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La stanza del
burattinaio |
mappa
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Un
fascio di rose rosse - L'orfano -
Galeotto fu Internet - La
nonna di Natale - Nonne moderne |
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LA STANZA DEL BURATTINAIO
Qualcuno di voi è
così fortunato da possedere la stanza del burattinaio?
Chi ha questa stanza è senz'altro un artista. Perché è un luogo dove non
solo nascono le idee, ma ci sono tutti materiali per rendere viva
qualunque fantasia, proprio come fa il burattinaio che con poche
cianfrusaglie e con qualche oggetto inutile sa creare abbigliamenti e
quant'altro occorre ai suoi fantocci per interpretare affascinanti
vicende.
Lo sa molto bene chi ha avute soffitte e cantine ove si riponevano le
cose più impensate!
Tutto ciò che non si aveva il coraggio di buttare per qualche ricordo
che vi era legato oppure perché si intendeva riutilizzare era lì che
finiva!
Spesse volte era proprio ciò che avveniva andandovi a rimestare a
distanza di anni e restando estatici dinanzi a qualche materiale che ci
si rammaricava di non trovare più.
Molte cose sono degne di essere ripristinate o riciclate perché tornate
di moda, ne fanno fede i molteplici Mercatini dell'usato che sono in
auge.
Molti antiquari hanno proprio iniziata così la loro carriera!
Ora che anche le mansarde sono state rivalutate non solo come rifugio di
pittori e poeti squattrinati, nessuno le guarda come ripostigli
polverosi, ma sono assurti ad abitazioni ricercate divenendo quegli
attici costosi e ben arredati che formano il vanto di chi li abita.
Forse fanno parte di quelle terrazze che si usavano come lavatoi
condominiali e che adesso sono i meravigliosi giardini pensili.
Avere, quindi, uno spazio da adibire a "conservatorio" nel senso di
conservare, diventa più problematico e ci si deve accontentare, magari
di un solo cassetto, per mettere da parte qualche ricordino e sarà
sempre uno spazio troppo piccolo per una persona creativa.
Perciò, avere la stanza del burattinaio a portata di mano, fa vivere
felice colui o colei che ama concretizzare qualche sogno, forse inutile,
ma che è una immensa fonte di soddisfazione quando l'ingegno e la buona
volontà concretizzano qualcosa di invidiabile.
Talvolta è solo una sfida con sé stessi, realizzare creazioni originali.
Ebbene, la stanza del burattinaio è proprio il regno del creativo che sa
far rivivere le cose morte.
In questo spazio che appare ingombro e disordinato per un estraneo c'è
invece l'ordine dell'artista artigiano che sa sempre dove trovare ciò
che ha conservato amorosamente. Vi si ritrovano scampoli di tessuti e
merletti, bottoni variopinti e nastri sgargianti... e fiori finti
utilissimi per collage e, infiniti tracciati e spunti, seguendo i quali
si crea.
E dove ritrovare all'occorrenza, proprio quella tonalità per un vestito
di bambola antico o la canapa per acconciature fluenti oppure una piuma
per un copricapo speciale? E i foulard, quasi evanescenti e le vecchie
stampe e le infinite, variopinte "margheritine" delle vecchie collane?
Cianfrusaglie inutili per i più, ma non per chi li saprà utilizzare al
meglio seguendo un filo logico.
E’ una fortuna poter disporre di una stanzetta in cui poter tenere le
cose che non sono indispensabili alla vita giornaliera, ma che in un
"giorno X "chi ha bisogno di creare un Arlecchino, una Damina o un
Moschettiere o un collage di natura morta, possa avere a portata di
mano tutto l'occorrente.
Solo nella stanza del burattinaio vivono tante vite passate!
Talvolta l'Arte nasce dalla possibilità di dar vita all'estro di un
momento avendo sottomano l'occorrente adatto.
In conclusione, si consiglia di non stigmatizzare il disordine di un
tale locale perché può trattarsi proprio della Stanza di un Burattinaio
estroso!
FINE
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UN FASCIO DI ROSE ROSSE
Gilda Navarri,
malinconica quindicenne, se ne stava dietro i vetri della sua bella camera di signorina
altolocata, guardando la pioggia cadere su quella piazza di paese
che non offriva nessuno svago e pensava a quanto le era stato
difficile ottenere il permesso di partecipare alla festa di
compleanno di Mariuccia, sua compagna di banco, nell'Istituto di
suore che entrambe frequentavano.
Mariuccia pareva sempre contenta, eppure, orfana dei genitori, era
vissuta sempre con la sorella più grande, vivendo dei proventi
della merceria materna, una semplice esistenza che a lei sembrava
bastare.
Al confronto, Gilda, avrebbe dovuto sentirsi molto privilegiata. Ma
non era così a causa di una madre di nobile famiglia che sentiva
ancora il retaggio del suo rango e, malgrado i tempi fossero mutati,
l'occasione per far pesare la sua autorità dispotica con tutti, non mancava mai. La voce autoritaria della
signora, metteva a tutti tanta apprensione.
Anche a sua figlia non risparmiava aspre rampogne e non le concedeva svaghi, facendola sentire costantemente in stato
di soggezione. Questo era potuto accadere perché il marito,
diplomatico sempre in viaggio, le aveva lasciato il compito di
educare a suo modo la loro unica figlia. Per questo alla giovanetta
era stata costata fatica carpirle il permesso di partecipare alla
festa di compleanno dell'amica. Il fatto era che sua madre aveva
molta stima delle sue merciaie che conosceva dall'infanzia e non
voleva che poi in classe, un suo diniego , fosse stato commentato
sfavorevolmente.
Il giorno atteso, alfine , giunse e figurarsi con quale batticuore
Gilda si presentò alla festosa riunione e a tutti fu evidente la
timidezza della ricca signorina che, per la prima volta, appariva ad
una festa di giovani.
Per la verità, una riunione molto modesta, ma dove l'allegria non
faceva difetto e dove amici avevano portati altri amici perché la
vecchia casa delle merciaie che sorgeva appena fuori l'abitato, era
molto spaziosa e c'era posto per ballare spensieratamente.
Gilda, dopo aver consegnata la collana che aveva portata in dono
alla festeggiata e salutate le compagne che conosceva, si tenne in disparte perché non
sapeva ballare. Di questo approfittò uno dei giovani presenti che
le offrì da bere e, con un fare ardito, quasi la trascinò al
centro del salone, dicendo allegramente: " Ad una ragazza così bella tutti sarebbero felici di insegnare i
primi passi e siccome io sono il più esperto questo compito tocca a
me." E i balli si susseguirono uno dopo l'altro. Gilda che alle
parole rivoltele era avvampata, non ebbe la prontezza di spiccicare
un rifiuto e, sgomentata da tanta spavalderia da parte di uno
sconosciuto che nessuno le aveva presentato, si lasciò trascinare,
coinvolta dalla musica che superava ogni voce e, pian piano si
sciolse, tra le braccia del suo primo corteggiatore. Sul finire della serata il giovanotto che l'aveva fatta
bere in continuazione, tra un ballo e l'altro, si ritrovò
accanto una ragazza divertita, spensierata e disinvolta e fu assai
contento di essersi dedicato soltanto a lei e lusingato nel
vederla euforica e, forse un po’ brilla, si offrì di
riaccompagnarla a casa con la sua automobile e non fu affatto
sorpreso di vederla così accondiscendente e fiduciosa.
Fortunatamente la signora Navarri stava leggendo a letto quando sua
figlia rientrò e ci fu tra loro un rapido saluto dall'uscio, senza
troppe domande cosicché sua figlia, accusando la stanchezza, si defilò immediatamente
nella sua stanza. Fantasticando su quella serata insolita che le
aveva recato gioia e turbamento, restò insonne fino all'alba e nel levarsi accusò un forte
mal di capo che le durò per alcuni giorni. Gilda si sentiva fra le nuvole perché non riusciva a mettere
a fuoco perfettamente le sue sensazioni e, fra le novità che le
erano accadute, capì di aver fatto qualcosa che non doveva e la
cosa più grave fu che, dello sconosciuto cavaliere che era riuscito
a soggiogarla, non conosceva neppure il nome.
Lo chiese a Mariuccia, ma neppure lei sapeva chi fosse perché degli
amici avevano condotto alla sua festa altri loro amici e lei non
conosceva tutti. "Stai tranquilla - le disse . m'informerò e
te lo farò sapere. Poi, nel vederla in stato di agitazione, continuò:
Dopotutto, avremo modo di rivederlo, non ti pare? Come mai ti ha
colpito così tanto? Quello, mi era sembrato molto più grande di noi e tu hai ci
hai fatto subito coppia fissa. Non capisco cosa ci hai
trovato!"
Dalla sua amica però non ebbe alcuna spiegazione e pensò che fosse
soltanto curiosa di conoscere il suo nome. Poco alla volta , la
ragazza cominciò a rifiutare il cibo e la madre che la vedeva
stanca e svogliata la rimproverava perché credeva che volesse
intraprendere una dieta dimagrante.
"Cos'è questa novità di non mangiare? Vuoi far concorrenza alle
indossatrici allampanate delle passerelle di moda? Se vai avanti così ti ammalerai, sciocca che non sei
altro!"
Gilda che in silenzio piangeva, si sentiva sola e tradita, ma ancora
sperava che se fosse riuscita a rintracciare il giovanotto di quella
serata, molte cose le si sarebbero chiarite, ma Mariuccia che se ne stava interessando, non
riusciva ancora a conoscerne l'identità. Intanto erano
passate tre settimane dalla euforica serata e, a scuola, si stava
sotto esami.
Sarebbe finito così anche il triennio trascorso nell'Istituto
religioso, le classi si sarebbero sciolte e, ogni allieva promossa,
avrebbe seguito orientamenti diversi. Dopo la promozione, Gilda
avrebbe dovuto decidere quale nuova scuola frequentare ed era quasi scontato che i suoi l'avrebbero
messa in un Convitto lontano da casa perché sua madre aveva in mente , per il suo futuro, qualche
facoltà universitaria.
Sua figlia avrebbe seguito i suoi consigli, non doveva esservi alcun
dubbio.
Questo era ciò che pensava l' aristocratica donna per
l'avvenire della sua unica figlia. L'amica
Mariuccia , invece, sapeva già di dover lasciare gli studi perché
doveva necessariamente inserirsi nel mondo del lavoro. La sorella si era già informata presso
la filanda della vicina frazione.
Era scontato, comunque, che diversi indirizzi avrebbero diviso le strade delle due ragazze, ponendo fine
alla loro amicizia scolastica. Era trascorso diverso tempo dalla
festa quando a Mariuccia fu dato conoscere delle notizie approssimative sullo
sconosciuto che aveva fatto coppia con l'amica. Mariuccia era
riuscita a sapere , però, soltanto il nome. Anzi , il soprannome cl
quale era conosciuto dai compagni di allegrie. Il Gitano
e un numero telefonico che faceva riferimento al vicino
capoluogo fu l'informazione che giunse anche a Gilda. Più volte l'interessata digitò quel numero, senza
avere risposta e quando, finalmente, potè ascoltare la voce di
colui che ricordava come una persona disponibile e premurosa, rimase
costernata nell'udire ciò che gli andava dicendo con tono nervoso e
quasi beffardo: Chi era che lo cercava? Ballava con tante ragazzacce alle feste in cui si recava che
gli era impossibile ricordarsi di qualcuna. Che voleva infine? Lui
non voleva essere più seccato … Anzi , doveva scordarsi del tutto il
suo numero di telefono…Per il suo bene e per quello della sua
famiglia, le consigliava di non importunarlo mai più. Le ultime
parole le pronunziò con voce stridula e cattiva che ferirono fino
all'anima la povera ragazza che , da quel momento, cadde in una
prostrazione profonda della quale sua madre non capiva la
motivazione, tanto che decise di chiamare il loro medico per capire
che male avesse sua figlia che non mangiava più ed era sempre
pallida e spossata.
Il responso non fu di malattia e per la nobildonna, così severa e
rigida, fu come una scudisciata: "Mia figlia incinta? Come è
stato possibile, con l'educazione che le ho dato?"
Gilda a monosillabi e rossa di vergogna ammise che qualcosa era
accaduto la sera della festa, quando brilla e confusa , uno
sconosciuto aveva approfittato della sua ingenuità. La madre
furibonda, non ebbe scuse per la sua sciagurata figlia e l'unico suo
pensiero fu quello di trovare un sistema per soffocare lo scandalo
che sarebbe ricaduto sulla loro famiglia.
"Un
nipote bastardo non lo accetterò mai ! Almeno si sappia chi è il
padre".
Di fronte al mutismo ostinato di sua figlia che piangeva e non
parlava, si sentì in dovere di agire a suo modo, facendole presente
che era indegna di essere sua figlia e che l'unico modo per
lavare l'onta, era quello di abortire. A questa prospettiva la
povera Gilda si sentì ancora più peccatrice e, per la prima volta,
si ribellò all'iniziativa materna affrontandola con parole mature:
"Mamma, preferirei prima uccidermi che rinunciare a questa
creatura! E' vero che sono stata sciocca e ingenua. Me ne vergogno e
ti chiedo di perdonarmi, ma questo bimbo non ha nessuna colpa, lo
voglio e deve nascere. Aiutami in questo momento perché ne ho
bisogno…Per l'avvenire ti prometto che imparerò a diventare una
vera madre e ti sarò sempre riconoscente per l'aiuto che mi
darai".
Si sentiva piena di coraggio nel pronunziare queste parole, ma il
suo cuore doveva ricevere ancora un' altra, inaspettata, prova.
Colpita dalla veemenza di questa figlia caparbia e sprovveduta, la
madre escogitò un altro piano: la creatura della colpa sarebbe
nata, ma lontano dalla sua casa, predisponendo tutto in modo che la
cosa restasse segreta, salvando così la famiglia dallo scandalo e
l'indegna figlia, dalle chiacchiere del paese.
Sua figlia fu costretta ad accettare le decisioni materne perché
non era in condizioni di opporsi e dovette prepararsi ad una
reclusione inaspettata in un lontano convento di religiose, abituate
a certi compromessi, per restarvi il tempo necessario. Fu in quel
luogo che nacque il piccolo Alberto, subito affidato ad una balia
che dopo averlo allattato , lo crebbe fino all'età scolare,
ricevendo, tramite banca, gli assegni per il suo mantenimento.
Da un anonimo tutore fu internato in un Convitto che ne curò
l'istruzione fino ai 18 anni. Il ragazzo dimostrò ben presto molto
interesse per il mare, quasi per contrasto all'essere vissuto
sempre rinchiuso e, senza sapere mai chi nascostamente lo aiutava,
ebbe la possibilità di fare studi nautici fino a che fu in grado di
provvedere a sé stesso ed immettersi nella società, divenendo un
provetto subacqueo la cui opera veniva richiesta sempre più spesso
per compiere imprese difficili e pericolose riportate dai giornali
con articoli ammirati e pieni di lodi per il giovane e coraggioso Alberto. Nel
compiere un ultimo, spericolato salvataggio di alcuni naviganti su
di una imbarcazione in fiamme, fu ripreso dai telegiornali che lo
intervistò poi, ferito, in una clinica. L'indomani del suo ricovero in clinica,
Alberto fu sorpreso di ricevere un fascio di rose rosse con
la scritta: "Da chi ti ama tanto", ma senza una firma. Un
amico presente lo schernì dicendo che le sue fans non lo perdevano
mai d'occhio e pure con la gamba ferita e in tiraggio, trovavano il
modo per inviargli omaggi. Ma né lui né Alberto potevano
immaginare che la sua più grande fans era non altri che la madre da
lui creduta morta alla sua nascita.
Proprio Gilda che, sganciatasi dall'oppressione della famiglia, si
era costruita una vita di lavoro, espiando il suo peccato in
solitudine, con l'unico scopo di provvedere in incognito alle
necessità di quel figlio, suo unico bene del quale era orgogliosa
anche se non aveva mai potuto godere dei suoi baci e delle sue
carezze e solo con quel fascio di rose volle farle giungere il
profumo del suo amore materno protettivo ed eterno.
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L'ORFANO
Renato aveva trascorso gran parte
dell'infanzia in orfanotrofio perché sua madre era morta nel darlo alla
luce e il padre, emigrante in Germania si era limitato ad affidarlo alla
propria zia che, a sua volta, lo aveva affidato ad un istituto.
Giunto ai quattordici anni, il
ragazzo fu riconsegnato alla parente che lo prese seco più per avere una
compagnia che per vero affetto, sperando pure nella ricomparsa del padre
che per tanti anni se n'era disinteressato.
Al ragazzo, vissuto rinchiuso in una
specie di lager, non parve vero di assaporare finalmente la libertà perché
fu veramente libero di organizzare a suo piacere ogni giornata,
considerando la casa di zia Rosina soltanto un rifugio come, del resto,
lei stessa gliene dava esempio rimanendone fuori per tutto il giorno a
causa del lavoro che svolgeva come donna di fatica.
Rosina, analfabeta, povera e sola,
era pure scarsa di sentimento e di senso di responsabilità giacché la
sua finalità era stata solo quella di badare a sé stessa.
L'unica cosa che aveva fatto presente
a questo,quasi sconosciuto nipote, era stata quella di trovarsi un lavoro
al fine di potersi comprare qualche capo di vestiario che al vitto avrebbe
potuto provvedere lei stessa, riportando ogni sera gli avanzi dei locali
ove prestava servizio : di giorno una mensa aziendale e di sera una
trattoria.
A Renato però il lavoro non piaceva
ed anche nell'Istituto che lo aveva ospitato gratis, non aveva trovato di
suo gradimento svolgere le mansioni che,a turno coi suoi compagni orfani,
avrebbe dovuto esplicare ed era quello che sovente veniva tenuto in
punizione. Pur di non fare niente egli aveva sempre accettata questa
condizione, crescendo da ribelle.
Di carattere chiuso e ostinato era
però cinico e astuto e aveva immagazzinato risentimento ed odio contro
tutto e tutti, imparando solamente ad agire per suo tornaconto, senza
rispetto per nessuno.Non avendo mai conosciute carezze e coccole era
diventato amorale.
Per la struttura fisica mingherlina e
il colorito pallido dovuto al vivere recluso, appariva più giovane di
quel che non fosse e di questo talvolta si era servito a discapito dei
compagni di sventura.
Con queste premesse, si era ben
presto unito ad una banda di balordi, imparando ben presto a fare lo
scippatore.
Trascorse qualche anno in tal modo senza che zia Rosina ne sapesse nulla .
A lei diceva di applicarsi a lavoretti occasionali che giustificavano lo
sfoggiare, ogni tanto, qualche capo di vestiario nuovo e questo a lei era
sempre bastato.
Sicuramente non era la zia la persona più adatta per guidarlo né per
accorgersi di come stavano veramente cose, dato che al suo rientro, era
stanca e spesso alticcia e le conversazioni col nipote si limitavano ad un
frettoloso saluto di buonanotte.
Renato proseguiva indisturbato nella
sua lucrosa carriera di spostato sicuro di farla sempre franca.
Ma un giorno accadde l'imprevisto: Due agenti di sicurezza in borghese,
avendolo già adocchiato in precedenza lo colsero in flagrante mentre
rubava la radiolina dalle mani di una ragazzetta a bordo di un'automobile
momentaneamente ferma.
Finì al correzionale dando inizio ad
un altro calvario al quale non intendeva assoggettarsi dopo avere
assaporato la libertà.
Piuttosto che perderla preferiva
morire ! Fissato in questo pensiero, se ne stette in disparte, torvo e
muto per parecchi giorni rifiutando persino di mangiare. Non perdonava a sé
stesso la balordaggine di essersi lasciato acciuffare.
Lo stridere del chiavistello annunciò
l'entrata del secondino che gli avrebbe servito la colazione che ancora
una volta intendeva rifiutare, ma l'uomo entrando gli andava dicendo:
"Sarebbe ora di smettere questa cretinata . Chi credi di commuovere
facendo lo sciopero della fame? Oltre che stare in prigione finirai pure
col sentirti male!" Impulsivamente Renato tolse la scodella del caffellatte
dalle mani del secondino che richiudendosi la porta alle spalle, credette
di averlo persuaso a mangiare.
Invece il recluso mise in atto il suo
piano che aveva già meditato pensando che da quell'oggetto potesse
venirgli la morte.
Versò rapidamente il contenuto nel
bugliolo e con quanta forza aveva cominciò a calpestare la scodella di
alluminio che via via si schiacciava e si affinava scaldandosi fino al
punto da potersi maneggiare e Renato questo fece con quel pezzo di
alluminio informe chiudendolo e distendendolo in continuazione fino a
fenderlo e con quello si trafisse le vene del polso sinistro finché il un
fiotto di sangue sprizzò veemente imbrattando completamente casacca e
giaciglio La vista di tanto sangue e la debolezza dei giorni di digiuno
gli diedero la nausea al punto da farlo svenire.
Si ritrovò al risveglio, nell'infermeria di un ospedale col braccio
sinistro immobilizzato da una vistosa fasciatura e il destro da una flebo
che lo stava rianimando. Ci volle parecchio affinché riordinasse le idee
e di questo lo aiutò un uomo anziano, vicino di letto, che cercava di
rincuorare quel ragazzetto sconosciuto che aveva rasentata la morte.
Renato, invece, si sentiva sconfitto e se la
prendeva con la morte che non lo aveva rifiutato e con tutti
quelli che lo stavano salvando. Le crisi di nervi si susseguivano
ed i calmanti somministrati non davano risultati positivi.
Questo
spaventò Paolo, il degente del letto accanto, che per un incidente
di lavoro era stato amputato di una gamba che invece di affliggersi
per la disgrazia capitatagli e per i dolori lancinanti che
avvertiva, si compenetrava per lo stato di quel ragazzo sconosciuto,
cercando di consolarlo.
Proprio questa considerazione, nei giorni seguenti,
si andava facendo strada nell'animo di Renato che cominciò ad
aprirsi con lui e pian piano si stabilì fra i due un dialogo
sincero e mentre Paolo, narrando del proprio figlio prematuramente
scomparso, fece trasparire la sofferenza che ancora gli dilaniava
l'animo per averlo perduto ed anche l'inutilità di tenere in piedi
la sua falegnameria, ora che gli mancava una gamba. Ascoltandolo, il
ragazzo sconsiderato e ribelle. Rimuginava tra sé che se lui avesse
avuto un padre simile non avrebbe avuto un destino tanto crudele.
Giorno dopo giorno, Renato provava sempre più
ammirazione per Paolo mentre questi, raccontandogli minuziosamente
le opere che aveva costruite lavorando i vari tipi di legname, lo
stava iniziando a un modello di vita, per lui, ordinata e
sconosciuta che lo stava incuriosendo. Quell'uomo gli parlava da
amico come se l'avesse conosciuto da sempre. Persino l'abbandono del padre cercò di spiegargli
il buon Paolo, facendo capire al giovane che a volte è la vita
stessa a modificarne i percorsi. Aveva mai pensato all'esistenza di
quell'uomo emigrante ? Alla sofferenza di aver perduto la giovane
moglie nel momento che le nasceva un figlio mentre lui era a
lavorare lontano? Le sue scelte, probabilmente, erano state
obbligate anche se fatte a malincuore. Prima di giudicare, bisogna
conoscere come stanno veramente le cose e lui doveva ravvedersi, se
non altro per la memoria di sua madre. Non è mai troppo tardi per
ravvedersi e, se lui, voleva egli stesso lo avrebbe aiutato. Furono
queste ultime parole a galvanizzare Renato che si sentì spronato a
iniziare una nuova vita.
Con l' aiuto di Paolo voleva dimostrare a sè
stesso e al mondo che sarebbe stato capace di diventare un vero
uomo.
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GALEOTTO FU INTERNET
La
signorina Franca era sempre stata piena di buonsenso e trascorreva una
esistenza dedicata tutta alla scuola in cui insegnava Storia e Geografia
e conduceva le classi assegnatele
dalla prima elementare alla quinta. La passione di insegnare le aveva
fatto intraprendere questa missione. E già! Per lei era
proprio una missione alla quale
si era votata nel momento della scelta adolescenziale perché sentiva
prepotente il desiderio di
stare coi bambini e che le si era inculcata ancor più nell'animo
studiando la pedagogia alle
Scuole Magistrali. Per
temperamento era portata a spiegare ed insegnare ai suoi allievi quelle
nozioni necessarie per
accostarli agli avvenimenti che avevano fatta la Storia politica e
culturale del mondo e, alle prese con le carte geografiche, sapeva dare ragguagli precisi circa le ubicazioni dei territori
vicini e lontani affinché i giovani, attraverso le sue parole, avessero
chiare le posizioni e le dimensioni di ogni paese del globo. Brava, coscienziosa, attenta e molto affezionata alle
sue scolaresche, dava il meglio di sé acquistando sempre più
considerazione fra i colleghi e le
famiglie dei suoi allievi. Di
temperamento tranquillo e sempre desiderosa di aggiornarsi, i suoi anni
erano trascorsi fra casa e scuola con la serenità discreta che le aveva
sempre data la consapevolezza di fare bene il suo lavoro e di essere bene
accetta ovunque. Per natura,
possedeva anche quel senso materno che le permetteva di comprendere a volo
quando i suoi piccoli discepoli avevano dei problemi sia di apprendimento
o familiari e, in quei momenti , le veniva spontanea la capacità di
trovare le parole giuste per riportare la serenità nelle giovani menti
che pendevano dalle sue labbra e che lei aveva il grave compito di
erudire.
Fin dai primi anni d'insegnamento, era stato come avere tanti figlioli
perché tali li aveva sempre considerati e per il suo operato le erano
stati dati anche dei significativi riconoscimenti dal Ministero che, però,
non l’avevano inorgoglita al punto di considerarsi al di sopra dei
colleghi.
Era una Maestra come tante, in
più mamma per i molti orfani
che le erano capitati perché alcuni conservavano con lei rapporti
epistolari anche dopo le classi elementari e per Natale continuavano ad inviarle auguri affettuosi che la riempivano
di gioia.
Giunta a metà del suo percorso lavorativo stava accorgendosi che le nuove generazioni erano
diventate più difficili da gestire perché distratte dalle
nuove tecnologie che lei non aveva avuto tempo e modo di approfondire.
Nuove fonti di conoscenza catturavano l'interesse dei giovanissimi
che scambiandosi, in classe,
le nuove esperienze, la facevano sentire antica. Non che fosse al di fuori
del tempo, questo no, ma sentiva che la modernità di certi nuovi
apparecchi stava sovvertendo i vecchi metodi d’insegnamento e quando i ragazzi aggiungevano, nei compiti, i risultati delle
ricerche era sempre il computer che aveva dato loro una mano. Con tristezza si stava accorgendo di essere antiquata per le menti giovani
e sveglie della nuova era.
Notti intere rimuginò questi pensieri giungendo alla conclusione che
doveva aggiornarsi e se i programmi
ministeriali non prevedevano modifiche, doveva lei stessa adeguarsi per
essere al passo dei tempi. S'impegnò
a cambiare le sue abitudini e nelle ore pomeridiane che restavano a sua
disposizione, dopo aver corretto i compiti degli alunni, invece di starsene a leggere i libri dei suoi autori preferiti,
cominciò a frequentare corsi di informatica e di lingue per togliersi
quella ruggine che le stava calando addosso... Si accorse però che questo
non sarebbe stato sufficiente per far sua l’ Informatica. Per
questa materia nuova doveva necessariamente provvedersi di un Computer
giacché il solo apprendimento della teoria diventava insufficiente e,
addirittura inutile, se non si aveva l'apparecchio specifico per mettere a
profitto le cognizioni che andava acquisendo e che la stavano
conquistando. Cominciò a visitare alcuni negozi avvedendosi ben
presto che di Computer ne esistono vari tipi, ma l'acquisto va fatto
tenendo presente l'uso che se ne dovrà fare perché, in ogni negozio,
la domanda ricorrente era questa:“Cosa ha intenzione di fare con il Computer“?
Le prime volte, l'erudita maestra non seppe rispondere, ma con
l'aiuto degli esperti rivenditori fece
l'acquisto più giusto e un apparecchio con discreta memoria, programmi di
scrittura , grafica e svariati accessori fu collocato nel suo studio casalingo e, da quel momento, si sentì
letteralmente ringiovanita.
Provando e riprovando scoprì gradualmente le molte prestazioni che poteva
ricavarne e poté , finalmente, discettare coi suoi ragazzi anche sulle
tante nuove tecnologie che stavano invadendo il mercato, senza complesso
d'inferiorità.
Intanto stava dilagando la passione per la navigazione Internettiana ed anche questo, ben presto, conquistò
la quarantenne maestra che stava diventando esperta in ogni settore
del Web.
Aveva dimenticato il tempo libero dei fine settimana e le sue ore
scorrevano nella continua ricerca di cose nuove che Internet le presentava
con dei semplicissimi clic. Il mondo le si apriva davanti in modo nuovo e
impensato fino a qualche tempo prima e, a suo piacere, le si presentavano
itinerari sconosciuti che le
consentivano l'accesso nei luoghi di arte vicini e lontani; visionare
biblioteche per capillari ricerche, aggiornarsi quotidianamente sugli
avvenimenti del mondo e persino colloquiare con persone sconosciute.
Queste scoperte dettero nuova vita a Franca perché fra le chat
e la Posta elettronica si sentì cittadina del mondo e c’era modo di trasmettersi scritti e fotografie in un
battibaleno.
Col nome virtuale "Violet" s'’inserì facilmente in un
salotto culturale di Parigi dove una volta alla settimana si svolgevano
dibattiti in italiano perché
gl’interlocutori di ambo i
sessi erano, in maggior parte, professionisti italiani che vi si erano
trasferiti per motivi di lavoro. Fra questi, un certo "Eric"
dalla voce baritonale, era quello che a “Violet“ fece più colpo, per la sua erudizione e per il franco
modo di esprimersi. Probabilmente l’intesa fu reciproca perché
una sera egli le inviò la precisa richiesta di potersi conoscere di persona
dato
che era in procinto di partire per l'Italia.
Dopo una comprensibile
perplessità, Franca decise che la cosa si poteva organizzare e, quindi,
presero accordi precisi per le prossime vacanze pasquali. L’ insegnante
che non aveva mai avuto né tempo né fantasia d’intraprendere rapporti
sentimentali, dopo una cocente delusione subita in gioventù , non vide
nulla d' illecito in un incontro fra adulti. Era sicura che la loro età
li avrebbe messi al riparo da ogni insidia. Inoltre, la loro conoscenza
sarebbe avvenuta all'aperto,
nel parco pubblico in una bella domenica di primavera come avevano
convenuto.
Molto eccitata si presentò, quindi, all’inconsueto appuntamento indossando un sobrio tailleur beige con un fiore ciclamino al
risvolto della giacca quale segno di riconoscimento. L’uomo in grigio
che le venne incontro con un cordiale sorriso aveva un fare giovanile che
non rivelava affatto i cinquantacinque anni che aveva. Inchinandosi
leggermente si presentò col suo vero nome, Enrico, mostrandosi bene
impressionato :“E’ proprio come l’avevo immaginata Violet, ma ora mi
dica anche lei il suo vero nome”. Chiacchierarono a lungo passeggiando,
prima di entrare nel ristornate dove lui aveva prenotato telefonicamente
il pranzo e col passare delle ore si accorsero di avere gusti in comune e
con la sua piacevole dialettica di avvocato qual’era, l’uomo fece
ridere Franca, con vari aneddoti finendo
col dire: Sembriamo due anime
gemelle!
Trascorsero, da buoni amici, quattro giorni insoliti, pieni di piacevoli
novità per la maestra abituata ad una vita metodica e abitudinaria. Il
suo cavaliere si rivelò un amabile accompagnatore e profondo conoscitore
dei musei e e delle gallerie d'arte che riuscirono a visitare in quei
giorni.
Peccato soltanto che la vacanza non poté prolungarsi di più a causa dei
loro impegni lavorativi, ma nel lasciarsi
si scambiarono la promessa di rivedersi quanto prima possibile.
L'incontro, impensato fino a poco tempo prima, aveva creato nella donna
una sorta di stupore che la indusse ad essere distratta e pensierosa pure
a scuola. Col passare dei giorni si trovò a pensare che fosse stato un
sogno l' aver conosciuto Enrico, non sapendo neppure se fosse bene prestar
fede a quanto lui aveva raccontato di sé. Aveva parlato di un matrimonio
sballato, finito malamente, con una ballerina svedese conosciuta e
sposata frettolosamente nella
prima gioventù e che se ne era ritornata al suo paese.
Orfano prematuramente di emigranti italiani, egli era stato uno studente
lavoratore e pian piano si era costruita una esistenza al riparo delle
difficoltà finanziarie, ma con molta solitudine e perseguendo solamente la carriera forense dalla quale scaturiva
tanta soddisfazione e, fra una causa e l'altra, non aveva mai più avuta
l'intenzione di trovarsi una nuova compagna. Per questo si divagava con le
chat che talvolta riempivano le sue serate.
Conversando attraverso Internet con lei, era stato colpito dal suo
modo di esprimersi e aveva avuto un subitaneo desiderio di conoscerla e,
pure paventando un rifiuto, si era azzardato a chiederle un incontro.
Franca ascoltandolo, si sentì lusingata e nulla lasciava presumere che
stesse raccontando delle frottole e si adagiò dolcemente sui complimenti
del gentiluomo appena conosciuto. Dopo la breve parentesi di quei quattro
giorni favolosi, ambedue
rientrarono nell'orbita delle loro occupazioni, ma nulla fu più come
prima per la donna che a momenti di gioia ne alternava altri di tormento
perché si scoperse gelosa. Ma gelosa perché ? Di che cosa? E di chi? La
loro non era altro che un'amicizia appena iniziata e non c'erano state
dichiarazioni e promesse di
nessun genere tranne quella di rivedersi . Intanto soffriva e non riusciva
più a concentrarsi sulle lezioni che fino a poco tempo addietro
l'appagavano e la facevano sentire soddisfatta. Stentava a credere di
essersi potuta innamorare di un uomo , sia pure attraente, ma del quale
sapeva quel poco che lui stesso aveva raccontato. Aveva tanto sofferto a
diciotto anni per le tante bugie del suo primo amore, coetaneo e compagno
di studi che, d'allora, aveva giurato eterna diffidenza alle parole maschili ed ora, un uomo di età venuto da lontano, era riuscita a
incastrare il suo gelido cuore in un desiderio di amore…e la situazione
le pareva assurda.
Non aveva mai voluto credere al famoso colpo di fulmine eppure in lei
qualcosa era scattato al solo vederlo! Era pur vero che molto aveva
influito il suo tono di voce attraverso la Rete. Era suadente e calda
quella voce e, di sicuro, doveva esserlo anche per coloro che ascoltavano
le sue arringhe.
Non riusciva più a dormire e attendeva con ansia le serate destinate ai
Forum su Rete nella speranza di poterlo ascoltare per cercare di captare qualche espressione che lei sola potesse
capire e decifrare.
Ma Enrico l'aveva avvisata che prima di tornare a Parigi doveva recarsi a
Monaco per perorarvi una causa e sarebbe trascorso del tempo prima che
potesse intervenire ai dibattiti culturali su Internet.
Franca, invece, tornò a chattare bramando di ricevere almeno
qualche e-mail. Ma nulla! Di Enrico nessuna notizia. C'era solo il ricordo
di quattro bellissimi giorni e non
se ne capacitava… Eppure le
aveva fatta una buona impressione e lei stessa pensava di averne fatta altrettanta. Che cosa poteva averlo dissuaso dal farsi vivo?
Una
sera si fece coraggio e nello chattare nel consueto circolo, buttò
là una frase che doveva apparire scherzosa : "Che ne è di Eric che
non partecipa più ai nostri Forum?"
Un certo Tom fu pronto a
rispondere sullo stesso tono: "Sarà andato a sposarsi!" Tutti risero, ma Franca sentì un colpo al cuore, pensando che
quel Tom forse conosceva "Eric"
di persona e parlava perché sapeva.
Per Franca non ci fu più pace e per giorni e giorni continuò a pensare a
quella frase che le aveva messo molti dubbi nell'anima, cominciò a
soffrire di forti emicranie e presto cadde in una depressione tale che le
tolse volontà e iniziative.Viveva come un automa, trascurando anche le
cose essenziali che fino a quel momento avevano costituito la sua vita.
In questo stato trascorse due mesi e giunse anche la fine dell'anno
scolastico. La maestra,
dimagrita ed esausta, raccolse l'invito di una collega che la volle seco
per una settimana nella sua casa al lago convincendola che un po’ di
dolce far niente l'avrebbe rimessa in sesto attribuendo il suo pallore
all'attedio nel seguire i suoi alunni durante gli esami di quinta con i
quali avrebbero terminato il ciclo elementare. "Ti esaurisci troppo dietro alla tua classe… devi
pensare anche alla tua salute!" Vieni con me per qualche giorno al lago e vedrai come riprenderai le
forze."
Le parole premurose della sua anziana collega la riscossero dal suo
torpore e, pur di distrarsi Franca
accettò di buon grado di partire con lei. Dopo una settimana però era già
di ritorno e fu molto sorpresa nel trovare nella sua cassetta della posta
una busta con dentro una fotografia che mai si sarebbe aspettata di
vedere: Enrico con un braccio al
collo che si appoggiava ad una stampella canadese. Poche parole sul retro della foto spiegarono molte cose:
Vittima di un incidente ferroviario mentre si stava recando a
Monaco e ricoverato in condizioni gravissime in un ospedale tedesco vi
rimase a lungo immobilizzato e incosciente, senza possibilità
di dare sue notizie ad alcuno . Si
scusava rammaricandosi dell'accaduto e immaginando quante supposizioni
sbagliate aveva create il suo forzato silenzio, chiedeva la comprensione
della dolce amica Franca alla
quale prometteva una visita non appena avesse potuto viaggiare. La
ragazza, combattuta da mille pensieri contrastanti, decise che era suo
dovere farsi viva con lui e, acquisito l'indirizzo inviò all' infortunato
un telegramma per comunicargli suo dispiacere per l'accaduto, specificando
che si sarebbe organizzata per non farle mancare la sua presenza quanto
prima. Pervasa da un 'ansia
febbrile si diede da fare per organizzare al più presto la doverosa
visita e appena pronta
si mise in viaggio per portare il suo conforto all'uomo che occupava da
tempo i suoi pensieri. In treno non riuscì a concentrarsi nella
lettura del libro che si era portata dietro non riuscendo a perdonarsi le
brutte supposizioni fatte nei confronti di quel poveretto che invece era
stato sul punto di morire. Non
vedeva l'ora di rivederlo e si sorprese a sorridere mentre pensava a quel
momento che avrebbe ristabilito i loro rapporti amichevoli . Finalmente
giunse in terra tedesca ed era quasi sera quando giunse all'ospedale che
sorgeva alla periferia della città che era un edificio di vecchia
costruzione e, alla visitatrice, non fu molto facile far capire subito
all'anziano custode che lei doveva andare a trovare un infortunato francese che era lì da quasi
due mesi e per meglio spiegarsi trascrisse il nome di Enrico sopra un
foglietto.
Il vecchio in un incomprensibile dialetto tedesco, le fornì allora
un diverso indirizzo giacché il signore che stava cercando era stato
trasferito proprio quella mattina in un Centro di riabilitazione per
essere sottoposto alle terapie che il suo caso richiedeva. Lei sarebbe
stata disposta a recarvisi immediatamente, ma riuscì a capire che, a
causa della tarda ora, sarebbe stato inutile perché non avrebbe avuto il
permesso di entrare; il vecchio le consigliò di andarsi a riposare
rimandando la visita la mattino successivo.
Franca accettò il consiglio e si fece dare l'indirizzo di una pensione
per mangiare qualcosa e passarvi la notte. Fu con molto disappunto che la
donna rimandò la visita e con un taxi, raggiunse in pochi minuti la
pensione ove si rinfrescò e consumò distrattamente una rapida cena, ma a
letto nella gelida stanza, non riuscì a prendere sonno e all'alba era già
pronta per uscire. Era stanca, infreddolita e, pervasa da una forte
emozione, cominciò ad avere degli strani dubbi: E se a lui non fosse
stata gradita la sua visita? E
se, dimagrita com'era e disfatta dal viaggio e dalla notte insonne, non la
trovasse molto attraente? Le
domande che le salivano alla mente la stavano ancor più deprimendo mentre
era sul mezzo pubblico che l'avrebbe condotta proprio dinanzi al Centro di
riabilitazione e la città
sconosciuta che vedeva dal finestrino non le destò il minimo interesse,
presa com'era dai suoi pensieri scoraggianti e fu con un sospiro di
sollievo che scese dal pullmann.
Fra poco avrebbe incontrato l'uomo dei suoi sogni.
Franca, ebbe un attimo di smarrimento prima di pronunziare il nome del
paziente che cercava e lo
pronunziò quasi balbettando, ma la premurosa infermiera che la prese in consegna, capì subito di chi si trattava e, senza parlare, la
condusse lungo un corridoio interminabile con una parete ricoperta da una
vetrata opaca scorrevole, dietro la quale scomparve facendole cenno di attendere. Nell'aprire la vetrata le
giunsero rumori di macchinari e comandi di voci varie che lasciavano
capire essere quello il
salone della riabilitazione motoria da dove uscì la stessa infermiera che
sospingeva una carrozzella con un paziente talmente magro nel quale Franca stentò a riconoscere Enrico. Ma fu
solo un attimo perché egli sorridendo le stese la mano libera dalle bende che lei si
affrettò a stringere con slancio affettuoso. Dopo tanto tempo di dubbi e tormenti, il loro incontro fu
molto rapido e convenzionale, ma
nella mattinata, i frondosi alberi del parco su cui era edificato il Centro, furono testimoni di colloqui
chiarificatori e appassionati che misero in luce l'intensità dei
loro
sentimenti, confermando ad entrambi che la forzata lontananza aveva
centuplicato il desiderio di conoscenza più approfondita, con la certezza
che il filo misterioso che li aveva legati non si era interrotto, ma si era rafforzato in modo
indissolubile
legandoli in quell'amore sincero e consapevole che li avrebbe uniti per la
vita.
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LA
NONNA DI NATALE
La
signora Eva aveva sempre fatto la sarta. Aveva imparato il mestiere da sua
madre più rubandolo con gli occhi che seguendo un insegnamento
preciso ed ogni suo successo la rendeva lieta e contenta.
La
madre, giudiziosamente non le risparmiava le lodi, spronandola al lavoro e
la bambina aveva acquistata sempre più padronanza nel trattare
stoffe, filati e modelli che persino le clienti restavano soddisfatte per
le rifiniture degl'indumenti che la piccola eseguiva.
Frequentava
le elementari quando aveva cominciato a darsi da fare aiutando
a passare le imbastiture, togliere quelle sui tracciati del gessetto,
radunare con la calamita tutti gli spilli caduti e persino scucire
abiti e cappotti che, a quel tempo, molti clienti si facevano
rivoltare e questo era di gran lunga il lavoro più opprimente perché
i vari pezzi da rielaborare, avevano necessità di essere riportati a
nuovo prima d'iniziare la nuova confezione.
Al
termine della scuola dell'obbligo, la giovanetta capì che le
sarebbe piaciuto continuare a cucire e allorché andò sposa ad un giovane
impiegato delle poste, trovò giusto contribuire alle entrate familiari
dedicandovi una parte della giornata.
Dal
matrimonio non nacquero figli e le sue mansioni di casalinga le permisero
di dedicare sempre più ore al lavoro che amava.
Sapeva
come accontentare la clientela col suo estro originale, tanto che col suo
gusto particolare, di ogni modello ne faceva un piccolo capolavoro.
Malauguratamente,
suo marito per una polmonite mal curata, la lasciò presto vedova e anche
in questo frangente il lavoro di sartoria seppe riempire le troppe
ore di silenziosa solitudine e la sua esistenza si protese sempre più
nell'adempimento di tale lavoro che, oltretutto, le permise una certa
disponibilità pecuniaria per qualche piacevole parentesi di svago.
Qualche
villeggiatura e brevi viaggi ristorarono la sua operosa vita
di casalinga fino a che non sopraggiunsero le cataratte a darle
problemi di vista e dovette diradare la clientela. Certamente
il suo reddito ne risentì parecchio, anche perché dovette affrontare le
due operazioni agli occhi che rappresentarono un lungo periodo di
astensione dai lavori di cucito, rappresentando per lei.un periodo
di difficoltà triste e solitario.
Difatti
le sue giornate le trascorreva in solitudine e, tolta la frequentazione
delle clienti durante la confezioni, non aveva amicizie che
potessero dedicarle del tempo..
Anche
nel palazzo, pur avendovi sempre abitato, non aveva avuto tempo di
coltivarvi amicizie e, tolti i rapidi convenevoli durante gli sporadici
incontri per le scale con qualcuno dei coinquilini, non aveva approfondita
nessuna conoscenza..
Mentre
lavorava teneva accesa la radio o la tivù, per sentire un sottofondo
musicale o qualche conversazione con l'illusione di essere in compagnia di
qualcuno, ma spesso
si
ritrovava a seguire il filo dei propri pensieri che quello che
veniva trasmesso.
Sempre
presa dai lavori da eseguire, da provare e consegnare, la sua vita
si era incanalata in modo da bastare a sé stessa senza l'aiuto di nessuno
ed anche se le capitava di sentire rumori e risate o pianti e grida di
bambini, attraverso le pareti o perché giungevano dal cortile
sottostante, non avrebbe saputo specificarne l'appartenenza.
La
società le viveva intorno e questo bastava a non farla sentire
completamente isolata, ma dacché aveva dovuto diradare il lavoro, sentiva
di aver perduto qualcosa, forse la parola affettuosa di qualche persona
amica.
Pure
il telefono non squillava più tanto spesso..
Fu
proprio in questo periodo che le fu chiesto dalla famiglia che
abitava nello stesso stabile, se fosse disposta ad affittare per un
breve periodo, una stanza della sua vasta casa ad una coppia di amici
toscani che avrebbero voluto trascorrere le imminenti feste natalizie in
loro compagnia...
Alla
richiesta insolita, Eva, rimase perplessa perché non aveva
mai pensato di fare l'affittacamere. Si prese due giorni per riflettere,
valutando la cosa da diversi aspetti
e,
seppure non amasse avere estranei in casa, credette opportuno
accondiscendere.
Trattandosi
di una coppia di coniugi non tanto giovani che avrebbero soltanto
dormito nella stanza degli ospiti, capì che il disagio sarebbe stato
limitato e inoltre, incassare una sommetta in quel momento, l'avrebbe
sollevata da qualche difficoltà.
La
coppia giunse qualche giorno prima di Natale ed a Eva fece subito
buona impressione la giovialità toscana e il franco sorriso aperto
e, soprattutto i frequenti motteggi fra loro che lasciava trasparire la
buona armonia di un sano legame...
Si
profusero in ringraziamenti facendo presente che essendo privi di
automobile, se non avessero trovata quella soluzione, non avrebbero potuto
accettare l'invito della famiglia amica.
Poteva
star certa che non l'avrebbero importunata troppo perchè avevano
intenzione di stare molto fuori per visitare Roma e dintorni, tranne le
giornate natalizie che avrebbero trascorso cogli amici..
Convennero
il prezzo che fu soddisfacente d'ambo le parti ed Eva assicurò che
avrebbe provveduto al rigoverno della stanza e alla prima colazione,
proprio come si usa in ogni pensione a trattamento familiare e
potevano anche usufruire dell'acqua calda per i loro usi personali.
Soddisfatti
gli ospiti e soddisfatta la signora Eva.
I
patti furono mantenuti e la vita giornaliera a cui era abituata non
fu sconvolta minimamente; Anzi lei fu contenta di potersi occupare di
qualche cosa che la faceva sentire utile ed ebbe meno tempo di
commiserarsi giacché anche la vista si stava adeguando al cambio
dei "vetrini" e pian piano si stava ristabilizzando.
Giunse
così la sera di Natale e la padrona di casa già sapeva che l'avrebbe
trascorsa in solitudine, come sempre, con la sola compagnia dei programmi
televisivi fino a che il sonno non l'avrebbe spinta a letto.
Faceva
freddo e lei, all'imbrunire aveva già chiuse le persiane, sapendo
che i suoi ospiti avrebbero passata la serata al piano di sotto e
sarebbero rientrati soltanto dopo il brindisi di mezzanotte, come avevano
preavvisato.
Avrebbe
avuto tutto il tempo di cenare e di schiacciare un sonnellino, prima del
loro rientro.
Stava
avviandosi in cucina, per preparare la sua modesta cena di magro
consistente nel tradizionale piatto romano di spaghetti con tonno e
acciughe, seguito da un piccolo pesce cotto a vapore e irrorato di olio e
limone con contorno di fresca insalatina, un mandarino e due dita di vino
dolce allungato con l'acqua.
Questo
parsimonioso menù avrebbe rappresentato il suo " cenone"
natalizio e non avrebbe aperto neppure il panettone, lasciandolo per
il pranzo dell'indomani.
Una
lunga scampanellata la colse sulla soglia della cucina, si affrettò ad
aprire la porta d'ingresso e, dopo un attimo, si vide circondata da
quattro persone gaie e gentili e da un nugolo di ragazzini che la
invitavano a passare la serata con loro..
Si
trattava dei suoi ospiti e degli inquilini del piano di sotto che avevamo
quattro bambini in tenera età e tutti stavano incitandola ad accettare il
loro invito alla cena di Natale. Eva,
commossa e sbalordita, tento di declinare la loro offerta, ma alla
spontanea frase di uno dei piccoli non seppe rifiutare. Promise che
sarebbe scesa poco dopo.
Giusto
il tempo di cambiarsi di abito e mettersi una collana.
Meccanicamente
scelse un abito adatto e mentre si accomodava la chioma brizzolata ripensò
alla frase udita poco prima: " Non vuoi essere la nostra nonna per
Natale?0"
Fu
accolta con grande entusiasmo ed accenti di amicizia da tutti i presenti e
le fu dato il posto d'onore a quella tavola preparata con amore per un
cenone che sarebbe stato l'inizio di una lunga amicizia.
Eva
sentì sciogliersi il gelo che aveva nel cuore in quella sala accogliente
che le
riportò
all'istante i ricordi dei natali della sua infanzia quando i suoi genitori
preparavano la tavola che avrebbe accolto parenti e amici compresi
gli amati nonni
e
come allora, a un angolo del salone, guarnito di festoni dorati,
troneggiava un
sontuoso
albero illuminato dalle colorate lampadine intermittenti..
Accanto
al quale la brava signora Eva depose il suo modesto panettone che
trascorsa la mezzanotte avrebbe gustato coi suoi ospiti brindando alla
Nascita del Santo Bambino che a lei aveva portato il conforto di
amorevoli persone che non volevano lasciarla sola in una serata simile e
che le stavano dando la gioia di sentirsi amata da quei cari piccini come
una vera nonna:- La nonna di Natale...appunto.
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