I monologhi |
|
|
INDICE: |
||
Sembra assurdo, ma posso assicurare che alcune volte è proprio così. E' accaduto a me e ve lo racconto.
Non ero stata troppo bene nella stagione fredda e la mia dottoressa, mi aveva proibito di espormi al freddo troppo a lungo e quindi avevo rimandato alla primavera il da farsi. Premetto che il balcone è molto vasto e di piante e pianticelle ne ho forse troppe per poterle tenere come vorrei. Fu, quindi, verso la metà di marzo che mi preparai al da farsi per essere pronta al primo sole. Tutto pronto e a portata di mano: nuova terra, nuove sementi, qualche piantina nuova e qualche talea da spuntare all'ultimo momento e quando vidi il sole, splendente e promettente, ne approfittai immediatamente dedicandomi ad un giardinaggio appassionato e, con grembiulone, guanti e paletta, mi sentivo come una coltivatrice diretta e mi misi all'opera. Rimossi la terra, ne misi di nuova, seminai, innaffiai, lavorando mattino e pomeriggio tirando anche via col desinare e già pregustando già di veder compensata tanta fatica con un balcone tutto fiorito. Avevo recuperato persino le pianticelle di mammole e ciclamini che, tenute riparate sotto una doppia plastica buchettata, avevano resistito all'inverno. Me ne andai a letto stanchissima, ma felice! Fui svegliata a metà della nottata da scrosci d'acqua e sibili di tramontana ed io, abitando in alto, vidi a più riprese, il saettare dei fulmini illuminare il cielo. Un vero uragano! Il tempo variabile di marzo non tenne conto né dei miei desideri né del calendario che segnava il 21. Mi levai dal letto, senza essermi affatto riposata e attesi, di malumore, una schiarita prima di fare l'inventario sul balcone.. Bastò poco per vedere e un nuovo sgrullone mi ricacciò in casa. I gerani, le felci e le sassifraghe, seppure, intrise d'acqua erano al loro posto senza danni, non così le tenere piantine appena messe a dimora che avrebbero avuto bisogno di una carezza solare. Ma quello che mi addolorò davvero furono i semi che, in ogni vaso e cassetta, galleggiavano in un mare di acqua, quelli li avrei perduti per sempre. Dovetti rassegnarmi al pensiero di ricominciare l'opera più in là, incolpando me stessa per la fretta avuta, ma pure il sole bugiardo che si era annunziato per poi sparire per una settimana ancora. Ma già... lui non guarda il calendario!
|
|
|
MASCARZONATE
La Tivvù sempre strombazza 'na
notizzia che ce strazzia
|
|
|
Questo monologo racconta un episodio della vita di mia cugina Valeria alle prese con un "indiscreto che le ha fatto crollare i nervi. Ecco i particolari : mia cugina, una bella brunetta seria e timorata di Dio, un certo giorno si avvide che un suo dirimpettaio non faceva altro che rimirarla dalla sua finestra, addirittura usando sfacciatamente un binocolo. La cosa le dispiacque al punto che, da quel momento, le sue persiane si spalancavano di rado, ma in qualunque momento decidesse di farlo, quello, era sempre lì, come fosse in agguato. La strada che divideva i loro due palazzi era molto larga e non vi era possibilità di scandagliare ben bene molti particolari, anche perché, lui, stava un piano più alto e quindi non si distingueva in modo nitido, ma che disagio sentirsi osservati, addirittura con l'ingrandimento! Proprio questo dava sui nervi a mia cugina. Quel tizio stava sempre alla finestra col suo lungo tubo e sembrava non avesse altro da fare. Come si può essere così indiscreti? Passò l'inverno sempre con le persiane accostate e, Valeria, essendo negoziante, passava molte ore nel suo esercizio e quando rientrava nel suo appartamento era già buio e si accorgeva dell'indiscreto, solo quando faceva pulizie e doveva necessariamente aprire le persiane.. Al giungere delle giornate calde con maggiori ore di luce, diventò per lei una vera oppressione starsene in casa rinserrata in quel modo. Ella che ha l'hobby dei lavori a maglia, avrebbe voluto stare presso la finestra aperta a sferruzzare invece di farlo all'interno di casa con la luce accesa, se ne privava appunto perché, l'indiscreto, non pensasse che fosse intenzionata a ricambiare l'attenzione. Si confidò con me e mi chiese cosa fare. Io caddi dalle nuvole e, sapendo quanto lei fosse permalosa mi azzardai a dire : " Ma forse guarda il tuo gatto che spesso s'acciambella sul davanzale" "Macché gatto! Che deve studiarne i peli se usa il cannocchiale?" Questa la sua risposta adirata. Aveva ragione, anche se il suo gattone è quasi una rarità non c'è motivo di osservarlo con la lente ravvicinata. Le dissi che, forse, pregustasse mangiarselo. A questa seconda osservazione, mia cugina rabbrividì bisbigliando " Che vai a pensare... mangiarsi il mio gatto...è assurdo." Le nostre conversazioni si svolgevano nel suo negozio ed io non mi ero resa conto di persona della persecuzione che stava subendo, ma capivo, dal suo risentimento che non essere padrona di aprire la finestra perché quel "testimone" indesiderato non lasciava mai la sua postazione, doveva averla portata all'esasperazione. Mi disse che era stata tentata di prendere il proprio binocolo da teatro e puntarlo, a sua volta, su di lui e ne era stata impedita dalla sua educazione e anche dal suo orgoglio che non le permisero di comportarsi in modo indecente. Mi venne in mente persino che fosse un ladro che dopo aver studiato le sue abitudini volesse derubarla, perché se si fosse trattato di uno spasimante si sarebbe fatto vivo in altro modo, dopo tanto tempo di corte passiva. Pensai di aiutarla in qualche modo per venire a capo di quella faccenda. Senza dirle nulla, volli indagare per prima cosa chi c'era in quella casa e mi recai sotto quel palazzo per leggere sui citofoni i nomi degli abitanti. E una sorpresa incredibile mi colse nel vedere una piccolissima insegna accanto al nome del quarto piano che informava: Artigiano invalido costruisce caleidoscopi per adulti e bambini. Altro che indiscreto! Quel poveretto, costretto a star seduto, per fare quel lavoro aveva bisogno di luce e dove attrezzare il suo " laboratorio" meglio che alla finestra ? e il "tubo" che lei vedeva come un cannocchiale non era sempre quello, ma i caleidoscopi che andava costruendo. Probabilmente della sua dirimpettaia non si era mai neppure accorto. L'informazione mi fece diventare euforica e non vedevo l'ora di comunicarla all'interessata e, mentre mi dirigevo al suo negozio pensai che sarebbe bastato a lei stessa attraversare la strada per sapere come stavano le cose e, magari decidere di farsi costruire un caleidoscopio da regalare alla sua nipotina.
|
|
|
Ancora una volta ho un malumore da esternare ed è un malumore che si rinnova ogni qualvolta entro in un mercato e, quindi, quotidiano.. Credo di non essere in errore se dico che siamo in molti a provarlo! Lo hanno notato tutti che, da svariato tempo la nostra bella e fertile terra, osannata dal mondo per i sapori e gli odori dei suoi prodotti, ci sta tradendo. Dove sono finiti frutta e ortaggi saporosi e profumati di ogni regione? Erano tutte cose che gli altri c'invidiavano e anche il motivo principale che avevano i numerosi turisti per venire in Italia. Si, d'accordo che primi sono Arte e Cultura, ma il mangiare viene subito dopo. E quando si consuma un pasto che ci appaga anche il senso artistico se ne compiace! Mi sforzo di comprendere la necessità commerciale di mostrare ai consumatori prodotti splendidi e invitanti dai colori superbi e dalle forme perfette, ma quando poi non vi si trova né sapore e né sostanza, a cosa vale acquistarli? Il più delle volte vanno a finire nella spazzatura. Quei sapori genuini, apprezzati tanto da esperti e buongustai quanto da quelli abituati a vitti sobri e spartani, non ce l'abbiamo più e questo è il rammarico principale. Perché sonno spariti. E non è solo da quì che parte il malumore perché ciò che ingeriamo, molto spesso, reca disturbi digestivi ed allergie difficili da diagnosticare. La cosa poi che mi sconvolge letteralmente è la consapevolezza che alcune varietà di frutta sono state addirittura distrutte per ragioni di convenienza. Sembra assurdo, ma è la verità! Non saranno commerciabili perché poco appariscenti, ma il profumo e il sapore e il succo non si potranno mai soppiantare. Persino le case assumevano un'atmosfera gradevole con le belle fruttiere colme di "vitamine", Eh! Pure questa è un'altra considerazione da fare. Se è vero che la buccia contiene in maggiore quantità vitamine e principi attivi, ora che viene consigliato di " scorticare" un frutto prima di mangiarlo che bene se ne trae? Le serre e le colture mirate assicurano la bellezza, ma la salute verrà contaminata dagli anticrittogamici usati a scopo di questa perfezione visuale. Chi non ricorda le piccole mele rosa? E le limoncelle un pò grinzose? E le pesche reginelle calabresi e quelle giallone o spaccarelle dei castelli romani? Vecchi sapori che conferivano alla frutta il posto del dessert... Non soltanto la frutta arreca malumore, ma pure gli ortaggi che hanno tutti lo stesso sapore. Me la prendo spesso col mio palato che non gusta più nulla. Pronta a ricredermi se mi capita di assaggiare qualcosa venuto su alla buona in un piccolo orticello casalingo soltanto a sole e acqua e senza concimi chimici. Penso che chi legge queste righe condividerà il mio malumore e scuserà il mio sfogo.
|
|
|
E' proprio vero: Non serve essere ottimisti e pure chi lo è ad oltranza, come la sottoscritta, si trova ad inquietarsi di fronte a persone e a situazioni che con un minimo di buonsenso si potrebbero risolvere facilmente. Il fatto che vado a narrare è la riprova di questo ed è accaduto a mia sorella quando dovette rinnovare la sia carta d'identità. Avrebbe avuto oltre un mese per la scadenza, ma da cittadina esemplare non attese l'ultimo giorno si provvide delle marche in una tabaccheria e si recò all'ufficio anagrafico, dove pagata la quota di dovere alla cassa, si mise in coda allo sportello per vidimare la foto. Ne aveva giusto tre della volta precedente e, in buona fede, le presentò all'impiegato unitamente alla tessera che doveva essere sostituita. L'uomo senza alzare lo sguardo sulla persona, viste le foto, le restituì sgarbatamente: "Queste non vanno perché sono uguali a quella della tessera da cambiare, però, visto che ha già pagato, lascerò la pratica in sospeso e ritorni con nuove foto!" Mia sorella, ha la fortuna di mantenere un sembiante giovanile e nei cinque anni di durata della tessera, non era cambiata affatto, pertanto provò a ribattere : "Ma se sono sempre la stessa perché debbo farne altre? " Ma l'uomo, non si degnò di rispondere e passò al cliente successivo. Per non discutere oltre, lei se ne andò direttamente dal suo fotografo di fiducia e pagata l'urgenza, dopo tre giorni, prese le nuove foto tornando nuovamente a fare la coda allo sportello dell'anagrafe. Giunto il suo turno e ritrovata la pratica a suo nome, l'impiegato ancora una volta, si mostrò puntiglioso: "Queste foto sono ritoccate e non vanno bene. Le deve fare alle macchinette automatiche delle stazioni, quindi dovrà ritornare" La poveretta, ci rimase molto male perché la foto non erano state ritoccate, ma avendole fatte in posa erano venute molto bene e non come quelle delle "automatiche" che fanno sembrare tutti dei mostri, finse di accettare il consiglio e se ne andò, decisa a non darla vinta a quel pignolo.. Lasciò trascorrere tutto il mese e l'ultimo giorno utile, fece ritorno all'anagrafe, sapendo che in corso di scadenza vi sarebbe stato più di uno sportello. Fu fortunata, infatti, nel trovare una impiegata donna a un altro sportello dove giunto il suo turno fece presente di avere la sua pratica in sospeso e che per ragione di salute non si era presentata prima. L'impiegata non trovò nessuna difficoltà a timbrare la foto e apporla sulla nuova tessera e nel consegnarla all'interessata le fece anche un complimento : "Lo sa che su questa foto appare più giovane e se non avessi vista la data stampata dal fotografo sul retro non l'avrei accettata." Che dire? Meglio non fare commenti!
|
|
|
Io sono una nonna felice! L'ho detto tante volte e, oramai tutti sanno "tutto" dei miei tesori: che sono belli e bravi e che sono cresciuti intelligenti e volenterosi. Non li vedo spesso perché le nostre abitazioni si trovano in punti cardinali diversi, però la città è la stessa ed io non tralascio d'interessarmi a loro trattandoli, forse, troppo da bambini. Sicuramente accade a tutti i nonni considerarli sempre... nipotini anche quando sono alti quasi due metri e con fisici da atleti. Ma gli anni corrono in fretta e la loro adolescenza e, poi la maturità, ci trova impreparati. A questo proposito ho un episodio da raccontare che mi mortificò parecchio. Fu quando uno dei nipoti maschi ebbe bisogno di sottoporsi a un lieve, seppur delicato, intervento chirurgico e fu ricoverato in una clinica. La parentela tutta, sconvolta dall'evento, dopo due giorni dall'operazione, si sentì in dovere di recarsi in visita presso il tredicenne infermo. Nell'orario destinato alle visite ci ritrovammo tutti in clinica con pacchetti e pacchettini. Il letto del nipotino (alto un metro e 70) era già attorniato da molti suoi carissimi compagni e compagne di scuola e, il protagonista, stava ridendo beato dei loro motteggi con l'aria dell'eroe. Con un sorriso salutò noi parenti che stavamo entrando nella stanza, ma il suo sguardo indefinito fece sentire, tutti noi, insicuri e deboli. Anch'io nonna, rimasi spaesata dal chiassoso brusìo che ci aveva sorpresi giacché pensavamo di trovare il malato afflitto e dolente. Titubai un pò nel consegnargli il mio dono che avevo preparato pazientemente con le mie mani, sicura di farlo felice, sapendolo tifoso di una certa squadra di calcio.. Mi ero premurata, infatti, di confezionare un allegro Paperone imbottito, nei colori della squadra che amava e glielo consegnai in attesa della sua esclamazione di gioia. Sarebbe stato così se glielo avessi dato in un altro momento e, a tu per tu. In quel caso sarebbe corso ad appenderlo sulla parete della sua stanza tappezzata di trofei e di poster. In quel luogo e in quella compagnia fece tutt'altro effetto e divenne il pretesto per un palleggio allegro fra i ragazzi fino a ridurlo ad un ammasso di cenci colorati. Nelle mie intenzioni avrebbe dovuto essere un portafortuna, ma in quel contesto divenne un giocattolo inadatto al giovanotto che era reduce della sua battaglia col... bisturi. Accanto a me, il nonno (mio marito) tentennava il capo negativamente come suo solito e, vedendo quel ping pong col pupazzo, non si astenne dal dire ad alta voce: "Quel giocattolo dovevi farlo per te... perché l'unica bambina quì...sei tu!" Era vero poiché in quel ragazzone non vi era traccia del nipotino, ma dovevamo oramai considerarlo quasi un nostro pari e trattarlo di conseguenza.
|
|
|
Da parecchio tempo sto notando delle cose che, spesso, mi fanno perdere la pazienza e sono cose che capitano anche agli altri, perciò, sento la necessità di sfogarmi. Voi direte:" Ma con chi ce l'hai ? Chi e cosa ti fa perdere la pazienza?" A dire il vero ce l'ho con tutto e con tutti! Pure essendo di natura comprensiva e conciliante, certe volte mi scappa la pazienza di fronte a certe situazioni difficili e impreviste che non si sa come risolvere e se avrete la compiacenza di ascoltarmi fino in fondo... capirete. Ebbene si! ce l'ho con l'odierna società che burocraticamente è imperfetta e cozza continuamente col dinamismo dei tempi attuali che indurrebbe a portare alla semplicità ogni azione perché ve ne sono i mezzi. E anche se questo concetto l'ho sentito esprimere da parecchio tempo da personalità specifiche, mi accorgo che in alcuni casi si tende a complicare, situazioni che con un poco di buona volontà si potrebbero sistemare in partenza con nuove disposizioni e senza perdite di tempo e, appunto, di pazienza. E siamo tutti sullo stesso binario ! Può, ad esempio, accadere un certo giorno di dover fare la richiesta di documenti urgenti o sistemare delle pratiche di una certa importanza: Ebbene si apprende all'ultimo momento che è giornata di sciopero "a singhiozzo" il ché vuol dire che non si sa né l'inizio né la durata di detto sciopero. Magari è un venerdì e ciò implica di dover rimandare il da farsi di tre giorni. E se non a causa di scioperi i disguidi avvengono perché giunti agli uffici preposti si apprende che si sono trasferiti addirittura nella parte opposta della città? No rimane che desistere dal proseguire perché gli orari non combaciano più e neppure il tempo che avevamo a disposizione. Si fa appello alla pazienza per cercare di essere comprensivi in tutti e due i casi E il caos determinato dai mezzi pubblici che cambiano targa quando ve ne sono altri in avarìa ? Ciò costringe a corse ansiose fra le varie fermate a rischio della vita. Anche quì si fa buon viso a cattiva sorte! Quando poi, stanchi e affranti si resta imprigionati nell'ascensore per improvvisa mancanza di corrente elettrica? Anche se affidiamo la nostra vita a tutti i Santi, la pazienza è finita. E allorché a causa di tante arrabbiature, siamo nel bel mezzo di coliche biliari e si vorrebbe consultare lo specialista ci sentiamo dire che la prenotazione ci fissa la visita dopo due o tre mesi? Non si sa più da che parte trovarla la pazienza! L'ultima speranza è un ricovero per Pronto Soccorso!... ma non ci sono posti disponibili in nessun nosocomio...non resta che lasciarsi morire lungo la strada come l'ultimo dei vagabondi. I sopraelencati sono solo una parte dei disagi odierni,che, purtroppo, resteranno tali!!! Però mi sono sfogata!
|
|
|
Si! C'era una volta e non è una favola. Eppure il mare è sempre là! E' verissimo, ma io lo intendo come distesa immensa di acqua calda o fredda, calma o agitata, ma sempre terso e pulito dove la fauna marina vive e prospera in perfetta salute e che sia pure a disposizione di chi voglia navigarlo, pescarlo o usarlo per tuffarsi nei pressi di isole e spiagge che offrano iodio e profumo di salsedine distensiva e corroborante. Questo dev'essere il mare e quando è tale si offre all'ammirazione sconfinata di chi lo ama. Si dà il caso, invece che non sia in tal modo da vari anni e, specialmente nei periodi caldi, lo si gode poco e male e ci si deve accontentare di viverlo con timore e cautela a causa dell'incuria in cui si tengono gli stabilimenti, salvo alcune spiagge private dove non è facile accedere. I filmati degli anni trenta ricordano la ressa esistente negli stabilimenti popolari quando, a malapena si trovava un pò di spazio per issare un ombrellone e sdraiarsi in un cono d'ombra fra braccia e gambe altrui e dove i timpani dei poveri frequentatori che anelavano al relax estivo, erano frastornati dai clamori degli altoparlanti che inondavano l'aere di musiche a tutto spiano. Era bello e pacifico solo all'alba e al tramonto che pure la notte comitive giovanili invadevano gli arenili con "schiamazzi", "braciolate" e " bruschette" al chiaro della luna. Vi era, come d'altronde succede anche ora, la possibilità di andare nei lidi d'altre terre che sono lontanissimi e costosi, ma le spiagge di casa nostra sono diventate impossibili da frequentare per la scarsa igiene dovuta alla minima sorveglianza e all'indifferenza dei frequentatori stessi che lasciano le spiagge dopo l'uso, al pari di discariche. Da queste considerazioni viene facile dire: " C'era una volta il mare!" Mi preme precisare che questo mio amaro scritto, risale agli anni 80, allorché casi di epidemia di salmonella erano frequenti e si aveva timore di portare i bambini sulle spiagge. Mi risulta che adesso, finalmente, le cose sono cambiate e ogni riviera nostrana si organizza per offrire stabilimenti decorosi e con ogni confort e quindi è doveroso fare un plauso a chi si adopra per far sì che chi desidera fare una vacanza al mare si trovi a suo agio e vi possa trascorrere giornate intere, in completo relax e senza tema per la propria salute. Così da dire con soddisfazione: "C'era una volta...il mare... sporco!"
|
||
In questo monologo vi narro una mia disavventura che mi ha molto amareggiata giacché il mio desiderio di beatitudine e di onestà ne fu molto scosso.. Accadde nel periodo in cui il Comune di Roma diede alla Città Eterna un volto più leggiadro e meno monumentale, adornandola da miriadi di aiuole fiorite ed io mi beavo di tanta rinnovata bellezza. Sono una patita di piante e fiori e ne ho anche una discreta conoscenza e qualcuno ha anche seguito le mie rubriche di "pollice verde" su qualche giornale. Ed è questa una passione atavica che mi viene dai genitori che nel nostro grande giardino hanno sempre avute, fra arbusti e pergolati, aiuole di peonie, di zinnie e di papaveri olandesi d'ogni colore. Ma la grande aiuola centrale di viole del pensiero erano le mie preferite così vellutate e variopinte che mi facevano pensare ad ali di farfalle imprigionate sugli steli. Le ho sempre chiamate pansée, da quando ho studiato il francese e mi divertivo ad annotare le diversità di quelle bicolori che hanno toni straordinari. Proprio questi fiori sono all'origine della mia assurda disavventura che, ripeto, accadde nel periodo di "Roma Fiorita". Ero uscita in una mattinata non troppo assolata perché dovevo recarmi a sbrigare una pratica in un ufficio del Centro storico e scendendo dal mezzo pubblico, vidi di fronte a me una immensa tazza di terracotta colma di pansèe che faceva bella mostra i una piazzuola accanto alla fermata del tram. Sostai un attimo per ammirarle, ma non avevo tempo per potermi soffermare a lungo e nell'allontanarmi vidi avvicinarsi una masnada di ragazzetti che si rincorrevano tirandosi le cartelle e che sentii a lungo schiamazzare dietro le mie spalle. Pensando che avessero marinata la scuola, raggiunsi l'ufficio dov'ero diretta e, dopo una lunga coda, sbrigai la pratica e feci dietro front. Cominciava a piovigginare ed io camminavo rapida, ma non potei fare a meno di fermarmi al richiamo di una contadina che, come capita al centro, vendeva fiori ai turisti accanto all'angolo della strada. con un canestrello al braccio ormai quasi vuoto. La fioraia, vedendo l'incipiente pioggia, mi fece un 'offerta che mi allettò: " Signora se prende le mie ultime piantine le faccio lo sconto, così me ne vado che comincia a piovere" Non resistetti e presi a volo le tre pianticelle che le erano rimaste e che erano proprio delle pansèe, mentre pagavo le avvolse in un pezzetto di giornale che mal coprivano le radici. Vedendo che la terra delle radici aveva già bagnato la carta di giornale pensai di meglio avvolgerle con uno dei clines che avevo in borsetta, tenendo fuori i petali per non stroncarne i teneri steli Raggiunsi in fretta il tram che era in arrivo e salii un pò affannata. Subito una voce stentorea mi bloccò con alcune parole che mi ferirono: " Brava, davvero questa signora che si è permessa di devastare un giardino pubblico! " Il vigile che mi stava incolpando, mentre parlava indicava col dito fuori del finestrino verso la tazza di terracotta che avevo ammirata un'ora prima e che era diventata uno scempio poiché le piante di poco prima erano strappate e devastate.. Il mio pensiero corse ai giovincelli che vi si rincorrevano, ma come spiegarlo a quel severo tutore della legge? Tentai di farlo, ma si mise a ridere, mentre tracciava la contravvenzione sul suo taccuino. Preferii pagare la contravvenzione per togliermi da quella imbarazzante inquisizione e per la vergogna mi affrettai a scendere alla fermata successiva. D'altra parte come dargli torto. Secondo lui ero in flagranza di reato perchè il "corpo" del misfatto lo vedeva nelle mie mani! Sotto la pioggia che si era infittita, attesi il tram successivo per tornare a casa...
|
|
|
Qualche anno addietro, alcuni sondaggi avevano evidenziata una certa ostilità verso l'uso del dialetto, ritenuto una forma impropria di linguaggio e di scrittura. Molti, invece, ne decantano l'utilità richiedendone l'inserimento nei programmi scolastici per conoscere meglio l'origine della lingua italiana seguendone le varie modifiche attraverso il tempo. Non bisogna dimenticare, infatti, che dal dialetto hanno avuto origine tutti i nostri tipi linguistici in quanto derivanti dal latino volgare. Perciò dal punto di vista genetico non c'è differenza alcuna tra i dialetti e la lingua italiana che si formata sul dialetto fiorentino del '300 e ciò dimostra che il dialetto non è una corruzione dell'italiano. Questo concetto base, è utile anche per capire il "romanesco" come impropriamente viene chiamato che è "vernacolo" derivante da "verna" che era il nome dato allo schiavo nato in casa del padrone che si esprimeva con questa " parlata" spontanea, tramandata da padre in figlio. Nel corso dei secoli il dialetto romano ha subito storpiature e modifiche a causa degli influssi di linguaggi di altri popoli che per motivi storico-culturali hanno portato a Roma i loro usi e costumi. La prima lunga convivenza forzata dei romani coi napoletani, giunti al seguito di Ladislao IV col pretesto della protezione , instaurò la promiscuità fra truppe e cittadini e questi ultimi assorbirono quei nuovi vocaboli , seppure storpiati e distorti che si ritrovano ancora nell'uso comune. Il Belli usò nei suoi Sonetti il parlare di quell' epoca e ne fu , pure, osservatore e interprete; però adesso, i suoi scritti abbisognano di chiarificazioni giacché non sono del tutto comprensibili alle nuove generazioni. Più gradevole è quello di C. A. Salustri (Trilussa) che lo ha sfrondato della iniziale pesantezza rendendolo più sciolto e accessibile, pur lasciandogli quelle tipiche accentuazioni e forme popolari che lo distinguono. E' bello e istruttivo quindi non distruggerlo poiché è fonte di arguzia e saggezza , due qualità espressive del popolo romano nei suoi detti e nelle sue tradizioni.. Si può concludere che lo studio dei dialetti trova la sua principale utilità per meglio conoscere l'etimologia di ogni nostra parola.
|
|
|
Avevo sempre guardato lo zio Giulio con molta soggezione e lo ritenevo una persona ponderata e non molto facile all'allegria. In una certa domenica di festa familiare, però avvenne un fatto che oltre sorprendermi, mi ha fatto ricredere su di lui. Eravamo tutti invitati in casa di mia figlia per festeggiare il secondo compleanno del nostro nipotino che, coccolato da tutti, non finiva di aprire le confezioni dei giocattoli e dei dolcetti con grandi esclamazioni e distribuzioni di bacetti. Il mio dono si rifaceva ai ricordi di un tempo quando i trenini di latta con la carica e con vagoni e rotaie da montare manualmente costituivano un vero appagamento per maschietti e femminucce nei primi anni della loro vita. Ne acquistai uno, pregustando già la sorpresa di Nandino nel vederlo correre giro giro alla rotaia. Pensai che i bimbi d'oggi si sono scaltriti perché i giocattoli, in genere, sono autocomandati e nulla li sbalordisce più di tanto, ma,lui, era ancora così piccolo che tranne qualche pelusce non aveva visto altro. Difatti, al solo vedere montare i cinque vagoncini colorati, Nandino impazzì di contentezza e batté le manine fremendo dall'impazienza di prenderli in mano che a lui bastava già spingerli sul pavimento per divertirsi. Nel frattempo avevo piazzato ben bene la rotaia circolare e il viaggio avrebbe dovuto iniziare. Fu allora che il corpulento zio Giulio che stava seguendo le manovre di montaggio, prese l'iniziativa di dare la carica con la chiavetta apposita, ma troppi furono i giri dati o la forza messa o la sua euforia fanciullesca che, con un secco clic, la leggera molla si spezzò, girando vorticosamente all'indietro. Lo spezzarsi della molla e il suo scatenamento, misero in panne la locomotiva variopinta che non partì mai per il suo giro inaugurale. Fu però una fortuna che Nandino non conoscesse ancora la vera funzione della rotaia e tantomeno della molla e si divertì ugualmente a far girare in tondo il suo balocco con la sola spinta delle sue manine. Tutti risero, meno io che rimasi veramente stizzita, ripromettendomi di acquistare un'altra motrice con molla nuova che avrei caricata con più accortezza e non alla presenza dello zio che dal quel giorno tutti chiamammo: Zio Giulio ferroviere.
|
|