Le favole di Nonna Lea

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Il soldatino e l'elicottero - L'avaro e le tre figlie - Le due sorelline - Il signor maestroI tre leprotti - L'ingegnere sulla torre


Cari bambini,
è la nonna Favoliera che vi scrive questa letterina ed è tutta per voi giacché, so bene, che quando la vostra mamma riceve lettere di parenti e amici, per voi piccini vi sono solamente saluti e baci.
Non dico che non vi siano graditi... ma sono troppo pochi!
Penso che qualche frase tutta per voi vi farebbe assai contenti, non è così? Per questo ho pensato di parlare, attraverso la mia lettera, proprio a voi piccini che la leggerete prima delle favole che sono in questo libro.
Per prima cosa debbo presentarmi e quindi è necessario che vi parli di me e, vi dico subito, che sono una nonna come quelle che avete voi che sono pronte a farvi sempre contenti.  
Io lo sono diventata da moltissimo tempo ed ora i miei otto nipotini sono... nipotoni perché ormai sono babbi e mamme e mi hanno dato altri nipotini così io sono ancora più nonna cioè bisnonna.
Non dovete pensare però che per questo io sia vecchia cadente tutta brutta e grinzosa come le vecchine delle favole antiche.
Però le favole le invento ancora come quando erano piccoli i miei bambini e sono moderne senza maghi e streghe perché vi racconto le storie del nostro tempo i cui protagonisti sono simili a persone che potreste incontrare tutti i giorni anche voi.
Difatti questo libro è proprio dedicato a chi di voi che sa leggere e non ai poppanti che si divertirebbero soltanto a guardare le figure e a strapparne le pagine. Per loro ci sono le filastrocche che ho scritto in altri libri e che leggera loro la mamma, la nonna o voi stessi che siete già grandi e che, sono certa non vi stancherete mai di leggere libri che saranno sempre i più grandi amici sui quali troverete tutte le risposte ai vostri infiniti perché.
A questo punto, augurandovi una buona lettura vi saluta con affetto

la vostra Nonna Favoliera

 


IL SOLDATINO E L'ELICOTTERO

la storia narra di un soldatino, costretto a fare la guerra anche se a lui piaceva più l'amicizia fra tutti che usare fucili ed armi varie, specialmente da usarsi contro nemici sconosciuti.
Purtuttavia si dimostrava paziente e disciplinato, compiendo il suo dovere senza lamentarsi.
Per questo suo comportamento ben presto fu benvoluto dal superiori e dai suoi commilitoni e c'era sempre qualcuno che aveva bisogno dei suoi servigi ai quali, Goffredo, così si chiamava, non si sottraeva mai.
Un giorno il Colonnello in persona lo convocò per una questione urgente, affidandogli un compito particolare.
Si trattava di portare un messaggio segreto e urgente aldilà della trincea in cui essi ai trovavano e precisamente al Comando Supremo.
L'urgenza consisteva nel fatto che dopo poche ore sarebbero stati sopraffatti dalle truppe nemiche e i pochi viveri e la scarsità di armi non avrebbero permesso loro di difendersi a lungo, quindi, i rinforzi dovevano giungere tempestivi e così le vettovaglie.  

Disgraziatamente il radiotelegrafo era stato messo fuori uso, ma questo nessuno doveva saperlo per non creare allarmi. 
L'ufficiale si disse sicuro di poter contare sia sulla sua discrezione e sulla sua capacità di portare a termine la missione segreta.
Goffredo era un bravissimo pilota da corsa e più volte aveva vinto delle gare rischiosissime, ma non aveva mai guidato un elicottero ed ora si trovava a doverlo fare con urgenza e con un tempo inclemente giacché da molti giorni pioveva  e la pioggia aveva infangato trincee e campi di volo cosicché sarebbe stato ancor più difficile alzarsi da terra.
Dei suoi timori però non fece parola assumendosi di buon grado quell'incarico sperando di farcela, affidandosi al Signore che sempre lo aveva aiutato quando era sopra i bolidi da corsa. 
Congedatosi dal suo superiore e riposto il dispaccio nella custodia impermeabile, si recò immediatamente a prelevare l'apparecchio.
Il vecchio meccanico che aveva già ricevuto l'ordine di approntarlo, lo accolse allegramente:"E' toccato a tè!? ...Ne ero sicuro! Bravo!
Fatti onore come con le macchine. Non hai mica bisogno di spiegazioni?"
Goffredo mettendo da parte l'orgoglio non si sentì di mentirgli:
"Ecco, vedi... anche se i motori possono essere simili... io alla guida di un coso simile non ci sono mai stato.
Alle sue parole l'operaio impallidì,comprendendo la gravità della cosa, ma non essendo quello il momento di perdere del tempo gli rispose con fermezza: "sai che ti dico? Io corro a darmi malato e vengo con te.
Ti suggerirò il da farsi se ce ne sarà bisogno."
Nel frattempo Goffredo avrebbe consultato la guida delle manovre.
Dopo circa mezz'ora si misero in partenza ma il meccanico si era ben nascosto nel piano di bordo per non farsi scorgere.
Installatosi al posto di guida Goffredo ritrovò tutta la sua baldanza, immaginando di trovarsi su di una automobile. Nell'innalzarsi però si verificarono i primi guai poiché l'apparecchio non ne voleva sapere di mantenersi in perfetto equilibrio, alzandosi e inabissandosi, fra le spesse nuvole nere della notte che stava per giungere.
il militare faceva del suo meglio e le raccomandazioni del vecchio meccanico non lo agevolavano granché; dovette richiamare alla mente,tutte le nozioni fisiche e matematiche che conosceva sui motori e trasferirle con rapidi calcoli ai vuoti d'aria che si frapponevano fra lui e la meta da raggiungere. Inoltre dovevano innalzarsi il più possibile per nascondere il rumore ai nemici e per non passare sopra di loro, fu necessarlo compiere un volo molto più lungo ed aggirare il loro campo. 
La potenza del mezzo sembrò più volte volersi ribellare alla guida delle sue mani che, ben salde, riuscirono a superare quella prova. 
Il solo fatto di sapere che ogni titubanza poteva far sprofondare l'apparecchio e rendere nulla quella spedizione fu per il bravo soldatino la molla più potente per portare a termine l'impresa.
II temporale si era fatto più insistente e la visibilità era nulla. Così'quello fu simile ad un volo cieco guidato più che altro dall'intuito e dalla forza di volontà ben sapendo che la salvezza dei suoi
compagni dipendeva da lui.  La manovra di atterraggio fu molto elaborata e solo allora ehbe bisogno delle indicazioni del meccanico, che era rimasto incantato da come erano andate le cose ma che conoscendo le gesta meravigliose di quel pilota non aveva dubitato affatto delle sue capacità. 
L'elicottero fu accolto con sorpresa seguita subito dall'entusiasmo del Comando che operò d'urgenza affinchè la trincea isolata potesse 
essere raggiunta al più presto da una spedizione di soccorso corredata di tutto quello che il dispaccio richiedeva.
L'infuriare del temporale agevolò il cammino dei rinforzi che pur compiendo un lungo giro per non farsi scorgere dai nemici, riuscì a raggiungere i loro compagni che,tranne gli ufficiali,non avevano neanche saputo il pericolo corso.
II tempestivo rinforzo di mezzi fece si che i soldati potessero mantenere le loro posizioni ed a conflitto ultimato, allorché Goffredo fu proposto per una medaglia al merito tutti conobbero il suo atto di valore,dimostrando che anche chi non ama la guerra e le armi può rendersi utile recando il suo contributo.
Intanto il giovane eroe, ritornato alla vita civile, riprese la sua atti
vità di pilota di Formula uno ottenendo ovunque consensi ed applausi.



L'AVARO E LE TRE FIGLIE

In un paese lontano lontano, viveva un Re ricchissimo che governava un popolo povero povero. Egli possedeva grandi terreni aridi e senza un filo di coltivazione, sotto la terra c'erano immense miniere di argento, diamanti e pietre preziose e altri minerali che, combinati insieme formavano l'oro. Lui era padrone di tutta questa fortuna e ne era gelosissimo. Dai suoi orafi e cesellatori aveva fatto fare una collezione preziosissima di ogni specie di animale piccolo e grande e ne aveva riempito gli scaffali e le vetrine dei suoi saloni che era orgoglioso di mostrare alla visita annuale di alti dignitari stranieri.
Ma la sua avarizia era conosciuta da tutto il mondo e, si sapeva, che si appagava solo della sua collezione e del suo benessere personale e non si curava di coloro che gli vivevano accanto. Neppure delle sue tre figlie che  trattava come servette per risparmiare anche sulla servitù e le povere fanciulle dovevano servirlo di tutto punto,non avendo in cambio nulla, né pasti discreti né guardaroba decente da non sembrare figlie di re.
Al vederle così misere e sparute nessuno avrebbe pensato che fossero figlie di quel riccone.

Sgobbavano dalla mattina alla sera e tutti i giorni dovevano lucidare i suoi tesori  e, se venivano scoperte a oziare, erano dolori e,per ordine del padre, venivano fatte rinchiudere in cantina.

Le poverine, non avevano neppure la mamma a proteggerle perché era morta da molti anni e quel padre egoista non aveva mai avuto un pensiero gentile per loro.

Quando però divennero grandi, il Primo Ministro, suggerì al Re che bisognava trovare loro marito ed era opportuno convocare quei giovani che fossero disposti a sposarle.

A questo consiglio, il Re s'innervosì, pensando che se le ragazze si sposavano, se ne sarebbero andate e lui non avrebbe avuto più le sue serve.

A furia di pensare gli venne un'idea che lo rasserenò e fece diramare un Bando dove si spiegava che avrebbe dato le sue figlie in moglie ai giovani che avrebbero portato a lui i doni più belli e originali e che, sarebbero rimasti di sua proprietà anche i regali di quelli che non sarebbero stati scelti.

In cambio delle ragazze voleva delle cose prestigiose.

Che le giovani fossero carine e laboriose lo sapevano tutti e quindi di pretendenti ve ne furono molti e tutti dovettero lasciare i regali che avevano recato, avrebbe pensato il Re in persona ad esaminarli e a fare le scelte.

Gli occhi di quell'avaro sovrano brillarono di cupidigia nel vedere quanti tesori aveva accumulati col suo bando e gli fu anche difficile fare la scelta perché alcune cose erano veramente preziose ed originali.

Comunque andava, egli sarebbe rimasto proprietario di tutto e, rimanere senza le figlie non le avrebbe dato nessun dispiacere.

I tre doni che scelse, lo colpirono più per l'originalità che per il valore e fece chiamare i giovani che li avevano portati.

Il primo, proprietario di una fabbrica di giocattoli,aveva recato un uccello variopinto costruito in un materiale segreto che lo fece apparire vero e animato perché aveva piumaggio morbido e,a comando,volava per la stanza e gorgheggiava.

Questo dono elettrizzò il Re perché di tutte le sue sculture di animali nessuna riusciva a fare quei prodigi.

Il secondo giovane  aveva una fabbrica di utensili di acciaio dove si costruivano anche armi speciali e lui aveva portato un arco metallico leggero e programmato in modo che le sue frecce centravano sempre il bersaglio.

Il terzo candidato presentò una rosa immensa e fosforescente che spandeva profumo e segnava il cambiare del tempo col mutare di colore che aveva creata nel suo laboratorio di ceramiche indistruttibili,

Anche questa piacque molto al Re che trovò quei doni straordinari perché egli era all'oscuro del progresso del mondo non avendo mai introdotto nel suo paese neppure un grado di civiltà  fra gli abitanti delle sue terre incolte.

Non aveva mai pensato di far costruire fabbriche o case comode, aveva solo fatto scavare le miniere e far costruire i suoi ninnoli.

Il Re,quindi, entusiasmato dai magnifici regali acconsentì che ognuna delle figlie scegliesse il futuro marito e dopo gli sponsali avvenuti in modo semplice e sbrigativo,si accomiatò dalle tre coppie felici di andarsene lontane.

Non passò molto tempo che il vecchio cominciò a sentire il peso della solitudine e, rimasto solo con un anziano servitore, gli mancavano anche le cure e le attenzioni delle figlie. Mangiava poco e si indeboliva a vista d'occhio e nessuno lo rispettava più  e desiderava che morisse.

Finché un giorno si accordarono per fare una rivolta e gli inviarono un ultimatum facendo sapere al vecchio che volevano vivere in un modo più umano altrimenti avrebbero assalita   la sua residenza, impadronendosi dei suoi tesori inutili. Egli, impaurito e vistosi in pericolo si rivolse alle figlie per mezzo di un messo chiedendo loro aiuto.                                   

Le tre coppie accorsero presso il Re in pericolo, ma una volta arrivati vollero che lui facesse nuove leggi e si adeguasse alle esigenze di chi lavorava per lui e dovette promettere che avrebbe fatto costruire case e scuole e fabbriche così che i suoi sudditi vivendo in modo più civile sarebbero stati più soddisfatti e lui stesso capì che l'egoismo e il disinteresse verso i propri collaboratori crea solo inimicizie e rancori.

Da allora le sue terre furono coltivate e intorno vi sorsero delle belle case  dove la gente lavorava e guadagnava il giusto e il vecchio re rinsavito visse i suoi anni di vecchiaia in serenità e in salute.

 

 

 


LE DUE SORELLINE

In una casa, piccola, ma linda e ordinata vivevano due sorelline e un papà che la mamma, a causa di un brutto male, era volata in cielo ancora giovane.
Da quel triste momento Lucietta, la più grande di soli dodici anni aveva 
assunto il ruolo di massaia. Aveva già compiuto le scuole elementari e non
aveva potuto proseguire gli studi, dovendo badare a Rossella, la sorellina di cinque anni, vivace e imprevedibile. Le due piccole si volevano un gran bene e la più grande si stava dimostrando una vera mammina cercando di fare ogni cosa per bene.
Una giovane zia che era stata presso di loro, dopo la morte della mamma, le aveva insegnato tante cose che Lucietta aveva appreso con grande serietà.
La bambina in breve era diventata brava a tenere pulita la casa e a preparare il sugo per la pasta asciutta e a fare dei saporiti minestroni. Pasti semplici e che non richiedevano una grande esperienza e che aveva visto fare anche dalla povera mamma.
Sentiva anche una grande responsabilità nei confronti di Rossella: sapeva tenerla pulita, ordinata e ogni mattina era lei ad accompagnarla all'asilo, vicino casa e a riprenderla all'ora del pranzo.
Era abitudine della scuola che a metà mattina le bimbe consumassero la colazione che tenevano nel cestello e Rossella era solita trovarvi un panino ripieno di cioccolata o di marmellata che Lucietta aveva provveduto a prepararle con scrupolosa attenzione, involtandolo in un tovagliolo pulitissimo.
Un giorno però Rossella cominciò a sentirsi male e subito le venne una febbre altissima.
Il medico, subito chiamato, ebbe il dubbio che fosse tifo, un male che viene se non si bada troppo all'igiene.
Per meglio fare gli accertamenti del caso diede l'ordine di farla ricoverare all'ospedale dei bambini facendo capire che anche l'assistenza sarebbe stata migliore.
Lucietta si mortificò per queste parole che lui disse al babbo perché pensò fossero dirette alla sua disattenzione mentre sapeva bene di non meritarle. Fu obbligata a staccarsi da sua sorella che per 40 lunghi giorni dovette stare isolata nello speciale reparto delle malattie contagiose.
Finalmente , guarita e tornata a casa, tutti ripresero la vita normale. Il babbo operaio, al lavoro dalla mattina alla sera e le due bambine, a farsi compagnia.
Lucietta non si era ancora tolto il dubbio di come la sorellina si fosse ammalata e spesso le poneva delle domande per scoprirlo. Sempre inutilmente. Finché un giorno, la zia che viveva lontano, venne a trovarle recando loro un cestino di fragole che si affrettò a lavare e a condire con zucchero e limone.
La golosa Rossella a quel punto disse: Non vedo l'ora di mangiarle perché mi piacciono tanto, L'ultima volta che le ho assaggiate è stato a scuola prima della malattia, quando Doretta me le ha date in cambio del mio pane e marmellata.
Solo allora Lucietta capì e si rasserenò perché non era stata una sua disattenzione a farla ammalare. Ma proprio dal terriccio delle fragole era venuto il tifo perché Doretta, la compagna della sua sorellina era figlia della fruttivendola ed era solita portarsi per colazione la frutta senza lavare che prendeva dal banco della sua mamma.

 


I TRE LEPROTTI

Cera una volta un grande bosco e c'erano pure tre leprotti che vi vivevano e che erano molto singolari perché erano diversi dagli altri leprottini.

La loro madre li aveva allevati bene e li aveva fatti crescere robusti e, soprattutto, in allegria.

Difatti, tutti e tre avevano dei caratteri allegri e si volevano molto bene.

Essi fin da piccini avevano imparato ad essere servizievoli e molte volte avevano dimostrato di avere delle caratteristiche eccezionali.

Le loro qualità erano veramente rare e diverse giacché il primo sapeva nuotare alla perfezione e si comportava come un salvagente per sostenere qualche compagno, mantenendolo a galla.

Il secondo sapeva costruire delle tane addirittura sui rami dei grossi alberi della foresta trasportando rapidamente rami e foglie a seconda della necessità.

Il terzo aveva tanta forza nella coda da usarla come bastone e spesso se ne serviva per aiutare mamma leprotta a trascinare la sua riserva di erba nella loro tana quando essa era stanca.

La madre era fiera dei suoi figli e quando c'era qualche amica in difficoltà per qualche lavoro da fare era svelta a dire :"Sta tranquilla che ora mando i miei figli ad aiutarti!

Tutte le bestie del bosco li amavano perché erano buoni e generosi e nel caso di bisogno erano sempre pronti a dare aiuto.

Un giorno il primo, dopo aver fatta una nuotata nello stagno, stava per sdraiarsi al sole allorchè coi suoi lunghi orecchi udì delle grida d'aiuto giungere da lontano. Aveva riconosciuta la voce di mamma pecora e, subito corse da quella parte dove giunse in un attimo.

La trovò che accorata, belava la sua pena perché il lupo le aveva rubato il suo piccolo agnellino che appena aveva cominciato a camminare.

Senza stare tanto a pensare il leprotto corse a chiamare i suoi fratelli per organizzare il salvataggio  del rapito.

Bisognava far presto perché se il lupo era affamato non ci avrebbe messo molto a mangiarselo in un solo boccone tanto era piccolo.

Con la rapidità della lepre, appunto, essi si divisero per avvistarlo meglio  ed essendo più svelti di lui, erano sicuri di raggiungerlo presto.

Il leprotto nuotatore aveva presa la via dello stagno e, attraversandolo a nuoto,raggiunse per primo la tana del lupo dove questo bestione aveva già nascosero il piccolo rapito che belava impaurito.

Però il lupo si vede che non aveva tanto appetito ancora perché decise di non consumare subito il suo pranzetto e uscì dalla tana per tornare nel bosco a cercare altre prede. Ma prima ammucchiò dei rami d'albero per coprire l'entrata della sua tana per no far scappare il rapito.

Intanto gli altri fratelli avevano raggiunto il primo leprotto che si era tenuto nascosto per non farsi vedere dal lupo e, appena sicuri che se ne fosse andato cominciarono a togliere alcuni pezzi dei rami che quello aveva ammucchiati e mentre il leprotto dalla grossa coda entrava per trascinare via il piccolo agnello tremante, il leprotto costruttore cominciò a portare quei rami sul grandissimo albero che stava poco distante e in un battibaleno costruì una specie di gabbietta dove aiutato dai fratelli, mise al riparo l'agnellino e fecero appena in tempo.

Il lupo infatti stava tornando per consumare il suo pasto. Capì subito che qualcuno aveva tolta un pò di legna dall'entrata e senza pensare che il buco era troppo piccolo per poter bene entrare, ci mise dentro il suo testone e restò intrappolato metà dentro e metà fuori.

A questo punto il leprotto dalla coda a bastone cominciò a dargli tante sferzate nel di dietro da farlo urlare di dolore.

Quel frastuono fu udito dai boscaioli che furono pronti ad arrivare e a catturarlo mentre i leprotti ricondussero sano e salvo l'agnellino a mamma pecora che fu lieta di riportarlo all'ovile e più contenti e soddisfatti si sentirono i bravi leprotti che ancora una volta avevano compiuta un'opera buona.   

 

 

 

 


IL SIGNOR MAESTRO

C'era una volta in un tempo assai lontano un signore molto importante  che preso da numerosi affari sparsi per il mondo, non sapeva come trovare il tempo da dedicare al suo unico figlio.

La moglie era morta nel darlo alla luce e il bambino non aveva neppure conosciuto l'amore di una mamma ed era cresciuto triste e solo senza che nessuno avesse giocato con lui né che gli avesse narrato delle fiabe.

Aveva avuto solo nutrici e cameriere anziane che con l'aria smorta lo curavano, ma non avevano voglia e tempo di farlo divertire. La servitù era ben pagata, ma   lavorava e basta. Perciò il povero Giacomino che era chiamato Mino, rischiava di diventare muto perché non aveva nessuno con cui raccontarsi delle cose.

Forse avrebbe avuto degli amici quando sarebbe andato a scuola, ma suo padre decise diversamente perché voleva dargli una istruzione più completa.

Scelse quindi il migliore Maestro, il più bravo di quel tempo e lo invitò per farne conoscenza e anche per presentarli il bambino. che secondo lui sembrava un pò ritardato perché se ne stava sempre in disparte e non faceva mai un discorso completo.

Il Maestro che si presentò, apparve subito la persona seria e competente che era e restò simpatico anche a Mino. Suo padre che ne ebbe subito fiducia, decise di alloggiarlo nel loro stesso palazzo che era grandissimo ed aveva attorno un bellissimo parco.

Fu così che Mino ebbe un Precettore che gli avrebbe fatto da vice Padre e gli sarebbe stato sempre vicino per insegnargli sia le materie che si studiano nelle scuole, ma anche tutte le cose che servono per vivere in modo educato e coraggioso.

Quel povero bambino, sembrava ritardato perchè nessuno lo aveva fatto parlare e, soprattutto, nessuno lo aveva mai ascoltato.

Di questo si avvide subito il saggio Maestro e capì pure che, con tutte le sue ricchezze, il padre non aveva mai conosciuto bene suo figlio. 

Subito, dopo e prime lezioni, si avvide che il suo allievo non solamente era  molto intelligente, ma aveva anche tanta voglia di apprendere.

S'impegnò quindi ad insegnargli anche le arti marziali quando fosse stato un pò più grande.

Il padre di Mino  fu lieto di quella notizia perché comprese di aver fatta una buona scelta e che suo figlio avrebbe avuto accanto una persona che lo avrebbe ben guidato, inoltre era contento di sapere che gli avrebbe insegnato le arti marziali che fortificano corpo e spirito e insegnano la lealtà.

Il programma di studio comprendeva tante ore di lezione e il bravo Maestro sapeva che il ragazzi hanno anche bisogno di muoversi e non debbono stare sempre curvi su libri e quaderni e così, in frequenti intervalli erano dedicati all'educazione fisica.

Con tutti questi svariati insegnamenti, il bambino sarebbe cresciuto sano e robusto sviluppando sempre di più la volontà d'imparare e vivendo sereno nella sua bella casa.

Purtroppo però quel clima di pace fu scosso da un avvenimento sconvolgente che era la guerra.

Anche il padre di Mino fu chiamato alle armi e si dovette chiudere il palazzo e per tenere lontano dalle battaglie il figlio, fu trovata una soluzione insolita che però piacque molto sia all'allievo che all'insegnante.

Sarebbero partiti su di una nave per mari lontani e vi sarebbero rimasti per tutta la durata della guerra così le loro lezioni non si sarebbero interrotte.

Siccome la nave era di proprietà del padre di Mino, il comandante si mise a loro disposizione per tutto il tempo necessario.

E la guerra durò più del previsto e a loro ritornò il padre stentò a riconoscere suo figlio che era diventato un uomo bello  e vigoroso.

Soprattutto esperto in tutto e molto istruito.

Non vi era cosa che non avesse studiato ed era diventato un vero scienziato 

Il merito, senza dubbio era stato anche del Precettore che gli aveva saputo insegnare ed aveva trasfuso nell'allievo tutto il suo sapere.

Anche per l'insegnante, però, il tempo era passato ed aveva lasciato molte tracce.

Egli era diventato vecchio e tremolante e gli era cresciuta una lunga barba bianca degna proprio di un saggio.

Egli capiva che, con sommo dispiacere,doveva congedarsi ormai da chi lo aveva assunto e dall'allievo a cui non doveva più insegnare nulla e che amava come un figlio.

Ma anche Mino e suo padre gli erano affezionati e riconoscenti, per questo il ricco signore fece una proposta che rallegrò tutti:

Avrebbe fatto costruire una piccola casa nel parco dove il  signor Maestro avrebbe trascorso, come un buon nonno, la sua vecchiaia.

Inutile dire la gioia di Mino che lo avrebbe avuto per sempre vicino.

 



  
L'INGEGNERE SULLA TORRE  

Questa non è una fiaba da...c'era una volta, poiché i personaggi che vi incontreremo, potrebbero essere i vostri padri o i vostri fratelli purché abbiano lo spirito di avventura.

Ebbene! La storia ha inizio quando uno specializzato Ingegnere speleologo, cioè nelle ricerche del sottosuolo, fu incaricato dal suo Governo di recarsi in un tale deserto a cercare dei giacimenti di petrolio. Gli furono assegnati due geometri per compagnia e furono riforniti degli strumenti necessari dopo averli smontati in pezzi piccolissimi da rimontare quando dovevano adoperarli.

Dovevano spacciarsi per medici venuti in quella terra per studiare alcune malattie del deserto portate da insetti velenosi che riuscivano a  vivere sotto la sabbia infuocata.

Se avessero trovato il petrolio, avrebbero potuto chiedere la ricompensa che volevano.

Partirono entusiasti come fecero i pionieri del West che avevano visto al cinema e non fantasticarono nemmeno troppo sugli ostacoli che avrebbero potuto trovare perché potevano mettersi in contatto col loro comando se avessero avuto bisogno di aiuto.

Un elicottero silenziosissimo li aveva trasportati a parecchi chilometri di distanza dal punto da esplorare per non essere intercettati dalle sentinelle

del vicino fortino. Fecero appena in tempo a nascondere i loro minuscoli pezzetti smontati che solo loro avrebbero saputo rimontare con precisione come viti, rondelle, mollette, portando invece nelle tasche delle loro giacche spazzolini da denti, penne stilografiche, pettinini,limette e forbicine da unghie  e qualche rotolino di filo di nylon che appariva sottilissimo, ma che solo grosse pinze avrebbero potuto spezzare.

A vederli erano oggettini minuscoli e innocui che si potevano trasformare in molte cose, anche in ricetrasmittenti.

In determinati punti della sabbia, ben riconoscibili per i segnali messi, nascosero i pezzi di tubi che messi uno in fila all'altro, secondo la loro numeratura, sarebbero diventati lunghissimi tubi da infilare nel sottosuolo e per assorbire una carota di petrolio,quando lo avessero trovato.

Insomma, senza tanto ingombro, erano attrezzatissimi e quindi fu con tranquillità che affrontarono il vocìo causato dall'allarme dato dalle sentinelle che li avevano visti avvicinare come sorti dal terreno perché non riuscirono a capire da dove fossero sbucati.

Coi fucili spianati le sentinelle li attorniarono e li spinsero nel portone aperto del fortino dove, a cenni,gli fecero capire di sedersi in terra.

Questo significò che c'era da fare una lunga attesa e i prigionieri capirono che i capi, all'interno, stavano in riunione per decidere sulla la loro sorte.

Finalmente si aprirono i battenti della costruzione e tre uomini barbuti vestiti con mantelli e turbanti sgargianti e con al fianco le scimitarre,vennero a prenderli per portarli davanti ai capi.

Ma i tre forestieri, non erano affatto armati e la loro aria serena e pulita, non diede preoccupazione, cosicché visto che non potevano comunicare perché avevano lingue diverse furono fatti salire per una lunghissima scala fino in cima a una torre che terminava in un grande salone ricoperto di tappeti e molti cuscini dove furono lasciati soli dopo aver richiuso il catenaccio della porta,    non si stava neppure troppo caldi in quell'ambiente perché prendeva aria da un alta finestra esposta a nord. 

Però fu evidente che erano prigionieri e da quella alta finestra nessuno sarebbe potuto fuggire.

La situazione richiedeva calma e lunghe riflessioni. Si avvidero poco dopo

Che a un angolo del salone, mimetizzato con la parete vi era uno sportello che aperto rivelò essere pieno di vivande e frutta esotica e questa fu una bella scoperta.

Dopo essersi rifocillati pensarono che la miglior cosa era dormire e rimettersi in forze, senza ribellarsi alla prigionia per far vedere che erano persone tranquille e che si fidavano degli abitanti del fortino.

Questa fu veramente un bella strategia che depose a loro favore.

Trascorsero così due giorni calmi e tranquilli, ma come succede nei deserti, d'improvviso nella notte successiva si scatenò un uragano di sabbia e loro ne approfittarono per montare qualcuno dei loro apparecchi che nascosero fra tutti quei tappeti e cuscini intanto avevano comunicato al loro comando la situazione  dando le coordinate, specialmente in altezza affinché  l' elicottero autocomandato venisse di notte a prendere uno di loro a turno, dalla finestra, per effettuare rapide ricognizioni e poter rientrare in...cella, prima dello spuntare del giorno.

Dalle perlustrazioni già in loro possesso essi sapevano quale doveva essere il punto da esplorare e, se trovato, prenderne una carota per portare la prova che esisteva davvero.

Nelle tre notti di volo clandestino i prigionieri si trasferirono, sempre a turno, nel luogo designato, riuscendo a costruire il lungo tubo coi pezzi smontati, nascosti nella sabbia che ad ogni sortita dovevano ricostruire e rismontare rapidamente  e alla terza prova toccò proprio all'ingegnere ritirare il tubo imbrattato di petrolio. La prova era stata raggiunta.  Egli rilevò il punto preciso coi strumenti di precisione e tornato nella torre comunicò ai superiori la bella notizia. Si trattava adesso di organizzare la fuga.

I prigionieri avevano ormai capito che di notte nessuno saliva sulla torre perché durante la giornata, ogni tanto qualcuno dei guardiani coi turbanti entrava per qualche motivo o a portare una brocca d'acqua o a rifornire il piccolo armadietto dei cibi, ma nessuno parlava e, se non fosse stato per quei piccoli rifornimenti, si poteva pensare che si fossero dimenticati di loro.

Però non c'era da fidarsi ed era meglio far presto a sgomberare.

E su due difficoltà era da riflettere: la notte breve e l'elicottero che aveva un solo posto a bordo. Seppure doveva percorrere solo pochi chilometri per riunire insieme i tre coraggiosi fino a che non sarebbe venuto un elicottero più possente per riportarli a casa. 

Pensa e ripensa al come fare, all'ingegnere venne un 'idea luminosa seppure molto rischiosa.

Riunì tutti i rotoli di filo di nylon e come la lana ha parecchi capi, così riunirono in molti capi il nylon che divenne molto resistente e, insieme ai compagni costruirono una scala fortissima che il primo che partiva avrebbe ben sigillata sull'apparecchio lasciandola penzolare nel vuoto e alla seconda uscita quello  meno pesante si sarebbe appeso alla scala esterna volando letteralmente nell'aria come si vede fare nelle acrobazie dei salvataggi in montagna.

Per primo uscì l'ingegnere che aveva l'incarico di radunare tutte le cose nascoste compresa la carota di petrolio, nel punto di atterraggio che era quello dov'erano stati depositati all'arrivo quindi lontano dal fortino.   

Così, appena segnalata la loro uscita dalla torre, il comando avrebbe inviato il grande elicottero che li avrebbe ricondotti in patria,dove li avrebbero attesi grandi onori e, ognuno, avrebbe ricevuto il premio che aveva meritato.

Grande fu lo scorno dei guardiani della torre quando al mattino videro il salone vuoto e i prigionieri scomparsi.

Tutti credettero che i prigionieri fossero stati degli stregoni capaci di ogni sortilegio e stettero giorni e giorni a fare scongiuri.