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La pagina di Giuseppe
Trabace |
UN
GIORNO, UNA VITA |
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Teresa
passeggiava stancamente sotto una fitta pioggia di autunno. Aveva 28 anni
e viveva sola in un paesino dell’Abruzzo posto a circa 500 metri di
altezza che si affacciava su una piccola vallata pietrosa con pochi
alberi. I suoi genitori erano morti quasi di seguito quando aveva diciotto
anni e le avevano lasciato una vecchia casa con un piccolo giardino
fiorito. Lei aveva dovuto sopravvivere impiegandosi come cassiera presso
il bar sito nella piazza principale del paese. La gente che continuamente
entrava in quel bar non era forse cattiva. Qualcuno anzi chiacchierava
amichevolmente con lei. Qualcun altro, anche di non giovane età, notava
questa giovane donna sola e
senza molti scrupoli cercava di coinvolgerla in discorsi equivoci o
improvvisava battute volgari con diretti riferimenti ad amori ed amorazzi
della gente del posto. In questi casi lei reagiva nervosamente ma le
cattive abitudini non muoiono mai! Gli
anni si susseguirono monotoni, lei si era rinchiusa sempre più nel suo
guscio, ormai rispondeva a monosillabi alle domande della gente e non
intratteneva rapporti con nessuno.. Soleva fantasticare nel suo piccolo
giardino. Immaginava una vita diversa,
avventurosa, piena di avvenimenti che le davano una precaria
sferzata di vitalità. In realtà era profondamente delusa, il luogo in
cui viveva la soffocava. Non osava nemmeno pensare ad un vincolo con un
uomo e neppure ad un’amicizia. |
Tutta la sua freddezza si era sciolta per quell’estraneo invadente? |
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SPERANZE Quella notte Franco fece un sogno. Era sdraiato su un prato fiorito, circondato da erba bagnata molto alta e da minuscole margherite, e ammirava sua moglie Erminia che, giovanissima, correva verso di lui leggera con un bel sorriso sul volto e gli diceva con civetteria:" lo vedi che bel posto che ho trovato, musone che non sei altro! Chiamiamo gli altri e facciamo un bella merenda sul prato". Si svegliò, quasi felice dopo tanto tempo, e pensò che sua moglie, scomparsa da qualche anno, aveva voluto forse mandargli per la prima volta un messaggio di speranza come a dirgli: " esci dalla tua solitudine, rientra nella vita, forse qualcuno ha ancora bisogno di te!". Era vero, lui, che da poco aveva superato i settant’anni, rimasto vedovo, si era estraniato da tutto e da tutti. Viveva in quella casa con l’unico figlio sposato, la nuora e due nipotini maschi. I rapporti giornalieri con i soli familiari rimastigli erano formali, se non distaccati, e questo perché lui, ormai stanco di tutto, lo aveva voluto. Ricordava ancora che il giorno del quarto compleanno del nipotino Gigetto prima si era chiuso a chiave nella sua stanza, e poi alle invocazioni del bambino che lo invitava con la sua vocetta acuta a partecipare ad una festicciola con altri piccoli invitati, non aveva saputo fare altro che grugnire:" le feste non mi piacciono, divertiti con i tuoi compagni". Sbuffò il vecchio dopo quel ricordo. Pensò che forse aveva fatto bene ad infischiarsene di tutto e di tutti, in fondo non si trattava che di un sogno. Era presto quella mattina e Franco uscì di soppiatto nel corridoio, quasi a voler saggiare il terreno. D’improvviso due piccole furie gli saltarono quasi sui piedi ma a lui non diedero quel fastidio provato tante volte. Si affacciò in cucina e vide la nuora Carla che premurosamente ed in gran fretta preparava la colazione per marito e figli. Tutti lo guardarono sorpresi, abituati come erano a non vederlo quasi mai uscire dalla sua stanza di primo mattino. Carla, dopo un’esitazione gli disse" Avete appetito?, vi preparo subito il vostro tè", ma lui un po’ accigliato rifiutò. Ora avvolto dal fumo della sigaretta si guardava la scena. L’espressione dolce e un po’ tesa di suo figlio Gianni, quella un po’ timorosa della nuora ed, infine, le facce allegre dei nipoti. Ma la giornata di lavoro iniziava e con frettolosi saluti tutti i familiari di Franco dopo pochi minuti sparirono dalla vecchia casa, lasciando Franco solo. Lui si aggirò per le stanze deserte e sentì una sensazione opprimente di vuoto. Uscì, doveva fare qualcosa. Si diresse al mercatino del quartiere e, quasi senza rendersene conto, acquistò cibarie e del buon vino. Poi si fermò in una libreria e scelse due libri di favole e racconti per bambini. Tornò a casa e per tutto il giorno restò in cucina a preparare gustosi intingoli. Tanti anni prima la domenica usava pasticciare in cucina. Un aiuto, poi, glielo diedero le ricette di cucina che la povera Erminia aveva lasciate trascritte su un taccuino e che lui aveva conservato per tanto tempo in un cassetto del comò in camera da letto. Era pomeriggio inoltrato quando Gianni il figlio rientrò per primo. Dalla sua stanza sentì che diceva allegramente" Carla dove sei? ma che hai combinato con tutti questi buoni mangiarini, ma insomma è la festa di qualcuno?" Nessuno gli rispose. Poi Gianni vide la sala da pranzo apparecchiata riccamente come a Natale e non ci capì più niente. Entrò in casa in quel momento Carla con i figlioletti ed anche lei, vista la situazione, guardò sorpresa il marito mentre i bambini le mostrarono trionfalmente i bei libri trovati sul comodino della loro stanza. Il vecchio apparve d’improvviso alle spalle dei suoi cari e con vigoria proclamò " ma quando ce la mangiamo tutto questo ben di Dio? Su piccoli e grandi di questa casa, sediamoci a tavola e facciamola finita!" La serata trascorse in allegria. Dopo tante nubi, un po’ di sereno ci voleva in quella piccola famiglia. Quella notte il vecchio sognò di essere cuoco in un ristorante con tanti clienti affamati. |
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Giulio viveva così.
Qualche lavoretto umile e non troppo pesante, elemosine raccattate sulla
porta della parrocchia di primo mattino,un bicchiere di vino scadente che
gli veniva offerto con ruvida cortesia dal proprietario di una minuscola
trattoria, un pagliericcio per la notte sotto un capannone abbandonato.
Trascinava l'esistenza con pacata rassegnazione in una zona periferica di
Roma. Aveva quasi 56 anni ed era venuto nella capitale da qualche tempo
quando era morta la vecchia madre, l’ultimo affetto rimastogli. Per la
salute malferma ed un certa apatia non aveva mai lavorato stabilmente. Era
sopravvissuto fino a circa 50 anni con la modesta pensione della madre,
senza lamentarsi ma anche senza gioire. Un intervallo piacevole nella sua
vita era stato l’amore per Sara, una ragazza del suo paese. Tutto era
durato qualche mese, poi lei non ne volle più sapere di quel tipo
"taciturno e che non gli andava di faticare". Adesso camminava
tutto il giorno per le strade di quella Roma sporca e opaca, arrancava
senza meta attraversando piazze, minuscoli giardini pubblici ricoperti di
immondizia, cortili chiassosi per le grida dei bambini. Era questo il suo
modo di gridare al mondo "ci sono anch’io e, per la miseria, voglio
vedere che succede!". Nelle sue passeggiate solitarie osservava
silenziosamente l'umanità. Tanta gente che affannosamente tirava la vita,
bambini che in un anelito di libertà scorazzavano felici all’uscita
delle scuole, coppie giovani che si abbracciavano con tenera dolcezza e
coniugi attempati che litigavano con rabbia repressa, anziani che
avanzavano con fatica spesso borbottando contro quel Governo infame,
ladruncoli lesti a scippare persone indifese o distratte, immigrati di
tante provenienze, di cui alcuni disposti a tutto pur di rimanere nel
"paradiso Italia". Non era in fondo un gran spettacolo da vedere
, ma a lui bastava. Poi, un giorno di settembre sotto un sole quasi
canicolare nel primo pomeriggio ebbe quell’incontro. Camminava per
una stradina deserta, una cicala cantava solitaria e lui, pur colpito
dalla luce abbacinante di quel sole, intravide una donna non giovanissima,
con i fianchi un po’ abbondanti ma con un volto che non poteva
dimenticare, quello della sua donna, Sara. Restò immobile come
paralizzato. La donna continuò il suo cammino, anzi sembrò allungare il
passo. Riavutosi dalla sorpresa lui le corse dietro e quando l’ebbe
raggiunta con voce affannosa le disse:"sono Giulio non lo vedi? Ma
che ce l’hai ancora sù con me?" La donna lo guardò stranita, non
mostrò alcuna emozione e poi, d’impeto, gli fece:"ma lei chi è?
Io non la conosco, la prego di lasciarmi in pace". Il tono della voce
era diverso da quello di Sara e l’accento era romanesco ma Giulio non se
ne preoccupò più di tanto. In un attimo pensò che quella era la sua
Sara, anche dopo tanti anni aveva del rancore verso lui, ma questo non
importava, sarebbero tornati insieme ad ogni costo! La donna si allontanò
sempre più velocemente e Giulio la seguì ad una certa distanza. Ad un
tratto lei si infilò in un portoncino e ne uscì dopo qualche minuto
accompagnata da una ragazzina di circa dieci anni che le somigliava
parecchio. Si avvicinò con circospezione e sentì distintamente la bimba
che diceva:"mamma non voglio andare dai nonni, guardiamo le vetrine
ti prego". Giulio vide svanire di un colpo le sue illusioni e pensò
che lei avesse finto di non riconoscerlo perché ormai aveva altri legami,
anche se certamente lo amava ancora. Gli calò addosso una nuvola nera di
disperazione e la donna sparì dalla sua vista. Nei giorni seguenti cadde
in uno stato di torpore doloroso. Ormai tutto ciò che lo circondava non
lo interessava più, si cibava di qualche tozzo di pane e passava quasi
tutta la giornata disteso su quel pagliericcio. Passarono lunghi mesi, poi
una mattina rigida di gennaio lo trovarono morto dinanzi la porta della
parrocchia. Tra le mani stringeva una vecchia cartolina del suo paese di
origine. |
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