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ricordo di Albertone
UN ATTORE, UN RICORDO
di Giuseppe Trabace

Faccione enorme, due occhi che più tondi non si può lampeggiano sprizzando
ironia e malizia,  sorriso a 32 denti ora cordialmente amichevole ora un po’ luciferino, vocione da baritono, incedere da borghese piccolo piccolo, battuta fulminante detta preferibilmente in dialetto romanesco.. Questo era Alberto Sordi, scomparso il 25 febbraio a 82 anni, un attore non solo comico che resterà come un emblema del cinema italiano dagli anni del dopoguerra ai nostri giorni. Un’excursus sugli snodi significativi della sua carriera agevola la comprensione del successo a lui arriso per oltre cinquant’anni.
 Romano autentico, innamorato dello spettacolo, calcò giovanissimo i palcoscenici  dell’avanspettacolo esibendosi come attore  ed imitatore. Fu una scuola dura. Il pubblico non certamente raffinato che frequentava questo tipo di spettacoli di rivista era spesso insofferente dinanzi  alle incertezze, anche piccole, degli attori  e li beccava con un pizzico di crudeltà.  Non mancarono quindi amarezze e delusioni ma quella esperienza  in seguito si rivelerà utilissima.  Con piglio guascone si dedicò, negli anni della guerra,  al doppiaggio di attori importanti quali il grande Oliver Hardy e a piccole parti in film anche di un certo rilievo. Nell’immediato dopoguerra l’esperienza importante del cinema neorealista italiano lo toccò. Partecipò in parti di fianco ad alcuni film significativi di quel genere e comprese che il pubblico del cinema era interessato in quel periodo storico  ad una recitazione non teatrale che avesse sapore di autenticità e rispecchiasse il più possibile la vita di tutti i giorni.  La sua carriera prese il volo allorchè alla fine degli anni  quaranta si impose alla radio in programmi di rivista di grande ascolto inventando personaggi comici di  grande originalità quali il compagnuccio della parrocchietta e Mario Pio. Personaggi petulanti scelti tra la gente comune. Era un giovane attore che esplorava nuove vie di comicità e il cinema importante non se lo fece sfuggire. In quegli anni iniziava la sua strada di regista cinematografico un giovane brillante sceneggiatore, Federico Fellini.  I due divennero amici e Fellini lottò con i produttori diffidenti per utilizzarlo al meglio. La battaglia fu vinta e Sordi disegnò il personaggio della sceicco bianco da cui il titolo del film omonimo del regista romagnolo. Sordi caratterizzò  con maestria un laido attore romano di fumetti vanitoso e ignorante che, pur coniugato, tenta di approfittare dell’ingenua ammirazione di una giovane sposina verso il “divo”  di carta. L’ irosa attempata moglie dello “sceicco” impedirà duramente il nascere della tresca. Il film,  oggi considerato opera pregevole , fu accolto con diffidenza dalla critica e letteralmente ignorato dal pubblico. Sordi, con l’aiuto del “mago” Fellini, aveva dato del comico un’immagine diversa da quella cui era pigramente abituato il pubblico di quei tempi. Quel personaggio non era più una vittima o un timido in fuga dai prepotenti  ma era descritto anche in tutta la sua sordida cattiveria e volgarità. I tempi non erano ancora maturi per queste innovazioni. Il nostro Alberto fu quindi guardato con diffidenza dai produttori e distributori cinematografici delusi oltretutto dai risultati del botteghino. Fu Fellini  nel 1953 a “resuscitarlo” affidandogli, contro il parere di tanti, la parte di Alberto nel suo magnifico film “ I vitelloni”. In un gruppo di amici romagnoli scioperati e inconcludenti, Alberto è quello più  disinvolto e scherzoso ma il suo meschino egoismo verrà fuori nel dipanarsi della trama.In realtà quest’uomo rifiuta di affrontare la realtà di una situazione familiare difficile. Durante i festeggiamenti per il carnevale  Alberto, frastornato dai fumi dell’alcol, confesserà tutta la sua insoddisfazione per quella vita vuota mostrando la sua profonda solitudine. Sordi fu magistrale nel descrivere un personaggio così complesso, gioioso e scanzonato all’apparenza  ma di fatto segnato dalla vita. Il successo del film fu grande e da quel momento l’ormai popolare “Albertone” fu chiamato a interpretare, dal 1954 al 1958, una serie di personaggi per la maggior parte farseschi ma in cui iniziava a delinearsi l’ambizione di  darci un’immagine certamente esagerata ma non di maniera dell’italiano medio. Sordi, sceneggiatore assieme al bravissimo Rodolfo Sonego, attraverso film quali “il seduttore”, “l’arte di arrangiarsi”, “lo scapolo” e via continuando, crea un personaggio di italiano arrogante e vigliacco al tempo stesso. Un uomo biecamente conformista e con pochi scrupoli che rispecchiava in certo modo di vivere di molti nostri connazionali. Il pubblico  accettò in pieno questa impostazione anche perchè l’estro comico di Sordi riusciva con l’arma della risata ad attenuare l’amoralità sostanziale dei suoi personaggi. L’attore era maturato e pronto al salto di qualità. Nel 1959 Mario Monicelli gli affidò un ruolo importante nel film “La grande guerra”. Era una rievocazione, con toni ora drammatici ora grotteschi, delle vicissitudini sulle montagne del Carso di un gruppo di soldati durante la terribile e sanguinosa  prima guerra mondiale. Sordi è Oreste Iacovacci, un soldato romano vile e scansafatiche che assieme ad un suo degno commilitone milanese, impersonato da un convincente Vittorio Gassman, cerca  di sbarcare il lunario con l’unico intento di  portare a casa la pelle. Quest’uomo nel momento decisivo della sua vita si riscatterà. Sarà fucilato, assieme al suo compagno, dalle truppe austriache perché non confessa il luogo ove si trova il suo battaglione. Il pavido Oreste è consapevole che se cederà molti suoi commilitoni perderanno la vita. Sordi è straordinario nel dipingere la rozza figura del romano apparentemente senza principi che però si sacrifica urlando nell’andare incontro al plotone di esecuzione: “ so un vijacco, nun sò gnente!”. L’attore rivelò un forte temperamento drammatico e il successo gli consentì di affrontare negli anni successivi, dal 1960 al 1963,  altri personaggi in cui il tratto grottesco si sfuma sempre più per lasciare il passo a  interpretazioni intrise di umanità dolorosa. Tra i ruoli più significativi ci fu il ridicolo ufficialetto del film “Tutti a casa”. Il sottotenente., travolto dagli avvenimenti dell’armistizio dell’8 settembre 1943, in una prima fase si darà alla fuga ma poi ,dinanzi agli orrori della guerra, troverà la forza di impugnare le armi e di partecipare alla lotta di liberazione partigiana. Dino Risi nel 1961 lo chiamò per  il film “Una vita difficile” per il ruolo di  Silvio Magnozzi un giornalista, ex partigiano, non disposto a piegarsi ai condizionamenti del potere economico e politico. Pagherà duramente per tutta la vita la sua coerenza ma si prenderà la soddisfazione nella scena finale del film di schiaffeggiare in pubblico l’arrogante affarista che lo vuole imbrigliare. Quì Sordi, aiutato dalla regia di alta qualità di Risi, è al massimo del suo talento recitativo in un personaggio amaro ma pieno di dignità .Una sofferta riflessione sugli anni del boom economico nel 1963 nei due film “ Il maestro di Vigevano” di Elio Petri e “ Il boom” di Vittorio De Sica. Sordi ,che ebbe sempre nel dna l’istinto di “sentire” i tempi che viveva, fu il protagonista importante di entrambe le pellicole e ci offrì rispettivamente il personaggio di un umile e onesto maestro travolto dalle ambizioni  affaristiche della moglie e quello di un piccolo e gretto industriale romano pronto a vendere un occhio per salvarsi da un sicuro fallimento. L’Alberto nazionale in quegli stessi anni azzeccò da comico puro il personaggio di Nando Moriconi ,detto “L’amerecano” che vedremo nei due esilaranti film “Un giorno in pretura” e “L’americano a Roma”. Sordi caratterizza da par suo un giovanotto romano dalle umili origini “impazzito” per la sua idolatria per tutti i gusti e le abitudini dell’adorata America. Nando rappresenta, con imprevedibili risultati comici, tutti i poveri di spirito che  aspirano a mondi diversi senza rendersi conto che dovranno scontrarsi con la dura realtà di tutti i giorni. Quell’invadente giovanottone innamorato del mito americano resterà per il grande pubblico il simbolo di quest’attore.
Sordi è ormai l’attore italiano più popolare e nel 1966  farà una scelta di vita dedicandosi, con rare eccezioni , a dirigere sé stesso. Iniziò con il film “Fumo di Londra”, una garbata satira sulle esperienze di un commerciante italiano nella capitale inglese. I film diretti da Albertone sono sfornati a getto continuo per oltre trent’anni ma non si può non constatare che il regista, sia pure volenteroso, non vale l’interprete, anzi talvolta l’attore appare incontrollato, un pò sopra le righe. Si nota purtuttavia che Sordi continua nella sua opera di scandaglio dell’italiano medio anche se i personaggi vengono dipinti con meno crudezza.
L’attore di razza ogni tanto nell’ultima fase della sua vita professionale viene fuori con prepotenza. Vogliamo ricordare due film che ci mostrano il miglior Sordi. Nel 1974 diresse e interpretò, accanto ad una sfavillante Monica Vitti, il film “Polvere di stelle”. Il regista rievoca, con allegria ma anche con struggente nostalgia, il mondo dell’avanspettacolo durante gli anni bui della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra.  Sordi rappresenta, con la partecipazione di chi quell’esperienza l’ha vissuta , un modesto capocomico che si arrabatta con la sua piccola compagnia teatrale per sopravvivere durante i difficili anni della guerra. Nel dopoguerra  l’uomo ha l’illusione di emergere dall’anonimato e divenire un comico di successo, ma presto sarà risucchiato nella mediocrità. Nel 1986 Sordi ci offrì un’esilarante caratterizzazione nel bel film, diretto da Carlo Verdone, “Troppo forte”. L’attore impersona uno strano avvocato che truffa una povera comparsa di cinecittà., impersonata con comica umanità da Verdone. Sordi con questo film torna a disegnarci un personaggio comicissimo ma anche intriso di una spregiudicatezza che purtroppo conosciamo.
A questo artista dobbiamo un po’ tutti essere grati per le tante ore di non futile allegria che ci ha donato  con una generosità, una coerenza e un impegno unici.

 

 

COMICO DE CORE
di Lea Mina Ralli

C'è chi già nasce coll'anima d'attore
e a ogni perzonaggio dà l'ardore
pé questo Arberto Sordi è stato amato
che l'anima de 'gni òmo ha riccontato.

Era portato à  fà l'americano
ma pé la pastasciutta era romano.
cò la schiettezza der vero popolano
se sapeva adeguà ...era a la mano

E cò spontaneità a  prima vista
faceva la  macchietta o er fantasista
e sempre schivo pè la vita intera
senza fa' trasparì l'anima vera.

Amico de tutti e puro solitario
era un  comico co'sentimento serio.
L'invidia d'avarizzia l'ha tacciato
ché pel gran monno nun era portato...


Mò, s'è saputo che quer ch'ha guadambiato
a li poveri vecchi e all'animali l'ha lassato.


GRAZZIE ARBERTO

Te ne sei annato
tra risate e pianti
perché nissuno scorda
certi eventi
che t'hanno visto
fra i protagonisti.
Virtù e difetti
l'hai interpretati tutti
de questa umanità
ridente affranta.
E cèrte vorte
sardonico e beffardo
hai fatto risartà
cattivi istinti
mentre covavi in petto
er desiderio de mitigà
le sofferenze a quanti
lungo la vita
nun cianno avuto gnente.
Beneficato hai tu
segretamente
cò la saggezza
der bon samaritano.
Ed oggi uniti
all'urtimo convegno
riconoscente dimo:

Grazzie Arberto!