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VACANZE
di Annemarie Lenz

Per quasi vent’anni abbiamo trascorso le nostre vacanze in Svizzera. Rivedere la mia patria, per la quale avrò sempre nostalgia, era un gran piacere. Mia madre ci ospitava volentieri e ci preparava tutti quei manicaretti che mi facevano ritornare bambina. Mio marito era un po’ meno felice di quella cucina per lui troppo elaborata e pesante, ma da persona educata non si ribellava mai. Prima di partire da Roma, però, riempiva la macchina fino all’orlo di frutta e verdura, taniche di vino dei Castelli Romani e salumi. Poco prima della dogana eravamo regolarmente sudaticci dalla fifa per gli eventuali controlli. Il più delle volte la passavamo liscia, qualche volta i doganieri svizzeri ci facevano pagare la tassa sul vino e una sola volta ci siamo trovati nei guai. Ingenuamente avevamo scelto un varco doganale piccolo, dove i poveri doganieri passavano le giornate a gustarsi il panorama, per la verità molto bello ma anche sempre uguale. Vedere arrivare una macchina targata Roma, piena di bagagli e sul tetto una cassa di pomodoro ed una di pesche profumatissime era per loro un’occasione per rompere la noia. Già quando ci chiesero i documenti quel sorriso non prometteva niente di buono. Infatti l'ispezione del doganiere era minuziosa e la scoperta di ben due taniche di vino, destinate alla cantina di Mamma,  lo fece trasalire. Non volle credere che non avessimo nessuna intenzione di aprire un supermercato con prodotti italiani in Svizzera - d’altronde come dargli torto con tutto quel ben di Dio. Ci disse che a questo punto dovevamo rivolgerci al ministero del commercio per un permesso di importazione. Eravamo già stanchi dopo aver fatto 800 chilometri e i nostri due bambini piccoli davano chiari segni di impazienza. Mio marito allora decise di tirare fuori le taniche di vino e versare questo nettare sulla pulitissima strada svizzera. Non so se era il dispiacere di vedersi sporcare la strada o quello di sprecare tanta grazia di Dio, ma il rigido doganiere si ammorbidì e ci permise di pagare la tassa, e con il monito di non ripetere il crimine ci spalancò la porta del nostro paradiso vacanziero.
Che la Svizzera può essere un paradiso lo si capisce quando si abbandona la macchina e si inizia a salire in alto. La natura che ti circonda sembra la tavolozza di un pittore:  si mescolano i colori più intensi dei prati e dei boschi con quelli tenui dei tanti fiorellini alpini, davanti alle maestose cime ricoperte di neve e ghiaccio. Il silenzio viene rotto dal ronzio degli insetti e dal canto degli uccelli - la pace ti pervade e vorresti che quei momenti non finissero mai.
Non ricordo quante passeggiate in montagna abbiamo fatto. Man mano che i bambini crescevano le camminate si allungavano, ma anche se le vesciche ci facevano zoppicare, la stanchezza sulla via del ritorno opprimeva, nessuno avrebbe voluto rinunciare a queste avventure. Tranne forse a una: nostra figlia era molto piccola, così la lasciammo a mia madre e mio  marito ed io partimmo verso una meta famosa: lo Schilthorn.
 Questo nome non dice nulla a chi non conosce la zona, ma chi ha visto i film di James Bond si ricorderà del Piz Gloria. E’ una montagna alta 3000 metri dalla quale si gode un panorama mozzafiato sulle vette più alte delle alpi bernesi.
Da ragazza avevo scalato questo monte ancora inviolato dalla tecnologia e ne conservavo un bel ricordo. Ora una grossa cabinovia portava le persone comodamente in cima dove era stato costruito un ristorante rotante. 

 

Anche noi ci facemmo traghettare lassù, e dopo aver ammirato tutto quello che c’era da ammirare, decidemmo di scendere a valle a piedi.
Ora non è un problema superare un dislivello di 2000 metri in tre ore per chi ha i muscoli allenati; il mio povero marito non li aveva. Con il coraggio della disperazione superò sassi, torrentelli, persino piccole pareti rocciose assicurate con delle corde fisse, ma appena vide una grossa fontana piena d’acqua gelata ed un’intera mandria di mucche intorno, si tolse scarpe e calze e vi immerse i suoi piedi maltrattati. Solo allora capii che avevo preteso troppo da un cittadino di Roma che sui sette colli si arrampica con la macchina. Per fortuna non eravamo lontani da una delle stazioni intermedie della funivia, e così l’eroe per caso si salvò. Il giorno dopo alzandosi dal letto le sue gambe rifiutavano il servizio e ancora diversi giorni dopo la partenza per Roma mi sembrava di avere un invalido. Così la pensò anche il benzinaio sul Monte Ceneri che, guardando mio marito scendere dalla macchina, cercò l’impianto per la guida degli invalidi in macchina. Per evitare altri guai da allora scelsi percorsi più dolci.
Negli ultimi anni abbiamo cambiato radicalmente la nostra meta - siamo approdati in Sardegna. Ci dissero che la Sardegna si ama subito o non ci si torna mai più: noi ci siamo tornati per dieci anni. Amiamo quel piccolo posto senza mondanità, a settembre quasi deserto. Dalla nostra casa vediamo l’isola di Tavolara in lontananza e tutte le navi che entrano al porto di Olbia. Il nostro è un penisolotto con una magnifica spiaggia interrotta qua e là da qualche scoglio. E’ un luogo fatto apposta per riposare. L’avventura più mozzafiato che ci si può aspettare è un’uscita in barca per andare a pescare. Mio marito si associava ai nostri amici ed i tre moschettieri (riferendomi soprattutto ai moschettoni) partivano con la barchetta. Li vedevo dondolarsi per ore in mezzo alla nostra piccola baia. Al loro ritorno noi donne avevamo le padelle pronte, ma dai loro retini uscivano dei pesciolini poco più grandi dei vermi che malauguratamente avevano mangiato. Al posto delle padelle ci servirono le pomate per lenire i dolori dei nostri “gamberoni” - alias mariti - cotti.
Con la pesca subacquea le cose andarono un po’ meglio. A quanto pare i polpi sono una preda abbastanza facile, e i pranzi e le cene a base di polpi erano frequenti. Ma la preda di cui si parla ancora oggi fu un grosso grongo stanato da un bambino. Ben dieci persone pasteggiarono a lungo, consumando filoni di pane per non perdersi nemmeno una goccia dell’ottimo sugo ed annaffiando il tutto con fiumi di vino sardo. Era l’ultimo giorno delle vacanze, la sera ci aspettava l’imbarco sul traghetto. Deve essere stato “san Grongo” a proteggere le manovre dell’imbarco dei nostri uomini che poco dopo si riunirono tutti in una cabina e diedero inizio ad un concerto cacofonico di ronfamenti.