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FIRENZE... FIRENZE

di Annemarie Lenz

Nel settembre 1966 andai a Firenze per perfezionare l’italiano. Alloggiai in un piccolo albergo vicino all’Arno e la scuola era poco distante. A metà corso ci diedero una settimana di vacanze che io passai a Roma, città che non avevo mai vista. La girai tutta a piedi e me ne innamorai.
Il 4 novembre dovevo rientrare a Firenze ma la banca vicino al mio albergo non volle accettare il mio assegno circolare. Per questo persi tempo e presi il treno il giorno dopo. Ma la mattina del quattro a Firenze era successo un disastro, la grande alluvione. Arrivati ad Arezzo fecero scendere tutti e ci portarono in pullman verso Firenze. Si poteva passare su un unico ponte e nella luce incerta dei fari vidi macchine accatastate, fango dovunque, ma soprattutto una città buia, illuminata solo da un enorme faro dal Piazzale Michelangelo. Con molta difficoltà arrivammo alla Stazione di Firenze, anche questa illuminata da fotoelettriche. Scesi dal pullman non sapevamo come arrivare alle nostre case. Camminare era quasi impossibile, mezzi pubblici non ce n’erano. Finalmente si affacciò qualche taxi. Ebbi la fortuna di trovare altre tre persone che dovevano andare nella mia direzione e l’autista ce la mise tutta a farci avvicinare a casa. Con la mia valigia dovetti fare gli ultimi 200 metri a piedi, in parte su tavole di legno, in parte nel fango scivoloso, tutto nel bui più totale. Era ormai tardi, ma se volevo dormire dovevo bussare alla porta chiusa. Dopo tanto mi aprì il padrone dell’albergo, un signore tanto gentile, ma in quel momento ubriaco. Quando finalmente mi riconobbe mi fece andare in camera mia. La piccola hall era irriconoscibile, le tende nuove strappate e piene di fango e piene di fango anche le scale fino al primo piano. La mia stanza era al secondo piano e quindi pulita, ma non c’era ne acqua ne corrente ne riscaldamento. Io non avevo perso niente, ma ciò che vidi mi addolorò molto.
Passai la notte alla meno peggio e scesi presto la mattina. Trovai i proprietari nella hall, sconsolati, sporchi di fango e affamati. La cucina e la dispensa sotto terra erano andate distrutte. Decisi di muovermi e mi recai da una mia amica che abitava da una signora verso le colline. La signora mi preparò gentilmente del caffè che portai in albergo. Avrei voluto rimanere lì per aiutare, ma alla scuola, anch’essa distrutta, ci comunicarono che noi ragazzi stranieri non eravamo desiderati.
Con molte difficoltà arrivai in centro. Dovevo cercare di riprendere i miei soldini in banca. Alla Banca Toscana trovai un’incredibile situazione di sfacelo, ma il personale era gentilissimo. Mi fecero andare al primo piano, che negli antichi palazzi fiorentini voleva dire almeno 10-12 metri più in alto, e lì un impiegato cercò il mio conto tra carte impregnate di fango. Come per miracolo lo trovò e mi restituì il mio gruzzolo. Il ritorno in albergo fu un calvario, la città era presidiata dall’esercito e soldati con il fucile spianato guardavano tutti con sospetto.
Il terzo giorno presi parte delle mie cose e mi incamminai verso la stazione di Campo di Marte, praticamente uno scalo merci, ma molto più vicino della Stazione di Santa Maria Novella. Tra l’altro non sapevo neppure se ci fossero dei treni. Avevo deciso di non rientrare ancora in patria, ma di finire la mia licenza a Roma. Salii sul primo treno e quando mi vide il controllore, oltre al biglietto mi voleva fare pagare una multa perché non si poteva salire in quella stazione.
Un passeggero lo apostrofò: "Ma ha guardato questa ragazza piena di fango? Si vergogni!” Allora il controllore si impietosì e mi risparmiò la multa.
Scesa a Termini di Roma realizzai per la prima volta in che condizioni ero perché la gente mi guardava con disgusto. Non potevo biasimarli, ero coperta di fango. Mi affrettai ad arrivare all’albergo dove avevo soggiornato fino a pochi giorni prima. La segretaria, prima si mise a piangere e poi ordinò al factotum Salvatore di prepararmi un bagno nella stanza più bella che avevano. Ero sfinita, ma prima di tutto dovetti uscire per mangiare qualcosa: ero digiuna da tre giorni.

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