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SUCCESSO DEL FILM DI BELLOCCHIO "BUONGIORNO, NOTTE"

MORO, IL RIMORSO DEI TERRORISTI

di GIUSEPPE TRABACE

La tragedia tutta italiana di Aldo Moro, uomo politico e statista di grande caratura sequestrato e poi giustiziato dal gruppo terroristico delle Brigate Rosse nell’anno 1978, torna alla ribalta con il film di Marco Bellocchio "Buongiorno, notte", presentato in anteprima mondiale a fine agosto alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e uscito in settembre nei cinema romani.

Successo di critica e di pubblico ma chi si attende una puntuale ricostruzione storica di quei fatti o una indagine sui molti misteri che ancor oggi aleggiano attorno alla strage di via Fani rimarrà deluso. Non era questo l’intendimento di Bellocchio che è unico autore e regista di questo film. Questo navigato e creativo cineasta ha chiarito alla Mostra di Venezia che una ricostruzione cronachistica, magari in commistione con spunti di fantapolitica, di quegli avvenimenti lui non avrebbe saputo farla. Chi ne conosce l’opera sa che Bellocchio da oltre un trentennio studia i meandri dell’animo umano cercando di coglierne le contraddizioni , attento a seguire una logica tutta personale ed originale sui fenomeni della nostra società.

Il film salta a piè pari la ricostruzione dell’azione criminosa delle brigate rosse svoltasi il 15 marzo di quell’anno a Roma in via Fani che culminò nell’uccisione dei 5 agenti della scorta e nel sequestro di Moro. Si entra nel " privato" di quella brutta storia. L’azione si svolge all’interno di quell’appartamento di Roma in via Gradoli in cui i sequestratori- 3 uomini e una donna- tennero prigioniero per 55 giorni il presidente della DC. Il tentativo di quegli uomini è di aprire una trattativa col Governo in carica per il rilascio del prigioniero previo il riconoscimento delle brigate rosse quale forza politica rivoluzionaria. Il prezzo del fallimento di quella trattativa è l’assassinio di Moro. In quella casa-prigione la tensione è tanta è tanta ed attanaglia non solo l’accasciato ma lucido uomo politico ma gli stessi rapitori. Il prigioniero nei primi giorni vive rannicchiato in posizione fetale su un lettuccio e sgrana continuamente un rosario. I terroristi, anch’essi rintanati in quell’appartamento, assistono attoniti al susseguirsi delle notizie riportate dai telegiornali e interrogano con fredda sistematicità Moro pretendendo improbabili confessioni su segreti di Stato . La donna, una giovane poco più che ventenne, è l’unica che, bibliotecaria in un Ministero, esce dall’appartamento ed ha contatti con la vita reale. L’atteggiamento della gente è per lei sconvolgente. Quasi tutti partecipano a quegli avvenimenti mostrando paura o rabbia senza in alcun modo condividere l’azione terroristica. Prevale la pietà umana per la sorte di quell’uomo sparito nel nulla. La donna torna nella prigione che si è scelta, ora le sue notti sono insonni e agitate. Talvolta nel buio spia il prigioniero che in un estremo tentativo di salvare la vita continua a scrivere lettere ai carissimi familiari, al Pontefice Paolo sesto e a quel Governo Andreotti che ormai ha scelto la linea della fermezza respingendo ogni trattativa con i brigatisti. Trascorrono inesorabilmente quei giorni. L’ora della resa dei conti è giunta . La giovane terrorista, in un illusorio ed inconscio tentativo di oscurare la realtà, sogna di un Moro liberato che si aggira attonito e incredulo per le strade di Roma. Ma il tempo è scaduto, l’impatto con la realtà è inevitabile. Il film si conclude con le immagini dell’uomo politico che si dirige, circondato dai suoi giustizieri, verso il luogo dell’esecuzione.

Storia di fantasia raccontata con intensa partecipazione da Bellocchio. Forse il regista vuole dirci che anche negli esseri umani più feroci e accecati da astratte ideologie può brillare una scintilla che li riporta a ragionare, magari solo per un momento, su quei valori della vita che non possono essere dimenticati. La sceneggiatura qualche volta, specie nella prima parte del film, ansima e sembra girare a vuoto ma la mano del regista è salda e il racconto ha una sua coerenza riportandoci a quel clima pesante che si respirava nella primavera del 1978. Corretti gli attori tra i quali spicca Roberto Herlizca. Nella parte di Moro questo valente attore di teatro ci mostra il volto segnato di un uomo che, che pur segregato nella "prigione del popolo", si batte, sostenuto dalla fede, fino all’ultimo per evitare una morte che a lui appare inutile.

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