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BELL’ESORDIO DI A. ANGELINI CON IL FILM "L’ ARIA SALATA"

UN PADRE, UN FIGLIO… UN LEGAME CHE NON SI SPEZZA
di Giuseppe Trabace
 

 


Una scena significativa del film di Alessandro Angelini "L‘aria salata" ci mostra Fabio, giovane uomo da sempre privato dell’amore paterno, esternare con intensità proferendo le parole "mi sono mancate le sue mani". Lui invoca le mani, le braccia di quel padre che avrebbero potuto abbracciarlo, assisterlo nel duro percorso dell’esistenza. Angelini, senza cadere nella trappola del patetico, attraverso un soggetto ad alta intensità drammatica che affronta tematiche  non semplici, ci mostra il nascere faticoso di un rapporto padre-figlio, al di là di una oggettiva impossibilità di risoluzione dei problemi esistenziali.
Fabio, un giovane sulla trentina, fa l’educatore in un carcere. A lui il delicato compito di esprimere pareri sulla possibilità di concedere permessi a detenuti condannati a molti anni di carcere. Il suo lavoro lo svolge con rigore ma anche con umanità attento alle implicazioni familiari di chi soffre quelle situazioni. Un giorno  gli si presenta dinanzi il detenuto Sparti, un uomo dal carattere difficile. In galera da 20 anni per omicidio, deve scontarne ancora 10. L’uomo evidenzia atteggiamenti volutamente provocatori, eppure  la lunga detenzione lo ha marchiato a fuoco al punto ad essere soggetto a frequenti crisi epilettiche. Il dramma scoppia allorché Fabio scopre che quel detenuto è suo padre che non ha più visto da bambino a causa  della detenzione. Eccoli di fronte. Il figlio,ancora offeso dal fatto che il padre vent’anni prima aveva disconosciuto lui  e la sorella maggiore lasciando ogni incombenza alla moglie, quasi opprime quell’uomo ignaro di tutto, gli stà addosso, vuole indagare su cosa sia nel profondo. Il padre, non comprendendo quell’atteggiamento dell’educatore, lo contrasta con durezza mista a pesante ironia. La sorella di Fabio, informata, vuole che il fratello si tiri fuori da quella situazione anche perché terrorizzata da un possibile confronto con il padre. Sparti stressato si ribella ed a quel punto Fabio gli svela di essere suo figlio. Il detenuto, pur fingendo indifferenza, sente la colpa della paternità negata e la sua salute ne risente, l’epilessia si accentua. Il figlio Fabio ascolta perplesso il padre che gli spiega che la sua scelta di negata paternità fu originata dalla sua situazione senza via di uscita eppure non riesce a sottrarsi dal provare un’umana pietà per quell’uomo sofferente. Fabio opera decisamente per far concedere al padre il permesso per un giorno di libertà e ci riesce. Ora Sparti, accompagnato dal figlio. gira frastornato in quel mondo a lui sconosciuto. Il figlio lo fa visitare e la diagnosi non è positiva, poi lo accompagna a conoscere di soppiatto la sorella. L’incontro ad alta tensione provoca nella donna e nel padre una forte tensione senza sbocchi positivi. Fabio, sempre più avvinto da quel padre, arriva al punto da aiutarlo, sia pure a malincuore, a compiere un reato. Ora il padre ha sciolto la sua corazza di indifferenza, confida al figlio lo sconforto per una vita fallita, di aver ucciso per paura, per non essere ammazzato da quell’altro. Le 24 ore sono quasi trascorse, il genitore chiede al  figlio di essere portato con l’auto  in un posto di mare, vicino a quell’acqua salata che per lui è simbolo di quella libertà tanto voluta. Giunti in quel luogo, allontana il figlio con una scusa, si pone alla guida dell’auto ed a forte velocità pone termine alla sua vita lanciandosi nel mare. I due figli sono sulla banchina di quel porticciolo, comprendono quanto il loro padre abbia sofferto. Senza esitazioni Fabio dichiara agli agenti di polizia che quel suicida è suo padre.
Il film segna un esordio  molto confortante del giovane regista Alessandro Angelini. La direzione è sicura, il ritmo cinematografico, con il supporto di un montaggio eccellente, è  di qualità, gli avvenimenti della storia si susseguono incalzanti, nonostante  molte scene siano girate nei luoghi carcerari. La sceneggiatura, scritta dal regista e da  Angelo Carboni , è quasi esemplare. Sarebbe stato facile scivolare tra i canoni delle telenovele ma lo script sorvola con destrezza e preferisce puntare la sua attenzione sui risvolti psicologici dei due protagonisti e dei personaggi di contorno (vedasi  la descrizione intensa di alcune figure di detenuti) nonchè su una ricostruzione attenta, senza fronzoli ,della vita del carcere. Vi sono alcune incongruenze, alcuni avvenimenti non spiegati ma la storia scorre senza intoppi. La fotografia è un poco oscura, ma adeguata all’ordito drammatico.
Volto segnato,un’espressione tra il furbesco e il torvo che si ammorbidisce nel finale del film, un modo di incedere solido quasi spavaldo, una voce che dà tono al personaggio del padre. Questo il profilo dell’interpretazione magnifica di Giorgio Colangeli. Proveniente dal teatro, ecco un attore da utilizzare senza riserve e che è stato giustamente premiato per questa interpretazione al Festival del cinema di Roma del 2006. Giorgio Pasotti è Fabio, personaggio tormentato, forse fin troppo positivo. Da lodare l’impegno e la resa drammatica. Ha tanta voglia quest’attore di migliorare, forse la sua maschera deve essere più variegata per potere rendere al massimo. Adeguati gli altri interpreti.

            Un film da vedere con partecipazione, lo merita

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