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CINEMA ITALIANO, MA INSOMMA TI PIACE?
(ovvero ministoria di registi e attori del nostro cinema)

di Giuseppe Trabace


Permettete che riflettendo sulla qualità del cinema italiano dei nostri tempi ci metto un pizzico di personale ? Circa tre settimane or sono ero con il mio caro amico Paolo. Avemmo occasione di incontrare una simpatica signora parente dell’amico e il discorso cadde sulla comune passione per il cinema. Ecco Paolo che spiegava a quella signora “Sai con Giuseppe non andiamo mica tanto d’accordo, a lui non piace il cinema italiano, a me invece interessa……”. Tutto vero, almeno in parte eppure quella frase dell’amico mi ha fatto riflettere e indubbiamente mi ha colpito. Ma come proprio io messo in mezzo dall’amico? Io che ho sempre amato la nostra cinematografia, che fin da ragazzo ho visto e rivisto le tante storie portate sullo schermo e trasfigurate da quella nostra creatività che in campo artistico ancor oggi nessuno nega al bel paese ?
La memoria storica mi deve soccorrere perbacco!
Abbiamo imposto nel dopoguerra, al di là di tante riserve e chiusure dell’epoca, il neorealismo, chiara espressione di un popolo, uscito ferito ed impoverito dal conflitto mondiale, ma che, attraverso la mediazione del mezzo cinematografico, mostra – forse impudicamente per alcuni….. – i suoi tanti guai avendo però la forza di riscattarsi e di progredire. Si può non tanto ammirare quanto amare o meglio essere coinvolti da film epocali come “Roma città aperta“ di Roberto Rossellini o “Ladri di biciclette“ di Vittorio De Sica o “Bellissima” di Luchino Visconti.
Altra stagione felice – durata vent’anni a partire dalla fine degli anni cinquanta - quella della commedia all’italiana . Non si trattava sempre di commedie digestive ma di un cinema che, usando la lente deformante dell’ironia e del grottesco, ci poneva dinanzi, senza sconti, a quelle tare che ancor oggi ammorbano la nostra Italia. Mi riferisco alla selvaggia speculazione edilizia che ha quasi distrutto la verde Italia, ai servizi sociali e sanitari deficitari che hanno inciso pesantemente sulle classi più povere, al consumismo senza freni che pian piano col passare degli anni ha fatto dimenticare quei valori che sono linfa vitale di una nazione civile e…….. si potrebbe continuare. Come non citare film simbolo quali l’arrembante “Il sorpasso“ di Dino Risi con quel Gassman, icona del consumismo, tanto vitalissimo sul piano fisico quanto interiormente segnato da una solitudine senza sbocchi o come il “fumettone“ di Mario Monicelli “Romanzo popolare“ con l’impareggiabile Ugo Tognazzi nel ruolo di un operaio milanese, inserito nell’allegra e superficiale società dei consumi ma poi afflitto dal retaggio dei pregiudizi sessuali dell’humus contadino da cui proviene. Come trascurare i film di Luciano Salce sull’emblematico personaggio di Fantozzi, impersonato da uno spaurito Paolo Villaggio. Piccolo uomo risucchiato da paure ancestrali all’interno di un humus sociale spesso superficiale, a volte crudele.

Anni proficui in cui, pur tra pause, si afferma nel mondo anche quel cinema italiano “ serio “ di impegno civile. In sintesi un’Italia in crescita all’interno della quale il mondo del cinema,con un coraggio ai tempi d’ oggi molto diluito,lancia un sasso nello stagno e denuncia le molte ingiustizie e malefatte del sistema. Non penso sia superfluo ricordare film epocali quali” Le mani sulla città “ di Francesco Rosi con la messa in campo di una politica senza scrupoli che, perseguendo interessi esclusivamente personali, non esita a stravolgere il territorio urbano o come “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri in cui uno straordinario Gianmaria Volontè dà vita ad un operaio del nord dei primi anni 70 in crisi per le contraddizioni tra un padronato prepotente ed il ribellismo anarcoide dei groppuscoli di estrema sinistra.
Il cinema di Pierpaolo Pasolini rappresenta per circa un quindicennio fino alla sua orrenda morte nel 1975, una ventata di aria fresca. Il raffinato intellettuale di Casarsa si è cimentato in più generi cinematografici dal neorealismo rivisitato come nel film “ Accattone “, alla rievocazione storica, all’ approfondimento non disinvolto della problematica religiosa, alla lotta in favore della liberazione sessuale, alla crisi del marxismo. Il suo modo originale di fare cinema, l’impegno a ricercare la poesia anche nel fango, la sua voglia inestinguibile di aprirsi al sociale, le sue provocatorie denunce contro le vessazioni e la corruzione dei potenti hanno segnato la cinematografia -tutta la cultura diremmo - di quegli anni, anche se purtroppo non ha lasciato eredi, ad eccezione, per certi aspetti, di Bernardo Bertolucci e dell’allievo Sergio Citti.
Fenomeno a parte la poetica di Federico Fellini. Fatta esperienza di ottimo sceneggiatore in molti capolavori del neo realismo, il mitico Federico passa alla regia nel 1951 ed al suo secondo film nel 1953 convince pubblico e critica con “I vitelloni“ imperdibile affresco sui sogni, i velleitarismi, gli scherzi irresistibilmente fanciulleschi di cinque giovanotti piccolo borghesi della Rimini di quei tempi. In quel film si rivela un attore, fino allora non amato dai produttori ma fortemente voluto del giovane regista, Alberto Sordi. Albertone per circa cinquant’anni darà prove eccelse sia nel genere comico tout court che in quello drammatico-grottesco divenendo un punto di riferimento per la nostra cinematografia. Tornando a Fellini lui proseguirà ad incantare gli amanti del cinema in una prima fase con storie sospese tra realismo e sogno quali “La strada“ e “Le notti di Cabiria“, il capolavoro “Fellini 8 e mezzo“. Seguiranno altre stagioni del suo cinema. Ecco l’originale visione della Roma scapigliata degli anni 60 nel famosissimo “La dolce vita“ e successive opere eccezionali di differente impatto, dal nostalgico “Amarcord“, al rievocativo “Casanova“ all‘interessante “Roma“. In tutti i suoi film il suo stile, i suoi mondi poetici, la sua graffiante ironia intrisa di nostalgia verranno sempre fuori. Muore nel 1993, dopo avere conquistato pochi mesi prima l’Oscar alla carriera.

Con la metà degli anni 80 sono scomparsi o invecchiati – o perlomeno non hanno più inventato con pari maestria - i nostri grandi registi. Accanto ai già citati “mostri“ ricordo in primis l’acuto Pietro Germi e l’anarchico geniale Marco Ferreri, poi Luigi Comencini, Valerio Zurlini, RenatoCastellani, Luigi Zampa, Mauro Bolognini, Damiano Damiani ecc. Come dimenticare i magnifici attori del cinema d’autore e di quello commerciale (l’inarrivabile Totò, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Ugo Tognazzi, Giancarlo Giannini, Vittorio De Sica, Giulietta Masina, Anna Magnani, Alida Valli, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Mariangela Melato, Gianmaria Volontè, Renato Pozzetto ecc. ). In quella lunga stagione felice avevamo conquistato tanti Oscar USA, leoni d’oro e d’ argento alla Mostra del Cinema di Venezia, palme d’oro al festival di Cannes e lo stesso cinema dichiaratamente commerciale aveva segnato punti a favore, elaborando, talvolta con gusto provocatorio, l’introduzione ed il successo di generi quali il western e il poliziesco all’italiana.
Non fa certo piacere riconoscerlo ma la mia opinione è che, in una visione complessiva, il nostro cinema ha perso in linea lata quello che lo caratterizzava in Italia e nel mondo, la sua presa, la sua “specialità“ di coinvolgere il pubblico nazionale e internazionale in storie, drammatiche e non, che avessero contenuti originali e profondi e in ogni caso ponessero in essere una fotografia efficace, veritiera e senza orpelli del nostro paese e delle problematiche in esso insite. Non è un giudizio molto positivo anche se non possono essere dimenticati gli interessanti apporti che alcune personalità del nostro cinema hanno, da circa un ventennio, offerto a livello anche internazionale.
Bernardo Bertolucci ha continuato a fare cinema dopo averci dato opere importanti quali “Il conformista“ e “Novecento“, affresco realistico, a volte commosso a volte drammatico, dell’Italia contadina dalle lotte sociali della prima parte del secolo alla cruda descrizione degli orrori del fascismo durante la guerra. Dagli anni 90 il regista prova ad aprirsi al cinema internazionale con risultati talora eccellenti. Gira film di forte respiro spettacolare quali “ Il piccolo Budda“ e “L’ultimo imperatore“ che raccoglie con merito ad Holliwood nove Oscar. Ha incantato il pubblico e la critica nel anni 90 con “Il tè nel deserto“, intensa storia d’amore e morte ambientata nel deserto africano nella quale si delinea, introducendo toni morbosi e sensuali, la difficoltà del vivere di una coppia alto borghese di intellettuali statunitensi. L’ultima sua opera “ he dreamers“.
Il regista-attore Nanni Moretti si è imposto al pubblico e solo in parte alla critica in molti suoi film degli anni 90 che hanno posto in evidenza le crisi, i dubbi, forse le imposture, di un certo mondo giovanile di sinistra erede del 68. Tra le prime opere – cui contribuiscono le sue accattivanti doti di attore – ritengo che “Bianca“ e “Palombella rossa“ esprimano al meglio le intenzioni dell’autore. Negli ultimi anni Moretti pare subire un’involuzione creativa, pur restando intatte le sue qualità di attore. Si rifugia sostanzialmente nel privato con “La stanza del figlio“, “sbraca“ nella polemica politica, ripetendosi un po’ stancamente ne “Il caimano“. Nulla è perduto, il regista, vero innamorato del cinema d’autore, può fare di meglio purchè accantoni certe sue ossessioni parapolitiche.
Autore di spicco è il piacentino Marco Bellocchio. Inizia nel 1965 dirigendo un film epocale “I pugni in tasca", storia nera di un nucleo familiare dell’alta borghesia del nord Italia che si autodistrugge al suo interno per la follia di un suo giovanissimo componente impersonato da Lou Castel. Il protagonista è il simbolo di una contestazione senza freni avverso le gerarchie, con intuizione sofferta degli anni di ribellismo giovanile che sarebbero seguiti in Italia.. Continua con coerenza il suo percorso fino ad oggi dirigendo e sceneggiando opere più o meno valide ma tutte contraddistinte da un approfondimento psicologico dei personaggi e del loro modo di essere nel contesto sociale in cui sono inseriti. Sono considerati significativi i film “Onora il padre“ sulle distorsioni dell’educazione religiosa, “ Marcia trionfale“ primo film italiano a denunciare fin dal 1976 il fenomeno del bullismo nelle caserme e degli abusi della gerarchia militare e “ La balia “ acuta ricostruzione storica dell’ ” italietta “ del primo novecento. Nell’ultimo periodo, fecondo di film interessanti, un Bellocchio in stato di grazia ha diretto “ Buongiorno notte“. Un film originale e complesso che, nel descrivere le vicende del 1978 del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro,analizza con partecipazione emotiva i comportamenti, i dubbi, le contraddizioni del gruppo di terroristi autori dell’infame agguato. Il tutto in un contesto non cronachistico ma calato – specie nella parte finale – in un’atmosfera onirica.
Pupi Avati continua da molti anni a scrivere e dirigere film che rappresentano, in chiave di commedia amara e con toni melanconici, una certa realtà quotidiana nell’ambiente, quasi sempre, della sua amata Emilia. Sono piccole storie che a volte possono peccare di buonismo ma da cui traspare una partecipazione emotiva ed una sincerità insolita dell’autore. Ricordiamo tra le tante opere più o meno riuscite l’ottimo “ Regalo di Natale “, pungente analisi di amicizie tradite, forse mai nate. con un cast straordinario.

Altri registi si sono rivelati nell’ultimo quindicennio ma le loro opere nel complesso non riescono a dare quei segnali che possano aprire il varco ad una cinematografia italiana che sia all’avanguardia nel contesto internazionale come per il passato. Si possono citare singole esperienze positive di registi giovani e meno giovani. Un film notevole è “La finestra di fronte“ del turco-italiano Ferzan Ozpetek. Storia di rievocazione, in parte onirica in parte nostalgica, di un passato terribile da parte di un anziano ebreo sopravissuto alla persecuzione nazista. Non va sottovalutata l’opera prima del pugliese di razza Sergio Rubini dal titolo “La stazione“ con un tratteggio intelligente e realistico di “caratteri“ e situazioni del nostro sud. Il percorso successivo di questo regista - cui vanno aggiunte qualità di efficace caratterista - conferma il modo fantasioso e incisivo di proporsi in generi diversi ma i risultati non paiono del tutto convincenti. Va segnalata senza alcun dubbio l’apporto di qualità del napoletano Antonio Capuano. L’anziano regista è riuscito ad imporre una fotografia per nulla oleografica della sua terra d’origine, scoprendone con coraggio anche i risvolti negativi quali la penetrazione della camorra nei tessuti vitali di quella stupenda città. Ricordiamo il suo film del 1996 che ritengo più incisivo “Pianese Nunzio, 14 anni a maggio“, drammatico e contraddittorio ritratto di un prete anticamorra, costretto alla resa dalla sua devianza pedofila. Il maturo regista padovano Carlo Mazzacurati da molti anni porta avanti un discorso di approfondimento dei mali e delle incertezze della nostra società, con qualche anelito di speranza verso il futuro. Rammento il coinvolgente “Notte italiana” del 1987, storia ad alta tensione drammatica che descrive un certo mondo malavitoso romano di mezza tacca. Di recente questo discontinuo regista è tornato nei dintorni della sua natìa Padova con l’opera “La giusta distanza“. Un giallo anomalo, cui non si può negare un’ambientazione azzeccata e una efficace descrizione realistica dei piccoli personaggi del paesino in cui si svolge la trama. Giuseppe Tornatore, regista siciliano di collaudata esperienza, sorprese tutti nei primi anni 90 con la sua seconda opera “Nuovo cinema paradiso“. Un omaggio sincero, a tratti commovente, al cinema in generale ed un nostalgico ricordo di quanto interesse suscitava negli anni del dopoguerra negli spettatori- anche di un piccolo paese della Sicilia -, la visione di film certo non tutti belli ma in grado di dare emozioni e partecipazione. Tornatore in seguito è tornato a dirigere con impegno talvolta cogliendo il segno come in “Stanno tutti bene“, tal’altra in parte deludendo forse per la voglia di descrivere con eccessiva ampiezza le sue storie.
Ai nostri giorni constato che registi giovani e meno giovani del nostro cinema stanno tentando nuove strade. La voglia c’è e le nuove speranze nel nostro cinema non mancano. Paolo Sorrentino, Alessandro Angelini e Andrea Molaioli, ad esempio, ci hanno nell’ultimo anno offerto prove convincenti e sincere che ridanno fiato alla speranza. L’importante è che loro ed altre promesse non demordano e abbiano anche la fortuna di trovare dei produttori intelligenti che li valorizzino e non pensino soltanto ad accumulare denaro sponsorizzando i famigerati film panettone di Natale. Stesso discorso per gli attori. I talenti ci sono, in specie nel genere della commedia. L’ estroso e divertente Roberto Benigni, il multiforme Carlo Verdone, la bravissima Valeria Golino, il misurato Toni Servillo, lo spontaneo Antonio Albanese, l’irruente Diego Abatantuono, la sensibile Margherita Buy, l’impegnata Giovanna Mezzogiorno, il delicato Kim Rossi Stuart, Giancarlo Giannini sempre sulla breccia, la simpatica Anna Finocchiaro, l’efficace Giuseppe Battiston e le citazioni non finiscono quì
Nulla è perduto. Potenzialmente le forze ci sono per uno scatto di orgoglio del nostro cinema, per cui all’amico citato dico “Ah Paolè lo vedi che in fondo in fondo siamo d’accordo?”

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