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BESTIALITA'
di
Annemarie Lenz

A volte l’amore per gli animali ha dei risvolti inaspettati. Lo sapeva bene mia madre che tutte le sere dovette prendere i calzoni di mio fratello con una certa cautela, visto che il piccolo Hans amava riempire le sue tasche con api, vermi, lucertole e quant’altro gli aveva attraversato la strada durante il giorno. Voleva salvare tutti. Qualche anno più tardi anch’io sviluppavo le mie passioncelle; solo che col senno del poi devo ammettere che più che amica delle creature sembravo Crudelia. Collezionavo coccinelle che ficcavo senza complimenti in una scatola di fiammiferi, annaffiavo con una costanza infinita i formicai lungo il muro del nostro giardino ed ero già da piccola un killer provetto delle povere mosche, abilità che tra l’altro conservo ancora oggi. In altre parole, mentre Hans era un discepolo di San Francesco, il mio amore per gli animali era più selettivo. E’ pur vero che da bambina giocavo con le bisce, numerose nel piccolo parco cittadino vicino a casa, ma in genere tutto ciò che ronzava, strisciava o tesseva ragnatele non era compreso nel mio amore.
Mio fratello ed io abbiamo avuto la fortuna di crescere in un quartiere molto verde. Non c’era casa senza giardino, e quindi la fauna era vasta e varia. Tutte le sere mettevamo un piattino pieno di latte in giardino perché una famigliola di ricci potesse abbeverarsi. Gli scoiattoli ci hanno fatto crescere molte piante con le loro scorte di noccioline e semi vari. Ogni inverno Mamma comprava dei semi di girasole per nutrire gli uccelli che non avevano preso la strada del sud. La neve nel giardino era costellata di impronte dei piedini dei tanti volatili. Poteva succedere che sul davanzale della finestra della cucina si radunasse una nutrita schiera di uccelli che bussavano col becco sul vetro.
Un giorno trovammo una rondine con l’ala spezzata. Hans, da buon samaritano la curava amorevolmente, ma purtroppo l’uccellino morì. Facemmo un grande funerale insieme ai nostri amici, e chissà se la piccola lapide è ancora sotto il pero. L’altro ritrovamento ebbe un esito del tutto diverso. Hans ci portò un piccolo merlo ancora quasi implume.
Mamma non gli diede molta speranza, ma con tenacia Hans nutrì l’uccelletto prima con un contagocce e poi con pezzetti di verme. Il merlo cresceva e diventava un animale straordinario. Per la verità non riuscivo a mangiare spaghetti per anni, visto che dovevamo cercare vermi ogni santo giorno per nutrire il nostro vorace merlo. Non ha mai avuto una gabbia e volava libero per casa e nel vicinato. Tutti lo conoscevano, non tutti lo amavano, dato che lasciava facilmente tracce del suo passaggio, ma tutti erano affascinati da questo animaletto tanto intelligente. Un giorno Mamma dovette chiamare il medico per mio fratello. Il merlo osservava il dottore, e al momento che il pover’uomo posò lo stetoscopio sul petto di Hans, l’uccello intervenne come una furia beccando la mano del dottore. Un’altra volta Mamma stava preparando il pranzo e ad un certo punto cacciò il merlo dalla finestra e la chiuse. Poco dopo si trovò con una beccata alla gamba: l’uccello era rientrato dalla finestra del bagno. Per un paio d’anni il merlo era la nostra gioia, poi un giorno sparì. Non abbiamo mai saputo che cosa era successo, ma probabilmente era stato vittima di un gatto.
Un altro compagno, il criceto, non è stato a lungo membro della nostra famiglia. Per il suo odore Mamma era categorica: l’animale doveva vivere fuori. Hans lo ha ceduto ad un altro amico degli animali, magari con una madre con il naso meno delicato.
Il disastro arrivò con una coppia di topini bianchi. Come si può ben immaginare la gioia di questo acquisto era molto unilaterale. Infatti la gabbia doveva finire in cantina. Ora, questi roditori sono terribilmente prolifici e presto la gabbia era affollatissima di topi. Mamma impose a mio fratello di uccidere , magari per affogamento, i topini appena nati, ma dopo un vano tentativo - Hans faceva praticamente la respirazione bocca a bocca al malcapitato - arrivò l’ordine perentorio di portare tutta la ormai cresciutissima famiglia nel laboratorio farmaceutico. Se Hans non avesse tentennato, si sarebbe risolto tutto, ma il suo cuore colmo d’affetto non riusciva a fare quel crudele passo. Così una mattina trovammo la gabbia vuota, bucata dai tanti dentini aguzzi e i topolini correvano per tutta la cantina. Niente di grave, si potrebbe pensare, se non fosse stato per il magazzino alimentare. Mamma in quei tempi aveva un negozio alimentare "ereditato" dalla nonna paterna. Iniziò la caccia grossa, alla quale dovettero partecipare tutti; non è semplice catturare una cinquantina di topi. Quindi il duro cammino con la gabbia rattoppata verso il laboratorio.

La storia dei miei molluschi portati con tanto di sabbia ed acqua del lago a casa finì in breve e tragicamente, visto che presto uscirono degli strani vermi dalle valve, probabilmente per il mancato ricambio d’acqua. Però il funerale celebrato in compagnia di tutti i nostri amici era grandioso.
Naturalmente non poteva mancare il gatto. Un giorno una nostra vicina ci portò questo gomitolino bianco e nero. Miagolava da fare pena e fu subito amore. Chicco gradì il piattino pieno di latte tutto per lui, dato che prima dovette spartire tutto con i suoi tanti fratellini. Il risultato di questa abbuffata fu molto visibile la mattina dopo. Preparammo allora un bagnetto privato a Chicco e per due giorni marcammo stretto il micino fino che non aveva capito a che cosa servisse. Quando inizio ad uscire da casa, ogni qual volta che aveva un bisogno fisiologico corse nella sua toilette in bagno e guaio se trovava la finestra chiusa; la sua voce diventava potente.
I primi tempo Chicco sostituiva egregiamente il televisore, (che a quei tempi non possedevamo) regalandoci delle serate gioiose con i suoi giochi, e un giorno non c’era più. Per tre lunghi giorni lo cercammo in tutto il vicinato e solo all’imbrunire del terzo giorno Papà sentì un debole lamento dall’alto di un albero. Il gattino non sapeva più scendere da solo. Con una lunga scala lo tirammo giù; era in condizioni pietose e affamato come un lupo. Crescendo divenne un bel gatto, ma rimase sempre un po’ selvaggio. I risultati delle suo lotte erano ben visibili: perse un occhio, le sue orecchie erano a frange e l’ultima ferita ad una zampa era tanto grave da doverla medicare con una fasciatura. Mamma perse molto tempo a fare un bel lavoro, ma finito la medicazione, Chicco con una sola mossa si levò la fasciatura e sparì. Aveva perso molto sangue ed è possibile che sia morto; non lo abbiamo mai più visto.
In casa nostra era passato anche un canarino di nome Beppe fino che non aveva posato un uovo nel suo nido: dopo si chiama Giuseppina.
L’ultimo compagno è stata la nostra cagnetta. Papà era assolutamente contrario fino che non ci hanno portato il risultato di una scappatella di una cockerina. Il padre era un barbone gigante ed il batuffolo in questione aveva un pelo metà riccio e metà ondulato con una lunga coda che sembrava una felce. La cagnolina ancora incerta sulle sue zampette si diresse verso Papà e lo conquistò al volo. Netti era entrata nella nostra famiglia.
Rincominciò l’addestramento del bagno, questa volta ad ogni accucciata una corsa in giardino. Per il resto abbiamo completamente fallito nell’educazione di Netti. Di notte si mangiava gli angoli del tavolo della cucina, di giorno scarpe, pantofole e angoli di tappeti. Aveva una sua dieta, ma accompagnava i nostri pasti con il suo abbaiare. Le passeggiate erano una vera tortura, perché Netti non camminava mai al guinzaglio, correva e tirava. In macchina era tranquilla finché non vedeva un bosco: allora impazziva mettendo in pericolo l’autista. Almeno si fosse divertita da sola nella foresta - ci costrinse invece a lanciare pigne che non riportava mai fino che non ci venne il gomito del tennista.
Abbiamo anche pagato qualche conto del veterinario perché Netti non tollerava altri cani davanti casa, tranne quando era in calore. C’era un fedelissimo ammiratore, un bassotto, che passò tutte le tre settimane "critiche" di Netti davanti al cancello. La padrona lo portò ogni tanto a casa per rifocillarlo, ma Bobby non si arrese mai, e questo per ben nove anni!
Dopo la morte del mio Papà Netti era la consolazione di Mamma, ma i problemi sono sorti quando ho sposato un italiano e Mamma per venirci a trovare doveva affidare la cagnetta a zia. Mia zia abita in campagna e quindi Netti era libera come il vento, se non si fosse alleata con il cane della vicina fattoria. Insieme andarono a giocare nel pollaio, uno prendeva la coda e l’altra la testa delle galline e facevano il "tiro alla fune". Zia pagò più di una gallina senza per altro riceverla, e in futuro non volle più ospitare Netti.
Da molti anni anche Netti è nel paradiso degli animali e chissà se ha incontrato tutti gli altri i nostri compagni ed hanno parlato di questa famiglia strana che senza animali proprio non poteva esistere.