altri loro amici e lei non conosceva tutti. "Stai tranquilla - le disse . m'informerò e te lo farò sapere. Poi, nel vederla in stato di agitazione, continuò: Dopotutto, avremo modo di rivederlo, non ti pare? Come mai ti ha colpito così tanto?  Quello, mi era sembrato molto più grande di noi e tu hai ci hai fatto subito coppia fissa. Non capisco cosa ci hai trovato!"
Dalla sua amica però non ebbe alcuna spiegazione e pensò che fosse soltanto curiosa di conoscere il suo nome. Poco alla volta , la ragazza cominciò a rifiutare il cibo e la madre che la vedeva stanca e svogliata la rimproverava perché credeva che volesse intraprendere una dieta dimagrante.
"Cos'è questa  novità di non mangiare? Vuoi far concorrenza alle indossatrici allampanate delle passerelle di moda?  Se vai avanti così ti ammalerai, sciocca che non sei altro!"
Gilda che in silenzio piangeva, si sentiva sola e tradita, ma ancora sperava che se fosse riuscita a rintracciare il giovanotto di quella serata, molte cose le si sarebbero chiarite, ma  Mariuccia che se ne stava interessando, non  riusciva ancora a conoscerne l'identità. Intanto erano passate tre settimane dalla euforica serata e, a scuola, si stava sotto esami.
Sarebbe finito così anche il triennio trascorso nell'Istituto religioso, le classi si sarebbero sciolte e, ogni allieva promossa, avrebbe seguito orientamenti diversi. Dopo la promozione, Gilda avrebbe dovuto decidere quale nuova scuola  frequentare ed era quasi scontato che i suoi l'avrebbero messa in un Convitto lontano da casa  perché sua madre aveva in mente , per il suo futuro, qualche facoltà universitaria.
Sua figlia avrebbe seguito i suoi consigli, non doveva esservi alcun dubbio. 
Questo era ciò che pensava l' aristocratica donna per l'avvenire della sua unica  figlia. L'amica Mariuccia , invece, sapeva già di dover lasciare gli studi perché doveva necessariamente inserirsi  nel mondo del lavoro. La sorella si era già informata presso la filanda della vicina frazione.
Era scontato, comunque, che diversi indirizzi  avrebbero diviso le strade delle due ragazze, ponendo fine alla loro amicizia scolastica. Era trascorso diverso tempo dalla festa quando a Mariuccia  fu dato conoscere delle notizie approssimative sullo sconosciuto che aveva fatto coppia con l'amica. Mariuccia era riuscita a sapere , però, soltanto il nome. Anzi , il soprannome cl quale era conosciuto dai compagni di allegrie.  Il Gitano  e un numero telefonico che faceva riferimento al vicino capoluogo fu l'informazione che giunse anche a  Gilda. Più volte l'interessata digitò quel numero, senza avere risposta e quando, finalmente, potè ascoltare la voce di colui che ricordava come una persona disponibile e premurosa, rimase costernata nell'udire ciò che gli andava dicendo con tono nervoso e quasi beffardo:  Chi era che lo cercava?  Ballava con tante ragazzacce alle feste in cui si recava che gli era impossibile ricordarsi di qualcuna. Che voleva infine? Lui non voleva essere più seccato … Anzi , doveva  scordarsi del tutto il  suo  numero di telefono…Per il suo bene e per quello della sua famiglia, le consigliava di non importunarlo mai più. Le ultime parole le pronunziò con voce stridula e cattiva che ferirono fino all'anima la povera ragazza che , da quel momento, cadde in una prostrazione profonda della quale sua madre non capiva la motivazione, tanto che decise di chiamare il loro medico per capire che male avesse sua figlia che non mangiava più ed era sempre pallida e spossata.
Il responso non fu di malattia e per la nobildonna, così severa e rigida, fu come una scudisciata: "Mia figlia incinta? Come è stato possibile, con l'educazione che le ho dato?"
Gilda a monosillabi e rossa di vergogna ammise che qualcosa era accaduto la sera della festa, quando brilla e confusa , uno sconosciuto aveva approfittato della sua ingenuità. La madre furibonda, non ebbe scuse per la sua sciagurata figlia e l'unico suo pensiero fu quello di trovare un sistema per soffocare lo scandalo che sarebbe ricaduto sulla loro famiglia.  
"Un nipote bastardo non lo accetterò mai ! Almeno si sappia chi è il padre".
Di fronte al mutismo ostinato di sua figlia che piangeva e non parlava, si sentì in dovere di agire a suo modo, facendole presente  che era indegna di essere sua figlia e che l'unico modo per lavare l'onta, era quello di abortire. A questa prospettiva la povera Gilda si sentì ancora più peccatrice e, per la prima volta, si ribellò all'iniziativa materna affrontandola con parole mature: "Mamma, preferirei prima uccidermi che rinunciare a questa creatura! E' vero che sono stata sciocca e ingenua. Me ne vergogno e ti chiedo di perdonarmi, ma questo bimbo non ha nessuna colpa, lo voglio e deve nascere. Aiutami in questo momento perché ne ho bisogno…Per l'avvenire ti prometto che imparerò a diventare una vera madre e ti sarò sempre riconoscente per l'aiuto che mi darai".
Si sentiva piena di coraggio nel pronunziare queste parole, ma il suo cuore doveva ricevere ancora un' altra, inaspettata, prova.
Colpita dalla veemenza di questa figlia caparbia e sprovveduta, la madre escogitò un altro piano: la creatura della colpa sarebbe nata, ma lontano dalla sua casa, predisponendo tutto in modo che la cosa restasse segreta, salvando così la famiglia dallo scandalo e l'indegna figlia, dalle chiacchiere del paese.
Sua figlia fu costretta ad accettare le decisioni materne perché  non era in condizioni di opporsi e dovette prepararsi ad una reclusione inaspettata in un lontano convento di religiose, abituate a certi compromessi, per restarvi il tempo necessario. Fu in quel luogo che nacque  il piccolo Alberto, subito affidato ad una balia  che dopo averlo allattato , lo crebbe fino all'età scolare, ricevendo, tramite banca, gli assegni per il suo mantenimento.
Da un anonimo tutore fu internato in un Convitto che ne curò l'istruzione fino ai 18 anni. Il ragazzo dimostrò ben presto molto  interesse per il mare, quasi per contrasto all'essere vissuto sempre rinchiuso e, senza sapere mai chi nascostamente lo aiutava, ebbe la possibilità di fare studi nautici fino a che fu in grado di provvedere a sé stesso ed immettersi nella società, divenendo un provetto subacqueo la cui opera veniva richiesta sempre più spesso per compiere imprese difficili e pericolose riportate dai giornali con articoli ammirati  e pieni di lodi per il giovane e coraggioso Alberto. Nel compiere un ultimo, spericolato salvataggio di alcuni naviganti su di una imbarcazione in fiamme, fu ripreso dai telegiornali che lo intervistò poi, ferito, in una clinica. L'indomani del suo ricovero in clinica,  Alberto fu sorpreso di ricevere un fascio di rose rosse con la scritta: "Da chi ti ama tanto", ma senza una firma. Un amico presente lo schernì dicendo che le sue fans non lo perdevano mai d'occhio e pure con la gamba ferita e in tiraggio, trovavano il modo per inviargli omaggi. Ma né lui né Alberto potevano immaginare che la sua più grande fans era non altri che la madre da lui creduta morta alla sua nascita.
Proprio Gilda che, sganciatasi dall'oppressione della famiglia, si era costruita una vita di lavoro, espiando il suo peccato in solitudine, con l'unico scopo di provvedere in incognito alle necessità di quel figlio, suo unico bene del quale era orgogliosa anche se non aveva mai potuto godere dei suoi baci e delle sue carezze e solo con quel fascio di rose volle farle giungere il profumo del suo amore materno protettivo ed eterno.

 


L'ORFANO

Renato aveva trascorso gran parte dell'infanzia in orfanotrofio perché sua madre era morta nel darlo alla luce e il padre, emigrante in Germania si era limitato ad affidarlo alla propria zia che, a sua volta, lo aveva affidato ad un istituto.
Giunto ai quattordici anni, il ragazzo fu riconsegnato alla parente che lo prese seco più per avere una compagnia che per vero affetto, sperando pure nella ricomparsa del padre che per tanti anni se n'era disinteressato.
Al ragazzo, vissuto rinchiuso in una specie di lager, non parve vero di assaporare finalmente la libertà perché fu veramente libero di organizzare a suo piacere ogni giornata, considerando la casa di zia Rosina soltanto un rifugio come, del resto, lei stessa gliene dava esempio rimanendone fuori per tutto il giorno a causa del lavoro che svolgeva come donna di fatica.
Rosina, analfabeta, povera e sola, era pure scarsa di sentimento e di senso di responsabilità giacché la sua finalità era stata solo quella di badare a sé stessa.
L'unica cosa che aveva fatto presente a questo,quasi sconosciuto nipote, era stata quella di trovarsi un lavoro al fine di potersi comprare qualche capo di vestiario che al vitto avrebbe potuto provvedere lei stessa, riportando ogni sera gli avanzi dei locali ove prestava servizio : di giorno una mensa aziendale e di sera una trattoria.
A Renato però il lavoro non piaceva ed anche nell'Istituto che lo aveva ospitato gratis, non aveva trovato di suo gradimento svolgere le mansioni che,a turno coi suoi compagni orfani, avrebbe dovuto esplicare ed era quello che sovente veniva tenuto in punizione. Pur di non fare niente egli aveva sempre accettata questa condizione, crescendo da ribelle.
Di carattere chiuso e ostinato era però cinico e astuto e aveva immagazzinato risentimento ed odio contro tutto e tutti, imparando solamente ad agire per suo tornaconto, senza rispetto per nessuno.Non avendo mai conosciute carezze e coccole era diventato amorale.
Per la struttura fisica mingherlina e il colorito pallido dovuto al vivere recluso, appariva più giovane di quel che non fosse e di questo talvolta si era servito a discapito dei compagni di sventura.
Con queste premesse, si era ben presto unito ad una banda di balordi, imparando ben presto a fare lo scippatore.
Trascorse qualche anno in tal modo senza che zia Rosina ne sapesse nulla . A lei diceva di applicarsi a lavoretti occasionali che giustificavano lo sfoggiare, ogni tanto, qualche capo di vestiario nuovo e questo a lei era sempre bastato.
Sicuramente non era la zia la persona più adatta per guidarlo né per accorgersi di come stavano veramente cose, dato che al suo rientro, era stanca e spesso alticcia e le conversazioni col nipote si limitavano ad un frettoloso saluto di buonanotte.
Renato proseguiva indisturbato nella sua lucrosa carriera di spostato sicuro di farla sempre franca.
Ma un giorno accadde l'imprevisto: Due agenti di sicurezza in borghese, avendolo già adocchiato in precedenza lo colsero in flagrante mentre rubava la radiolina dalle mani di una ragazzetta a bordo di un'automobile momentaneamente ferma.
Finì al correzionale dando inizio ad un altro calvario al quale non intendeva assoggettarsi dopo avere assaporato la libertà.
Piuttosto che perderla preferiva morire ! Fissato in questo pensiero, se ne stette in disparte, torvo e muto per parecchi giorni rifiutando persino di mangiare. Non perdonava a sé stesso la balordaggine di essersi lasciato acciuffare.
Lo stridere del chiavistello annunciò l'entrata del secondino che gli avrebbe servito la colazione che ancora una volta intendeva rifiutare, ma l'uomo entrando gli andava dicendo: "Sarebbe ora di smettere questa cretinata . Chi credi di commuovere facendo lo sciopero della fame? Oltre che stare in prigione finirai pure col sentirti male!" Impulsivamente Renato tolse la scodella del caffellatte dalle mani del secondino che richiudendosi la porta alle spalle, credette di averlo persuaso a mangiare.
Invece il recluso mise in atto il suo piano che aveva già meditato pensando che da quell'oggetto potesse venirgli la morte.
Versò rapidamente il contenuto nel bugliolo e con quanta forza aveva cominciò a calpestare la scodella di alluminio che via via si schiacciava e si affinava scaldandosi fino al punto da potersi maneggiare e Renato questo fece con quel pezzo di alluminio informe chiudendolo e distendendolo in continuazione fino a fenderlo e con quello si trafisse le vene del polso sinistro finché il un fiotto di sangue sprizzò veemente imbrattando completamente casacca e giaciglio La vista di tanto sangue e la debolezza dei giorni di digiuno gli diedero la nausea al punto da farlo svenire.
Si ritrovò al risveglio, nell'infermeria di un ospedale col braccio sinistro immobilizzato da una vistosa fasciatura e il destro da una flebo che lo stava rianimando. Ci volle parecchio affinché riordinasse le idee e di questo lo aiutò un uomo anziano, vicino di letto, che cercava di rincuorare quel ragazzetto sconosciuto che aveva rasentata la morte.
Renato, invece, si sentiva sconfitto e se la prendeva con la morte che non lo aveva rifiutato e con tutti quelli che lo stavano salvando. Le crisi di nervi si susseguivano ed i calmanti somministrati non davano risultati positivi.
Questo spaventò Paolo, il degente del letto accanto, che per un incidente di lavoro era stato amputato di una gamba che invece di affliggersi per la disgrazia capitatagli e per i dolori lancinanti che avvertiva, si compenetrava per lo stato di quel ragazzo sconosciuto, cercando di consolarlo.
Proprio questa considerazione, nei giorni seguenti, si andava facendo strada nell'animo di Renato che cominciò ad aprirsi con lui e pian piano si stabilì fra i due un dialogo sincero e mentre Paolo, narrando del proprio figlio prematuramente scomparso, fece trasparire la sofferenza che ancora gli dilaniava l'animo per averlo perduto ed anche l'inutilità di tenere in piedi la sua falegnameria, ora che gli mancava una gamba. Ascoltandolo, il ragazzo sconsiderato e ribelle. Rimuginava tra sé che se lui avesse avuto un padre simile non avrebbe avuto un destino tanto crudele.
Giorno dopo giorno, Renato provava sempre più ammirazione per Paolo mentre questi, raccontandogli minuziosamente le opere che aveva costruite lavorando i vari tipi di legname, lo stava iniziando a un modello di vita, per lui, ordinata e sconosciuta che lo stava incuriosendo. Quell'uomo gli parlava da amico come se l'avesse conosciuto da sempre. Persino l'abbandono del padre cercò di spiegargli il buon Paolo, facendo capire al giovane che a volte è la vita stessa a modificarne i percorsi. Aveva mai pensato all'esistenza di quell'uomo emigrante ? Alla sofferenza di aver perduto la giovane moglie nel momento che le nasceva un figlio mentre lui era a lavorare lontano? Le sue scelte, probabilmente, erano state obbligate anche se fatte a malincuore. Prima di giudicare, bisogna conoscere come stanno veramente le cose e lui doveva ravvedersi, se non altro per la memoria di sua madre. Non è mai troppo tardi per ravvedersi e, se lui, voleva egli stesso lo avrebbe aiutato. Furono queste ultime parole a galvanizzare Renato che si sentì spronato a iniziare una nuova vita.
Con l' aiuto di Paolo voleva dimostrare a sè stesso e al mondo che sarebbe stato capace di diventare un vero uomo.  


 



GALEOTTO FU INTERNET

La signorina Franca era sempre stata piena di buonsenso e trascorreva una esistenza   dedicata tutta alla scuola in cui insegnava Storia e Geografia e conduceva le classi  assegnatele dalla prima elementare alla quinta. La passione di insegnare le  aveva  fatto intraprendere questa missione. E già! Per lei era proprio una missione alla  quale si era votata nel momento della scelta adolescenziale perché sentiva prepotente il  desiderio di stare coi bambini e che le si era inculcata ancor più nell'animo studiando la pedagogia alle Scuole Magistrali. Per temperamento era portata a spiegare ed insegnare ai suoi allievi quelle nozioni  necessarie per accostarli agli avvenimenti che avevano fatta la Storia politica e culturale  del mondo e, alle prese con le carte geografiche,  sapeva dare ragguagli precisi circa le ubicazioni dei territori vicini e lontani affinché i giovani, attraverso le sue parole, avessero chiare le posizioni e le dimensioni  di ogni paese del globo. Brava, coscienziosa, attenta e molto affezionata alle sue scolaresche, dava il meglio di sé acquistando sempre più considerazione fra i colleghi e  le famiglie dei suoi allievi. Di temperamento tranquillo e sempre desiderosa di aggiornarsi, i suoi anni erano trascorsi fra casa e scuola con la serenità discreta che le aveva sempre data la consapevolezza di fare bene il suo lavoro e di essere bene accetta ovunque.  Per natura, possedeva anche quel senso materno che le permetteva di comprendere a volo quando i suoi piccoli discepoli avevano dei problemi sia di apprendimento o familiari e, in quei momenti , le veniva spontanea la capacità di trovare le parole giuste per riportare la serenità nelle giovani menti che pendevano dalle sue labbra e che lei aveva il grave compito di erudire.
Fin dai primi anni d'insegnamento, era stato come avere tanti figlioli perché tali li aveva sempre considerati e per il suo operato le erano stati dati anche dei significativi riconoscimenti dal Ministero che, però, non l’avevano inorgoglita al punto di considerarsi al di sopra dei colleghi.   
Era una Maestra come tante,  in più  mamma per i molti orfani che le erano capitati perché alcuni conservavano con lei rapporti epistolari anche dopo le classi elementari e per  Natale continuavano ad inviarle auguri affettuosi che la riempivano di gioia.   
Giunta a metà del suo percorso lavorativo  stava accorgendosi che le nuove generazioni erano   diventate più difficili da gestire perché distratte dalle nuove tecnologie che lei non aveva avuto tempo e modo di approfondire.  Nuove fonti di conoscenza catturavano l'interesse dei giovanissimi che  scambiandosi, in classe, le nuove esperienze, la facevano sentire antica. Non che fosse al di fuori del tempo, questo no, ma sentiva che la modernità di certi nuovi apparecchi stava sovvertendo i vecchi metodi d’insegnamento  e quando i ragazzi aggiungevano, nei compiti, i risultati delle ricerche era sempre il computer che aveva dato loro una mano. Con tristezza si stava accorgendo di essere antiquata per le menti giovani e sveglie della nuova era.
Notti intere rimuginò questi pensieri giungendo alla conclusione che doveva aggiornarsi e se i programmi ministeriali non prevedevano modifiche, doveva lei stessa adeguarsi per essere al passo dei tempi.  S'impegnò a cambiare le sue abitudini e nelle ore pomeridiane che restavano a sua disposizione, dopo aver corretto i compiti degli alunni,  invece di starsene a leggere i libri dei suoi autori preferiti, cominciò a frequentare corsi di informatica e di lingue per togliersi quella ruggine che le stava calando addosso... Si accorse però che questo non sarebbe stato sufficiente  per  far sua l’ Informatica.  Per questa materia nuova doveva necessariamente provvedersi di un Computer giacché il solo apprendimento della teoria diventava insufficiente e, addirittura inutile, se non si aveva l'apparecchio specifico per mettere a profitto le cognizioni che andava acquisendo e che la stavano conquistando. Cominciò a visitare alcuni negozi avvedendosi ben presto che di Computer ne esistono vari tipi, ma l'acquisto va fatto tenendo presente l'uso che se ne dovrà fare perché, in ogni negozio,  la domanda ricorrente era questa:“Cosa ha intenzione di  fare con il Computer“?  
Le prime volte, l'erudita maestra non seppe rispondere, ma con l'aiuto degli esperti rivenditori  fece l'acquisto più giusto e un apparecchio con discreta memoria, programmi di scrittura , grafica e svariati accessori  fu collocato nel suo studio casalingo e, da quel momento, si sentì letteralmente ringiovanita.
Provando e riprovando scoprì gradualmente le molte prestazioni che poteva ricavarne e poté , finalmente, discettare coi suoi ragazzi anche sulle tante nuove tecnologie che stavano invadendo il mercato, senza complesso d'inferiorità.   
Intanto stava dilagando la passione per la  navigazione Internettiana ed anche questo, ben presto, conquistò  la quarantenne maestra che stava diventando esperta in ogni settore del Web.   
Aveva dimenticato il tempo libero dei fine settimana e le sue ore scorrevano nella continua ricerca di cose nuove che Internet le presentava con dei semplicissimi clic. Il mondo le si apriva davanti in modo nuovo e impensato fino a qualche tempo prima e, a suo piacere, le si presentavano itinerari  sconosciuti che le consentivano l'accesso nei luoghi di arte vicini e lontani; visionare biblioteche per capillari ricerche, aggiornarsi quotidianamente sugli avvenimenti del mondo e persino colloquiare con persone sconosciute.   Queste scoperte dettero nuova vita a Franca perché fra le chat e la Posta elettronica si sentì cittadina del mondo  e c’era modo di trasmettersi scritti e fotografie in un battibaleno.   
Col nome virtuale "Violet" s'’inserì facilmente in un salotto culturale di Parigi dove una volta alla settimana si svolgevano dibattiti  in italiano perché gl’interlocutori  di ambo i sessi erano, in maggior parte, professionisti italiani che vi si erano trasferiti per motivi di lavoro. Fra questi, un certo "Eric" dalla voce baritonale, era quello che a “Violet“  fece più colpo, per la sua erudizione e per il franco  modo di esprimersi. Probabilmente l’intesa fu reciproca perché una sera egli le inviò la precisa richiesta di potersi  conoscere di persona  dato che era in procinto di partire per l'Italia.   
Dopo una  comprensibile perplessità, Franca decise che la cosa si poteva organizzare e, quindi, presero accordi precisi per le prossime vacanze pasquali. L’ insegnante che non aveva mai avuto né tempo né fantasia d’intraprendere rapporti sentimentali, dopo una cocente delusione subita in gioventù , non vide nulla d' illecito in un incontro fra adulti. Era sicura che la loro età li avrebbe messi al riparo da ogni insidia. Inoltre, la loro conoscenza sarebbe  avvenuta all'aperto, nel parco pubblico in una bella domenica di primavera come avevano convenuto.   
Molto eccitata si presentò, quindi, all’inconsueto appuntamento  indossando un sobrio tailleur beige con un fiore ciclamino al risvolto della giacca quale segno di riconoscimento. L’uomo in grigio che le venne incontro con un cordiale sorriso aveva un fare giovanile che non rivelava affatto i cinquantacinque anni che aveva. Inchinandosi leggermente si presentò col suo vero nome, Enrico, mostrandosi bene impressionato :“E’ proprio come l’avevo immaginata Violet, ma ora mi dica anche lei il suo vero nome”. Chiacchierarono a lungo passeggiando, prima di entrare nel ristornate dove lui aveva prenotato telefonicamente il pranzo e col passare delle ore si accorsero di avere gusti in comune e con la sua piacevole dialettica di avvocato qual’era, l’uomo fece ridere Franca, con vari aneddoti  finendo col dire:  Sembriamo due anime gemelle!   
Trascorsero, da buoni amici, quattro giorni insoliti, pieni di piacevoli novità per la maestra abituata ad una vita metodica e abitudinaria. Il suo cavaliere si rivelò un amabile accompagnatore e profondo conoscitore dei musei e e delle gallerie d'arte che riuscirono a visitare in quei giorni.
Peccato soltanto che la vacanza non poté prolungarsi di più a causa dei loro impegni lavorativi, ma nel  lasciarsi si scambiarono la promessa di rivedersi quanto prima possibile.  
L'incontro, impensato fino a poco tempo prima, aveva creato nella donna una sorta di stupore che la indusse ad essere distratta e pensierosa pure a scuola. Col passare dei giorni si trovò a pensare che fosse stato un sogno l' aver conosciuto Enrico, non sapendo neppure se fosse bene prestar fede a quanto lui aveva raccontato di sé. Aveva parlato di un matrimonio sballato, finito malamente, con una ballerina svedese conosciuta e sposata  frettolosamente nella prima gioventù e che se ne era ritornata al suo paese. Orfano prematuramente di emigranti italiani, egli era stato uno studente lavoratore e pian piano si era costruita una esistenza al riparo delle difficoltà finanziarie, ma con molta solitudine e perseguendo solamente la carriera forense dalla quale scaturiva tanta soddisfazione e, fra una causa e l'altra, non aveva mai più avuta l'intenzione di trovarsi una nuova compagna. Per questo si divagava con le chat che talvolta riempivano le sue serate. 
Conversando attraverso Internet con lei, era stato colpito dal suo modo di esprimersi e aveva avuto un subitaneo desiderio di conoscerla e, pure paventando un rifiuto, si era azzardato a chiederle un incontro.    
Franca ascoltandolo, si sentì lusingata e nulla lasciava presumere che stesse raccontando delle frottole e si adagiò dolcemente sui complimenti del gentiluomo appena conosciuto. Dopo la breve parentesi di quei quattro giorni favolosi,  ambedue rientrarono nell'orbita delle loro occupazioni, ma nulla fu più come prima per la donna che a momenti di gioia ne alternava altri di tormento perché si scoperse gelosa. Ma gelosa perché ? Di che cosa? E di chi?   La loro non era altro che un'amicizia appena iniziata e non c'erano state dichiarazioni e  promesse di nessun genere tranne quella di rivedersi . Intanto soffriva e non riusciva più a concentrarsi sulle lezioni che fino a poco tempo addietro l'appagavano e la facevano sentire soddisfatta. Stentava a credere di essersi potuta innamorare di un uomo , sia pure attraente, ma del quale sapeva quel poco che lui stesso aveva raccontato. Aveva tanto sofferto a diciotto anni per le tante bugie del suo primo amore, coetaneo e compagno di studi che, d'allora, aveva giurato eterna diffidenza alle parole  maschili ed ora, un uomo di età venuto da lontano, era riuscita a incastrare il suo gelido cuore in un desiderio di amore…e la situazione le pareva assurda.
Non aveva mai voluto credere al famoso colpo di fulmine eppure in lei qualcosa era scattato al solo vederlo! Era pur vero che molto aveva influito il suo tono di voce attraverso la Rete. Era suadente e calda quella voce e, di sicuro, doveva esserlo anche per coloro che ascoltavano le sue arringhe.
Non riusciva più a dormire e attendeva con ansia le serate destinate ai Forum su Rete nella speranza di poterlo ascoltare  per cercare di captare qualche espressione che lei sola potesse capire e decifrare.  
Ma Enrico l'aveva avvisata che prima di tornare a Parigi doveva recarsi a Monaco per perorarvi una causa e sarebbe trascorso del tempo prima che potesse intervenire ai dibattiti culturali su Internet.   
Franca, invece, tornò a chattare bramando di ricevere almeno qualche e-mail. Ma nulla! Di Enrico nessuna notizia. C'era solo il ricordo di quattro bellissimi giorni e  non se ne  capacitava… Eppure le aveva fatta una buona impressione e lei stessa pensava di averne  fatta altrettanta. Che cosa poteva averlo dissuaso dal farsi vivo?   Una sera si fece coraggio e nello chattare nel consueto circolo, buttò là una frase che doveva apparire scherzosa : "Che ne è di Eric che non partecipa più ai nostri Forum?"   
Un  certo Tom fu pronto a rispondere sullo stesso tono: "Sarà andato a sposarsi!"  Tutti risero, ma Franca sentì un colpo al cuore, pensando che quel Tom forse conosceva  "Eric" di persona e parlava perché sapeva.  
Per Franca non ci fu più pace e per giorni e giorni continuò a pensare a quella frase che le aveva messo molti dubbi nell'anima, cominciò a soffrire di forti emicranie e presto cadde in una depressione tale che le tolse volontà e iniziative.Viveva come un automa, trascurando anche le cose essenziali che fino a quel momento avevano costituito la sua vita.   
In questo stato trascorse due mesi e giunse anche la fine dell'anno scolastico. La maestra, dimagrita ed esausta, raccolse l'invito di una collega che la volle seco per una settimana nella sua casa al lago convincendola che un po’ di dolce far niente l'avrebbe rimessa in sesto attribuendo il suo pallore all'attedio nel seguire i suoi alunni durante gli esami di quinta con i quali avrebbero terminato il ciclo elementare. "Ti esaurisci troppo dietro alla tua classe… devi pensare anche alla tua salute!" Vieni con me  per qualche giorno al lago e vedrai come riprenderai le forze." 

Le parole premurose della sua anziana collega la riscossero dal suo torpore e, pur di distrarsi  Franca accettò di buon grado di partire con lei. Dopo una settimana però era già di ritorno e fu molto sorpresa nel trovare nella sua cassetta della posta una busta con dentro una fotografia che mai si sarebbe aspettata di vedere: Enrico con un braccio al collo che si appoggiava ad una stampella canadese.  Poche parole sul retro della foto spiegarono molte cose:  Vittima di un incidente ferroviario mentre si stava recando a Monaco e ricoverato in condizioni gravissime in un ospedale tedesco  vi  rimase a lungo immobilizzato e incosciente, senza possibilità di dare sue notizie ad alcuno .  Si scusava rammaricandosi dell'accaduto e immaginando quante supposizioni sbagliate aveva create il suo forzato silenzio, chiedeva la comprensione della dolce amica Franca  alla quale prometteva una visita non appena avesse potuto viaggiare. La ragazza, combattuta da mille pensieri contrastanti, decise che era suo dovere farsi viva con lui e, acquisito l'indirizzo inviò all' infortunato un telegramma per comunicargli suo dispiacere per l'accaduto, specificando che si sarebbe organizzata per non farle mancare la sua presenza quanto prima. Pervasa da un 'ansia febbrile si diede da fare per organizzare al più presto la doverosa visita  e appena  pronta si mise in viaggio per portare il suo conforto all'uomo che occupava da  tempo i suoi pensieri. In treno non riuscì a concentrarsi nella lettura del libro che si era portata dietro non riuscendo a perdonarsi le brutte supposizioni fatte nei confronti di quel poveretto che invece era stato sul punto di morire.  Non vedeva l'ora di rivederlo e si sorprese a sorridere mentre pensava a quel momento che avrebbe ristabilito i loro rapporti amichevoli . Finalmente giunse in terra tedesca ed era quasi sera quando giunse all'ospedale che  sorgeva alla periferia della città che era un edificio di vecchia costruzione e, alla visitatrice, non fu molto facile far capire subito all'anziano custode che lei doveva  andare a trovare un infortunato francese che era lì da quasi due mesi e per meglio spiegarsi trascrisse il nome di Enrico sopra un foglietto.   
Il vecchio in un incomprensibile dialetto tedesco, le fornì allora un diverso indirizzo giacché il signore che stava cercando era stato trasferito proprio quella mattina in un Centro di riabilitazione per essere sottoposto alle terapie che il suo caso richiedeva. Lei sarebbe stata disposta a recarvisi immediatamente, ma riuscì a capire che, a causa della tarda ora, sarebbe stato inutile perché non avrebbe avuto il permesso di entrare; il vecchio le consigliò di andarsi a riposare rimandando la visita la mattino successivo.
Franca accettò il consiglio e si fece dare l'indirizzo di una pensione per mangiare qualcosa e passarvi la notte. Fu con molto disappunto che la donna rimandò la visita e con un taxi, raggiunse in pochi minuti la pensione ove si rinfrescò e consumò distrattamente una rapida cena, ma a letto nella gelida stanza, non riuscì a prendere sonno e all'alba era già pronta per uscire. Era stanca, infreddolita e, pervasa da una forte emozione, cominciò ad avere degli strani dubbi: E se a lui non fosse stata gradita la sua visita?  E se, dimagrita com'era e disfatta dal viaggio e dalla notte insonne, non la trovasse molto attraente?  Le domande che le salivano alla mente la stavano ancor più deprimendo mentre era sul mezzo pubblico che l'avrebbe condotta proprio dinanzi al Centro di riabilitazione e la  città sconosciuta che vedeva dal finestrino non le destò il minimo interesse, presa com'era dai suoi pensieri scoraggianti e fu con un sospiro di sollievo che scese dal  pullmann. Fra poco avrebbe incontrato l'uomo dei suoi sogni.         
Franca, ebbe un attimo di smarrimento prima di pronunziare il nome del paziente che  cercava e lo pronunziò quasi balbettando, ma la premurosa infermiera che la prese in consegna, capì subito di chi si trattava e, senza parlare, la condusse lungo un corridoio interminabile con una parete ricoperta da una vetrata opaca scorrevole, dietro la quale  scomparve facendole cenno di attendere. Nell'aprire la vetrata le giunsero rumori di macchinari e comandi di voci varie che lasciavano capire essere quello  il salone della riabilitazione motoria da dove uscì la stessa infermiera che sospingeva una carrozzella con un paziente  talmente magro nel quale Franca stentò a riconoscere Enrico. Ma fu solo un attimo perché egli  sorridendo le stese la mano libera dalle bende che lei si affrettò a stringere con slancio affettuoso.  Dopo tanto tempo di dubbi e tormenti, il loro incontro fu molto rapido e convenzionale,  ma nella mattinata, i frondosi alberi del parco  su cui era edificato il Centro, furono testimoni di colloqui chiarificatori e appassionati che misero in luce  l'intensità dei  loro sentimenti, confermando ad entrambi che la forzata lontananza aveva centuplicato il desiderio di conoscenza più approfondita, con la certezza che il filo misterioso che li aveva legati non si era interrotto,  ma si era rafforzato in modo  indissolubile legandoli in quell'amore sincero e consapevole che li avrebbe uniti per la vita.

 

 



   LA NONNA DI NATALE

La signora Eva aveva sempre fatto la sarta. Aveva imparato il mestiere da sua madre  più rubandolo con gli occhi che seguendo un insegnamento preciso ed ogni suo successo la rendeva lieta e contenta.

La madre, giudiziosamente non le risparmiava le lodi, spronandola al lavoro e la bambina aveva acquistata sempre più  padronanza nel trattare stoffe, filati e modelli che persino le clienti restavano soddisfatte per le rifiniture  degl'indumenti che la piccola eseguiva.

Frequentava le elementari  quando aveva cominciato a darsi da fare  aiutando a passare le imbastiture, togliere quelle sui tracciati del gessetto,  radunare con la calamita tutti gli spilli caduti e persino scucire  abiti e cappotti che, a quel tempo,  molti clienti si facevano rivoltare  e questo era di gran lunga il lavoro più opprimente perché i vari pezzi da rielaborare, avevano necessità di essere riportati a nuovo prima d'iniziare la nuova confezione.

Al termine della scuola dell'obbligo,  la giovanetta capì che  le sarebbe piaciuto continuare a cucire e allorché andò sposa ad un giovane impiegato delle poste, trovò giusto contribuire alle entrate familiari dedicandovi una parte della giornata.

Dal matrimonio non nacquero figli e le sue mansioni di casalinga le permisero di dedicare sempre più ore al lavoro che amava.

Sapeva come accontentare la clientela col suo estro originale, tanto che col suo gusto particolare, di ogni modello ne faceva un piccolo capolavoro.

Malauguratamente,  suo marito per una polmonite mal curata, la lasciò presto vedova e anche in questo frangente  il lavoro di sartoria seppe riempire le troppe ore di silenziosa solitudine e la sua esistenza si protese sempre più nell'adempimento di tale lavoro che, oltretutto, le permise una certa disponibilità pecuniaria per qualche piacevole parentesi di svago.

Qualche villeggiatura e  brevi viaggi  ristorarono la sua operosa vita di casalinga fino a che  non sopraggiunsero le cataratte a darle problemi di vista e dovette diradare la clientela. Certamente il suo reddito ne risentì parecchio, anche perché dovette affrontare le due operazioni agli occhi  che rappresentarono un lungo periodo di astensione dai lavori di cucito,  rappresentando per lei.un periodo di difficoltà triste e solitario.

Difatti le sue giornate le trascorreva in solitudine e, tolta la frequentazione delle  clienti durante la confezioni, non aveva amicizie  che potessero dedicarle del tempo..

Anche nel palazzo, pur avendovi sempre abitato, non aveva avuto tempo di coltivarvi amicizie e, tolti i rapidi convenevoli durante gli sporadici incontri per le scale con qualcuno dei coinquilini, non aveva approfondita nessuna conoscenza..    

Mentre lavorava teneva accesa la radio o la tivù, per sentire un sottofondo musicale o qualche conversazione con l'illusione di essere in compagnia di qualcuno, ma spesso

si ritrovava a  seguire il filo dei propri pensieri che quello che veniva trasmesso.

Sempre presa dai lavori da eseguire, da provare e  consegnare, la sua vita si era incanalata in modo da bastare a sé stessa senza l'aiuto di nessuno ed anche se le capitava di sentire rumori e risate o pianti e grida di bambini, attraverso le pareti o perché giungevano dal cortile sottostante, non avrebbe saputo specificarne l'appartenenza.

La società le viveva intorno e questo bastava a non farla sentire  completamente isolata, ma dacché aveva dovuto diradare il lavoro, sentiva di aver perduto qualcosa, forse la parola affettuosa di qualche persona amica.

Pure il telefono non squillava più tanto spesso..

Fu proprio in questo periodo che le fu chiesto dalla famiglia che  abitava nello stesso stabile, se fosse disposta ad affittare per un  breve periodo, una stanza della sua vasta casa ad una coppia di amici toscani che avrebbero voluto trascorrere le imminenti feste natalizie in loro compagnia...

Alla richiesta insolita, Eva, rimase perplessa  perché non  aveva mai pensato di fare l'affittacamere. Si prese due giorni per riflettere, valutando la cosa da diversi aspetti

e, seppure non amasse  avere  estranei in casa, credette opportuno accondiscendere.

Trattandosi di  una coppia di coniugi non tanto giovani che avrebbero soltanto dormito nella stanza degli ospiti, capì che il disagio sarebbe stato limitato e inoltre, incassare una sommetta in quel momento, l'avrebbe sollevata da qualche difficoltà.   

La coppia giunse qualche giorno prima di Natale  ed a Eva fece subito buona impressione  la giovialità toscana e il franco sorriso aperto e, soprattutto i frequenti motteggi fra loro che lasciava trasparire la buona armonia di un sano legame...

Si profusero in ringraziamenti facendo presente che essendo privi di automobile, se non avessero trovata quella soluzione, non avrebbero potuto accettare l'invito della famiglia amica.

Poteva star certa che  non l'avrebbero importunata troppo perchè avevano intenzione di stare molto fuori per visitare Roma e dintorni, tranne le giornate natalizie che avrebbero trascorso cogli  amici..

Convennero il prezzo che fu soddisfacente  d'ambo le parti ed Eva assicurò che avrebbe provveduto al rigoverno della stanza e alla prima colazione, proprio come si usa  in ogni pensione a trattamento familiare e potevano anche usufruire dell'acqua calda per i loro usi personali.

Soddisfatti gli ospiti e soddisfatta la signora Eva.   

I patti furono mantenuti e la vita giornaliera a cui era abituata  non fu sconvolta minimamente; Anzi lei fu contenta di potersi occupare di qualche cosa che la faceva sentire utile ed ebbe meno tempo di commiserarsi  giacché anche la vista si stava adeguando al cambio dei "vetrini" e pian piano si stava ristabilizzando.

Giunse così la sera di Natale e la padrona di casa già sapeva che l'avrebbe trascorsa in solitudine, come sempre, con la sola compagnia dei programmi televisivi fino a che il sonno non l'avrebbe spinta a letto.

Faceva freddo e  lei, all'imbrunire aveva già chiuse le persiane, sapendo che i suoi ospiti avrebbero passata la serata al piano di sotto e sarebbero rientrati soltanto dopo il brindisi di mezzanotte, come avevano preavvisato.

Avrebbe avuto tutto il tempo di cenare e di schiacciare un sonnellino, prima del loro rientro.

Stava avviandosi in cucina, per preparare la sua modesta cena di magro consistente nel tradizionale piatto romano di spaghetti con tonno e acciughe, seguito da un piccolo pesce cotto a vapore e irrorato di olio e limone con contorno di fresca insalatina, un mandarino e due dita di vino dolce  allungato con l'acqua.

Questo parsimonioso menù avrebbe rappresentato il suo " cenone" natalizio e non avrebbe aperto neppure  il panettone, lasciandolo per il pranzo dell'indomani.

Una lunga scampanellata la colse sulla soglia della cucina, si affrettò ad aprire la porta d'ingresso e, dopo un attimo, si vide circondata da quattro persone gaie e gentili e da un nugolo di ragazzini che la invitavano a passare la serata con loro..

Si trattava dei suoi ospiti e degli inquilini del piano di sotto che avevamo quattro bambini in tenera età e tutti stavano incitandola ad accettare il loro invito alla cena di Natale. Eva, commossa e sbalordita, tento di declinare la loro offerta, ma alla spontanea frase di uno dei piccoli  non seppe rifiutare. Promise che sarebbe scesa poco dopo.

Giusto il tempo di cambiarsi di abito e mettersi una collana.

Meccanicamente scelse un abito adatto e mentre si accomodava la chioma brizzolata ripensò alla frase udita poco prima: " Non vuoi essere la nostra nonna per Natale?0"

Fu accolta con grande entusiasmo ed accenti di amicizia da tutti i presenti e le fu dato il posto d'onore a quella tavola preparata con amore per un cenone che sarebbe stato l'inizio di una lunga amicizia.

Eva sentì sciogliersi il gelo che aveva nel cuore in quella sala accogliente che le

riportò all'istante i ricordi dei natali della sua infanzia quando i suoi genitori preparavano la tavola che avrebbe accolto parenti e amici compresi  gli amati nonni

e come allora, a un angolo del salone, guarnito di festoni dorati, troneggiava  un

sontuoso albero illuminato dalle colorate lampadine intermittenti..

Accanto al quale la brava signora Eva depose il suo modesto panettone che trascorsa la mezzanotte avrebbe gustato coi suoi ospiti brindando alla Nascita del Santo Bambino che a lei aveva portato il conforto di  amorevoli persone che non volevano lasciarla sola in una serata simile e che le stavano dando la gioia di sentirsi amata da quei cari piccini come una vera nonna:- La nonna di Natale...appunto.