Il
funzionario dell’ente previdenziale lo guardava con occhi liquidi e
indifferenti. Mario si frugò affannosamente le tasche del cappotto e
del vestito mentre alcune stille
di sudore gli imperlavano la fronte. Trovò il libretto della pensione e
lo mostrò. Dopo 42 anni di lavoro di coltivatore diretto si era trovato
in mano un pugno di mosche. Gelidamente gli stavano dicendo che c’era
ben poco da fare e che ci mettesse una pietra sopra. L’unica
possibilità era quella di pagare altri soldi per poi ricevere una
modesta integrazione della pensione. Cercò di protestare ma la voce gli
si spezzò quando un signore in divisa lo prese senza complimenti per un
braccio invitandolo ad andar via.
Si
incamminò. Rifletteva sulle tante fatiche della sua vita, sui sogni non
realizzati. Ora, quasi alla fine del percorso, amarezza e rabbia
repressa attraversavano la sua vita. Sua moglie Cristiana, colpita da
anni da una malattia cronica, non riusciva più a dargli quella speranza
nel futuro che lo aveva sempre sostenuto. Dei due figli Antonio lavorava
con lui nei campi ma era sempre cupo e silenzioso, quasi che ce l’avesse costretto suo padre a
quella vitaccia grama. Luisa, la
più piccola, aveva quasi preteso di studiare
e si erano affrontati duri sacrifici per farle raggiungere
l’obiettivo. Era laureata in biologia e lavorava in un istituto
scientifico in una città lontana. Quella figlia, anche se non sposata,
la vedevano per due-tre giorni
a Natale.
Si
scosse dai suoi pensieri, era alla stazione di quella città ostile. Non
vedeva l’ora di tornare al piccolo paese agricolo in cui viveva. La
tettoia di quella stazione era sudicia, oppressa dal rumore dei treni e
su di essa si posavano grossi uccelli color nero fumo. Si diresse
mestamente verso il binario del suo treno e
d’un tratto restò quasi di sasso. Da
un finestrino una donna lo salutava con larghi gesti. Ma era lei! La sua
Luisa che agitava le braccia per richiamare la sua attenzione. Gli sembrò
di volare. Salì precipitosamente sul treno e le corse incontro. Luisa
rideva come da bambina. Ad un tratto alle spalle della figlia Mario vide
un uomo non giovane che lo guardava amichevolmente. Luisa arrossì, poi
d’impeto:"papà questa è la persona a cui voglio bene. L’ho
portato al paese per farvelo conoscere". L’uomo si presentò. Il
suo nome era Guido, era un dirigente nella stessa società dove lavorava
Luisa, aveva 51 anni, era divorziato senza figli, voleva ricominciare
con lei una nuova vita. Per il padre, uomo stanco, le novità erano
troppe e poi non sapeva che dire…….
Scesero dal treno. Si avviarono tutti tre verso la piccola casa
grigia circondata da un orto fiorito e ben curato. Rado, il grosso
pastore tedesco di quasi 10 anni, corse loro incontro. Fece grandi feste
alla donna uggiolando come un cucciolo, annusò senza gioia
Guido. Poi si rintanò nella sua cuccia
posta all’aperto
all’interno dell’orto. Antonio
a quell’ora del primo pomeriggio era ancora al lavoro e Cristiana
riposava nel suo letto, afflitta dai suoi gran mal di testa. Luisa entrò
nella sua casa come intimidita, poi si fece forza ed entrò nella stanza
della madre. A Cristiana, intontita dai calmanti, l’apparizione di
Luisa sembrò un sogno e con voce stracca disse: "Mi stai sempre
davanti, suvvia sparisci, non mi affliggere!". Lei era lontana da
troppo tempo, la sua voglia di uscire dal recinto di quella vita angusta
aveva reso infelice quelli a lei più cari. Mario preparò una tazza
d’orzo e vi aggiunse dei taralli. Cercava di essere gentile con
quell’uomo che pure gli pareva tanto vecchio e Guido pareva incerto su
come comportarsi. Era il tramonto, nubi pesanti solcavano il cielo
quando dalla stanza da letto si affacciò incerta, un po’ traballando
sulle gambe, la madre. Il marito l’aveva avvertita di
quell’inaspettato arrivo e il suo animo era stato attraversato da
sentimenti contraddittori, ora di gioia,ora di oscura paura. Uscì
timorosa dal suo guscio e la figlia le corse incontro e la abbracciò a
lungo. La madre ricambiò, poi d’improvviso si ritrasse in un angolo
buio della stanza. Senza esitazioni Guido le si avvicinò e le disse
senza perifrasi di perdonare i suoi capelli grigio pepe ma che non
poteva farci nulla se voleva bene a Luisa. Cristiana prima sembrò
rintanarsi ancor più nel buio, indi prese coraggio e si affacciò alla
luce con un sorriso incerto ma dolcissimo. Mario la guardò sconcertato
e le porse con delicatezza un bicchiere di aranciata. Era
buio ormai e un tuono assordante fece tremare i vetri di quella vecchia
casa. Cominciò a piovere con violenza mentre il vento infuriava. Il
piccolo orto sembrava affondare in quell’acqua. Il vecchio rimuginava
sul ritardo di Antonio. Erano quasi le sei del pomeriggio ed ancora non
rientrava. Lui che era così abitudinario. Finiva di lavorare nel campo
al tramonto e in pochi minuti col suo ciclomotore era a casa per subito
rintanarsi nella sua stanzetta a fumare e ascoltare la radio. Raramente
si fermava al bar del paese. Non parlava con nessuno, magari prendeva un
caffè ed acquistava le sue adorate sigarette.
Il padre, col trascorrere dei minuti, era sempre più ansioso.
Non è che quel figlio così nevroticamente solitario avesse deciso di
andar via lasciandoli soli per sempre? Cristiana gli si avvicinò, aveva
intuito quello che il suo sposo pensava, ma lei quel figlio lo conosceva
fin nell’intimo. Non era felice certo, ma per nessuna ragione al mondo
si sarebbe staccato da loro. Il vecchio Mario non sopportò più i
cattivi pensieri, di scatto si infilò il cappotto e si avviò a piedi
verso il centro del paese. Aveva percorso pochi metri quando alle sue
spalle silenzioso sopraggiunse Guido. Lo guardò con occhio torvo. Ma
che voleva quell’estraneo? Alla mia famiglia ci bado io! Questo
pensava fra di sé mentre grossi goccioloni di pioggia battevano
rumorosamente sull’ombrello. Erano sulla via principale, entrarono nel
bar ma Antonio non l’aveva visto nessuno. Guido pregò Mario di
aspettare e uscì quasi a precipizio dal locale. Erano quasi le otto di
sera. Non conosceva quel giovane ma bisognava far qualcosa, altrimenti
quei due poveri vecchi sarebbero andati fuori di testa. Camminava a caso
veloce sotto l’infuriare del temporale, l’umido pareva gli
penetrasse come una lama dentro il corpo. Ad un tratto la luce incerta
di un lampione gli fece
intravedere un giovane sdraiato su una panchina, quasi svenuto.
Respirava affannosamente, il volto inondato di pioggia. Si avvicinò, lo
rincuorò, gli chiese cosa gli fosse successo. La luce appannata del
lampione illuminò il volto del giovane, i capelli nerissimi inzuppati
d’acqua. Guido rivide in quel viso gli occhi azzurro mare della sua
Luisa. Ma si, era Antonio! Lo sollevò, fermò con ampi gesti un auto di
passaggio, si fece portare a quella casetta dove le due donne trepidanti
aspettavano. Tornò subito a quel bar per avvertire
Guido e lo trovò rosso in viso per i bicchieri di vino ingeriti
nell’attesa. Tornarono a casa fradici. Il medico ora stava visitando
Antonio. Lui, sempre taciturno, parlava in continuazione. Diceva con
voce lamentosa:"Ma vi pare che si possa vivere così? La gente ti
guarda e si interessa di te solo se sei un malandrino o se guidi una
Ferrari, e poi mai un sorriso, mai un aiuto. Al bar si parla solo di
calcio e di donnacce, mai di altro!". La madre cercava di
tranquillizzarlo parlandogli a bassa voce, mentre Luisa e gli altri lo
guardavano sgomenti. Si chiarì tutto. Antonio tornava dal lavoro in
motorino quando era stato sorpreso dalla pioggia. Il temporale era
violento e lui ad un certo punto si era sentito come in trappola sotto
gli scrosci d’acqua. Non aveva retto e, abbandonato il motorino, aveva
camminato un po’ sotto la tempesta. Infine si era sdraiato su quella
panchina sfinito. Aveva corso un brutto rischio ma l’intervento di
Guido era stato per lui forse la salvezza. Qualche giorno e si sarebbe
rimesso in piedi.
Il
vecchio e la sua sposa, passato l’incubo, si guardarono negli occhi
sconsolati. Quelle parole pronunciate da Antonio nel delirio…….Quel
figlio non aveva mai chiesto nulla, era restato chiuso nella sua
introversione, ma loro che gli avevano dato la vita avrebbero dovuto capire
cosa in realtà volesse. Guido notò quegli sguardi dei due vecchi e,
con il braccio intorno alle spalle di Luisa,
sbottò:"Antonio è un bravo giovane, finora non è stato in
grado di decidere cosa fare della sua vita. Insomma va aiutato da noi a
trovare la sua strada anche a costo di qualche sacrificio". Luisa guardò il
suo uomo con dolcezza e gli ricordò che la loro lontananza impediva di
fatto di aiutare seriamente il fratello. Mario biascicò che la pensione
bastava a stento a sostenere lui e Cristiana. Un gelo attraversò quella
stanza e non erano solo le folate di vento che scuotevano i vetri di
quella vecchia casa. Silenziosi andarono tutti a dormire.
Mario
si alzò che era appena spuntata l’alba. Vagò
nel suo orto gonfio di acqua piovana. Ora quelle piante, quelle verdure
gli sembravano ostili, nemiche. Ad un tratto sentì una presenza alle
sue spalle. Era Guido che con semplicità gli disse:"signor Mario
ci ho pensato questa notte, una soluzione c’è. In città, a pochi
chilometri da qui, ci sono possibilità di lavoro per me e Luisa.
Guadagneremo meno ma vi
staremo vicini e per Antonio qualcosa si troverà. Importante è che
stiamo tutti assieme". Il vecchio non parlò. Non occorrevano
parole per il gesto di quell’uomo. I primi raggi del sole spuntavano
su un cielo terso delicatamente colorato di azzurro e i due uomini
lavoravano nell’orto con buona lena mentre Rado scorazzava gioioso.
Poco più in là in una piccola stanza due donne tenevano per mano un
giovane dai folti capelli scuri. Sul volto di lui non più nuvole ma una
nuova serenità.
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