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Altri racconti:       Dialogo con Babbo Natale
                          La bambola di pezza
                          La cena

Racconto

di Maurizio Giacinti

Non riesco a guardare il mio ultimo lavoro, quel manoscritto così pieno di avvenimenti e di personaggi che li animano.


E' tardi, circa mezzanotte. Tra poco lo distruggerò. Così ho deciso e forse non scriverò più nulla. Sono anni che faccio vivere sulla carta personaggi, vite,  intrecci,  passioni. Una schiera di persone mai nate mi fissa interrogativamente. Alcuni con sguardo benevolo, poichè hanno vissuto bene la loro storia ma altri con espressione cattiva, di odio.

No, basta non ce la faccio a sopportare oltre questi sguardi.

MI dico a volte:"Senza di me non sarebbero vissute".

Nessuno me lo ha mai chiesto di vivere. Amori complicati, vedove, figli illegittimi, truffatori, padri e madri premurosi (meno male, almeno questi), vite stentate, agiate, difficili.

Ma non mi sento in colpa, nossignore, questa è la vita ed io l'ho solo raccontata. Non ho aggiunto una riga di più nel copione della natura. Dunque facciamola finita e per gustare meglio questo momento distruggerò foglio per foglio.

Voglio assaporare lentamente il gusto di decidere per una volta un aborto. D'altronde non si definisce così qualcosa che non si vuole  far nascere ?

Mi preparo un caffè, ho bisogno di stare sveglio tutta la notte, se necessario. Forse rileggerò qualche capitolo,  per farmi male o per persuadere me stesso di fare una cosa utile.

Prendo tra le dita il frontespizio col titolo e lo faccio a brandelli. Ora caro manoscritto sei orbato della tua identità:sei semplicemente anonimo. Nessuno ti potrà mai più leggere, questi personaggi non vivranno mai più.

A sessantasei anni e con una lunga lista di romanzi pubblicati posso permettermi questo lusso.

Un piacere sottile mi scorre come un brivido sotto la pelle mentre un'altra pagina scorre tra le dita e finisce nel cesto, anche lei a brandelli. 

Il trillo del telefono mi aggredisce nel silenzio della notte. Risponderò,  oppure no, la mia natura di uomo pavido

potrebbe prendere il sopravvento. Ma la curiosità è tanta. Anche durante il giorno non ricevo molte telefonate: qualche amico che ancora si ricorda di me o il mio editore che continua a stimolarmi per avere altra produzione.

Lentamente alzo la cornetta ed una voce maschia e sicura mi parla.

"Sono l'avvocato Martini" - dice la voce,  d'altronde a me del tutto sconosciuta.

"Non conosco nessuno con questo nome" - replico,  un poco perplesso.

"Ne siete proprio certo?"-replicò la voce sempre con tono sicuro.

"Perbacco -risposi - com'è certo che mi chiamo Cesare e sono uno scrittore.

"Appunto,  siete uno scrittore - affermò la voce nel telefono - anzi noi ci conosciamo bene."

"A mia memoria ancora non riesco a ricordarmi di voi."- dichiarai all'interlocutore sconosciuto.

"Mentite, mentite spudoratamente. In una normale situazione potreste essere mio padre."-affermò la voce.

"Ma come vi permettete -gridai irato -chi vi dà tanto ardire,  non fatemi uscire dai gangheri, razza d'insolente. "

"Calmatevi . Quanto sto per dirvi  chiarirà la mia posizione. "-disse lo sconosciuto-Prendete il manoscritto ed andate a pagina centodieci, trentaduesimo capitolo e leggete. "

"Ma di quale manoscritto andate cianciando ?"-chiesi stupito.

"L'ultimo, proprio quello che avete tra le mani e che state distruggendo. "-disse la voce con tono calmo e sicuro.

"Ma voi mi vedete, dunque, mi state spiando. "-replicai guardandomi intorno sospettosamente.

"Non ho bisogno di spiarvi: io non esisto o meglio non ho un corpo fisico ma la mia mente è dentro di voi .
Voi mi avete creato mi avete dato un passato, un presente ma... e qui casca l'asino, mi state negando il futuro.

Come se Domineddio dopo aver fatto il mondo ed averlo osservato,  compiaciuto dell'opera Sua, lo appallottolasse quale foglio di carta usata, si proprio come state facendo voi e lo gettasse nel baratro profondo dell'universo. "-gridò la voce.

Avevo compreso  quanto detto e quant'altro non detto. Riattaccai il telefono e presi il manoscritto già mutilato di qualche pagina e lentamente presi a scorrerlo. Ricordavo i punti salienti della storia e mi soffermai qua e là a rileggerne qualche brano.

Il tempo passava e la notte scorreva veloce. La voce non si era più palesata, l'avevo forse immaginata... Forse.

Ecco,  pagina centodieci,  E' vero a questo punto entra nella storia l'avvocato Martini. Ho dato corpo a questo personaggio poiché mi serviva per perorare una causa in Tribunale e l'ho fatto anche di bell'aspetto e generoso in maniera da risolvere l'evento senza alcun riscontro in denaro, gratis insomma.

"Bella roba -tuonò di nuovo la voce di prima, che ora non proveniva però dal telefono-è vero che mi avete dato tutto questo benessere ed ora che voi lo vogliate o no, me ne servirò per sostenere una giusta causa da intentare contro di voi. "

"Accidenti a voi ma dove siete, mostratevi dunque !"- urlai spaventato.

"Sono qui e sono là, sono dovunque, non ho corpo fisico ve l' ho già detto; io vivo nella vostra testa anche se dovrei risiedere nel vostro cuore, sbaglio ?"- affermò la voce con sicurezza.

"No. non sbagliate ma voi personaggi avete sempre un posto nel mio cuore,  come i figli che non ho avuto . "-risposi abbassando lo sguardo.

"Pur tuttavia volete eliminarci . Con che cuore. Che sentimenti . "- incalzò la voce.

"Questo manoscritto non à stato ancora pubblicato, se lo distruggo adesso nessuno ne avrà danno . "- risposi.

"Lurido bastardo - rituonò la voce - io e gli altri personaggi allora non vedremo mai la luce. Mai, per l'eternità.

Vi rendete conto della gravità di quanto state per fare. Voi siete scrittore di talento, la quantità di libri che avete scritto e venduto vi ha permesso di vivere agiatamente ed ora ve la prendete con noi, ultimi personaggi, della vostra brillante carriera."

"Vedete caro avvocato arriva sempre nella vita il momento di chiudere bottega e di fare i conti, anche con se stessi e con gli altri. In fondo io per lo scrivere ho sacrificato tutto. Sentimenti, amici, donne, figli sono voci che non compaiono nel mio bilancio esistenziale. 
La mia fantasia ha corso molto, il fantasticare di trame e personaggi ha costituito il mio unico interesse nella vita.  E poi l'editore sempre presente a pungolare per ottenere il massimo. Sa, caro avvocato, sono riuscito a scrivere quasi un libro ogni due mesi,  regolarmente pubblicato e sempre un successo.

Come si fa a vivere una vita diversa quando la propria è già così piena di soddisfazioni. Una sola soddisfazione non ho mai avuto : quella di distruggere almeno una volta una mia creazione e dire finalmente "basta"; come se uno scultore appena terminata l'opera sua la prendesse a martellate per ridurla in maceria e chiudere così la sua vita di  artista: un attimo di imperfezione : una vendetta.  Ebbene quel momento è arrivato e la mia carriera si chiude qui. "- conclusi .

"E' un concetto interessante e secondo me merita rispetto: un attimo d'imperfezione in una carriera perfetta, Bello, bello veramente. Ma come faccio a raccontarlo ai miei rappresentati, la cui esistenza in questo momento io sto tutelando ?

Vi rendete conto che  questo colloquio, in questa nottata, sarà forse l'ancora di salvezza,  affinché questi personaggi scaturiti dalla vostra fantasia vivano per sempre;sulla carta delle pagine di un libro, in una biblioteca, su uno scaffale polveroso e dimenticato, in una anonima bancarella di mercato, tra le mani curate di un un intellettuale o quelle dure e sporche di un operaio ma vivi, perdio !"- si scaldò il Martini, arringando.

"Volete dunque crearmi una crisi di coscienza ?"-replicò lo scrittore, sulla difensiva.

"Magari ci riuscissi, ma non  ci spero tanto ed il tempo sta scorrendo velocemente . "-disse Martini.

"Adele, Maria, il povero Aldo, quel brav'uomo di Giuseppe travolto dai debiti, Ugo il suicida. . . che figure memorabili degne,  nel loro spessore narrativo,  di un grande scrittore ottocentesco . Non perché li abbia descritti io, ma certo destinate a miglior fine. - disse lo scrittore rigirando un foglio tra le dita- In fondo sono lo specchio di una umanità sofferente e così vera che la trama della vita ne intesse ogni giorno di nuovi . "

"Poveretti -sottolineò Martini - morti ancor prima di nascere . Che aborto, che delitto . Se fossi vivo e dovessi

giudicarvi vi condannerei a morte per strage. Ma essendo incorporeo posso solo esecrarvi e farvi preda della vostra coscienza. Che essa vi fagociti digerendovi nel suo intestino buio e merdoso, la vostra giusta punizione. Amen. "

Qualcosa si ruppe, come il finire di un incantesimo. 

Il sole mi stuzzicava le palpebre ed il dolce tepore me le accarezzava gentilmente :quasi un invito ad aprirle.

Mi sfregai gli occhi e guardai fuori della finestra il giorno fatto e bello . Ma cosa avevo vissuto nella notte appena trascorsa ? Un incubo ? Una realtà vera o solo immaginata.  Maledetto Martini, mi hai persuaso ma non vincerai fino in fondo.

Presi il manoscritto, già privato delle prime pagine e salii di corsa le scale fino al terrazzo sovrastante.

Mi avvicinai al parapetto guardai giù un'ultima volta e... sparsi i fogli al vento che turbinando se li portò in alto disperdendoli nella valle sottostante e per le campagne intorno. Di certo non uccisi le mie creature ma le condannai ad un Limbo infinito. Alla faccia dell'avvocato Martini: maledetto il momento che lo creai !

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DIALOGO CON BABBO NATALE

 

La figura che si stagliava alla fioca luce del caminetto,illuminato dalle braci ancora calde,era tozza e strabordante.
Si muoveva veloce intorno all'albero di natale che i bambini, poco
tempo prima, avevano addobbato con palline colorate, festoni, dolcetti e molte piccole lucine.
La tradizione anche quest'anno era stata rispettata ed ora si attendevano i regali come premio di un intero anno di obbedienza ai genitori e
studio a scuola.
L'operazione era terminata e il grosso personaggio si accingeva ad
uscire da dove era venuto.
"Fermo!-intimò una voce squillante."Fermo dove sei o sparo!"
La figura corpulenta alzò le braccia in segno di resa e così facendo
il sacco che teneva in una mano gli cadde a terra senza rumore, poichè era già vuoto.
"Mi arrendo -borbottò la grossa figura con voce robusta-mi arrendo,non
sparare."
La luce si accese di colpo e la scena che si poteva presentare ad un
osservatore esterno era questa:
Vicino all'albero di natale un bambino di circa otto anni,teneva sotto la minaccia della sua pistola ad acqua un grosso e grasso signore vestito di panno rosso con guarniture di bianca e morbida pelliccia. Il cappello a cono e floscio era sul genere, terminato da un pon- pon bianco.Sul grosso faccione attonito dell'uomo, ben avanti nell'età, dominava una bianca e fluente barba morbida lunga quasi fino alla pancia. Il vestito era tenuto in vita da un' alta cinta di cuoio nero ed ai piedi calzava stivali di pelle scura. In realtà l'uomo, pur minacciato, non mostrava segni di paura. Anzi sembrava divertirsi. Le conosceva lui, quelle piccole canaglie. Erano secoli che riempiva le loro case di doni,ci si era invecchiato ,se così si può dire. Mentre l'uomo teneva ancora ben alte le braccia in segno di resa, il bambino occhieggiava,al di là della sua sagoma,i pacchetti che erano depositati sotto l'albero.
"Quelli ce li hai messi tu lì sotto ?"-chiese il bambino con fare indagatorio.
"E chi se no-rispose l'uomo-sono l'unico autorizzato a farlo,da sempre."
"Non farmi ridere-rispose il bambino-e tieni le mani alzate,non mi fido di te!"
"Ma perbacco -si irritò l'uomo-infine hai capito chi sono?"
"Si tu sei un ladro di regali e stavi per prenderli e fuggire via"-gridò il bambino-"Vergognati. 
I miei genitori hanno speso dei soldi per farmi dei doni
e tu vuoi rubarmeli. Cattivo! Ma io ti sparo con questa,"-disse il piccolo brandendo l'arma di plastica in modo minaccioso.
"Ora basta." -disse l'uomo ,girandosi con un grugnito e disarmando il
piccolo. Il bambino lo guardò con occhi spalancati, quasi pietrificato dalla sua reazione,senza profferire parola.
L'uomo in rosso si piègò sulle gambe e vi coricò di colpo il bimbo a pancia
in giù pronto a sculacciarlo.
"Anche la violenza, adesso - disse il bambino cercando di svincolarsi dalla
presa - sei un ladro e pure violento."
"Piano ragazzino con le accuse, se non puoi dimostrarle,"aggiunse l'uomo.
"Allora dimmi chi sei,"-lo interrogò il bambino.
"Ma sei cretino - disse l'uomo stupito-io sono Babbo Natale."
"Ed io la Befana ."-aggiunse il piccolo sghignazzando e deridendolo.
"Ma davvero tu non mi riconosci?"- chiese l'uomo,sempre più sorpreso.
"Babbo Natale non esiste-replicò il bimbo ridendo-è una leggenda nordica,
qualcosa che si racconta ai bambini per mandarli presto a letto a Natale."
"Allora io non esisto. Ma tu mi vedi?."-replicò il grasso signore barbuto.
"Certo che ti vedo ed a proposito,togli il disturbo, vattene e non
tornare più qui. E...giù le mani dai regali,"-concluse duramente il bambino.
Il Babbo Natale crollò seduto a terra. Poi si tolse il berretto e lo gettò
via restando a fissare il vuoto dinanzi a sè. Il bambino gli puntò l'indice della destra sul naso dicendo:"E domattina non ti voglio più trovare qui. Altrimenti..." Poi scomparve dietro una porta.
"Forse ha ragione lui-pensò Babbo Natale-uno come me è anacronistico
in un mondo tecnologico dominato dai computer." Si passò una mano sulla barba poi si alzò  per andarsene. Sconfitto. La sua sagoma già goffa,sembrava ancor più appesantita, mentre cupi ragionamenti si affollavano nella sua mente.
"Beh, prenderò l'occasione per andarmene in pensione-borbottò tra sè-in fondo mi sento un pò stanco,con tanti secoli di servizio sulle
spalle... Anche le mie renne sono invecchiate. Potrei sostituirle con esemplari più giovani,ma è sempre più difficile trovarne. E costano pure! I prezzi sul mercato sono raddoppiati."
Varcò la porta della stanza. Si girò un attimo e con tristezza guardò ancora
una volta l'albero scintillante. Poi spense la luce.
"Ma tu sei sicuro di essere Babbo Natale?"-disse una vocina di bambino
(la stessa di prima) dai toni un pò più addolciti.
"Com'è sicuro che tu ti chiami...a proposito qual'è il tuo nome?" -
rispose la grossa sagoma, ancora avvolta nella penombra.
"Mi chiamo Nicola"-rispose il bambino,questa volta disarmato e più
conciliante.
"Proprio come me! "-esclamò enfatico il grosso babbo natale.
"Ma tu da dove vieni e dove vai?"-lo interrogò ancora Nicola.
"Io vengo dal nord, dalla Lapponia e vado nel cuore dei bambini,"-rispose il grosso uomo.
"Ehi non ricominciare ad imbrogliare,-gridò Nicola piccato - come fai ad
entrare dentro un bambino e poi in un cuore,così ciccione come sei."
"Beh, ciccione... Suvvia  magari extra large e poi se mi tolgo questo
pastrano rosso qualche chilo lo perdo,-rispose dispiaciuto il babbo natale - ma ti posso garantire che in cuore io c'entro e c'entro bene."
Nicola si avvicinò con meno timore e meno bellicosità all'uomo.
Gli lisciò il vestito di morbido panno, poi le sue piccole mani toccarono il bordo di pelliccia sentendolo morbido e caldo ed i suoi timori cessarono di colpo.Se non era questo un miracolo... Si appoggiò all'uomo dandogli tutta la sua fiducia. Nessuno fiatava. Il dialogo si fece muto. Comunicavano le loro sensazioni attraverso il contatto del corpo. L'uomo vestito di rosso si chinò fino a terra e sedette sul pavimento. Questo altro gesto portò le loro facce a contatto. Il bambino vinto dal sonno gli si addormentò in braccio. Babbo Natale lo cullò un poco con fare paterno e Nicola sognò tanto,tanto, tanto. Sognò un esercito di babbi natale che preparavano i sacchi con i doni ed ogni sacco portava un nome di bambino e la sua destinazione, in ogni angolo della terra. Non c'era scritto però se erano bianchi o neri o gialli:solo il nome e l'indirizzo. Ed ogni sacco aveva la forma di un cuore. Il grande cuore di Babbo Natale.
Fuori le renne fremevano. Un esercito di renne, pronte a scattare ed a
compiere il servizio che una volta all'anno le vedeva protagoniste. Nicola sulla porta della casa fatta di tronchetti di legno di abete, dava disposizioni a ciascun babbo natale che immediatamente partiva con la sua renna ed il suo carico di regali. Appena tutti furono partiti Nicola, soddisfatto, vide sotto di sè la terra rotonda come un grosso pallone e tutti i continenti formicolanti di babbi natale che,in un attimo, distribuivano tutti i sacchi con i doni ai vari destinatari.
Si svegliò, si stropicciò gli occhi e si guardò intorno. Il grande
albero con le decorazioni scintillanti e le lucine accese era ancora là. Sotto ai rami bassi c'erano molti pacchi ben confezionati con carte multicolori e nastri d'oro e d'argento. Ma quello che attirò la sua attenzione fu un cappelluccio a cono floscio e di panno rosso con finiture di pelliccia bianca, seminascosto tra i rami del grosso abete. Lo prese, lo strinse a sè e pensò :"Cari genitori, volevate fregarmi, ma per fortuna ho capito in tempo. 
Grazie Babbo Natale."

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LA BAMBOLA DI PEZZA
(Esiste Babbo Natale?)

La giovane donna si muoveva cautamente alla fioca luce che l'albero di natale emanava.
Non doveva fare rumore, altrimenti i bambini si sarebbero svegliati e la sorpresa dei doni per il
giorno dopo, sarebbe svanita.
Avanzava lentamente schivando gli ostacoli consueti:una sedia,il gatto che dormiva sul tappeto,alcuni giocattoli abbandonati a terra...
Finalmente l'albero,con il grosso vaso di coccio pieno di terra ,che nutriva l'abete per quei giorni di festa.
Depose ,sempre in silenzio,la prima scatola dei doni,poi la seconda ,poi un'altra ,via via sempre più piccole a formare una piramide. Guardò ancora per un attimo il mucchio foderato di carte multicolori e nastri scintillanti,immaginando la gioia dei bimbi che la mattina dopo li avrebbero scartati con allegria.
Questa fantasia la riempiva di gioia e decise di salire in camera per coricarsi .La giornata della vigilia era terminata. "Vuoi forse rubarmi il mestiere?"- l'apostrofò una voce robusta alle sue spalle.
Un tremore pervase tutto l'essere della donna che non osò voltarsi. 
"Chi..chi sei?"-balbettò impaurita.
"Sono colui che da sempre porta doni ai bambini, sono Babbo Natale."-rispose la voce di prima.
"Se vuoi spaventarmi lo hai già fatto, se vuoi prendermi in giro ...beh è da tempo che non credo più in
Babbo Natale "-rispose la giovane donna, prendendo coraggio e girandosi di colpo. Ma non vide nulla. Mentre la voce riprese:"E chi ti dà questa sicurezza?"
La donna forava il buio con lo sguardo alla sempre tenue luce,ma continuava a non vedere nulla e nessuno.
Adesso tremava veramente, il timore si era fatto terrore.
"Vedo che stai tremando. Ma da quando in qua Babbo Natale incute timore?"-replicò calma la vociona.
"Da quando un cretino qualsiasi tenta di spaventarmi gabellandosi per quello che non è, o meglio, non
esiste,"-disse la giovane calmandosi un poco.
"Grazie per l'insulto. Se avessi immaginato,all'epoca della tua infanzia,che fossi diventata così
incredula, addirittura da negarmi l'esistenza,mi sarei ben guardato dal portarti certi regali e... certi dolci da te preferiti. Sono veramente dispiaciuto,"-concluse il vocione fuori campo.
"Scusa,scusa ma sono nervosa spaventata e non so con chi stia parlando,tu capisci..."-disse la donna.
"Forse hai ragione, non è facile interloquire con un fantasma ed io non lo sono. Pertanto ho deciso di
mostrarmi,"-rispose la voce, mentre prendeva sembianze di un grosso uomo anziano, dalla barba bianca e fluente.
"Ma Babbo Natale, se tu lo sei, non è mai stato visto da nessuno-disse la giovane rinfrancata - è sempre stato idealizzato da scrittori, bambini, disegnatori. Loro hanno creato la tua leggenda, il tuo vestito, il tuo
aspetto.Ti hanno dato  perfino l'età:quella di un buon nonno anziano e generoso."
"E' vero ed io mi sono adeguato. Così tutti mi hanno idealizzato e così io sono diventato"- disse il grosso
uomo.
"E le renne e tutto il resto?"-chiese la giovane donna,per un attimo presa da quella magia e ritornata di colpo bambina.
"Vedi, quando ho cominciato quest'attività il mondo era povero,non c'erano automobili o aerei,il cibo non bastava a sfamare nessuno,si vestiva di poveri panni,figuriamoci se c'erano giocattoli. Ai bimbi poveri nessuno donava nulla. Ci si muoveva con il traino animale ed io scelsi le renne. Nacqui già vecchio in
un paesino del Nord vicino al Polo, lì c'erano solo renne ed io le adottai, poi fecero parte di diritto della mia leggenda. Pensi che io non avessi mezzi per muovermi meglio? Illusa. Io ho sempre seguito il progresso dell'uomo, fino ai moderni razzi e satelliti. Cosa chiedono oggi i vostri bambini? Giocattoli tecnologici. Ed io li accontento. Starà poi a voi genitori affinché ne facciano l'uso corretto,"-concluse il vecchio, lisciandosi la barba bianca. La giovane donna si fermò a riflettere,poi disse:"Hai ragione tu,ma è difficile che tutto questo sia vero."
"Secondo te, allora, non sono vero?"-disse il vecchio leggermente irritato.
"A questo punto non sono più sicura di nulla ."-disse la giovane donna.
"Sei come San Tommaso - disse il vecchio - vorresti toccare con mano. Ebbene fallo!"
La donna avvicinò timorosa una mano verso la figura vestita di rosso e mentre tentava di toccarla,sbilanciandosi, l'attraversò cadendo riversa sull'antistante divano.
Il vecchio rise di gusto, con un riso forte e grasso poi disse:"Ma se non esisto come hai la pretesa di toccarmi?"
"Continui a prenderti gioco di me, stupido ciccione, vestito di rosso!"-inveì la giovane.
"E' la seconda volta che mi insulti-disse l'uomo -ora basta. Se ci credi io esisterò veramente altrimenti scomparirò per sempre dalla tua vita e dal mondo intero. Nessuno avrà più i miei doni."
La donna lo guardò perplessa e divenne pensierosa. Nessuno saprà mai cosa pensò in quel momento. Ma forse risolutivo fu l'atteggiamento del babbo natale che, girato di spalle, piangeva silenziosamente. "Avevi tre anni. Quel Natale i tuoi genitori erano in gravi difficoltà. Non avevano neppure di che vestirti. Il tuo papà aveva perso il lavoro.Tu ricevesti la tua prima bambola. Te la portai io stesso, la ricordi? Era di pezza appena colorata, forse anche un pò brutta, ma tu appena la vedesti la stringesti al petto e da quella sera e per molti anni fu la tua confidente, la tua complice, la tenutaria dei tuoi segreti più profondi, divenne una parte di te."
"Ora ricordo. Quella bambola è ancora con me. E' sempre con me. E' parte di me. Non ce l'ho più,
il tempo l'ha distrutta ma è ancora dentro di me. Se tu conosci la mia bambola allora sei veramente Babbo Natale. Ora ci credo,"-rispose commossa la donna. Il grosso uomo si materializzò e prendendole le mani se le appoggiò al petto, sulla rossa palandrana. Questa volta la giovane donna sentì, non solo la corporeità dell'uomo,ma anche il suo cuore battere sotto il panno.Il vecchio l'attirò a sè, se la pose in grembo, cingendola in un tenero abbraccio, dove ella si addormentò felice, sognando ancora una volta la bambola di pezza.

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CENA IN FAMIGLIA

Personaggi:
Nonna Auguste,la vittima
Claire, la nipote
Joseph, il nipote
Claude Monestier, il notaio amico 
Jules Bonnenice, il detective
Andrè Poisson, il sergente
Philippe, il maggiordomo
Il gatto di famiglia

Parte Prima. La cena

"La cena è servita"-annunciò il maggiordomo ai presenti,  riuniti nel salottino,  per l'aperitivo. 
Claire, la nipote e Joseph suo cugino aiutarono nonna Auguste ad alzarsi per andare nella sala da pranzo dove era stata servita la cena. Anche il notaio Monestier, amico di vecchia data di nonna Auguste,  era stato invitato per definire gli ultimi ritocchi al testamento della ricchissima vecchia.
Cenarono tutti in allegria ed alla fine della cena brindarono, ognuno aveva i suoi buoni motivi
per farlo, con un ottimo Champagne d'annata alla riuscita della serata. 
"Alla felicità di tutti voi"- disse la vecchia Auguste, alzando il calice verso i presenti, mentre l'altra mano continuava ad accarezzare il gatto di casa, che ella teneva in grembo tutto il giorno e che la notte le dormiva accanto, sul cuscino. 
"Vi ho pertanto qui riuniti per comunicarvi le mie decisioni circa le variazioni che vorrò apportare al testamento. Ecco, quindi,  giustificata la presenza del dottor Monestier a questa cena di famiglia. Voi siete i miei unici eredi -squittì la vecchia-ma qualcosa è cambiato negli ultimi tempi. La dedizione che voi mi avete sempre dimostrato, negli ultimi tempi, è andata un poco a calare e certamente ho sofferto di solitudine, quasi un abbandono da parte vostra. Questo mi ha disturbato molto, visto che vi ho spesso aiutato per le vostre difficoltà. . . "- concluse sospensivamente la vecchia.  che riprese dicendo:"Monestier prenda le carte e mi segua nel mio studio. Voi attendete qui le mie decisioni -rivolgendosi ai nipoti-che da stasera in poi saranno definitive."
La vecchia stava per alzarsi dalla sedia che aveva occupato durante tutta la cena, assieme al suo gatto, quando le luci si spensero di colpo e nel buio che era calato nella sala si udì un tramestio concitato e, tra i vari rumori, il gatto che miagolava furiosamente e soffiava
verso un indefinibile nemico che, forse solo lui vedeva. 
Philippe il maggiordomo corse nella sala brandendo un candeliere a quattro bracci con quattro candele accese. La fioca luce delle bugie illuminò la macabra scena: la vecchia Auguste giaceva a terra apparentemente senza vita ma senza tracce di sangue o di ferite. 
I nipoti guardavano la nonna allibiti senza intervenire, il maggiordomo deposto il candeliere a fianco della vecchia padrona cercava di rianimarla, il notaio non batteva ciglio, alla sinistra luce
delle candele. Solo il gatto non dava più segno della sua presenza. Era sparito dalla sala. 
Joseph prese il telefono ed avvertì la polizia che un 'ora dopo si materializzò nella persona del detective Jules  Bonnenice seguito dal fedele sergente Andrè Poisson. 
Nel frattempo la luce elettrica era stata ripristinata. Appena arrivati vollero vedere la scena dove la povera Auguste aveva brindato per l'ultima volta, essendo ancora viva, senza immaginare la sorte che l'attendeva. 
Nessuno l'aveva toccata ed ella giaceva,  lunga,  di fianco alla sedia che l'aveva ospitata per l'ultima volta. 
Neppure Bonnenice  la mosse; pregò invece i presenti di prendere le posizioni che avevano al
tavolo durante la cena poco prima che si spegnessero le luci. Tutti eseguirono senza opporsi, nè commentare. Pertanto si videro i nipoti prendere posto alla destra della vittima ed il notaio alla sua sinistra.  Il maggiordomo non ricordava bene la sua posizione al momento dell'oscuramento ma anche lui  era presumibilmente abbastanza vicino alla signora. Tutti comunque ricordavano il miagolio disperato ed inferocito del gatto che, comunque ancora non si era trovato.  
Mentre Bonnenice interrogava i presenti, secondo il suo collaudato metodo introspettivo, il fedele sergente misurava il luogo degli avvenimenti,  segnando col gesso la posizione del cadavere e quella dei presenti, annotando tutto su di un taccuino consumato dall'uso. 
Nomi, note, moventi presumibili si affollavano invece sulle paginette del notes di Bonnenice, che annotava tutto scrupolosamente, come suo mestiere e da ultimo, come dal cappello di un prestigiatore, tirava fuori l'assassino. 

Parte Seconda.  L'indagine

La povera Auguste era morta per asfissia. Un asfissia breve: ella già soffriva di enfisema e le difficoltà respiratorie avevano fatto il gioco dell'assassino. Era bastato turarle il naso e tenerle bloccata la gola per pochi attimi, in quella frazione di buio che aveva favorito il misfatto, perché il crimine si compisse. Un blocco d'aria in una persona che viveva respirandone un filo per esistere, aveva provocato una fatale mancanza   d'ossigeno al cervello per una morte sicura. Questo enfisema la torturava da due anni ma si era presentato in maniera violenta ed invasiva. In poco tempo le aveva distrutto i polmoni togliendole l'aria tanto necessaria per vivere. In realtà le restava poco tempo e per questo la presenza del notaio in casa, come il solo amico che le rimanesse, l'aveva spinta ad invitarlo spesso a pranzo o a cena, a volte per giorni ripetuti dove parlavano di tutto : di ricordi, di fatti d'attualità e d'amministrazione dei beni cui il medesimo attendeva e di cui era tenuto periodicamente a presentare i rendiconti. Una persona di famiglia, ormai, anche lui. 
Le cose nelle finanze della vecchia signora non andavano bene. Alcuni rovesci azionari in cui
ella aveva investito molto avevano impoverito il conto in banca, che comunque rimaneva congruo. Questi fatti, come narrati dal notaio, erano rimasti impressi dalla penna di Bonnenice sul suo quadernetto ed erano già oggetto di congetture nella sua mente fervida. 
In realtà, come affermato da Auguste prima di defungere, i nipoti erano alcuni anni, circa quattro che non si facevano vivi, impegnati a spendere e spandere il denaro di famiglia in ogni parte del mondo. Quanto al maggiordomo era sicuramente fedele e fidato ma come tutti i maggiordomi
era il primo ad essere sospettato. Vuoi che in moltissimi anni di servizio non avesse accumulato qualche dissapore,  qualche vessazione, qualche ingiustizia da parte della sua datrice di lavoro? Ma poi perchè il gatto al momento dell'oscuramento, durato appena due minuti avrebbe dovuto inferocire in quel modo improvviso?
"Strano -pensò Bonnenice tra sè e sè - un gatto sonnacchioso sulle gambe della padrona... la serata tranquilla... ospiti insospettabili e di famiglia. . . "
Anche i nipoti erano fortemente sospettati. La vecchia  durante la cena aveva annunciato di voler cambiare il testamento che, fino ad allora era palesemente a loro favore, in quanto unici parenti viventi della povera Auguste, loro stessi orfani di padri e madri e cugini fra loro. Si potrebbe anche affermare che lei, con la sua ricchezza, li aveva ben cresciuti e fino a quel momento erano
sicuramente i suoi unici eredi. Fino a quel momento...
Maledizione,  ma dove era finito il gatto. 
In quel momento il sergente che aveva terminato i rilievi sussurrò qualcosa nell'orecchio di Jules Bonnenice che chiese scusa per appartarsi un attimo con il sottoposto. 
Il gatto ricomparve all'improvviso ed il maggiordomo lo prese in braccio carezzandolo. Alla luce forte delle lampade elettriche le mani del maggiordomo erano segnate da piccoli solchi di sangue rappreso come graffi d'animale. Bonnenice tirò fuori le manette e lo immobilizzò accusandolo dell'assassinio della povera Auguste, sua padrona per tanti anni. Poisson lo prese in consegna e si accinse a farlo salire in macchina. Non  poteva sbagliare: i graffi sulle mani glieli aveva provocati
la bestiola mentre egli al buio infieriva con le mani sulla povera padrona chiudendogli il naso e la gola per non farla respirare. Chiarissimo come la luce del giorno. Le motivazioni non erano chiare ma con un buon interrogatorio sarebbero saltate fuori. Il caso era chiuso e Bonnenice si accinse ad accomiatarsi dai presenti, raccomandando loro di presentarsi il giorno dopo per la deposizione. Il notaio si scusò pure per il saluto con i guanti già calzati poichè anche lui stava per andare a casa. La macchina del detective si avviò lungo il viale della casa di Auguste seguita da quella del notaio, mentre il povero maggiordomo continuava a dichiararsi innocente. 
"Ma che stupido - gridò Jules Bonnenice -ma che stupido sono!"
Il sergente alla guida della vettura bloccò i freni sul viale, quasi all'uscita del cancello e
guardò Bonnenice che ancora ripeteva: "Che stupido sono, un imbecille proprio. . . 
"Il notaio bloccò a sua volta la  vettura per non tamponarli e si fermò stupito. Jules si precipitò dalla sua macchina verso quella del notaio e così lo apostrofò:
"In verità caro signore non mi sembra decoroso nè accettabile che un par suo, persona di classe, si congedi da qualcuno presentando una mano guantata."
"E' vero -disse il notaio- e me ne scuso. " Tolse il guanto dalla mano destra e la porse a Bonnenice che sveltamente appena la vide la cinse con un bel paio di manette. 
La mano del notaio rivelava una serie di graffi freschi dovuti ad un animale, appunto il gatto della povera signora Auguste che, sentendo aggredire al buio la sua padrona,  aveva reagito come il suo istinto gli suggeriva cioè graffiando. 
I motivi del delitto erano da ricercare in alcuni pesanti prelievi di denaro effettuati dal notaio, che insieme ai cali di borsa avevano assottigliato di molto le sostanze della vecchia e che ora al rendiconto per aggiornare il testamento sarebbero saltati fuori. 
Ed i graffi del maggiordomo? Il pover'uomo nel pomeriggio aveva potato alcune siepi di rovo che crescevano incolti su un muro della villa  e, come tutti sanno, è impossibile lavorare sui rovi senza riportarne i segni. Ma come mai nessuno si era accorto delle mani del notaio?Egli dopo il delitto aveva calzato un paio di guanti chiari di capretto che sfuggivano alla vista. Ma ancora un dubbio. Chi aveva tolto la corrente senza assentarsi dalla scena del delitto?
A questo se fosse ancora vivo potrebbe rispondere quel topolino che, qualche giorno dopo
questi fatti fu trovato stecchito (fulminato) sotto gli interruttori della luce. Qualcuno, con libero accesso nella casa, lo aveva legato presso l'interruttore generale della corrente. L'animale dibattendosi aveva provocato un corto circuito che aveva permesso all'assassino di agire al buio con tutto suo comodo. Ma chi poteva far caso ad un piccolo topolino stecchito in fondo ad una cantina...

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