ROMA - fasti e nefasti

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Septimontium e i suoi primi abitatori - Etimologia dei colli e dei monti di Roma - Le origini di Roma - Il Monte SacroL'Apologo di Menenio Agrippa - I sette re di Roma - L'Isola Tiberina - L'Avvento della Repubblica - I Galli 
Le vie consolari - La civiltà greca e successiva decadenza - Le Famiglie di Roma: I Gracchi - Mario e Silla
Lucio Sergio Catilina  - Il Primo Triunvirato - L'impero di Augusto - Il Secondo Triunvirato - Antonio e Cleopatra - Agrippa e il PantheonLa Famiglia Giulia - Tiberio - Caligola - La Famiglia Claudia - Nerone - La Famiglia Flavia - La Famiglia Antonina - Adriano - Marco Aurelio - Eliogabalo - Da Pertinace a Caracalla - Massimino e i Gordiani - Filippo Decio e i trenta Tiranni - L'Interregno e Tacito - Da Lucrezio Caro a Diocleziano
Costantino e il Cristianesimo


SEPTIMONTIUM E I SUOI PRIMI ABITATORI

 

Il territorio su cui è sorta Roma era chiamato Septimontium per la suggestiva conformazione a colli che lo delimitava.

Esso fu abitato inizialmente da Siculi e Liguri che lo occuparono in parte.

Le Alture erano dette: Palatino, Germale, Velia, Oppio, Cispio e Fagutale; la Bassura o Suburra era alla base dei colli.

Il Quirinale fu aggiunto in seguito, al territorio di Roma, dal Re Numa Pompilio quando vi s'insediarono i Sabini o Popolo della lancia, perché guerrieri. Si cementò così l'unione coi latini agricoltori che abitavano sul colle Capitolino. I Siculi furono ricacciati nell'Italia inferiore e i Liguri in quella superiore dalle immigrazioni Indo-Germaniche.

Le razze italiche si formarono con la Sabina battagliera e la Latina pastora, alle quali si unì, in seguito, l'Etrusca artigiana.

Vi si mescolarono ancora i Sacrani che erano una sorta di emigrati costretti ad andarsene dai loro territori perché in sovrannumero, in nome di un loro Nume al quale erano consacrati e gli Aborigeni, quelli restanti nei loro paesi.

I Sabini ebbero Giano come Dio e Re, insieme a Pales, Dea delle greggi, mentre Tazio fu il loro Re mortale che regnò insieme al latino Romolo, che aveva fondato Roma nel 390 a.C. alla latitudine Nord 41° 53' 84" e alla longitudine ed Est 10° 9' 32", secondo il punto di misura conservata al Collegio Romano.

 

 

 


LE ORIGINI DI ROMA

La storia di Roma parte dagli Dei poiché risale ad Enea di origine divina perché figlio della dea Venere e del mortale Anchise.

Quando Enea, uno dei sopravvissuti alla caduta di Troia( 1184 a.C.) giunse coi suoi compagni, alla foce del Tevere e, da fenomeni divini, ebbe l’indicazione ove fondare una nuova città in cui trasferire i penati della città asiatica ormai distrutta.

Ottenuta la mano di Lavinia figlia del Re Latino che governa il popolo degli Aborigeni, l’eroe si allea con Evandro fondatore di Pallantio sul Colle Palatino (culla della futura Roma).

Costretto a resistere ai continui assalti di Turno, Re dei Rutuli, Turno, oriundo di Ardea ed ex aspirante alla mano di Lavinia, Enea va a fondare Lavinio nel Lazio.

Dopo la sua morte, il figlio Ascanio detto Julo, avuto dalla prima moglie la troiana Creusa, cede il governo a Lavinia e va a fondare Albalonga alle falde dei monti Albani.

Dodici Re albani gli succedettero nei trecento anni che intercorrono fra la fondazione di Alba da quella di Roma e, l’ultimo della dinastia fu Amulio il quale rimuove dal trono il fratello Numitore e costringe la nipote rea Silvia a entrare tra le vergini Vestali per impedirle di procreare un figlio che potesse vendicare il nonno.

 

 

LA FONDAZIONE DI ROMA

 

Ma il dio Marte viene ad accoppiarsi con lei e dall’unione nascono due gemelli: Romolo e Remo.

Scoperta la cosa, il loro prozio, ordina di far perire i piccoli e, a questo scopo vengono posti in una cesta presso il Tevere, sotto il grande fico Ruminale sperando che affoghino.

Ma la corrente riporta la cesta alla riva dove vengono salvati da una coppia di pastori Faustolo e Laurentia nella cosi detta “ Casa di Romolo” del Palatino e la leggenda vuole che siano stati allattati da una lupa..

Divenuti adolescenti i due fratelli uccidono l’usurpatore e restituiscono il trono al vecchio Numitore dec0isi di fondare una nuova città sul terreno dove si era svolta la loro infanzia.

Qui sorge la tragica disputa su chi dovesse tracciarne il solco ed anche se gli auspici consultati avessero designato Romolo, fra loro scoppia una lite nel corso della quale Remo muore.                

Romolo, ormai unico fondatore e futuro primo Re, delimita il Pomerio originale dell’Urbe, cioè la zona sacra e proibita che cingeva di un confine efficace e protetto dagli Dei, il corpo stesso della città, tracciando sul Palatino il perimetro delle mura( 753 a.C.) servendosi di un aratro tirato da una vacca ed da un bue bianchissimi.

 

 

 

 



ETIMOLOGIA DEI COLLI E DEI MONTI DI ROMA

 

 

Le alture di Roma hanno tutte origini vulcaniche. Ad esempio il colle Gianicolo o Montorio (sabbia d'oro) per il colore della farinosa sabbia che lo ricopriva essendo, un tempo, una spiaggia.

Proprio gli sconvolgimenti vulcanici, ricacciandone l’acqua, avevano lasciata sabbia e cave di tufo durissimo (peperino) e di rena friabile (pozzolana) comuni alle altre colline romane, tranne per quella del Capitolino (Campidoglio) che è formato solo di tufo pietroso.

Degna di nota la pozzolana che ha reso possibile la formazione del cemento usato da allora nel costruire.

Dalle caratteristiche territoriali vennero i loro nomi: Viminale, ricoperto di piante di vimini, Capitolino, una selva boscosa che fu prescelta e abitata dai Latini agricoltori, Celio o Querquelano, pieno di querce e abitato dagli Albani quando fu eletto il loro conterraneo Tullio Ostilio.

Il monte Pincio era ricoperto di salici, il monte Vaticano, sacro agli Etruschi che lo frequentavano per fare oracoli vaticinanti il futuro.

Nerone su questo monte, ove pare vi fosse anche la tomba di Romolo, fece erigere il suo grande Circo ed ora, invece, sottola Basilica di San Pietro vi è la tomba di San Pietro.

Il Quirinale era in origine una foresta che, venne abitata dai Quiriti che gli diedero il nome, ma fu anche detto Agonalis dal greco Agone ( colle del sacrificio); l’Esquilino o Fagutale dai faggi che vi prosperavano; le numerose sporgenze di questo colle diedero origine ad ulteriori colli: Cispio, Oppio, Ponticelli. Il monte Mario o colle di Cinna venne così chiamato dalla grande villa sulla sommità abitata da Mario Millini detto Il Cinna.

Sul monte Aventino vi era il bosco di mirti molto cari a Venere cosicché era conosciuto come la Valle Murcia. In quanto all’origine del suo nome vi sono due diverse versioni. La prima, si allaccia al fiume Avente da dove provenivano le popolazioni chiamata da Anco Marzio. La seconda, fa riferimenti ad Aventino, Re di Alba città latina.

 Il Palatino o Erboso o Nemoroso o Pecoroso per le sue vaste estensioni adibite a prati e a pascoli; una leggenda vorrebbe che nelle viscere di questo colle si trovi la tomba del giovanissimo Pallante, figlio di Evandro che fu ucciso dalla lancia del Re dei Rutoli.

 Questo fu il più aristocratico perché vi furono costruiti i Fori e le sontuose “Domus” delle maggiori famiglie oltre i templi dedicati al culto degli Dei fra cui Mefiti, Dea della febbre, da cui il nome.

Il culto per tale Dea era molto sentito dai romani che anche sul Viminale le avevano dedicato un tempio ed un altro sull’Esquilino, nel punto dove ora c’è la Basilica di Santa Maria Maggiore.

Il territorio paludoso di Roma aveva diffuso la malaria e quindi le febbri ricorrenti, seguite da decessi, giustificavano i sacrifici alla Dea per scongiurarle.

Roma, scivolando dai Colli, si fermò sulle rive del Tevere presso il Campo di Marte e l’Equire che era il grande spazio riservato alle corse equine di cui i romani erano fanatici

La massa delle abitazioni del nucleo romano odierno sta, appunto, fra il Tevere ad ovest, il Quirinale ad est, il palatino a sud, il Pincio a nord- ovest, mentre, il centro di Roma si trova alla Colonna Antonina o Monte Ciborio, sulle rovine dell’antico Teatro di Attilio Tauro.

L’Aventino era diviso dal Palatino da una valle profonda, selvaggia e paludosa le cui acque stagnanti erano coperte di rovi e sterpi che costituiva una marrana invalicabile corrispondente all’attuale Via dei Cerchi.

Sulle rovine del Palazzo di Sura, sull’Aventino, sorse poi la Basilica di Santa Prisca, contornata da altre chiese.

La Porta di San Paolo, all’inizio della via Ostiense, racchiude le quattro antiche Porte della città: la Trigemina, la Minucia, la Navale, la Lavernale.

Le Catacombe, gallerie sotterranee, si sono formate su antiche cave di travertino che era il marmo usato nelle costruzioni e che, a partire dal terzo secolo d.C.invalse l’uso di adibirle a cimiteri e fino alla fine del quinto secolo, se ne continuò la venerazione dei martiri cristiani e dei Papi ivi sepolti.. Solo nel nono secolo le loro reliquie vennero dislocate presso varie chiese.

 

 

IL MONTE SACRO

 

Il clima di barbarie prevalse a Roma fino a ché dalla Grecia affluirono altri interessi che incanalarono, verso altre mete, gl’ingegni più colti e sensibili. E fu un dilagare di Arti e Competizioni.

La nobile famiglia Cornelia, di origine sabina, prese a proteggere le Arti nuove che ben presto si svilupparono in grande misura, pur restando ferme le attitudini militari che volevano allargare i domini romani.

Il Console Servillo convinse parte della plebe ad arruolarsi contro i Volsci, gli Equi e i Sabini, facendo grandi promesse di ricompensa, ma i combattenti tornati vincitori da queste battaglie si videro defraudati dei loro diritti di cui si era fatto garante il dittatore Mario Valerio che, alla fine, si dimise indignato. La plebe infuriata dal sopruso subito decise di allontanarsi dalla città tanto ingrata e moltissime famiglie si accamparono per quattro mesi sul monte Sacro.

Di questa defezione si preoccupò l’aristocrazia romana che decise di far rientrare questo esercito di lavoratori e prodi soldati.

 

 

L’APOLOGO DI MENENIO AGRIPPA

 

 

L’incarico di arringare gli scioperanti fu affidato a Menenio Agrippa che trovò le parole giuste per far rientrare gli “evasi” col suo celebrato Apologo ove spiegava quanto fosse necessaria la unità di lavoro a qualunque scala sociale si appartenga e come nel corpo umano ogni organo è collegato agli altri per permettere la vita, tal quale la società deve essere unita in una fattiva collaborazione.

Ritornati alla normalità fu deciso di nominare due Tribuni col fine di tutelare gl’interessi della collettività contro l’opposizione formata da due Consoli che poi divennero cinque e, infine, dieci.

Ciò portò ai Plebisciti popolari che con la vittoria di Coriolano sancì alla plebe il diritto di veder tutelate le proprie ragioni e il Condottiero che era stato esiliato ritornò alla testa dei Volsci con l’intento di combattere contro la sua stessa ingrata patria:

Furono le supplice della sua vecchia madre insieme a quelle della moglie e dei figli che, movendogli incontro, lo fermarono sulla Via Latina che dissuasero Coriolano a fare guerra a Roma e a farlo tornare in esilio dove egli si spense

In seguito furono elaborate le prime Leggi di Diritto scritte a Roma su “Dodici Tavole” che si vuole siano la derivazione delle Leggi Greche che restano sempre la base del Diritto mondiale.

 

 

I SETTE RE DI ROMA

 

Il primo Re fu Romolo e il suo regno si estende dal 753 al 717 a fu lui che istituì un corpo senatoriale di cento membri, i Patres e i loro discendenti Patricidi e d ebbe inizio ad un primo assetto governativo alla città i cui nome pare provenga dall’antico nome del suo fiume Tevere che si chiamava Rumon oppure da Ruma che significa mammella in riferimento alla conformazione delle due vette del Palatino. Si deve anche a questo Re l’idea del ratto delle donne sabine per dare mogli ai suoi soldati e che scatenò la guerra coi Sabini, interrotta solo per l’intervento delle stesse rapite che s’interposero fra mariti e fratelli.

I due popoli decisero così di unirsi e si chiamarono Quiriti e furono governati da entrambi i Re:

Romolo e Tito Tazio fino alla morte di quest’ultimo che venne ucciso. Ma anche Romolo scomparve durante un uragano e si sparse poi la voce che fosse riapparso sulla Rocca sabina per annunziare di essere entrato in cielo nel rango degli Dei, automaticamente i sabini gli diedero il nome del loro Dio: Quirino e quiriti furono anche chiamati i cittadini unificati.

Il secondo Re fu Numa Pompilio( 717- 673 a.C.) oriundo di Cori e che, molto religioso, volle dare …”. Ad una città fondata con la forza e con le armi, nuove Leggi di Diritto e di buoni costumi.” Dedica un tempio a Giano e introduce il culto di Vesta, protettrice della Casa e della Famiglia. E lui stesso, conversa di notte con la ninfa Egeria sua consigliera.

 

 Il terzo Re fu un guerriero ( 672-641) Tullio Ostilio, sabino, che estese il territorio cittadino fino al mare creando il Porto di Ostia Ma egli scatenò anche la guerra contro Alba.

 In questo periodo avvenne il cruento episodio degli Orazi e Curiazi. Dopo la sconfitta dei sabini il Re si ammala e diventa religiosissimo e superstizioso e muore nella sua casa per un misterioso maleficio.

 

Il quarto Re fu Anco Marzio (639- 616) nipote del precedente che porterà a termine l’opera iniziata dallo zio dando un assetto stabile e definitivo alle formalità del Diritto di guerra e concedendo la cittadinanza ai vinti Questo contribuì ad aumentare la popolazione romana; il suo Regno ebbe una lunga durata ritornando vacante nel 616° a.C. alla sua morte.

 

Il quinto Re fu Lucio Tarquinio Prisco( 616- 578). Figlio di profughi, era un abitante molto ricco di Tarquinia. Il suo vero nome era Lucumone e, trasferitosi a Roma, entrò nelle grazie del vecchio Re e, quando si trattò di nominare il nuovo regnante, la scelta cadde su questo ricco etrusco che il popolo elesse all’unanimità.

 Egli, appena giunto al potere, procede alla nomina di cento nuovi senatori che raddoppiarono il numero della Curia e furono chiamati Padri di Secondo Rango.

 Fece costruire il Circo Massimo e la Cloaca Massima ed istituisce i Ludi Romani o Grandi Ludi che si terranno annualmente alle Idi di settembre.

Egli diede grande importanza al Ministero degli Auspici e non prendeva nessuna decisione senza aver consultato i presagi. Fu vittima di un complotto organizzato dai discendenti di Anco Marzio e, subito dopo, sua moglie Tanaquil, favorisce l’ascesa al trono di suo genero Servio Tullio che sembrava possedere poteri divini.

 

Il sesto Re fu, appunto, Servio Tullio ( 578- 535) che fu autore di molte iniziative.

Amplificò Roma unendovi il Quirinale e il Vicinale e fece cingere la città di mura che furono dette serviane e, sull’Aventino volle un tempio a Diana di cui ancora oggi se ne vedono i resti.

A lui si attribuisce l’ordinamento censorio dei cittadini che divise in cinque classi sociali.

Le prime due formate dai più ricchi che era un numero stragrande, le tre successive di numero minore e, infine la plebe, la massa degl’indigenti, Così che nelle votazioni la maggioranza spettava solo ai più ricchi.

Come il precedente Re anche lui fu assassinato per usurparne il trono e, a organizzare il misfatto, fu la figlia Tullia che col suo cognato/amante uccise il padre e ne calpestò il corpo col suo cocchio

continuando a reggere in suo nome, per un certo tempo, le sorti di Roma in combutta col suo tristo compagno che aveva sposato.

 

 Il settimo Re ( 534-510 ) fu Tarquinio, detto il Superbo per la sua grande tirannia.

Era figlio dell’altro Tarquinio che si rese responsabile di molte iniquità e mistificazioi, tradendo persino il Trattato coi latini e decimando i componenti del Senato per diminuirne l’autorità.

Fu inviso quindi dalle autorità e dal popolo che dopo un ennesima efferata impresa del figlio che violentò la matrona Lucrezia, moglie di un suo parente, inducendola al suicidio, una sommossa popolare spodestò il tiranno e il Senato ne confiscò tutte le proprietà, donandole ai cittadini che, però, non accettarono i covoni di grano dell’ultimo suo raccolto che per sfregio fu gettato nel fiume La leggenda dice che la grande massa vegetale si sia consolidata nel punto dove fu gettata determinando il primo nucleo compatto che ha formata l’Isola Tiberina.

 

 

 

 



ISOLA  TIBERINA

 

 

Il fiume Tevere che ha una lunghezza di 396 km e attraversa Roma formando due grandi curve: la Ovest settentrionale e la Est meridionale, ha una particolarità:quasi alla metà del suo percorso  vi troneggia un’Isola a forma di nave: La Tiberina, proprio quella formatesi sulla grande massa del raccolto di Tarquinio il Superbo.

Ma oltre questa leggenda, sull’ Isola Tiberina ve n’è un’altra altrettanto fantasiosa e risale al tempo in cui il Tevere era navigato ed era il mezzo di comunicazione più usato perché aveva  molti  Porti con specifiche mansioni. Quello di Ripa grande, era adibito allo scarico delle merci di lunga conservazione che venivano ammassate all’Annona di Ponte Sublicio, in quello di Ripetta giungevano giornalmente i barconi che dalla Sabina scaricavano olio, vino e prodotti ortofrutticoli,

a Ripa grande vi era lo scarico e la compravendita delle pescagioni.

Essendo quindi consueto il percorso fluviale  i trasporti erano vari  e  rafforzatisi i rapporti commerciali con l’Oriente, il traffico su nave era di norma e non era raro vedere scaricare, colonne e statue firmate da insigni scultori che ancora abbelliscono Roma.

La premessa è stata necessaria per spiegare come nel 461 a.C. il Serpente  Epidauro sacro a Esculapio  e richiesto da Roma per scongiurare una grave pestilenza , si trovasse su di una nave

in mezzo al Tevere. La bestia, evidentemente mal custodita, sgusciò dalla cesta in cui era tenuto e con un guizzo saltò nel fiume sparendo nel canneto dell’Isola Tiberina e non fu più ritrovato. 

Sembrò un volere degli Dei che l‘animale sacro restasse in quel luogo e vi fosse anche costruito un ospedale, attribuendogli il tempestivo esito benigno della pestilenza

Per questo il primo Ospedale in muratura fu costruito proprio all’Isola Tiberina. 

 

 

L’AVVENTO DELLA REPUBBLICA

 

Con il triste retaggio delle ignobili imprese dell’ultimo regnante, Roma decise d’instaurare un governo repubblicano ( 509 a.C.)

Ma anche l’avvento della Repubblica  si rese responsabile di fatti criminosi a cominciare dal suo fondatore, Lucio Giunio Bruto primo Console e autore di grandi gesta guerriere che si rivelò rozzo e feroce giungendo a far condannare a morte i suoi propri figli , rei di aver appoggiato il ritorno dei  Tarquini.

Nel contempo le grandi famiglie latine e sabine stavano stabilizzando le loro posizioni.

 

 

I  GALLI

 

Molti furono i popoli barbari che saccheggiarono e portarono le guerre a Roma e il primo fu quello dei Galli che dalla vicina Francia riuscirono a vincere la resistenza dei confini ed entrarono in Roma mettendola a sacco e  bruciando ogni cosa .(58 a..C.)

Fu risparmiato solamente il Colle Capitolino per merito delle oche che vi venivano allevate che, svegliate a mezzo della notte, presero a starnazzare in coro dando l’allarme alle sentinelle che riuscirono a disperdere gli assalitori.

 

LE  VIE  CONSOLARI

 

Un grande merito dei romani furono le grandi vie di comunicazione  che costruirono e che ancora oggi esistono.

Le Vie Consolari, appunto,  perché volute dai  Consoli che dipartendosi da Roma, come i raggi  di una  stella , raggiungevano tutte le località in modo diretto e proficuo per lo scambio di merci e, soprattutto facili per i guerrieri locali e  mercenari.

Le costruzioni stradali furono di  egregia esecuzione e sono ancora fonte di ammirazione perché hanno resistito al tempo e ai cambiamenti climatici e alle molte calamità naturali:
L’Aurelia  del 2° secolo a.C. che lungo le coste dell’Etruria raggiunge Genova, spingendosi fino alla Francia.

La Cassia che congiunge Roma con Firenze, fu costruita al tempo degli Etruschi e lastricata da un certo Cassio, da cui prese il nome.

L’Appia del 312 a.C.voluta dal Censore Appio Claudio il Cieco, attraversando le Maremme pontine, collegava Roma con Capua , poi prolungata fino a Benevento e, ancora, agl’inizi del 2° secolo portata fino a Brindisi.

La Flaminia costruita nel 220/ 19 da Gaio Flaminio il Censore, dipartendosi dal  Campo di Marte

(odierna via del Corso) arriva a Rimini.

L’Emilia, nel 187 a.C. fu fatta costruire dal Console Marco Emilio Lepido e va da Piacenza a Rimini.

La Salaria, letteralmente via del sale, adibita al trasporto di questo preziosissimo e insostituibile prodotto marino, attraverso l’Appennino va al Mare Adriatico.

La Valeria  infine che va fino a Corfino in Calabria..

 

 

LA CIVILTA’ GRECA E   SUCCESSIVA  DECADENZA

 

A  dispetto delle Dottrine spiritualistiche di Socrate e Platone, la civiltà greca portò a Roma corruzione e depravazione. Lo spirito maschio e virile  dei romani fu snervato dalla ginnastica intellettiva del Sofismo di Carneade che insegna a trovare il pro e il contro di ogni questione col solo ragionamento.

Anche la dottrina materialistica di Epicureo fu intesa da essi col più largo senso di permissività seppure il filosofo, vivendo di sole cipolle e acqua, voleva dimostrare che è l’uomo stesso con la sua sapienza a rendersi felice, lasciando trionfare i godimenti dello spirito, moderando i desideri della carne.

Questi buoni concetti, purtroppo, furono travisati dai suoi successori che, inneggiando al soddisfacimento di ogni passione, sollecitarono i romani a divenire atei e materialisti.

Fu l’inizio delle satire sugli Dei di cui si fece portavoce Metradoro.

Nella storia, fortunatamente, sono rimasti molti bellissimi esempi di grandi Stoici come Catone il Censore che con Paolo Emilio combatterono la dilagante perversione che aumentava col sopraggiungere del benessere e che nessuno poté arginare.

Colui che sottoscrisse pienamente il materialismo fu Lucrezio Caro , il miglior poeta di Roma  seguito da Orazio e Gaio Nervo che, neppure romano, osò lanciare un satirico epigramma  contro il grande Scipione che costrinse a ritirarsi in esilio nella sua villa di Literno ove preferì morire dicendo la fatidica frase rivolta a  Roma: “ Ingrata Patria, non avrai le mie ossa!”

 

 

LUCIO SERGIO CATILINA

 

Le macchinazioni sotterranee, dell’astuto Catilina ( 199-162 a. C.) furono indovinate dal Console Marco Tullio Cicerone, filosofo e scrittore, già Pretore di Sicilia., che riferì pubblicamente di aver scoperto una sua probabile congiura , ma l’accusato, senza scomporsi, preparò un attacco armato contro il suo accusatore. Cicerone, riuscito a salvarsi  dall’attentato, ripropose le accuse fatte e pronunziò in Senato la prima delle quattro Orazioni Catiliniane , con una oratoria chiara e con lo stile che gli era abituale.

Catilina rimbalzò le accuse contro l’infiammato Console sperando nel consenso dei Senatori che invece lo scacciarono disgustati, mentre lui come una belva inferocita giurava che si sarebbe vendicato durante le prossime feste dei Saturnali (carnevale ).

Ma la vendetta annunziata non poté compierla perché fu ucciso a Pistoia mentre combatteva a capo   

dei veterani di Silla.

Molti anni dopo Sallustio scriverà un’opera attorno alla congiura di Catilina intitolata appunto: Catilinaria.

 

 

 

LA FAMIGLIA  DEI GRACCHI

 

 

Da Sempronio Gracco e Cornelia figlia di Scipione l’Africano, nacquero Tiberio Sempronio, di aspetto e sentimenti gentili, ma dal fermo carattere  e Gaio più impulsivo e irrequieto.

Tiberio fu eletto Tribuno della plebe durante la crisi politica sociale economica della Repubblica

con la decadenza del ceto medio rustico.  Egli perorando le richieste degli agricoltori, promulgò una legge agraria loro favorevole, ma la classe abbiente insorse adirata  e il Console Opinio  prese la decisione di abrogarla  decretando la morte del Tribuno e del suo partigiano Fulvio Flacco.

Allorché anche  Gaio Gracco fu eletto Tribuno (124 a C) cercò di portare avanti, fra molte ostilità, l’opera iniziata dal fratello, ma non ebbe diversa accoglienza ed anche lui  fu perseguitato dai potenti  che si servirono di Druso per metterlo in cattiva luce presso i sostenitori che lo avevano appoggiato. Dovette stare lontano da Roma per tre mesi durante i quali prese parte alla ricostruzione di Cartagine. Ma non poté sottrarsi alla morte poiché un miserabile per riscuoterne la taglia a peso, lo uccise, tagliò la testa dal suo cadavere e la riempì di bronzo fuso per renderla più pesante. 

Della Matrona Cornelia si ricorda la frase che pronunziò indicando i suoi  figli quando erano ragazzi: “Questi sono i miei soli gioielli” e dopo la loro morte, affranta, vedova e sola, si ritirò sul lago Miseno rifiutando la proposta di matrimonio dal Re Tolomeo d’Egitto.

Visse fino alla morte nel ricordo dei suoi valorosi figli che aveva allevato nell’amore di Patria e del prossimo. La Storia la ricorda infatti più come la Madre dei Gracchi che come figlia di Scipione.

 

 

MARIO  E  SILLA

 

Mario era  un plebeo di Arpino ( 156 a.C.) che all’ignoranza univa un grande coraggio e col suo   impeto e la smisurata ambizione , riuscì a farsi eleggere Tribuno  e a proporre una legge contro il

broglio delle elezioni. L’aristocrazia sdegnata gli fece violenta opposizione  a cui Mario rispose con la forza , imponendosi anche al Console Metello che da principio lo aveva agevolato.

La sua legge riuscì a passare , ma ben presto egli cadde in disgrazia  sia fra i nobili che fra i plebei.

Si riscattò combattendo valorosamente in Spagna e, tornato a Roma prese in moglie Giulia , sorella di Giulio Cesare e Metello , dimenticato lo sfregio ricevuto in passato, lo nominò luogotenente e lo condusse seco nella guerra in Numidia che fu vinta ( 138-78 a.C.)

Lo sconfitto Giugurta figlio naturale del Re di Numidia , fatto prigioniero fu condotto a Roma dal giovane patrizio Lucio Cornelio Silla, protetto da Mario.

Giugurta , da sempre nemico acerrimo dei romani, nel momento che fu espulso da Roma indirizzò alla città la nota frase dispregiativa:”Città vendereccia che non aspetti altro che il compratore!”

La frase era motivata dall’avere in passato corrotto col denaro Calpurnio e il Tribuno Bebio che erano alti esponenti del Senato. La frase oltraggiosa non fu perdonata da Roma che si vendicò tenendolo a lungo nelle prigioni sotterranee della Tulliana  finché morì di fame.    

Ma i popoli barbarici sempre in fermento , continuarono a non dare tregua agli eserciti romani che cinque secoli più tardi avrebbero  visto atterrare il potentissimo edificio che avevano costruito.

Divenuto Console, Mario, assunse il comando supremo in Africa dimostrandosi crudele, spietato e vendicativo anche verso Silla. Questo da amico gli divenne nemico e lo combatté con la stessa ferocia e quando divenne , finalmente Console, anche Silla si comportò da dittatore inumano e istituì persecuzioni inutili persino verso amici e parenti che si ritrovarono condannati senza motivo.

Silla si giovava del suo potere per soddisfare i suoi odi privati e, in tal modo, si disfece anche di suo fratello facendolo uccidere da Catilina.  Il feroce Console  spremette sangue e denaro da tutte le province soggiogate aiutato anche dalla fortuna ; Grecia, Asia, Africa, Italia .

Nel ritirarsi volontariamente a Cuma, non aveva più nulla da pretendere né da dare e la sua vita scorreva fra orge e stravizi che lo portarono a contrarre una schifosa malattia che gli procurò la morte dopo solo un anno.    

Il Console che lo seguì  fu Pompeo al quale Silla aveva dato l’aggettivo di Magno, ma che si rivelè anche lui subdolo e falso. 

 

 

LA  FAMIGLIA GIULIA:  GIULIO CESARE

 

 

Al tempo della dittatura Sillana, Giulio Cesare era un diciottenne dissipato, vizioso e calcolatore, sposo di una figlia di Cinna che poi lo tradì  con  Clodio  del quale rimase amico, dopo aver scacciata la moglie infedele. Lo scopo che ebbe nel tenerselo amico  era  il subdolo progetto di potersi servirsi di lui in avvenire.

Alla morte della zia Giulia, moglie di Mario, egli fece un discorso pubblico molto commovente per ingraziarsi il popolo e mettersi in buona luce . Ricordò la sua discendenza divina  perché  Giulia era  figlia di Anco Marzio, diretto discendente di Venere.

Malgrado i milioni di debiti a causa della sua vita dissipata , covava il segreto sogno di governare Roma . Con molta astuzia e geniale valore militare, riuscì nel suo ambizioso progetto.

Per la strategia psicologica delle sue vittorie militari in Gallia, nei confronti del nobile Averno (Vercingetorige) coadiuvato da Pompeo, divenne ben presto l’unico artefice della potenza di Roma di fronte al mondo intero. Talmente sicuro di sé stesso, operava  a suo piacimento in ogni campo accentrandosi tutti i poteri.

Suscitò odi ed invidie fino a che una congiura predisposta da Cassio Longino e Bruto, nipote ed anche genero del grande Catone il Censore, ebbe ragione  dello statista  che fu pugnalato con 23 coltellate agli idi di marzo 44 a. C.nel Senato da Tullio Cimbro e Casca. Nel momento  della morte

Cesare vide fra i congiurati Bruto al quale aveva data la sua paterna protezione e con amarezza a lui si rivolse  dicendo: “Anche tu Bruto, figlio mio!” La sua mente acuta non aveva capito di avere avuto accanto un traditore.

 

 

IL PRIMO TRIUNVIRATO

 

Antecedente  al governo di Cesare fu  composto il primo Triunvirato ( 60 a.C.) da  Cesare, Crasso  e Pompeo che si erano spartiti così i  Consolati: Cesare presiedeva alle Gallie, Crasso alla Siria e Pompeo alla Spagna. Lo scontento per queste spartizioni era sta una delle cause che avevano fatta ordire la congiura che aveva determinata l’uccisione di Cesare , ma la sua morte non era riuscita a coronare le intenzioni di chi l’aveva voluta perché la Repubblica dei Triunviri non riemerse perché il popolo temeva di ritornare alle persecuzioni Sillane e alle vendette Mariane.

Cesare, malgrado tutto, aveva saputo instaurare una certa tranquillità e prosperità, perciò il devotissimo cesariano Marco Antonio coadiuvato dal dottissimo Cicerone, proclamò l’amnistia per gli assassini del grande Cesare, impossessandosi delle sue sostanze e dei suoi incartamenti segreti e insieme a Lepido divenne padrone di Roma.

Antonio per ingraziarsi il popolo promise pubblicamente che avrebbe continuato a governare come Cesare e lesse a tutti il testamento da lui lasciato.

Vi era nominato come erede il giovane nipote Ottavio che aveva amato come un figlio e che, a quel tempo, si trovava in Apollonia per educarsi alla vita militare; vi era anche il perdono per suoi eventuali nemici e lasciti dei giardini al popolo e a ogni romano lasciava 300 sesterzi.

La generosità postuma del loro grande Capo commosse il popolo di Roma che inorse in massa durante i funerali mentre piangeva e imprecava ai suoi carnefici.

Nel momento che il cadavere doveva essere gettato sul rogo , seguendo l’usanza del tempo, accaddero scene indescrivibili. I soldati  di Cesare gettarono fra le fiamme le loro armi e le loro onorificenze affinché insieme al Condottiero che li aveva guidati in tante vittorie, bruciassero le insegne e i simboli della gloria di Roma conquistati al suo fianco.

Furono bruciati la Curia e il Senato e, nella confusione generale, risultò chiaro che Antonio avrebbe avuta l’autorità assoluta per c consolidare la posizione che si era assunta. Da quel momento, ogni suo atto, fu giustificato dalla certezza che egli  seguiva le direttive del suo predecessore.

Antonio ristabilì la sua fortuna personale al punto che da debitore di otto milioni  si trovò in breve tempo in possesso di 135 milioni e fu in condizione di comprare tutto e tutti.: soldati, Senatori e popolo. Il commento di Cicerone fu questo: “Un tiranno è morto, ma la tirannia vive ancora e mai cesserà!” 

 

 

 



L’IMPERO DI AUGUSTO

AGRIPPA E IL PANHEON

 

 

L’impero di Augusto (63 a.C- 14 d.C.) fu davvero potente, Marco Vipsanio Agrippa ne fu il braccio e Mecenate la mente giacché il fondamento del suo potere fu l’esercito e, per poterlo pagare, Augusto inventò l’imposta del centesimo su ogni cosa venduta all’asta pubblica e del 20% sulle eredità e quella del 50% sugli schiavi. Roma fu trasformata e abbellita tanto da renderla grandiosa e opulenta, rendendo orgoglioso l’Imperatore che si vantava di averla trovata di mattoni e di averla impreziosita coi marmi. Ed era vero!

L’apporto di Agrippa in tanto splendore fu importante perché divenuto genero di Augusto ebbe l’incarico di Responsabile dell’Edilizia di Roma in questo ambito fece edificare il maestoso Pantheon, principalmente come forma di adulazione verso il suo “padrone - imperatore - suocero”

Anche le Strade Consolari servirono a collegare i vari punti dell’Impero, diventato vastissimo e fu necessario organizzare anche un regolare servizio postale.

Furono poi i Barbari ad offuscare tanta grandezza quando, sulle sponde del Reno, le invincibili, fin’allora, armate di Augusto si ritirarono sconfitte.

Con la morte di Agrippa sembrò che la fortuna volgesse le spalle al grande Cesare Augusto che fu costretto a trascorrere i suoi ultimi anni fra lutti e abbandoni.

Perse, infatti molti congiunti:la sorella Ottavia, il nipote Marcello, il figliastro Druso secondogenito della moglie Livia, sposata in seconde nozze; vide anche la fine di Mecenate il suo acuto consigliere e dei poeti filosofi Virgilio e Orazio.

Le condotte scandalose di sua figlia Giulia e della omonima nipote, gli avevano causate continue angustie e, a rendergli la vita difficile, c’era anche la stessa Livia che lo assillava nel perorare la successione dell’altro suo figlio Claudio Nerone Tiberio. Ma l’Imperatore, irremovibile, adottò invece, i nipoti, figli della sorella Giulia Lucio e Gaio  perciò il dissimulatore e ambizioso Tiberio, infastidito dal rifiuto del patrigno, si ritiro a Rodi vivendovi imbronciato per sette anni una vita privata.

Ma, inspiegabilmente i nipoti di Augusto perirono uno dopo l’altro e per lui, si ripresentò la possibilità della successione.

A contrastare la questione vi era pure il figlio di Druso, Agrippa Postumo, un altro nipote diretto appena quattordicenne.

Augusto, per assicurarsi una successione, non poté esimersi di adottare sia Tiberio che il nipote che malgrado l’acerba età iniziò a comportarsi in modo indegno dando scandalo con tutti i suoi vizi, degno emulo di madre e sorella.

Il settuagenario Augusto si approssimava alla fine tanto attesa da Livia e Tiberio.

E fu,durante l’ultimo viaggio in Campania che il grande Cesare, spirò pronunziando una frase quale compendio alla sua esistenza: “La commedia è finita… applaudite, spettatori!“.

Col suo “finale” si autodefinì commediante, come in effetti, era sempre stato secondo il tornaconto del momento.

Ottavio (43 a.C.) pure sensibile e delicato, aveva assimilato dal grande zio l’audacia e la lucidità di pensiero che unite all’alta intelligenza, lo indussero a rientrare a Roma per reclamare il diritto di successione

Ma il rifiuto di Antonio fu categorico come lo fu per la restituzione dei beni ereditati, tanto che prese la via della Grecia, non intendendo restituire nulla di quanto si era appropriato.

Ottavio rientrò a Roma intenzionato a rispettare le ultime volontà di Cesare e dare seguito alle sue disposizioni testamentarie e per farvi fronte, il defraudato erede, annunziò che avrebbe venduto i suoi beni personali e, la promessa gli conquistò le simpatie del popolo.

Mentre Antonio perdeva le simpatie del popolo e del Senato, osteggiato per le sue tante volgarità che nessuno era più disposto ad accettare.

Con queste basi fu istituito il secondo Triunvirato.

 

   

IL SECONDO TRIUNVIRATO

 

 

I Triunviri di questa nuova Lega ( 44 ) furono: Lepido, Antonio e Ottavio, quest’ultimo però dopo la sua dimostrazione di clemenza nei riguardi degli assassini di Cesare, cambiò tattica e divenne crudele.

Ricominciarono così le liste dei condannati a morte, ottenute con delazioni e vari tradimenti che sicari ben pagati s’incaricavano di eseguire e ognuno poté approfittarne per le proprie vendette.

Antonio e la moglie Fulvia si vendicarono di coloro che avevano scagliate invettive, più che giustificate, contro di loro e, fra questi, fu condannato a morte anche Cicerone.

Questi per sottrarsi alla condanna volle mettersi in salvo fuggendo, ma fu scoperto e, colpito a tradimento, ebbe mozzate le mani e la testa che furono mostrate come dei trofei durante un lauto banchetto presieduto dalla infame coppia e, la donna, soddisfatta di fronte a quei resti, infilzò uno spillone in quella lingua che era sempre stata tanto eloquente.

Dopo la vittoria di Filippi in Macedonia ( 42) Antonio e Ottavio scalzarono Lepido perché non era riuscito a farsi valere, mentre gli sconfitti Cassio e Bruto, preferirono darsi la morte piuttosto che ritornare a Roma da prigionieri.

Ottavio, dopo un solo anno di matrimonio aveva ripudiata la moglie, figlia di Antonio e Fulvia sposata per ragioni di stato, ma la suocera non gli perdonò mai l’affronto, divenendo la sua più acerrima nemica e tramando nell’ombra, sparlava di lui, facendo credere a tutti che egli non aveva nessuna intenzione di ottemperare ai desideri dello zio e se Antonio prolungava la sua permanenza ad Alessandria era solo per reperire i fondi necessari da destinare ai legati testamentari e, istigando

Lucio ad armarsi contro di lui.

Le truppe di Lucio attaccarono Ottavio che rispose con le sue legioni comandate da Agrippa.

Presso Perugi0 avvenne lo scontro che vide la vittoria di quest’ultimo che trattò il nemico sconfitto con molta clemenza relegandolo in Spagna.

 

 

 

OTTAVIO ANTONIO CLEOPATRA

 

 

Antonio giunto ad Alessandria fu preso dai lacci d’Amore della fatale Regina Cleopatra posta sul trono d’Egitto da Cesare dopo essere stato irretito dalle sue arti maliarde ed averlo legato a se avendogli dato un figlio, il piccolo Cesarione ( 46 a.C.) che avrebbe avuto un tristo destino.

Gli avvenimenti che stavano accadendo a Roma costrinsero Antonio a interrompere la sua vita di orge e baccanali ad Alessandria per organizzare un’offensiva atta a schiacciare Ottavio, ma essendosi coalizzato coi congiurati di Cesare, trovò il rifiuto del popolo e dei soldati che, invece di aiutarlo contro Ottavio, pretesero che egli si accordasse con lui.

Le sorti di tante battaglie vennero anche influenzate dal carattere volubile di Ottavio, occupato soprattutto a ripudiare mogli, difatti, dopo aver ripudiato anche Scribona, figlia di Pompeo, si sposò nuovamente con Livia resa incinta da Tiberio Nerone.

L’offeso ex suocero Pompeo,comandante della flotta, per vendicarsi sospese gli approvvigionamenti delle sue truppe cosicché anche l’intera popolazione ne fu coinvolta, facendo pressione affinché avvenisse la riappacificazione dei contendenti.

La pace fu firmata a Capo Miceno alla presenza di Sesto Pompeo al quale furono concesse le Tre Isole e l’Acaia con l’aggiunta di 17.500.000 dracme.

Sopravvenute altre inadempienze da parte di Ottavio, abituato a non mantenere le promesse, questi rimase solo contro tutti.

Fu Lucio Agrippa di ritorno dall’Aquitania col grado di Console, a ricostituire la nuova Flotta e Antonio, sollecitato dalla ultima moglie, sorella di Ottavio cedette al cognato 100 vascelli in cambio di due legioni di soldati che rappresentarono per il ricevente una grande vittoria.

Da parte sua Antonio, confortato dall’amore di Cleopatra che lo seguiva ovunque, aveva intrapresa la guerra contro i Parti, quando ricevette la notizia che il cognato, collega e rivale, si era insediato a Roma come beneamato Capo.

Scaltramente aveva raggiunto il suo scopo, accordando ai veterani di guerra l’esonero delle tasse e l’assegnazione di terreni, dichiarandosi Capo provvisorio fino al ritorno di Antonio.

Invece, venuto a sapere che nel Tempio delle Vestali era segretamente custodito il testamento di Cesare, violò la santità del luogo precluso agli uomini e se ne impadronì..

Lesse così che l’intenzione di Cesare era quella di eleggere suo successore Cesarione, suo figlio legittimo per avere egli sposato segretamente Cleopatra.

Vi era anche aggiunta una clausola dello stesso Antonio che testimoniava la veridicità dell’unione legittimando anche la volontà che, a suo tempo, la Regina fosse inumata nella stessa sua tomba.

Il Senato, reso edotto di questo contenuto decise di togliere il Consolato ad Antonio perché il suo comportamento ad Alessandria non era ben visto e disdegnava pure i continui doni che la bellissima sovrana gli dispensava. La decisione del Senato fu la dichiarazione di guerra per i due amanti che si apprestarono a ricevere la Flotta capeggiata da Ottavio.

Cleopatra seppe convincere Antonio a scegliere il mare come campo di battaglia, il ché si rivelò un grosso errore perché la vittoria arrise al valente ed esperto Agrippa il 2 settembre del 31 a.C.

La Regina, si affrettò al ritiro con le sue 60 Galere mentre Antonio, che da bordo della sua Ammiraglia la vide allontanarsi pensò solo a seguirla abbandonando il comando e, i soldati, senza più guida, furono facilmente sbaragliati dal rivale che sottomise anche gli eserciti di terra (31.a.C.) Anche in questa vittoria rifulse la clemenza di Ottavio che inseguì senza infierire le navi dei perdenti fino in Asia. E fu proprio Antonio a dare prova di viltà perché si umiliò tre volte a chiedere grazia e, vista l’inutilità si decise al suicidio.

Da parte sua la regina provò a corromperlo con le sue grazie, ma Ottavio si mostrò di ghiaccio.

Umiliata dal disprezzo e non volendo sottostare alla prigionia, durante il viaggio verso Roma si diede la morte facendosi pungere il seno da una aspide velenosa.

Anche la fine dell’erede Cesarione fu decretata dallo stesso Vincitore con la certezza di non avere più ostacoli per la sua trionfale ascesa che lo investì del più alto ruolo col titolo riserbato solo agli Dei: Giulio Cesare Ottaviano Augusto.

 

       

 

 TIBERIO

 

 

A 56 anni Tiberio assunse il titolo di Imperatore ( 42 a. C.- 37 a. C.) dopo essere stato un buon Generale di gusti semplici e tranquilli e molto studioso, col raggiungimento del potere però, si trasformò divenendo feroce e sospettoso e iniziò a compiere ogni sorta di azioni nefande.

Sorse il dubbio che le morti misteriose del passato che si erano verificate in famiglia, fossero da attribuirsi alle sue losche macchinazioni e la conferma venne costatando che dalla sua residenza di Capri, l’Imperatore, dirigeva una politica di terrore. Da quella dolce e romantica isola partenopea partivano continui complotti verso amici e parenti che sicari prezzolati portavano a compimento mentre a Roma si paventavano spie e tradimenti ovunque.

Il tristo Tiberio morì il 16 marzo dell’era cristiana.

 

 

 

  CALIGOLA

 

 

Il terzo Imperatore ( 37 ) fu Caio, il figlio venticinquenne di Germanico che era nipote di Tiberio e portava abitualmente i caliga, un particolari tipo di calzari militari per questo gli fu affibbiato il nomignolo di Caligola.

Iniziò a governare sotto i migliori auspici, ma anche per lui, lo stato di grazia durò pochissimo perché dopo solo otto mesi, la pazzia gli offuscò la mente a causa di un brutto male.

Già di carattere crudele e fanatico, tentò d’istaurare una monarchia assoluta e divenne sregolato e tiranno compiendo indescrivibili nequizie fino a che, quattro anni dopo, un complotto popolare, ne decretò la morte che avvenne per mano di Cherea.

 

 

 LA FAMIGLIA CLAUDIA

 

 

La famiglia Claudia di origine sabina, a differenza della latina famiglia Giulia che aveva conquistato l’Impero, sarebbe stata quella che lo avrebbe dispoticamente sfruttato.

A eleggere il successore di Caligola, furono gli stessi soldati che favorirono l’ascesa di suo zio Claudio, bonario e modesto.

Il nuovo Imperatore aveva 50 anni e, fisicamente era tozzo e insignificante per di più era affetto da una balbuzie grave e incontrollabile che lo faceva apparire un ritardato mentale.

Ben presto però quella che era apparsa incapacità si rivelò per essere soltanto grande timidezza poiché egli subito dopo l’incoronazione iniziò a promuovere atti intelligenti e ispirati alla clemenza che il popolo dimostrò di apprezzare.

Ma la sua passività finì di fronte ai tradimenti della sfrenata consorte Messalina che, coadiuvata dai suoi liberti Narciso e Pallade, si era resa protagonista di sfrenate libidini ed aspre congiure, cosicché esasperato il pacifico Claudio, nel 48, la fece condannare a morte.

Sposò in quarte nozze sua nipote Agrippina, già moglie di Gneo Domizio Enobarbo da cui aveva avuto un figlio: Nerone e che, scaltra e ambiziosissima riuscì con subdole manovre a combinare il matrimonio di suo figlio con Ottavia col preciso intento di scalzare dalla successione il legittimo erede al trono Britannico.

Perseguendo il suo scopo, convinse il marito a ripudiarlo facendo adottare Nerone.

Avvenuta l’adozione, Claudio, incautamente una sera in cui era un po’ alticcio ed euforico glielo confidò, senza rendersi conto che questa “ chiacchierata” avrebbe decretata la sua fine.

Ciò avvenne poco tempo dopo per volere dell’infame compagna che lo fece avvelenare accelerando la salita al trono di suo figlio.      

 

 

 



NERONE

 

 

Secondo le trame di Agrippina, suo figlio Nerone(37-68 d.C.) divenuto Imperatore, avrebbe dovuto comportarsi seguendo i suoi consigli, ma, al figlio, il potere aveva dato alla testa e il suo carattere era uguale al proprio. Come lei era dispotico, scriteriato e ambizioso.

All’inizio l’Impero di Nerone fu tranquillo, come per organizzare un progetto.

Presto la durezza e la spietatezza del suo animo vennero in luce e la stessa madre, che lo circuiva, tentando di sedurlo, fu una delle sue vittime perché, non sopportandola più, la fece sopprimere senza pudore né coscienza.

Nerone commise infiniti errori e cattiverie e le sue oscenità e violenze furono veri e propri reati che gli attirarono odi irreversibili.

Una delle cose più truci fu l’assassinio di Seneca, senza dimenticare che sua moglie Ottavia perì in seguito ad un calcio nel ventre che gli scagliò il non tenero marito mentre lei si trovava in avanzata gravidanza.

La storia racconta che per godere di uno spettacolo inusitato fece incendiare Roma, attribuendone la colpa ai cristiani, mentre lui suonava la cetra, estasiato dalle fiamme che la stavano distruggendo.

Dopo le persecuzioni cristiane, il mondo preferì disfarsi di un rappresentante così inumano e, in una rivolta armata in Gallia capeggiata da Vindice fu organizzata la sua fine.

Il risultato fu negativo e il progetto non ebbe l’esito sperato tanto che, lo sconfitto Vindice, non resse lo smacco e si tolse la vita.

Ma i rivoltosi decisi a disfarsi dell’impossibile dittatore non gli diedero scampo e il despota sanguinario, inseguito dagli emissari, fu costretto a fuggire.

Riuscì a nascondersi nella capanna di un suo liberto dove giunse sfinito, ma vista l’impossibilità di salvarsi scelse il suicidio e col suo atto ignominioso finì la Famiglia Claudia.

 

 

 

LA FAMIGLIA FLAVIA

VESPASIANO

 

L’autocrazia militare capeggiata da Galba era quanto restava dell’operato del grande Cesare Augusto 54 anni dopo la scomparsa di Nerone. L’ex marito di Poppea, Ottone, sollevò l’esercito        

contro Galba insediandosi al suo posto, ma la durata di questo predominio ebbe breve durata.

Vitellio che lo vinse in battaglia uccidendolo, fu eletto e incoronato velocemente dimostrando però altrettanto rapidamente la sua inettitudine nella disastrosa amministrazione che dirigeva.

In soli sei mesi spese 200 milioni per soddisfare la sua ingordigia, gozzovigliando fra banchetti fantasiosi e lussuriosi.

Fu sostituito da Vespasiano della famiglia sabina Flavia che non aveva origini nobili ed aveva pure pochi mezzi economici. Ciò non impedì un governo onesto e corretto che gli fece acquisire stima e rispetto. In 10 anni il suo operato seppe riportare la corrotta società su binari più retti e puri

migliorando le condizioni finanziarie e curando l’istruzione popolare.

La gente gli si mostrò devota, salvo a non accettare le sue imposizioni da despota perché non amava essere contraddetto e, ugualmente despota fu suo figlio Tito che gli succedette in un regno brevissimo durato soltanto 27 mesi.

A suo ricordo positivo sono le mastodontiche Terme di cui ancora resistono le strutture portanti e che, iniziate da suo padre, riuscì a portare a compimento durante un periodo di disastrose calamità che si abbatterono sull’Italia intera.

Un incendio di proporzioni immense che durò tre giorni e distrusse buona parte di Roma, l’eruzione del Vesuvio così terrificante da distruggere Stabia, Ercolano e Pompei, una pestilenza di vaste proporzioni che fece stragi in tutta la penisola.

Tito morì nella sua villa in Sabina, avvelenato dal fratello Domiziano che poi prese il suo posto.

Diocleziano, sadico e vanitoso, si circondò di adulatori che lo chiamavano Dio.

Ma anche la sua vita fu stroncata improvvisamente dopo 15 anni di regno per mano di sua moglie che essendo stata informata segretamente di essere stata condannata a morte a breve scadenza, decise di precederlo agendo in modo molto più rapido di lui offrendogli una pozione avvelenata.

 

 

LA FAMIGLIA ANTONINA

TRAIANO           

 

Coccejo Nerva iniziò la serie degli Antonimi che si dimostrarono soddisfacenti sino all’avvento di Commodo, crudelissimo e iniquo al pari di Caligola, Nerone e Domiziano.

Nerva adottò Traiano, il migliore dei generali, associandolo nella direzione dell’Impero.

Fu una saggia decisione perché, il generale, era nelle simpatie del popolo, tanto che alla morte del suo benefattore fu eletto a furore di popolo.

Traiano si dimostrò giusto e umano e si fece promotore di molte opere di pubblica utilità come i Porti di Ancona e Civitavecchia (Centum Cellae); favorì l’agricoltura e molti altri settori e fu sempre abile amministratore.

Morì a Selinunte Cilicia dopo aver regnato per 19 anni e le sue ceneri furono sepolte sotto la Colonna che porta il suo nome.

 

 

ADRIANO

 

 

Proposto da Plotina, vedova di Traiano, salì al podio colui che il marito aveva già destinato a succedergli, il suo cugino in seconda Adriano che non aveva l’animo guerrafondaio, ma le continue sollevazioni degli ebrei in oriente che turbavano le popolazioni, lo spinsero a muovere guerra contro questo popolo. La spedizione fu aspra e feroce perché distrusse Gerusalemme inducendo la dispersione del popolo ebreo. L’Imperatore subiva gli effetti della sua doppia personalità.

Sapeva reprimere la prepotenza e la malversazione quando era pacifico e giusto, ma se diventava irascibile compiva gesti di somma crudeltà ed essendo omosessuale pretendeva che si rendessero onori divini al suo ganimede il bellissimo efebo Antinoo.

Nell’ultima parte della vita era diventato sospettoso e, non fidandosi più di nessuno, mandò a morte amici, parenti e servitù.

Morì a Baia predisponendo a suo successore Tito Aurelio Fulvio, passato alla storia col nome di Antonino il Pio che si distinse per aver dato all’Impero un periodo di pace con una promozione di prosperità materiale che ridonò respiro alla martoriata Roma.

Fu lui ad adottare lo studioso Marco Aurelio, ritenendolo degno di succedergli.

E i fatti gli hanno dato ragione.

 

 

MARCO AURELIO

 

Lo stoico convinto Marco Aurelio seppe esercitare su se stesso la dottrina che insegna a sottomettere il corpo all’anima e le passioni alla ragione per cui, l’unico bene dovrebbe essere la virtù e il male il supremo vizio.

Severissimo con se stesso, ma giusto e benevolo col prossimo, avendo in odio solamente i cristiani che perseguitò come fossero i nemici dell’ordine e della società.

Con la moglie Faustina che amò pazzamente si rivelò debole e accondiscendente da non indovinarne mai la turpe natura, volta riversare lordure e scandali anche sul suo operato e, tenero fu anche col loro figlio Commodo(61-94), viscido e spregiudicato, con le stesse contorte tendenze materne.

Marco Aurelio era pacifico e cercava di evitare le guerre, ma non se ne sottrasse quando fu necessario affrontarle.

Allorché i Germani si sollevarono contro Roma andò ad affrontarli a Vindobona ( Vienna) ma contagiato dalla peste spirò a Sirmium. Improvvisamente le sorti della guerra in atto rimasero nelle mani del figlio, più adatto ai bagordi che alle armi.

Difatti, Commodo si affrettò a concludere il conflitto con negoziati indegni pur di poter essere libero di ritornare a Roma e continuare i suoi stravizi.

Era attirato specialmente dai giuochi cruenti del Circo, addirittura elettrizzato, sembrava che assaporasse il sangue dei cristiani sbranati dalle belve e man mano che avanzava negli anni, questa belva incoronata, perdeva la stima e il rispetto di chi gli era accanto.

Accortosi di tanto disprezzo, per salvaguardarsi da eventuali attentati prese a seminare morte attorno a sé e, quando una delle sue concubine scoprì il proprio nome figurava fra quelli dei prossimi condannati, lo fece strangolare.

Il Senato dichiarò poi “infame” perfino la sua memoria e, per annientarlo ancora di più, diede ordine di gettare il suo cadavere nel Tevere.

Ciò avvenne nel 192 d.C. concludendo due secoli d’Impero che iniziatosi con Augusto aveva contati 17 Imperatori dei quali nove si erano dimostrati veri tiranni.

 

 

DA PERTINACE A CARACALLA

 

Pertinace(193 d.C.) era un liberto, figlio di Alba Pompea e di un modesto mercante di legname, divenuto poi un ottimo Generale, pieno di coraggio che venne proclamato Imperatore per i suoi meriti e per la sua intelligenza e che, nelle intenzioni degli elettori, avrebbe saputo rialzare le sorti romane rimediando ai tanti mali del passato.

Purtroppo ci sono sempre persone che tramano nell’ombra disperdendo i sani proponimenti e pare che anche il buon generale aveva dei nemici nascosti che lo sgozzarono a soli tre mesi dall’incoronazione. A questo punto fu presa la decisione di mettere l’Impero all’incanto per assegnarlo al maggior offerente.

Il vecchio e ambizioso Didio Giuliano se lo aggiudicò sborsando 6250 dracme per ogni soldato, ma l’offerta non soddisfece nessuno, anzi accrebbe le discordie già esistenti.fra i Pretoriani perché ogni truppa voleva eleggere un suo preferito e finirono per combattersi tutti come fecero pure i candidati e la vittoria delle armi arrise a Settimio Severo che fece uccidere Didio e sciolse le Coorti.

Dopo aver compiuto numerose atrocità e soprusi su consiglio di Plauziano, Settimio Severo, restò vittima restò vittima di una sommossa il cui promotore era stato suo figlio Bassiano, detto Caracalla a causa di una veste dello stesso nome che era uso portare.

Un altro tristo soggetto, Caracalla (211 d.C.), impaziente di governare, si sbarazzò anche del fratello minore Geta, preferito dalla loro madre Giulia Domna che lo vedeva più idoneo a reggere il governo.

La nota più raccapricciante è che il fratricidio fu compiuto proprio fra le braccia della loro madre.

Le crudeltà di Caracalla furono di ogni specie e come collaboratore si tenne a fianco il suocero Papiniano, ex consigliere di suo padre che fece poi uccidere (212 d.C.).

Decimato il Senato, e dissipati i risparmi di famiglia in soli tre giorni, si diede a far costruire grandi fabbriche e Terme, ancora più gigantesche di quelle già esistenti, solo per sbalordire i suoi denigratori (sono ancora presenti nella zona archeologica di Roma).

Con la innata malafede guerreggiò contro i Parti ed ebbe una fine scontata perché fu ucciso da un Centurione d’accordo con Macrino che mirava al trono.

Anche costui regnò per poco, ucciso a sua volta dal nipote del precedente Bassiano che portava lo stesso nome dello zio e che fu chiamato Eliogabalo

 

 

ELIOGABALO

 

 

Eliogabalo(218 d.C.), era stato sacerdote a Efeso e quando salì al trono, dimostrò di essere scellerato quanto lo zio tollerando la depravazione e avviando la corruzione che dilagò incontrollata coi conseguenti delitti, precisi a quelli compiuti nei tristi tempi Tiberio, Caligola e Nerone.

Gli scandali di cui si macchiò il nuovo imperatore furono vergognosi e osceni perché amava travestirsi in abiti femminili questo stato di cose durò fino al 222 d. C. quando lui e sua madre furono uccisi.

Fu proclamato regnante il cugino Alessandro Severo di soli 14 anni al quale furono affiancate due tutrici: sua madre, Mammea e sua nonna Giulia Mesa.

Il ragazzo ben guidato, crebbe virtuoso e ottimamente istruito da eccellenti Ministri, prese le redini con molta serietà continuando ad essere consigliato dai Giureconsulti Paolo e Ulpiano e dallo storico Dione Cassio. Questo consesso fece si che Roma avesse parecchi anni sereni che gli permisero di rifiorire.

Ma l’esercito non amava la pace!

 

 

MASSIMIANO E I GORDIANI

 

 

Ripresero le spedizioni di guerra, alle quali partecipò Massimiano(224) consigliato dal goto Trace, e Alessandro Severo che lo stesso Massimiano uccise ma non per la conquista del trono che, proprio a Roma, non entrò mai lasciandola in balìa di se stessa.

Aveva solo 26 anni Massimiano, ma era considerato un Ercole per la sua potente muscolatura ed era proverbiale anche la sua incontenibile fame, simile a quella leggendaria di Polifemo.

Divorava in un giorno 40 libbre di carne e beveva 25 litri di vino.

Ucciso Alessandro, derubò i templi facendo moneta con tutto l’oro accumulato; statue, monili ed altro, confiscando le rendite dei Comuni e destinando i ricavati a feste, spettacoli e banchetti.

Anche la provincia dell’Africa risentì del clima anarchico che era ritornato e si autoproclamò non uno, ma due Imperatori: I Gordiani, padre e figlio.

Essi si vantavano di essere discendenti dai Gracchi, ma ben presto subirono la stessa sorte violenta di tanti altri e vennero uccisi e sostituiti dal militare Massimo Papiano (212) e dal giureconsulto Claudio Balbino ai quali il popolo volle affiancare il tredicenne figlio e nipote dei Gordiani che fu chiamato Cesare. Dopo vari tumulti e sommosse, tutti furono spacciati.

Restò sul trono Gordano 3° che giovanissimo e guidato con saggezza dall’aio Misiteo, regnò per sei anni restando ucciso dalla macchinazione del ministro arabo Filippo Pretorio per brama di regnare. E Filippo,aggiunse il trono, ma potè conservarlo per soli cinque anni.

 

    

DECIO E I TRENTA TIRANNI

 

Dopo Filippo, ci fu Decio per due anni poi seguirono nell’ordine : Gallo, Mauro,Emiliano e Valeriano, tenuto prigioniero per tutta la vita dai Persiani.

Suo figlio Gallieno( 253-260) che dovette difendersi sempre guerreggiando per liberarsi dei pretendenti di ogni parte entro e fuori l’Impero finché nella battaglia di Milano perse la vita.

Frattanto i barbari approfittavano della situazione creando altri disordini.

A salire al trono fu poi la volta di Claudio, generale di Gallieno, che morì di pestilenza dopo due anni.

Da questo momento ci furono al potere trenta Tiranni, ma la mano ferma di Diocleziano porterà molte innovazioni che la sua autorità farà rispettare e anche la Capitale avrà tante “succursali”:

Nicomedia per l’Asia Minore, Treveri (Aries) per la Gallia, Sirmo per la Pannonia e l’Illiria, Milano per l’Italia.

E Roma ? Roma diverrà soltanto un nome col suo lustro apparato e nessuna importanza.

Con l’avvento di Costantino, perderà anche il nome e il punto di riferimento quale fulcro storico.

 

 

 

L’INTERREGNO DI TACITO

 

Per otto mesi ci fu l’interregno poi fu eletto Tacito(254) che contava già 75 anni e che scomparve nella battaglia del Caucaso contro i Persiani.

A lui seguì Probo che sconfisse i barbari ristabilendo l’ordine-

Prese a colonizzare molte terre dopo averle bonificate, nella valle del Reno e in Ungheria, utilizzando i soldati per i pesanti lavori agricoli.

Ma le truppe insorsero contro questo sopruso perché non erano assoldati per il lavoro dei campi e finirono per ucciderlo.

 

 

LUCREZIO CARO DIOCLEZIANO AURELIANO

 

 

Fu la volta di Lucrezio Caro (99-95 d.C.) Prefetto dei Pretoriani, a cingersi della corona imperiale e volle affiancarsi i suoi due figli : Carino e Numeriano.

Però la sua vita fu di breve durata e i figli restarono soli a governare.

La morte prematura di Numeriano che fu soppresso dal suocero diede più spazio a Carino che però si ritrovò a fianco Diocleziano che iniziò a osteggiare e a combattere strenuamente, finché gli ufficiali imperiali ebbero il mandato di uccidere Carino.

Fu la volta di Aureliano che Claudio stesso aveva raccomandato; egli veniva dalla Pannonia e pure essendo di umili condizioni fu un uomo di sommo valore che nei cinque anni di permanenza al trono compì opere memorabili.

Vinse su Zenobia, Regina di Palmira che voleva fondare un Impero orientale a danno di quello romano. Ad Aureliano diede la morte il segretario Mnesteo vistosi scoperto per gli ammanchi perpetrati ai danni dei suoi beni.

 

 

 

COSTANTINO E IL CRISTIANESIMO

 

 

Costantino, figlio di Elena e di Costantino Cloro, fu Imperatore per diritto di eredità e fu eletto insieme a Massenzio e a Severo, ma quest’ultimo presto scomparve dalla scena, subito sostituito da Licinio. Costantino volitivo e c on pochi scrupoli riuscì audacemente a liberarsi dai compagni, rimanendo da solo al governo e ripristinando l’integrità dell’Impero.

La sua superiorità fu fondata sul sangue e seppure detto “Il grande” si macchiò, come gli altri di una serie di delitti, per lo più perpetrati in famiglia.

Nel nome della fede cristiana che aveva abbracciata, uccise senza rimorso il suocero Massimiano, la moglie Fausta, il figlio Crispo e, dopo avergli accordata la grazia, anche Licinio.

Queste azioni cruente e barbare gli alienarono i favori del popolo che l’aveva apprezzato quando era diventato cristiano e per il fatto di essere figlio di Elena in odore di santità.

Divennero sante anche la sorella Emerenziana e la figlia Costanza.

Con Costatino terminò la fase gloriosa dell’Impero che alternando, coraggio e tirannia, seppe conquistare il mondo.

Soltanto la grandezza di Roma sembrò irrimediabilmente scomparsa dopo che, per secoli, aveva tenuto orgogliosamente alto il vessillo di Caput Mundi assoggettando i popoli e imponendo le sue sagge Leggi. Ritroverà la sua dignità quando i cannoni a Porta Pia abbatteranno il potere temporale dei Papi. Ma ancora tempi di lotte e soprusi e vittorie affronterà la sua Storia con indomabile fierezza e altrettanta nobiltà