I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZO    STORICO
in tre parti

SECONDA  PARTE
(4)

Il lungo soggiorno in casa degli zii, fu per la giovane Sarducci, una benedizione celeste che sembrò volerla ripagare per le precedenti tribolazioni.

Insieme alle forze fisiche aveva ritrovato anche la spensieratezza della sua età e fra le cure sollecite e amorose degli zii e la sovralimentazione curata personalmente dalla signora Maria, avevano ridonato al suo volto l’incarnato perduto.

Quel clima ossigenato, il dolce far niente e, soprattutto, la tranquillità dell’anima nella certezza di essere amata.

Non avrebbe mai dimenticato quello che aveva ricevuto dai suoi parenti e l’impegno che tutti si erano presi per farla guarire, compreso il caro zio Alfio che aveva trascorso molte ore in sua compagnia distraendola con mille argomenti, sempre piacevoli e istruttivi.

Se lo zio Placido non si fosse accorto tempestivamente di quel male sottile che aveva cominciato ad inquinarle la salute, forse tanta tenerezza non l’avrebbe mai conosciuta e sarebbe intristita nell’atmosfera opprimente che aveva reso infelici le sublimi donne che aveva avute accanto.

La punta d’amarezza che ogni tanto insorgeva in lei era rivolta proprio a loro perché, per loro, non c’erano mai state parentesi felici.

Aveva soffocato spesso il risentimento loro riservato dai loro uomini e se osavano ribellarsi al loro volere, anche solo a parole, volavano schiaffi, come quella volta che mamma Lilia aveva perorata la sua richiesta di poter andare al compleanno di una compagna di scuola che l’aveva invitata.

Sembrava che il papà fosse stato favorevole, ma nel prepararsi ad andare la bambina fece una domanda che scatenò le di lui furie con la conseguente dolorosa scenata.

Fu la mamma ad avere la peggio, perché fu riempita di schiaffi, perché avvalorando le ragioni della bambina che voleva portare un piccolo dono all’amica, egli la tacciò d’istigare la figlia allo sperpero e ai complotti contro di lui.

Inutile sempre esprimere desideri, chiedere di svagarsi, incontrare altre bambine…nulla era necessario per lui, sempre e solo repressioni.

Ma sua madre, come la nonna, come altre donne perché accettano questi soprusi? Non poteva essere solamente per amore ?

Col tempo capì quali erano gli altri motivi.

La dipendenza economica, la volontà di tenere unita la compagine familiare, la convinzione che i figli abbiano necessità di avere accanto la figura paterna altrettanto che quella materna.. erano state le motivazioni che aveva indovinate negli occhi delle sue coraggiose donne che le erano state di esempio e che dopo ogni atto di violenza perpretato ai loro danni sembravano crollare, riuscivano a riemergere aggrappandosi all’amore dei figli e al loro dovere di stargli accanto.

Seguitavano così a portare la loro croce e la loro rassegnazione era come una passata di spugna che toglie le impurità

Un’altra nonna Bice l’aveva trovata nella signora Maria, che aveva diviso con lei la sua stanza che era molto luminosa e ariosa perché aveva due finestre che si aprivano sul frutteto e sin dal primo mattino, dai loro due lettini affiancati, vedevano miriadi di uccelli volteggiare nel cielo, mentre col loro gorgheggiare davano loro il buongiorno.

Aveva anche ritrovato la gatta Fosca con la quale giocava quando era più piccola ed anche Fido il cane di zio Alfio che non era più tanto agile ormai.

Era sempre stata amica degli animali e aveva partecipato sempre volentieri alle cure che venivano prodigate loro dagli zii. La signora Maria si divertiva a ricordarle di quando a circa sei anni, vide lo schiudersi di una covata di pulcini che le apparve come un miracolo.

Aveva ascoltato il becchettìo che veniva dall’interno dei gusci, poco prima, l’aveva incuriosita e nel vederli uscire,umidi e appiccicosi con l’aiuto della chioccia le parve incredibile, sembrò quasi impazzita da quelle nascite simultanee e volle aiutare sua zia che toglieva ad ognuno il minuscolo velo gelatinoso che teneva serrato il loro tenero becco. Per calmare la sua irrequietezza, la signora Maria, le insegnò ad intridere col vino della mollica di pane che doveva essere il loro primo alimento per dargli forza e, “svegliarli bene”, disse e Bice si sentì molto gratificata per questo incarico.

Quella notte, turbata dall’insolito avvenimento che l’aveva assorbita fino a sera, dormì poco e male, fantasticando sulla grandezza dell’uovo da cui ella era venuta fuori.

L’indomani ebbe la sorpresa di trovare una cesta piena di pulcini dorati, non più sporchi e incolori, ma soffici come piumini e che, pigolando affermavano la loro presenza.

Divenne la loro premurosa madrina, specialmente per uno che si era azzoppato e che ebbe bisogno delle cure del veterinario.

Lo zio Placido, infatti, provvide a fasciare strettamente la zampina slogata sostenendola con uno steccolino di legno, in quella occasione ebbe per assistente la trepida

nipotina che nei giorni seguenti, nel tenerlo nel cavo della mano sentiva chiaramente il battito di quel piccolo cuore.

Purtroppo, la sensibile bimba, conobbe il suo primo grande dolore proprioa causa di quel pulcinetto zoppo che, per la sua momentanea invalidità, non aveva libertà di movimenti, nell’abbeverarsi alla grande ciotola del pollaio, cadde nell’acqua trovandovi la morte. La bambina pianse accorata la sua perdita e nonna Maria la consolò regalandole una grossa scatola che aveva contenuto della cipria e suggerendole di deporcelo per fargli il funerale e fu con molta compunzione che la bimba portò a termine la cerimonia,

In un estremo angolo dell’orto, dove aveva sotterrata la scatola profumata,

si poté vedere per moltissimo tempo una strisciolina di carta con su scritto: Ciao, amico Zoppetto! “ e se la bambina era al Casale, non vi mancava mai un fiorellino di campo.

Reminiscenze tristi e liete si affollavano nella mente della fanciulla in convalescenza durante le sue lunghe ore di riposo prescrittele dal Sanitario che la teneva in cura.

Gli ultimi controlli avevano rassicurato tutti sul suo stato di salute e fra non molto

avrebbe potuto riprendere la sua vita normale, ma era scontato che non sarebbe ritornata a Roma.  

La casa, tenuta in modo approssimativo, non avrebbe date garanzie d’igiene alla ragazza convalescente che richiedeva ancora riposo e ossigeno, se non altro sarebbe stata necessaria una ripulitura di fondo, ma sui due abitanti non si poteva contare.

Massimo e Bruno vi vivevano come due perfetti estranei, il nonno non sapeva mai se il nipote fosse presente o partito per destinazione ignota perché capitava sempre più spesso che lui partisse improvvisamente da quando si era dato alla compra vendita di ogni genere di cose, combinando affari con tutti.

Come sua abitudine, non dava spiegazioni e pertanto fu necessario dare la chiave di casa alla domestica perché non sempre il vecchio era in grado di raggiungere la porta d’ingresso se era a letto.

La gamba, spesso bluastra, le pesava maledettamente e non ce la faceva a trascinarla, non si alzava neppure più dal letto o dalla poltrona se non veniva aiutato, anche perché si era appesantito enormemente da quando si era abituato a cenare con grosse zuppe di pane e vino perché era un sostentamento molto sbrigativo che lo aveva fatto ingrassare in poco tempo.

Il sor Massimo aveva cominciato a tirare le somme.

Era stato tiranno con la moglie, costringendola a vivere in cattività ed ora, la medesima cosa, stava capitando a lui stesso, aveva privato i suoi delle cose che desideravano ed ora, pure lui stava mancando del necessario, e inutile era, desiderare alcunché, era stato avaro di solidarietà umana e di amore verso i consanguinei, ritrovandosi, a sua volta solo e abbandonato da tutti.

Stava raccogliendo quello che aveva seminato e se rimprovero c’era, doveva farlo a se stesso senza sapere se accusasse dei rimorsi.

Solo nella sua camera, imprecava urlando contro moglie e nipote, ritrovandosi, dopo questi sfoghi rabbiosi, affranto e sfinito.

La vita per lui era diventata un peso insopportabile. Toccò alla lavandaia trovarlo bocconi in terra, nella sua stanza quando un mattino salì, come di consueto, per la riconsegna del bucato che aveva portato via due giorni avanti, quando aveva dovuto riordinare la cucina. Avendo la chiave ormai, non attendeva neppure che qualcuno aprisse la porta d’ingresso, dava un trillo di campanello ed entrava.

Il giovanotto non lo incontrava quasi mai e capitava che nel vedersela entrare in camera, il vecchio, desse un sobbalzo per la sorpresa perché magari, assopito, non aveva udito il trillo di preavviso… se c’era stato.

Come si fossero svolti i fatti l’ultimo giorno non fu facile stabilirlo, si dovette tener fede della deposizione del portinaio che confermò di essere stato chiamato dalla muscolosa domestica non appena scoperto il corpo in terra, giurando di averla vista entrare nel portone con la cesta dei panni poco prima, il tempo di fare le scale.

Perciò se la morte era avvenuta qualche ora prima, come aveva constatato il medico legale, egli doveva trovarsi completamente solo perché il nipote l’aveva visto partire

il giorno prima per Livorno insieme al cugino di Albano.

Fu certificato infatti che il collasso circolatorio l’aveva colpito durante la notte.

La posizione in cui fu trovato, lasciava supporre che sentendosi mancare il respiro in quella stanza affumicata dal fumo della pipa e satura dell’odore di vino ingurgitato ed espulso, avesse voluto scendere dal letto per aprire la finestra, ne era caduto senza poterlo fare, lo dimostrarono i vetri ancora chiusi.

Qualche dubbio in famiglia rimase su questo improvviso decesso.

L’impressione che qualcosa fosse sfuggito al controllo, rimase nella mente del figlio più grande perché nella casa non furono trovate somme di denaro, tranne la paga settimanale preparata per la serva che avrebbe dovuto riscuotere lo stesso giorno e che proprio Andrea dovette consegnarle a malincuore.

Era impossibile che suo padre avesse solo quella esigua somma presso di sé

perché non aveva mai avuto a che fare con le banche né con la Posta e, quindi, da dove prelevava i soldi per le spese della casa e i compensi per la serva?

Da parecchi mesi non andava più al negozio e Andrea sapeva perfettamente quanto gli aveva consegnato dopo gli ultimi conti che avevano fatto in occasione delle spese di pompe funebri per sua madre… e di quel contante doveva esservi parecchia rimanenza.

Dove poteva essere riposta?… Aveva cercato dappertutto Andrea dopo il funerale, senza trovare neanche un centesimo.

Dovevano esistere sostanziosi risparmi dei quali si paventava l’esistenza, ma che nessuno aveva mai veduto, ma dove potevano essere nascosti?

Si arrovellò a lungo su questo dilemma, dandosi parecchie spiegazioni, ma l’ultima conclusione a cui giunse fu che, la lavandaia, pulendo la casa, avesse scoperto il nascondiglio, e potendo entrare in casa a suo piacimento, ne avesse approfittato.

L’assenza di Bruno, avrebbe favorito il suo scopo per entrare di notte e uscire indisturbata per ritornarvi, come nulla fosse, la mattina presto.

La sua stessa entrata improvvisa, spaventando il dormiente, ne avrebbe potuto causare la caduta e il collasso, forse proprio accorgendosi del furto in atto.

Ai fratelli non si sentiva di esternare i suoi dubbi, perché il primo rimprovero sarebbe toccato a lui, il maggiore, che per seguire la sua amica, l’aveva lasciato al suo destino, disinteressandone completamente.

In quanto a Bruno, abituato a fare i propri comodi, figurarsi se si era mai preso la briga di fargli compagnia!!!

Non poteva neppure inculcare negli altri la sicurezza che ci fosse una forte somma in casa perché poteva sorgere il sospetto che proprio lui, essendogli socio, se ne fosse appropriato. …quindi meglio tacere con tutti e non indagare oltre che, se veramente erano stati sottratti, nessuno l’avrebbe più restituiti.

    

 

      

  Il trambusto dei giorni a venire fu quello comune ad ogni famiglia numerosa in momenti simili in cui tutti i parenti vicini e lontani debbono essere avvisati e tutti si fanno un dovere di partecipare al funerale perché, più che ad una festa, alla quale con un pretesto si può anche non partecipare, la cerimonia funebre è quella in cui la parentela si riunisce e prende nota del passare degli anni, dandosi appuntamento magari alle prossime…esequie.

  Intanto l’abitazione dei Sarducci, con la morte del capostipite, rimase in balìa di Bruno che, con le sue abitudini disordinate, la ridusse presto invivibile e, come fosse un albergo di second’ordine, la usava spesso per ospitarvi conoscenti occasionali, sporchi e rumorosi che infastidivano tutto il vicinato..

  A quel giovanotto, interessava soltanto il contatto saltuario con la gente per interesse o per divertimento e non sarebbe mai stato capace d’instaurare un’amicizia sincera e senza secondi fini, era il vero arrampicatore sociale.

 Ciò che l’avvinceva veramente era il giuoco, di qualsiasi tipo purché ci fosse una posta in denaro ed era diventato uno specialista che veniva ingaggiato saltuariamente nei vari Casinò con contratti stagionali.

  Fare il croupier gli dava la possibilità di conoscere persone di tutti i ranghi, per lo più gente danarosa che non dava ai soldi il valore che sarebbe giusto attribuirgli e passavano facilmente da periodi floridi ad altri squallidi e questo, per la verità, accadeva a Bruno stesso perché alternava pause di dolce far niente fino a esaurimento delle scorte per il sostentamento; in questi ultimi casi si rifaceva con il padre, altrimenti, padre e figlio, diventavano quasi estranei.

  Bruno sembrava nato per essere sempre in sfida con il prossimo e talvolta lo era pure con sé stesso.

  Nel giuoco d’azzardo era instancabile e l’audacia che metteva nelle puntate era rischiosissima con la speranza di esserne compensato, ma non sempre c’era il …lieto fine.

  Giuocare e azzardare per vincere o perdere! Questa la sua natura.

  Aveva cominciato da giovanissimo con i soldi che il padre gli elargiva per i vari Corsi di studio che iniziava e sistematicamente abbandonava ed anche per riempire le sue lunghe ore di ragazzo ozioso, restando intrappolato dal tavolo verde che lo galvanizzava.

  E’ stato verificato che tanto gli inetti che le personalità di spicco si annullino nel giuoco, perché si ritengono superiori all’avversario ed hanno la certezza di poter guidare le mosse altrui a loro piacere, sono portati a sbalordire con puntate favolose e sperano di essere considerati geni come invece dei diseredati che dispongono di mezzi irrisori giuocano perchè credono con una vincita di ribaltare la loro sorte.

  Tutti illusi, gli uni e gli altri!

  Non vogliono capire che le loro puntate irrazionali li espone al ridicolo dei benpensanti che riponendo le quote di partecipazione ai vari giuochi, si ritrovano un bel gruzzolo

  Aveva ristretto i legami coi cugini di Albano che la pensavano come lui e gli davano una mano per organizzare festini e scorribande pericolose, piaceva a tutti e tre la vita futile e spregiudicata che li avrebbe condotti verso chine pericolose.

  Con Bianca poi legava perfettamente, ma non per trasporto sentimentale era soltanto perché erano coetanei ed erano utili l’uno all’altra sempre disponibili ad accettare inviti di qualsiasi genere ed erano per lo più rivolti a lei così eccentrica col suo trucco pesante e i suoi abbigliamenti pieni di fronzoli che la rendevano pacchiana e inelegante, ma facile preda dei conquistatori da strapazzo.

  La superficialità con cui affrontava il mondo e i cattivi insegnamenti di sua madre,

 non la ponevano al riparo delle tante insidie che le si offrivano e che ella non disprezzava.

  Divenne una ragazza “chiacchierata”, circuita per diletto e senza sentimento e ben presto fu chiamata col nomignolo di “ Civetta Bianca” del quale, il degno cugino, sembrò compiacersi invece che risentirsi, divertendosi anzi quando con lazzi pungenti, rispondeva alle provocazioni maschili…proprio alla pari.

 Il suo cinismo gl’impediva di prendere posizione, limitandosi ad accompagnarla,

ovunque c’era da divertirsi e fare le ore piccole, sempre disponibile alla conoscenza di personaggi di ogni strato sociale purché danarosi, coi quali legava perfettamente.

 Bianca del resto aveva bisogno di spostarsi frequentemente e per questo approfittava della moto del cugino, contenta di sfrecciare ad alta velocità, avanti e indietro, fra Roma e Albano a qualunque ora del giorno e della notte, seminando panico e terrore a persone e animali.

 Si compiacevano i due, di mostrarsi temerari, ridendo delle paure altrui e nel loro gergo grossolano erano sempre pronti a ferire il prossimo, con vocaboli che specialmente alla donna non sono adatti, ma Bianca sparlava, beveva e fumava, circondata dalla adorazione di sua madre che vedeva nella figlia la sua realizzazione.

 Soltanto la parte sana della famiglia soffriva di questo stato di cose, poiché anche Baldo sembrava approvare il comportamento di quella sciagurata che non accennava a rinsavire, credendosi al centro dell’universo,

  Rosa avrebbe voluto vedere l’umanità intera inginocchiarsi al oro passaggio ritenendoli eccezionali.

 E lo erano in certo modo, dato che si differenziavano dalla norma per le loro stravaganze non si davano pena neppure se venivano additati come scervellati, quando reclami, lamentele e multe si accumulavano nei posti polizia e senza la provvidenziale intercessione dei parenti, avrebbero passati seri guai.

 Disinibiti e spregiudicati, se ne ridevano del mondo circostante, calpestando regole e leggi del vivere civile, erano diventati veramente la vergogna della famiglia.

 

 

 

 

 Il cruccio più grande per quella madre era quello di vedere le figlie di conoscenti che man mano andavano sposandosi, mentre la sua ragazza, fra tanti corteggiatori, ancora non aveva ancora ricevuto una richiesta di nozze.

 Come era prevedibile prese in odio tutte le giovani che conosceva, compresa la nipote Beatrice.

 Aveva persino insinuato che la giovanetta avesse inscenato la sua malattia per insediarsi nel Casale e scrollarsi di dosso la responsabilità di accudire nonno, fratello e padre.

 Mal gliene incolse però perché questa dicerìa malevola giunta agli orecchi di sua zia Maria le valse una severa reprimenda che le causò un ulteriore attacco d’invidia perché confermò quanto tutti amassero la giovane romana e quanto criticassero i suoi rampolli.

 Questi ultimi si stavano comportando male anche con lei e, recentemente, le avevano dimostrato di vergognarsi di lei, povera e incolta contadina.

 Anzi, Baldo stava covando sogni di evasione, e, dopo alcuni tentativi di vita solitaria nella Capitale, per alcuni periodi anche presso suo cugino Bruno, risolse di rispondere al Bando della Marina Militare.

 Trovò nel padre un valido alleato perché capì che per lui la disciplina ferrea della Marina, sarebbe stata salutare e poteva dirsi contento che quel figlio introverso e meno temerario della sorella avesse, finalmente, trovato la sua strada,

 Per quanto gli fosse possibile avrebbe accelerato il suo arruolamento.

 Rosa non prese nel verso giusto questo suo interessamento e non riusciva a darsene pace inveendo contro quel padre snaturato che incoraggiava” il suo sangue “ adc andarsene da casa, per fare la carriera militare.

 Secondo lei egli era fanatico per le divise militari e gioiva di vederne un’altra indosso al figlio. .

 Alfio si era abituato da tempo a lasciarla dire, ne aveva già dette tante

 di cose per spronarla ad educare meglio i ragazzi ed ora con i risultati ottenuti, erano pure essi desiderosi di allontanarsi da lei…questo non lo avrebbe mai capito.

 Pure Bianca aveva finito per stabilirsi a Roma presso un’amica che aveva una rivendita di dischi e sembrava molto soddisfatta della sua vita libera, ma questo distacco aveva provocato nella madre una sorta di odio per tutte le persone civili e ordinate, rinchiudendosi in casa sempre di più per non incontrare chi gliene avrebbe chiesto notizia,

perché di notizie ne giungevano pochissime.

 Espletata tutta la documentazione necessaria Baldo partì per Livorno in compagnia di Bruno.

 

 

 La notizia che Bertilla avrebbe vestito la veste monacale, non destò molta sorpresa negli zii di Albano perché conoscevano bene la religiosità della nonna Elvira che negli ultimi anni lavorava per un Ordine di Suore dove la nipotina dopo averne frequentate le scuole elementari e medie, ne aveva frequentato i corsi di catechismo per la preparazione

Ai Sacramenti della Prima Comunione e della Cresima.

 Le motivazioni che, in seguito, avevano portato la giovinetta verso la vocazione mistica, le conosceva meglio la sorella Beatrice con la quale si era sempre tenuta in corrispondenza.

 A Bertilla era mancata la mamma più di tutti, perché fin da piccolina era stata affidata alla nonna che non era certo allegra per gli atroci dolori sopportati.

 Nell’età in cui più dolci e desiderate sono le carezze e le coccole di una madre, la povera piccola era vissuta in un clima farcito di preghiere e sospiri della triste ava ed altre preghiere e canti liturgici presso le pie suore presso le quali sostava ogni volta che la sarta doveva andare a provare o consegnare abiti alle sue clienti.

 La bambina, tranquilla e obbediente, aveva facilmente assorbito i ragionamenti adulti e seriosi di quell’ambiente che se ne era fatto un abito mentale che le mostravano come mete lo studio, il lavoro e la preghiera.

 Spaventata nei primi suoi anni dalle improvvise ire paterne, trovava in quel clima ovattato e mistico la risposta alla sua richiesta di pace e allorché la Madre Superiora, sua consigliera spirituale le propose di entrare come consorella ella accettò con entusiasmo.

 La buona suora avendola avuta per lungo tempo come convittrice, alla pari con il lavoro di sartoria che la nonna svolgeva per l’istituto nei periodi delle Comunioni, aveva letto nell’animo di Bertilla i sentimenti puri e buoni che ben si addicevano ad una monaca.

 Infatti la giovane possedeva la sicurezza delle sue azioni e la bontà dell’animo che la mettevano al disopra delle cattiverie umane perché non aveva mai conosciuto il mondo:

 Però aveva anche sete di conoscenza e nello studio trascorreva lunghe ore.

 Anche di questo tenne conto la vecchia Direttrice e nell’ambito religioso le fece seguire

le scuole magistrali con un profitto magnifico.

 Con la sua esperienza la suora aveva capito che sarebbe stato facile convertire quel suo candore nella vocazione mistica e la vita del chiostro, placida e regolatre, sarebbe stata adattissima per quella fanciulla.

 Fu così che Bertilla irretita, nella sua ingenuità da quel clima di pace, prese i voti giovanissima, convinta che quello fosse il suo ruolo.

 La figurina irreale nel giorno della vestizione apparve delicata e sottile, simile a sua madre nel giorno delle nozze.

 Le donne della sua famiglia, presenti alla commovente cerimonia la videro così e pensarono che veramente per lei, così casta e giudiziosa, la vita del chiostro sarebbe stata la più adatta. 

 

 

 Le ultime analisi cliniche avevano decretata la completa guarigione di Bice ed ella sentiva il cuore commosso e pieno di riconoscenza per quanti vi avevano contribuito e si sentiva anche di ringraziarla quella malattia senza la quale non avrebbe conosciuto l’amore grande della famiglia che sa mettersi a disposizione di uno dei componenti nel momento del bisogno.

 I suoi zii, senza figli propri, si erano dimostrati con lei genitori perfetti al contrario del suo genitore vero, che non si era sentito mai in dovere di chiedere sue notizie.

 Lo zio Alfio affettuoso e premuroso che le aveva tenuto compagnia con letture istruttive e amene tra l’ascolto di musica e conversazioni insieme a nonna Maria.

 Se lo era meritato veramente questo appellativo la buona signora che in lei aveva trovato la nipote che suo figlio non gli aveva data.

 Le era parso di essere la Principessa fortunata di un Castello incantato con la facoltà

facoltà di vedere esaudire ogni suo desiderio nascosto, perché Bice non era stata abituata a chiedere mai nulla, di questo zia Aurora si rammaricava spesso: “ Dimmi quello che vuoi qualche volta… tu non chiedi mai nulla, Possibile che ti va tutto bene e tutto è di tuo gusto? “ A Bice, veramente andava tutto bene !

 Aveva ripreso a uscire per qualche passeggiata salutare e, talvolta, lo zio Placido la portava col calesse fino al lago e se c’era da fare qualche visita … alle stalle dei dintorni, mentre lui apprestava le cure ai suoi pazienti, ella attendendolo nella carrozzella, riceveva

 complimenti e auguri da tutte quelle persone che amavano ed erano riconoscenti agli zii per tutto il bene che ne ricevevano.

 E’ bello sentirsi amati!…. Fa bene all’ animo !

 Dal volto della ragazza traspariva la gioia che ne illuminava i begli occhi limpidi e profondi e al ritorno da quelle passeggiate quasi sempre aveva le braccia ricolme di fiori

 Sembrava l’immagine della primavera,,,tal quale apparve allo sguardo di Enrico, che

Stava in attesa del dottor Placido suo amato padrino.

 Rimase talmente incantato alla vista di quella visione che non si attendeva che per un attimo dimenticò pure lo scopo della visita.

 Lo zio, compreso l’imbarazzo fu sollecito nel dire: “Avvicinati che ti presento mia nipote Bice – soggiungendo immediatamente- ma come? Non vi riconoscete?”

 I due ragazzi si rivolsero a lui contemporaneamente stupefatti.

 Placido, avviandosi lungo il vialetto che conduceva in casa, rise bonariamente continuando: “ Lo credo bene che non vi riconosciate, quando vi siete conosciuti eravate due bambinetti e avete litigato subito per….. incompatibilità istantanea, figurarsi se era il caso

di ricordarsi l’uno dell’altro!”

 Queste parole allegre però suscitarono delle vaghe reminiscenze che poi furono approfondite e chiarirono il motivo di quel diverbio antico.

 Tutto avvenne per un grosso biscotto, l’unico che troneggiava fra tanti altri piccini e i due bambini in visita entrambi al Casale, invitati a servirsi, allungarono contemporaneamente la loro manina per afferrare proprio quel savoiardo centrale che essendo fragilissimo si sbriciolò e l’uno diede la colpa all’altra, guardandosi in cagnesco,

 Risero tutti alle parole illustrative del …”dramma” mentre i due si davano cordialmente la mano.

 Mentre Bice disponeva i fiori nel vaso, il giovanotto espose il motivo della visita al suo padrino che però lo sollecitò a restare a pranzo per parlarne anche al cognato Alfio che sarebbe venuto, come di consueto a prendere il caffè nel primo pomeriggio.

 Consumarono il pasto allegramente mentre le presentazioni si approfondirono e Bice venne a sapere che Enrico, figlio di carissimo amico di Placido, era rimasto orfano di padre quand’era molto piccolo e non essendo di famiglia ricca, per l’interessamento del padrino fu accettato in un collegio dove aveva potuto frequentare gli studi e diplomarsi geometra, cosa questa che gli dava la possibilità di partecipare ad un concorso ministeriale con data di scadenza molto ravvicinata e proprio per questo era venuto a consigliarsi col padrino circa i testi da consultarsi per degli esami specifici di cui parlava il Bando.

 Non appena zio Alfio fu messo al corrente della questione, con la sua consueta generosità mise a sua disposizione non solo la sua biblioteca, ma se stesso per un ripasso generale a mò di prova di esame.

 Enrico si schernì giacché non si aspettava tanto, poi accettò perché, abitando con sua madre a Nemi, gli sarebbe stato facile raggiungere il capitano che si prestava gentilmente a seguire la sua preparazione

 Furono tutti d’accordo che le lezioni si sarebbero svolte al Casale dove c’era spazio a sufficienza per accogliere tutti.

 La stagione primaverile, avrebbe regalato lunghe giornate piene di profumi di fiori e musiche di uccelli e il sole, splendente fino al tramonto, calando repentinamente nel lago, avrebbe donato crepuscoli indimenticabili che avrebbero disposto gli animi alla poesia.

 Figurarsi quelli di due giovani che usciti da esperienze familiari dolorose, erano desiderosi di amore e comprensione!

 In quell’atmosfera di sogno, fiorì un idillio casto e sincero, benedetto anche da coloro che conoscevano e amavano i due giovani che, a dispetto del bisticcio infantile, scoprirono di avere stessi sentimenti ed eguali desideri che erano poi quelli di formarsi una famiglia fondata sull’amore sincero, fedele e nel rispetto reciproco.

 Queste le basi per un legame veramente appagante e duraturo.

 La sua nipotina aveva conquistato il cuore di tutti loro, non c’era quindi da stupirsi se anche Enrico ne fosse rimasto affascinato e, la buona zia, le augurava un matrimonio felice come il suo perché aveva trovato nel suo consorte le qualità che sanno rendere felice una donna che, a sua volta, sa dargli la dedizione più completa.

 Tanto lei che Placido si erano assunti il compito di organizzare una cerimonia perfetta

per colei che avevano curata come una figlia e alla quale erano grati per aver loro fatto provare la dolcissima sensazione di sentirsi genitori,

 Per questo sentivano la responsabilità che tutto andasse per il giusto verso e, dato per scontato che il padre aveva il dovere di accompagnarla all’altare, ma era doveroso informarlo che la presenza di Evi non era gradita a nessuno.

 L’uomo, ingoiando il risentimento, dovette accondiscendere, alla richiesta di sua sorella, alla quale doveva il risanamento della figlia, ma non poté evitare la sfuriata di Evi che lo accusò di avere accettato passivamente l’affronto mentre avrebbe dovuto egli stesso disertare quella festa per dimostrare palesemente a tutti il suo amore per lei.

 Sconvolta dall’ira, l’Americana, dovette forzatamente rinunziare a presentarsi ad Albano nella toilette sfarzosa che aveva già ordinato, per strabiliare tutto il “ parentado” di Andrea che non l’aveva mai accettata.

 L’animo di Aurora era umano e comprensivo, ma nei riguardi di suo fratello aveva molto risentimento perché in ogni circostanza aveva anteposto il suo egoismo alle necessità di coloro che avrebbe dovuto amare e proteggere, dalla povera Lilia al padre che verso di lui si era dimostrato più benevolo.

 Anche verso la loro madre che insieme a Bice aveva sempre schiavizzate e non si era mai sentito in dovere di fare una visita a quest’ultima per tutto il periodo della sua lunga malattia, che dire poi di suo figlio che viveva ancora alla giornata e che ogni tanto sovvenzionava per levarselo di torno?

 Erano giunte voci, al Casale che la vita con Evi, non era proprio idilliaca e che le scenate fra i due erano frequenti e violente, ma la violenza, stavolta era lui a subirla dato che quella donna venale e scioperata aveva preso il sopravvento, rendendolo succube dei suoi voleri che per timore di perderla egli le toglieva qualunque capriccio.

 Come sorella provava anche dispiacere per questo stato di cose, ma lui stava scontando in tal modo il giusto castigo per avere umiliata e annientata colei che avrebbe avuto diritto al suo amore e al suo rispetto e se “l’altra” non lo voleva come marito…meglio!

 Aurora era ben felice che il posto di Lilia rimanesse vuoto, così almeno, l’oriunda

 Evelina, per la famiglia rimaneva una perfetta estranea e doveva esserne consapevole.

 I motivi di malumore, per il bottegaio, erano di diversa natura e se li teneva ben chiusi entro di sé per evitare critiche e conseguenze.

 Il rimuginare che lo aveva reso insonne, sulla sparizione dei soldi paterni, non lo aveva

non lo aveva portato a nessuna conclusione positiva. 

 Della sòra Nena non c’era più traccia a Roma, sembrava volatilizzata e per quanto egli l’avesse cercata per farci una “chiacchierata” nessuno ne aveva notizie certe fino a che cominciarono a circolare delle voci che causarono al commerciante delle coliche di fegato poiché seppe che era stata vista partire, insalutata ospite verso destinazione ignota e che l’enigmatica domestica tuttofare, non fosse affatto donna, ma uomo con sessualità in

 in attesa di sottoporsi ad una serie di operazioni chirurgiche costosissime.

 Per questo lavorava con tanto accanimento e volontà : doveva raggiungere quella determinata somma per poter intraprendere il suo viaggio della speranza che. a cominciare dal visibile labbro leporino ad altri interventi più delicati e nascosti, gli avrebbero restituito una nuova personalità.

 La convinzione di Andrea si consolidò nel fatto che la sua scomparsa era coincisa con la morte di suo padre e c’era da scommettere che la soluzione del problema di quella persona fosse stato risolto positivamente col gruzzolo del defunto.

 Erano passati lunghissimi mesi e lui non si era ancora dato pace.

 Altri dispiaceri gli venivano dalla bella donna con cui conviveva e che lui non si stancava di pregare affinché si decidesse a sposarlo.

 Ma lei era nata per folleggiare e non gradiva molto coadiuvarlo in negozio e spesso, annoiata, nel bel mezzo delle vendite, lo piantava da solo e se ne andava al cinema.

 Non aveva più ritegno nel mostrare il suo vero carattere autoritario e malevolo verso tutti, affibbiando a chiunque non gli andasse a genio nomignoli mortificanti e dispregiativi per cui spesso lo aveva fatto trovare in mezzo ad antipatiche discussioni e se, per caso, a lui fosse venuto in mente di dare ragione alla parte avversa, era capace di rivoltarglisi contro, come una diavola.

 Ma per le nozze di Bice ella dovette capitolare e attendere livida di rabbia il ritorno di Andrea..

 La sua morbosa curiosità tirò fuori al suo compagno ogni particolare di quella cerimonia gaia e felice, ma pur commovente nei punti più salienti, quando appunto il sacerdote ricordò i genitori assenti degli sposi orfani che – assicurò – erano presenti anch’essi per benedire i due giovani che inginocchiati ai piedi dell’altare addobbato in velluto cremisi si stavano giurando eterna fedeltà.

 Nella sua semplicità fu un rito di alta suggestione specialmente quando il coro di fanciulle biancovestite intonò la Marcia nuziale, parvero un coro di angeli propiziatorio.

 La commozione fu sopraffatta dall’allegria allorché all’uscita sul sacrato, la coppia fu fatta segno al rituale lancio di “confettoni”, come usa in provincia, grossi come sassi.

 La pericolosa sassaiola, spronò il corteo a raggiungere sveltamente il prato antistante il Casale ove era allestito il lauto banchetto per un cospicuo numero di ospiti.

 La coppia, appena congiunta, guardandosi teneramente, dimostrava chiaramente l’intensità dell’amore che li univa e che li avrebbe avvinti per tutta la vita. 
Le conversazioni che tenevano desta l’attenzione dei notabili di Albano Laziale,vertevano sulle questioni socio politiche culturali italiane ed estere e diventavano anche molto vivaci nel criticare le notizie che giornali e pendolari riportavano quotidianamente.

Le polemiche sulla Dittatura erano molteplici e non sempre benevole, i seguaci entusiasti ne tessevano le lodi mentre i contrari, sempre più numerosi, ne puntualizzavano pecche e difetti comprese le malefatte del governo e di coloro che stavano amministrando le precarie risorse italiane.  

Su costoro venivano sussurrate barzellette esilaranti che riuscivano a smorzare le impennate di alcuni facinorosi, riportando buon senso e allegria che, in genere sono gli elementi capaci di riunire amici e nemici delle cittadine di provincia.

Il capitano Alfio, col suo spirito goliardico, era stato sempre pronto ad aderire alle innovazioni che si succedevano a pié spinto perché fermamente convinto che avrebbero riportato equilibrio e prosperità al popolo e per difendere tali principi aveva partecipato a due campagne belliche.

Dopo l’impresa etiopica affinché l’Italia si conquistasse “ un posto al sole” come assicuravano i facili slogans, egli dovette rivedere i suoi credo, constatando amaramente che i benefici, se c’erano stati, si erano rivelati utili solamente alle popolazioni aldilà del Mare nostrum che si erano scrollate di dosso secoli di arretratezza e di oppressioni.

Avvicinando le civiltà occidentali, avevano acquisito la consapevolezza che i diritti debbono essere eguali per ciascun essere della terra senza differenze di colore, di razza e di culture.

Voci allarmanti di probabili guerre per solidarietà verso Stati alleati e non per vere esigenze patriottiche tenevano in sospeso gli animi che prevedevano altre vittime da immolare inutilmente con sprechi economici per armamenti approssimati.

Si confidava nella neutralità italiana motivata dal privilegio assurto da Roma come Città aperta quale centro di cristianità.

Ma le molte foschie che coprivano i trattati segreti rendevano i futuri eventi inscrutabili e ognuno diceva la sua.

In tale clima incerto e pieno di timori, la vita scorreva col suo ritmo usuale e più precisamente per i novelli sposi, ancora in viaggio di nozze, si stava ristrutturando casa Sarducci con la collaborazione finanziaria di tutti gli anziani della famiglia, compreso il padre della sposa che, malgrado le rappresaglie dell’amante, non potè esimersi dalla partecipazione alle spese, divise in parti eguali, dato che il matrimonio non gli era costato nulla.

L’appartamento ristrutturato completamente avrebbe preso un altro aspetto che avrebbe accontentato le esigenze degli sposi e di Bruno che vi avrebbe abitato fino a che anche lui fosse convolato a nozze anche se questa idea era mille miglia lontana dalla sua mente; avrebbe occupata la stanza in stile Liberty dei suoi genitori.

Per la loro, gli sposi, avevano ordinati mobili in stile “900 “semplici e funzionali, destinando la parte dell’arredo già esistente per gli altri locali e per il nuovo vano ricavato dalla metà del grande terrazzo.

I lavori più importanti furono riservati appunto al terrazzo che per la metà sarebbe stato chiuso da vetrate costituendo così una veranda luminosa e riparata dal vento, adibito a salotto studio e avrebbe dato alla casa un aspetto più moderno ed elegante.

In seguito, la sposina, aggirandosi per le stanze, vi rivedeva la nonna che vi aveva vissuto segregata, accontentandosi delle sue piante e del poco cielo che la sovrastava sempre assillata dai doveri di madre e nonna.

Era stata ammirevole la sua cara nonna, prodiga di consigli e di buone esortazioni.

Bice avrebbe bramato il suo consiglio al momento del fidanzamento perché ella soleva dirle: “ Figlietta mia, scegliti un fidanzato buono, non ti confondere col bell’aspetto poiché, per una vita serena ” l’anima e la lira “ debbono essere sullo stesso piano come pure il rispetto fra i coniugi.

La giovane sposa era certa di aver trovato in Enrico le qualità delle quali parlava la nonna giacché di anima non ne avrebbe trovata una migliore e per ” la lira “ garantiva l’ottimo impiego che gli consentiva una carriera molto soddisfacente nell’ambito del Ministero, infine egli sapeva renderla felice con mille attenzioni e quando guardandola le diceva di essere l’uomo più felice del mondo perché aveva trovato la donna ideale, la sensibile Bice si sentiva in paradiso.

L’auspicio di Nonna Irene si era compiuto! 
La cartolina con la classica veduta di Napoli faceva bella mostra infilata com’era, nella vetrina della camera da pranzo di Aurora che non si stancava di rimirarla da quando era arrivata.

Pensava ai cari nipoti che l’avevano spedita e augurava loro tanta felicità perché Bice era vissuta fra persone infelici che l’avevano resa pessimista e che, pur dovendo superare il periodo critico del male, aveva avuto la fortuna di partecipare alla gioia di una famiglia unita e respirare l’atmosfera serena del Casale che le aveva ridonata quella fiducia che dovrebbe essere patrimonio della gioventù.

La stessa Aurora che aveva sofferto e aveva visto soffrire i suoi cari, malediceva quelli che rendono la vita insopportabile alle persone che dovrebbero amare e proteggere e si chiedeva come modificare l’andamento di situazioni anomale che fanno desiderare la morte perché il vivere diviene insopportabile.

Aveva nel cuore l’amarezza del connubio del fratello sensibile e colto, costretto a subire le angherie e le sciatterie di moglie e figli e dell’altro, schiavista a suo tempo, ridotto a scendere una pericolosa china perché comandato da una dissoluta donna.

Li amava entrambi, ma no sapeva come aiutarli:

Anch’essa, dalla lettura dei giornali, era al corrente delle battaglie femminili che puntavano a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di leggi nuove per portare equilibrio fra i due sessi.

Era più che giusto che, finalmente, si rimuovessero le ataviche condizioni di vita che volevano sempre sottomesse le donne e i deboli.

Per secoli le vittime, dell’uno e l’altro sesso, non hanno mai trovato comprensione e aiuti perché “dovevano” sopportare la croce di una famiglia mal costruita e avara di amore e tranquillità col presupposto che una volta sancito il rito matrimoniale, uno dei due partner debba necessariamente sopraffare l’altro.

Perché costringere a mantenere vivo il focolare domestico quando il fuoco è spento?

Non è col comando intransigente e dispotico che si stabiliscono rapporti amorosi e durevoli e tantomeno amore e obbedienza.

E’ pure vero che esisteranno sempre temperamenti violenti sia maschili che femminili, ma nella donna i danni fisici sono sempre maggiori perché essa è anche stressata da lla maternità e cura della casa.

Senza una tutela legislativa le situazioni scabrose portano inevitabilmente all’ipocrisia, al tradimento e talvolta al delitto.

Ne parlava anche con Placido di questi argomenti ed entrambi erano d’accordo,

Volgendo lo sguardo sorridente verso la cartolina inviata dagli sposi luna di miele, fece voti affinché il loro avvenire fosse migliore di quello dei loro genitori.

E come mamma Irene, nei momenti di sconforto, non tralasciava di affidare i suoi cari alla protezione celeste in cui confidava, Aurora benedisse col pensiero quei nipoti che amava come figli mentre nel suo cuore rifioriva la speranza.

 

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