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di Giuseppe Trabace

Il funzionario dell’ente previdenziale lo guardava con occhi liquidi e indifferenti. Mario si frugò affannosamente le tasche del cappotto e del vestito mentre alcune stille di sudore gli imperlavano la fronte. Trovò il libretto della pensione e lo mostrò. Dopo 42 anni di lavoro di coltivatore diretto si era trovato in mano un pugno di mosche. Gelidamente gli stavano dicendo che c’era ben poco da fare e che ci mettesse una pietra sopra. L’unica possibilità era quella di pagare altri soldi per poi ricevere una modesta integrazione della pensione. Cercò di protestare ma la voce gli si spezzò quando un signore in divisa lo prese senza complimenti per un braccio invitandolo ad andar via.

Si incamminò. Rifletteva sulle tante fatiche della sua vita, sui sogni non realizzati. Ora, quasi alla fine del percorso, amarezza e rabbia repressa attraversavano la sua vita. Sua moglie Cristiana, colpita da anni da una malattia cronica, non riusciva più a dargli quella speranza nel futuro che lo aveva sempre sostenuto. Dei due figli Antonio lavorava con lui nei campi ma era sempre cupo  e silenzioso, quasi che ce l’avesse costretto suo padre a quella vitaccia grama. Luisa, la più piccola, aveva quasi preteso di studiare  e si erano affrontati duri sacrifici per farle raggiungere l’obiettivo. Era laureata in biologia e lavorava in un istituto scientifico in una città lontana. Quella figlia, anche se non sposata, la vedevano per due-tre  giorni a Natale.

Si scosse dai suoi pensieri, era alla stazione di quella città ostile. Non vedeva l’ora di tornare al piccolo paese agricolo in cui viveva. La tettoia di quella stazione era sudicia, oppressa dal rumore dei treni e su di essa si posavano grossi uccelli color nero fumo. Si diresse mestamente verso il binario del suo treno e d’un tratto restò quasi di sasso. Da un finestrino una donna lo salutava con larghi gesti. Ma era lei! La sua Luisa che agitava le braccia per richiamare la sua attenzione. Gli sembrò di volare. Salì precipitosamente sul treno e le corse incontro. Luisa rideva come da bambina. Ad un tratto alle spalle della figlia Mario vide un uomo non giovane che lo guardava amichevolmente. Luisa arrossì, poi d’impeto:"papà questa è la persona a cui voglio bene. L’ho portato al paese per farvelo conoscere". L’uomo si presentò. Il suo nome era Guido, era un dirigente nella stessa società dove lavorava Luisa, aveva 51 anni, era divorziato senza figli, voleva ricominciare con lei una nuova vita. Per il padre, uomo stanco, le novità erano troppe e poi non sapeva che dire…….  Scesero dal treno. Si avviarono tutti tre verso la piccola casa grigia circondata da un orto fiorito e ben curato. Rado, il grosso pastore tedesco di quasi 10 anni, corse loro incontro. Fece grandi feste alla donna uggiolando come un cucciolo, annusò senza gioia Guido. Poi si rintanò nella sua cuccia  posta  all’aperto all’interno dell’orto. Antonio a quell’ora del primo pomeriggio era ancora al lavoro e Cristiana riposava nel suo letto, afflitta dai suoi gran mal di testa. Luisa entrò nella sua casa come intimidita, poi si fece forza ed entrò nella stanza della madre. A Cristiana, intontita dai calmanti, l’apparizione di Luisa sembrò un sogno e con voce stracca disse: "Mi stai sempre davanti, suvvia sparisci, non mi affliggere!". Lei era lontana da troppo tempo, la sua voglia di uscire dal recinto di quella vita angusta aveva reso infelice quelli a lei più cari. Mario preparò una tazza d’orzo e vi aggiunse dei taralli. Cercava di essere gentile con quell’uomo che pure gli pareva tanto vecchio e Guido pareva incerto su come comportarsi. Era il tramonto, nubi pesanti solcavano il cielo quando dalla stanza da letto si affacciò incerta, un po’ traballando sulle gambe, la madre. Il marito l’aveva avvertita di quell’inaspettato arrivo e il suo animo era stato attraversato da sentimenti contraddittori, ora di gioia,ora di oscura paura. Uscì timorosa dal suo guscio e la figlia le corse incontro e la abbracciò a lungo. La madre ricambiò, poi d’improvviso si ritrasse in un angolo buio della stanza. Senza esitazioni Guido le si avvicinò e le disse senza perifrasi di perdonare i suoi capelli grigio pepe ma che non poteva farci nulla se voleva bene a Luisa. Cristiana prima sembrò rintanarsi ancor più nel buio, indi prese coraggio e si affacciò alla luce con un sorriso incerto ma dolcissimo. Mario la guardò sconcertato e le porse con delicatezza un bicchiere di aranciata. Era buio ormai e un tuono assordante fece tremare i vetri di quella vecchia casa. Cominciò a piovere con violenza mentre il vento infuriava. Il piccolo orto sembrava affondare in quell’acqua. Il vecchio rimuginava sul ritardo di Antonio. Erano quasi le sei del pomeriggio ed ancora non rientrava. Lui che era così abitudinario. Finiva di lavorare nel campo al tramonto e in pochi minuti col suo ciclomotore era a casa per subito rintanarsi nella sua stanzetta a fumare e ascoltare la radio. Raramente si fermava al bar del paese. Non parlava con nessuno, magari prendeva un caffè ed acquistava le sue adorate sigarette.  Il padre, col trascorrere dei minuti, era sempre più ansioso. Non è che quel figlio così nevroticamente solitario avesse deciso di andar via lasciandoli soli per sempre? Cristiana gli si avvicinò, aveva intuito quello che il suo sposo pensava, ma lei quel figlio lo conosceva fin nell’intimo. Non era felice certo, ma per nessuna ragione al mondo si sarebbe staccato da loro. Il vecchio Mario non sopportò più i cattivi pensieri, di scatto si infilò il cappotto e si avviò a piedi verso il centro del paese. Aveva percorso pochi metri quando alle sue spalle silenzioso sopraggiunse Guido. Lo guardò con occhio torvo. Ma che voleva quell’estraneo? Alla mia famiglia ci bado io! Questo pensava fra di sé mentre grossi goccioloni di pioggia battevano rumorosamente sull’ombrello. Erano sulla via principale, entrarono nel bar ma Antonio non l’aveva visto nessuno. Guido pregò Mario di aspettare e uscì quasi a precipizio dal locale. Erano quasi le otto di sera. Non conosceva quel giovane ma bisognava far qualcosa, altrimenti quei due poveri vecchi sarebbero andati fuori di testa. Camminava a caso veloce sotto l’infuriare del temporale, l’umido pareva gli penetrasse come una lama dentro il corpo. Ad un tratto la luce incerta di un lampione  gli fece intravedere un giovane sdraiato su una panchina, quasi svenuto. Respirava affannosamente, il volto inondato di pioggia. Si avvicinò, lo rincuorò, gli chiese cosa gli fosse successo. La luce appannata del lampione illuminò il volto del giovane, i capelli nerissimi inzuppati d’acqua. Guido rivide in quel viso gli occhi azzurro mare della sua Luisa. Ma si, era Antonio! Lo sollevò, fermò con ampi gesti un auto di passaggio, si fece portare a quella casetta dove le due donne trepidanti aspettavano. Tornò subito a quel bar per avvertire  Guido e lo trovò rosso in viso per i bicchieri di vino ingeriti nell’attesa. Tornarono a casa fradici. Il medico ora stava visitando Antonio. Lui, sempre taciturno, parlava in continuazione. Diceva  con voce lamentosa:"Ma vi pare che si possa vivere così? La gente ti guarda e si interessa di te solo se sei un malandrino o se guidi una Ferrari, e poi mai un sorriso, mai un aiuto. Al bar si parla solo di calcio e di donnacce, mai di altro!". La madre cercava di tranquillizzarlo parlandogli a bassa voce, mentre Luisa e gli altri lo guardavano sgomenti. Si chiarì tutto. Antonio tornava dal lavoro in motorino quando era stato sorpreso dalla pioggia. Il temporale era violento e lui ad un certo punto si era sentito come in trappola sotto gli scrosci d’acqua. Non aveva retto e, abbandonato il motorino, aveva camminato un po’ sotto la tempesta. Infine si era sdraiato su quella panchina sfinito. Aveva corso un brutto rischio ma l’intervento di Guido era stato per lui forse la salvezza. Qualche giorno e si sarebbe rimesso in piedi.

Il vecchio e la sua sposa, passato l’incubo, si guardarono negli occhi sconsolati. Quelle parole pronunciate da Antonio nel delirio…….Quel figlio non aveva mai chiesto nulla, era restato chiuso nella sua introversione, ma loro che gli avevano dato la vita avrebbero dovuto  capire cosa in realtà volesse. Guido notò quegli sguardi dei due vecchi e, con il braccio intorno alle spalle di Luisa,  sbottò:"Antonio è un bravo giovane, finora non è stato in grado di decidere cosa fare della sua vita. Insomma va aiutato da noi a trovare la sua strada  anche a costo di qualche sacrificio". Luisa guardò il suo uomo con dolcezza e gli ricordò che la loro lontananza impediva di fatto di aiutare seriamente il fratello. Mario biascicò che la pensione bastava a stento a sostenere lui e Cristiana. Un gelo attraversò quella stanza e non erano solo le folate di vento che scuotevano i vetri di quella vecchia casa. Silenziosi andarono tutti a dormire.

Mario si alzò che era appena spuntata l’alba. Vagò nel suo orto gonfio di acqua piovana. Ora quelle piante, quelle verdure gli sembravano ostili, nemiche. Ad un tratto sentì una presenza alle sue spalle. Era Guido che con semplicità gli disse:"signor Mario ci ho pensato questa notte, una soluzione c’è. In città, a pochi chilometri da qui, ci sono possibilità di lavoro per me e Luisa. Guadagneremo meno ma  vi staremo vicini e per Antonio qualcosa si troverà. Importante è che stiamo tutti assieme". Il vecchio non parlò. Non occorrevano parole per il gesto di quell’uomo. I primi raggi del sole spuntavano su un cielo terso delicatamente colorato di azzurro e i due uomini lavoravano nell’orto con buona lena mentre Rado scorazzava gioioso. Poco più in là in una piccola stanza due donne tenevano per mano un giovane dai folti capelli scuri. Sul volto di lui non più nuvole ma una nuova serenità.      


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