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Diabete: Non solo farmaci

Prevenzione e Ricerca sono le sfide
per abbattere diffusione e costi sociali

 
 

 

 
 
 
 
 
 
 




 

La lotta al diabete, nel nostro paese, vanta un continuo intensificarsi
di iniziative e vede impegnati 600 centri diabetologici sul territorio, di cui 4 sono tra i 10 più qualificati in Europa. In questi centri il livello di cura è alto e vi sono assistiti il 75% dei malati di diabete.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Gli zuccheri semplici sono quelli che vengono assorbiti immediatamente (caramelle, gelati e lo zucchero usato per dolcificare), quelli complessi, ovvero i carboidrati (pane, pasta, patate, riso), vengono assorbiti più lentamente dal nostro organismo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Da qualche mese è in Italia un nuovo farmaco per i diabetici, l’Exenatide la cui molecola, la incretina, è similmente paragonabile all’insulina come efficacia e, inoltre, aiuta a dimagrire. Riuscirà ad abbattere il temibile legame tra diabete e obesità?




 

 

 

























 

Un diabetico costa allo Stato circa 3.000 euro l’anno, il 54% in più rispetto ad un non diabetico. Soldi che si potrebbero risparmiare per incrementare la ricerca e regalare salute alle nuove generazioni.























 






































 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 I valori della glicemia sono considerati normali dai 70 mg ai 100 mg per decilitro di sangue, si parla di fase pre-diabetica dai 110 mg ai 125 mg e di diabete oltre i 125 mg.

 
 

Particolare attenzione ai cosiddetti dolci “per diabetici” che spesso si trasformano in una trappola contro gli stessi. Questi surrogati sono privi di saccarosio ma contengono più grassi e quindi più calorie, dai quali è facile ricavare un eccesso di glucosio.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Per chi è in soprappeso, ridurre del 5% il proprio peso significa ridurre di circa il 60% l’incidenza del diabete di tipo II.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 





































































 

 

 

 

 





 

 


di Antonella Gasperoni

Nel corso del convegno svoltosi il 14 novembre 2007 in occasione della prima giornata delle Nazioni Unite per il diabete, emergono dati di grande interesse.
Nel 1997 i diabetici erano il 3% della popolazione italiana mentre oggi sono il 4,5%, un aumento quindi del 50%, in dieci anni, che risulta essere un dato ancora più allarmante considerando quante persone ancora non sono consapevoli di avere questo tipo di patologia.
Il diabete oggi, date le sue dimensioni epidemiologiche (circa 180 milioni di persone colpite nel mondo) e per l’inevitabile conseguenza che ha sulle strutture sanitarie, merita una particolare e incessante attenzione alla ricerca scientifica non soltanto da parte degli addetti ai lavori ma anche da quella delle Istituzioni Nazionali ed Internazionali. A questo proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di fronte a questa diffusione epidemica in ogni parte del mondo, ha richiesto un interessamento significativo da parte dei più alti organismi politici mondiali.

Il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008
ha posto il diabete tra le grandi patologie sulle quali operare

In Italia, infatti, l’approccio a questa malattia prevede un’analisi approfondita delle necessità delle persone che ne sono affette per arrivare a soluzioni possibili. Con la collaborazione sempre più costante e assidua tra il Ministero della Salute, le Società Scientifiche, i pazienti e i loro familiari si analizzano i criteri di vita e le aspettative dei singoli in modo di arrivare ad una maggior comprensione e gestione di questa patologia. Una comunione di intenti e di azioni che lascia presagire enormi sviluppi.

Un sistema forte di un’ottima legislazione e di una consistente rete di organizzazione assistenziale, volto da diversi anni alla ricerca. Una ricerca che necessita di essere continuamente incrementata per far sì che il problema venga sostanzialmente arginato portando grossi vantaggi pratici e migliorando notevolmente l’esistenza dei pazienti.

Ad oggi si può affermare che, grazie alla biologia molecolare e cellulare, la qualità della vita del diabetico è infatti notevolmente migliorata. Attualmente l’insulina si può iniettare con microinfusori o per via polmonare (inalatoria); si possono applicare diversi schemi insulinici che rispettino le esigenze dei pazienti; esistono aghi indolori e farmaci che prevedono terapie personalizzate, in funzione dei diversi stadi della malattia. Naturalmente per sconfiggere un nemico bisogna conoscerlo. Per questo si richiede un impegno dal punto di vista cognitivo e quindi preventivo anche da parte dei singoli, in modo da circoscrivere la malattia ed evitare troppi costi inutili per la sanità nazionale.

Queste le caratteristiche dei diversi tipi di diabete
Il diabete di tipo I, cosiddetto diabete giovanile, comprende i soggetti che vengono definiti “insulino-privi” e che necessitano quotidianamente di insulina. Questi sono circa il 10% dei diabetici mentre il restante 90% (circa) soffre di diabete di tipo II (alimentare). In questo caso il pancreas produce insulina ma l’organismo è diventato resistente e non riesce più a ben utilizzarla per trasformare il glucosio in energia. Il pancreas, per opporsi a questa resistenza, è costretto ad una produzione di insulina maggiore rispetto alla normalità ed esaurisce, con il passare dei decenni, la sua funzione portando inevitabilmente ad una condizione di assenza totale di insulina. Pertanto dal tipo II, se non curato rispettando anche alcune regole di vita, si può passare al tipo I.

Esiste anche un altro tipo di diabete, quello monogenico, non classificabile con il tipo II, che si associa alla presenza di difetti in singoli geni differenziati. Si presenta con le caratteristiche del tipo II e con le particolarità autoimmunitarie del tipo I e si combatte, da subito, con i farmaci. In quello alimentare, lo zucchero (glicogeno) è il protagonista assoluto anche se, di contro, è il carburante più energetico che permette alle nostre cellule di funzionare bene e indispensabile per organi come cervello e cuore.
Bisogna poi tener conto anche del diverso impatto glicemico degli alimenti; è importante la manipolazione tecnologica dei cibi, l’influenza della cottura, la presenza di fibre, le interazioni tra alimenti che possono interferire sulla velocità di assorbimento intestinale.
È proprio la quantità equilibrata di zuccheri, aminoacidi e grassi a far sì che le nostre cellule godano della giusta energia. Una quantità eccessiva di zucchero, ingerita con gli alimenti e conservata dal fegato (per 24 h.), se non viene utilizzata normalmente dai vari tessuti si accumula nel sangue, il valore della glicemia si altera e il principale rischio che ne consegue è il diabete. Mano mano che sale la glicemia e rimane alta per almeno due giorni compaiono alcuni disturbi, come astenia, aumento della diuresi, sete, maggiore appetito accompagnato a dimagrimento. La glicemia costantemente alta conduce ad uno stress ossidativo, una reazione che porta all’ipertensione e a quelle definite come complicanze croniche del diabete. Le più importanti sono la glicosilazione delle proteine che deteriora i tessuti e il cattivo funzionamento dei vasi che ne ispessisce le pareti rendendole più fragili e più rigide. Da qui problemi cardiovascolari come infarto e ictus; retinopatia diabetica, spesso causa di cecità; nefropatia che può portare alla dialisi e al trapianto del rene; piede diabetico.

Tra le principali cause del valore alterato della glicemia, oltre naturalmente al fumo, l’ipertensione, le dislipidemie, la familiarità, una particolare attenzione deve essere data all’obesità e alla mancanza di attività fisica, strettamente correlate tra loro. Muoversi attivamente è infatti importante perché il muscolo utilizza il glucosio come prima fonte di energia, impedendone l’accumulo nel sangue. Il rapporto tra sovrappeso e insulino-resistenza è forte ma non può definirsi assoluto; la resistenza è data da un insieme di molteplici fenomeni. Certo è che i dati sull’obesità sono allarmanti. Nel ’70, ad esempio, in Italia non esisteva l’obesità tra i bambini che ora, invece, detengono il triste primato dei più grassi d’Europa; 1 su 3 ne soffrono e il 4-5% di questi sono diabetici. Per questo è fondamentale prevenire l’obesità fin da piccoli, non solo agendo sul regime alimentare ma anche sul movimento, sullo stile di vita e sulla durata del sonno. Sembra tra l’altro che i bambini che dormono di meno hanno un maggior rischio di diventare sovrappeso/obesi. È chiaro che l’obesità infantile mette una pesante ipoteca sulla salute della popolazione dei prossimi anni.

Dunque il diabete, così come l’obesità,
è figlio, a qualsiasi età, della genetica come dell’ambiente

La riduzione del peso e specie dell’adipe addominale negli adulti, comunque la si ottenga, migliora e a volte elimina il diabete dovuto ad una grave obesità. Tra l’altro sembra ci sia un alto numero di donne, affette da diabete di tipo I che, autonomamente, abbassa la propria dose di insulina per dimagrire. È una leggerezza che può essere mortale. Qualsiasi cambiamento della dose deve essere prescritto dal medico e, se occorre, quest’ultimo può consigliare alle pazienti di rivolgersi ad uno psicologo.
Oltre all’insulina, la cura del diabete si basa sulla sinergia delle seguenti famiglie di farmaci: sulfamiluree, biguaniti, glitazoni, glicidi. Da qualche mese sono arrivati in Italia dei nuovi farmaci le cui molecole, le incretine, abbassano la pressione arteriosa e i trigliceridi, migliorano la funzionalità del pancreas riducendone lo sforzo e fanno diminuire l’appetito. A differenza degli altri farmaci, questi ultimi non si associano all’insulina.

Particolare attenzione
viene richiesta alle donne in gravidanza perché il diabete gestazionale, se non curato, provoca non soltanto danni alla donna ma anche malformazioni al bambino. Questo avviene perché gli ormoni della gravidanza e della placenta sono controinsulari, si ha bisogno di mangiare più frequentemente e gli zuccheri vengono consumati prima. Si tratta di una tipologia di diabete (insorge in genere tra il secondo e il terzo trimestre del periodo) che si può diagnosticare con un semplice test di screening (test di Carpenter) e che non è assolutamente da sottovalutare perché alla fine della gravidanza, in alcuni casi, questa condizione può regredire ma può anche preannunciarne la comparsa in età più avanzata; in altri casi può creare delle intolleranze ai carboidrati, in altri ancora il diabete subentra da subito. Fattori predisponesti al diabete gestazionale sono: obesità pregressa, familiarità, ipertensione, precedenti di parti macrosomici (oltre i  4  kg. di peso) e/o di aborti spontanei, eccessivo aumento ponderale in gravidanza o dove il bambino agli esami ecografici risulta crescere troppo rispetto alla media.
Il controllo della glicemia è quindi fondamentale per tutti. La frequenza di misurazione per i soggetti normali, dai 40 anni in poi, è di una volta l’anno. Per i diabetici di tipo I deve avvenire frequentemente, anche 6 volte al giorno, ad ogni pasto prima e dopo. Per quelli di tipo II è sufficiente due volte la settimana. C’è poi un altro esame molto importante che è quello dell’emoglobina glicosilata dove l’emoglobina, sostanza presente nel sangue, tende a “glicarsi”, ovvero a legarsi a molecole di glucosio. Questo esame misura quanto zucchero si è attaccato alle proteine delle pareti dei vasi, quelle delle coronarie e quelle del cervello, nell’arco degli ultimi tre mesi. Si può inoltre evincere se il paziente, solo per poco tempo, ha toccato dai 180 mg ai 250 mg. È un esame che si raccomanda a tutti i diabetici ogni tre mesi per quattro volte l’anno in modo da avere il parametro completo dell’andamento dell’emoglobina glicosilata nell’arco dell’anno.

Una patologia così diffusa necessita di un’attenta prevenzione da parte dei singoli, anche su altri fronti. Oggi si parla molto di sindrome metabolica. Sono 5 i fattori che la determinano: la pressione oltre i 130/85, la glicemia sopra i 100 mg, il colesterolo HDL sotto i 50 per le donne e i 40 per gli uomini, i trigliceridi sopra i 150 e la misurazione della vita (102 cm. max per gli uomini e 88 cm. max per le donne). Tenendo conto che la glicemia e la pressione sono i dati più importanti, è accertato che la concomitanza del rialzo di almeno 3 di questi fattori rende il paziente ad alto rischio. Anche il fegato grasso è una condizione legata all’insulino-resistenza e alla sindrome metabolica.

Cosa può fare il singolo individuo per aiutare, oltre che sé stesso, la ricerca e contribuire alla riduzione dei costi sanitari? Prevenire con una alimentazione equilibrata imparando a “risparmiare” il lavoro del pancreas, adottando uno stile di vita che includa attività fisica aerobica giornaliera, di moderata intensità per 5 giorni a settimana.

Con il diabete si può convivere ma è forte la richiesta di aiuto da parte dei pazienti e dei loro familiari al Servizio Sanitario e agli organi preposti per fronteggiare una condizione clinica che si vorrebbe non fosse invalidante.
È per questo che il diabete va affrontato senza “inerzia terapeutica”, di cui sono corresponsabili medici e pazienti, ma combattuto immediatamente, alle prime avvisaglie, in una sorta di alleanza, perché è una malattia dalle mille sfaccettature, perché apre le porte ad altri disturbi, perché combatterlo significa prevenire complicanze cardiovascolari e cerebrali. In particolare, i diabetologi chiedono ai medici di famiglia di collaborare effettuando diagnosi precoci, prescrivendo screening, individuando i pazienti a rischio, apportando anche un aiuto psicologico al singolo paziente la cui conoscenza è sicuramente maggiore. E per questo occorre che si arrivi ad una effettiva integrazione delle competenze mediche anche perché i diabetici soffrono contemporaneamente di un numero maggiore di altre malattie e consumano disparate classi di medicinali, quali antibiotici, ansiolitici, antinfiammatori. Nell’assistenza al diabete è predominante che ci sia un team diabetologico interdisciplinare che possa fornire al paziente la giusta educazione circa l’autogestione con Linee Guida di riferimento e con un eventuale “Passaporto del Diabete”, consigli medici e un buon apporto psicosociale. Questa compartecipazione si può definire un  vero e proprio salto di qualità nell’assistenza sanitaria ed è applicabile naturalmente anche ad altri tipi di patologie.

Cosa possono fare gli organi preposti,
a livello mondiale, per opporsi a questa epidemia dalle enormi proporzioni? Dedicare una maggiore attenzione al diabete facendo in modo che si definisca come malattia sociale e possa godere di corsie preferenziali per ricerca, prevenzione e cura. E l’Italia, in particolare, dovrebbe far sì che ci sia meno disomogeneità tra una regione e l’altra in modo che vengano fornite cure adeguate ovunque; bloccare la crescita di obesità nei bambini con una maggiore informazione circa gli alimenti a basso potere nutritivo e ad alta densità calorica, come le bevande zuccherate; promuovendo una serie di iniziative sportive e impianti con accesso gratuito; aumentando le ore di ginnastica settimanali  nelle scuole; obbligando i produttori a scrivere oltre alle calorie la percentuale di grassi idrogenati trans, presenti in moltissimi prodotti industriali e artigianali.

Intanto, quelli che sembrano piccoli passi della ricerca sono in realtà dei grandi salti per migliorare notevolmente la qualità della vita. Dalla Svezia si è giunti alla conclusione che l’indice di massa corporea, insieme con il valore del colesterolo HDL, la pressione arteriosa e il grado di attività fisica sono i migliori segnalatori di insulino-resistenza, anche nei soggetti normopeso. Inoltre, al centro del legame tra diabete e obesità ci sono molecole che controllano l’accumulo di grassi all’interno delle cellule muscolari ed epatiche e le stesse potrebbero costituire l’obiettivo per nuovi farmaci antidiabetici. Molte sono poi le aspettative future nella terapia genica: dal diabete si potrà guarire con l’immissione di geni adatti in grado di restituire la funzionalità di produrre insulina alle cellule che ne sono prive. Nei diabetici in dialisi poi, il trapianto combinato rene-pancreas è considerato salvavita. Una variante è quella del trapianto di isole pancreatiche (isole di Langerhans), in cui si inseriscono solo le cellule che producono insulina.

Queste realtà, alcune ancora in sperimentazione,
non solo consentiranno di superare l’insulino-resistenza ma preverranno o faranno regredire le complicanze degenerative del diabete.  

Quindi non è un destino ineluttabile, la speranza vive ed è legata alla responsabilità di ciascuno di noi. Alimentazione, stile di vita, impegno comune possono modificare fortemente le tendenze.

 

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