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L'ORFANO
di Lea Mina Ralli

 

Renato aveva trascorso gran parte dell'infanzia in orfanotrofio perché sua madre era morta nel darlo alla luce e il padre, emigrante in Germania si era limitato ad affidarlo a Rosina, una zia di secondo grado che,dopo poco tempo, lo aveva internato in un Istituto. A quattordici anni, il ragazzo fu riconsegnato alla parente che, avendo una casa spaziosa non potette rifiutarlo, sperando nella ricomparsa di quel padre che per tanti anni se n'era disinteressato.
Al ragazzo, vissuto rinchiuso in una specie di lager, non parve vero di assaporare finalmente la libertà perché fu veramente libero di organizzare a suo piacere ogni giornata, considerando la casa della zia soltanto un rifugio/dormitorio come lei stessa gliene dava esempio rimanendone fuori per tutto il giorno a causa del lavoro che svolgeva come donna di fatica.

Rosina, analfabeta, povera e sola, non sapeva dare neppure una carezza distratta a quel bambino perché scarseggiava di sentimento e senso di responsabilità giacché la finalità della sua esistenza era solo quella di badare a sé stessa..

L'unica cosa che aveva fatto presente al,quasi sconoscuto nipote, era stata quella di trovarsi un lavoro al fine di potersi comprare qualche capo di vestiario che per il vitto avrebbe provveduto lei stessa, riportando ogni sera gli avanzi dei locali ove prestava servizio : di giorno una mensa aziendale e di sera una trattoria.

 Renato però non amava lavorare ed anche nell'Istituto che lo aveva ospitato gratis, non aveva trovato di suo gradimento quei servizi che tutti loro internati erano tenuti a fare, lui era quello che più spesso era tenuto in cella di punizione.

Pur di non fare niente egli aveva sempre accettata questa condizione, crescendo da ribelle, incurante di ogni norma che il regolamento esigeva. Chiuso e ostinato di carattere, andava rivelandosi cinico e astuto, immagazzinando soltanto risentimento ed odio contro tutto e tutti, imparando solamente ad agire per suo tornaconto, senza curarsi degli altri.

Non avendo ricevuto mai carezze e coccole non conosceva il calore affettuoso di una famiglia ed era diventato amorale.

Per la struttura fisica mingherlina e il colorito pallido a causa del vivere recluso, appariva più giovane di quel che non fosse e di questo talvolta si era servito a discapito dei compagni di sventura.

Entrando a casa di Rosina, aveva capito che quell'ambiente si adattava al suo temperamento e che nessuno gli avrebbe imposto condizioni e già pochi giorni dopo il suo arrivo si era inserito in un gruppo di balordi, imparando ben presto a fare lo scippatore.e il ladruncolo. Strada peggiore non poteva scegliere! Ma chi avrebbe potuto consigliarlo?

Sicuramente non era la zia la persona più adatta per guidarlo né per accorgersi di come stessero veramente le cose, dato che lei rientrava la sera ad ora tarda, molto stanca e spesso alticcia e le conversazioni col nipote si limitavano ad un frettoloso saluto di buonanotte e la mattina neppure si vedevano perché lei usciva prestissimo..

Lui si alzava tardi, vivendo alla giornata e con una ormai provata destrezza riusciva a procurarsi a suo modo quanto gli necessitava, convinto e orgoglioso della sua " bravura" e credendo di poter sempre sfuggire alla polizia.

Trascorsero tre anni in tal modo senza che zia Rosina ne sapesse nulla. A lei diceva di applicarsi a lavoretti occasionali che giustificavano lo sfoggiare, ogni tanto, qualche capo di vestiario nuovo e questo a lei era sempre bastato

Ma un giorno accadde l'imprevisto ! Due agenti di sicurezza in borghese, avendolo già adocchiato in precedenza, lo colsero in flagrante mentre rubava la radiolina dalle mani di una ragazzetta a bordo di un'automobile momentaneamente ferma.

Finì al correzionale dando inizio ad un altro calvario al quale non intendeva assoggettarsi dopo avere assaporato la libertà.

Piuttosto che perderla preferiva morire ! Fissato in questo pensiero, se ne stette in disparte, torvo e muto per parecchi giorni rifiutando persino di mangiare. Non perdonava a sé stesso la balordaggine di essersi lasciato acciuffare.

Dopo quattro giorni d'inedia, lo stridere del chiavistello annunciò l'entrata del secondino che gli avrebbe servito la colazione che ancora una volta intendeva rifiutare, ma l'uomo entrando gli andava dicendo: " Sarebbe ora di smettere questa cretinata. Chi credi di commuovere facendo lo sciopero della fame? Oltre che stare in prigione finirai pure col sentirti male!"

Impulsivamente Renato tolse la scodella ricolma di caffellatte dalle mani del secondino che richiudendosi la porta alle spalle, credette di averlo persuaso a mangiare.

Invece il recluso, freneticamente, mise in atto un piano che aveva già meditato pensando che da quell'oggetto potesse venirgli la morte. Morire era quanto desiderava e, ostinatamente vi si era preparato.

Versò rapidamente il contenuto nel bugliolo e cominciò a calpestare la scodella di alluminio che via via si schiacciava e si affinava scaldandosi fino al punto da potersi maneggiare e Renato questo fece con quel pezzo di alluminio leggero, mettendolo sotto i piedi e schiacciandolo ripetutamente con forza finché poté prenderlo fra le mani, piegandolo e riaprendolo più volte  come un libro fino a spezzarlo, ottenendone due lame taglienti, ma una sarebbe stata sufficiente..

Si distese sul lettuccio e mise in atto il gesto insano. In un attimo, l'improvvisato tagliere, trafisse le vene del polso sinistro e un fiotto di sangue sprizzò veemente imbrattando completamente casacca e giaciglio. La vista di tanto sangue e la debolezza dei giorni di digiuno gli diedero la nausea al punto da farlo svenire.

Si risvegliò, nell'infermeria di un ospedale col braccio sinistro immobilizzato da una vistosa fasciatura e il destro da una flebo che lo stava rianimando. Ci volle parecchio affinché riordinasse le idee aiutato dalle parole di un uomo anziano, vicino di letto, che cercava di rincuorare quel ragazzetto trasportato con estrema urgenza perché rasentava la morte.

Renato, invece, si sentiva sconfitto e se la prendeva con la morte che non lo aveva rifiutato e con tutti quelli che lo stavano salvando. Le crisi di nervi si susseguivano ed i calmanti somministrati non davano risultati positivi.

Questo spaventò Paolo, il degente del letto accanto, che per un incidente di lavoro era stato amputato di una gamba che invece di affliggersi per la disgrazia capitatagli e per i dolori lancinanti che avvertiva, si compenetrava per lo stato di quel ragazzo sconosciuto, cercando di consolarlo.

Proprio questa considerazione, nei giorni seguenti, si andava facendo strada nell'animo di Renato che cominciò ad aprirsi con lui e pian piano si stabilì fra i due un dialogo sincero e mentre Paolo, narrando del proprio figlio prematuramente scomparso, fece trasparire la sofferenza che ancora gli dilaniava l'animo per averlo perduto ed anche l'inutilità di tenere in piedi la sua falegnameria, ora che gli mancava una gamba. Ascoltandolo, il ragazzo sconsiderato e ribelle. Rimuginava tra sé che se lui avesse avuto un padre simile non avrebbe avuto un destino tanto crudele.

Giorno dopo giorno, Renato provava sempre più ammirazione per Paolo mentre questi, raccontandogli minuziosamente le opere che aveva costruite lavorando i vari tipi di legname, lo stava iniziando a un modello di vita, per lui, ordinata e sconosciuta che lo stava incuriosendo. Quell'uomo gli parlava da amico come se l'avesse conosciuto da sempre.

Persino l'abbandono del padre cercò di spiegargli il buon Paolo, facendo capire al giovane che a volte è la vita stessa a modificarne i percorsi. Aveva mai pensato all'esistenza di quell'uomo emigrante ? Alla sofferenza di aver perduto la giovane moglie nel momento che le nasceva un figlio mentre lui era a lavorare lontano? Le sue scelte, probabilmente, erano state obbligate anche se fatte a malincuore. Prima di giudicare, bisogna conoscere come stanno veramente le cose e lui doveva ravvedersi, se non altro per la memoria di sua madre. Non è mai troppo tardi per ravvedersi e, se lui, voleva egli stesso lo avrebbe aiutato. Furono queste ultime parole a galvanizzare Renato che si sentì spronato a iniziare una nuova vita.

Con l' aiuto di Paolo vo leva dimostrare a sè stesso e al mondo che sarebbe stato capace di diventare un vero uomo.