MORTE DI UNA SPERANZA |
Questo il contesto su cui il neo regista Emilio Estevez costruisce una storia che si sofferma su ciò che accadde quel giorno funesto del 6 giugno 1968 in cui qualcosa si spezzò nella nazione più forte del mondo. Quel qualcosa fu l’assassinio spietato di Robert Kennedy nelle cucine dell’hotel Ambassador ad opera del killer giordano Shiran Shiran. Lo sceneggiatore e regista Estevez costruisce la sua storia appunto all’interno dell’Hotel Ambassador in un arco di tempo che va dal pomeriggio del 5 giugno di quell’anno alla notte del 6 giugno in cui fu commesso l’omicidio. Estevez , fondandosi in parte sui ricordi di alcuni di coloro che erano presenti in quell’occasione,si inventa una trama in cui 22 persone si incontrano e si scontrano, tutte con problemi diversi, ma tutte accomunate dall’attesa della sera del 5 giugno in cui in quel luogo l’amatissimo, quasi da tutti, Bobby proclamerà l’auspicato esito positivo del confronto elettorale con il suo rivale del partito democratico senatore Mac Carthy. Le storie di questi personaggi sono lo spaccato della società americana di quegli anni. Citiamo in sintesi. Il giovanissimo aiuto cuoco, immigrato messicano, alle prese con la costante discriminazione che subisce dal sadico responsabile dei servizi di cucina. In quella cucina c’è peraltro chi sostiene e consiglia quel giovane. E’ un simpatico chef di pelle nera, seguace dei principi evangelici del martire Martin Luther King, che invita a lottare sempre per i propri diritti rifuggendo però da ogni forma di violenza C’è il direttore dell’albergo, uomo sinceramente democratico, ma che non sa resistere al fascino di una giovane centralinista facendo soffrire la sfiorita moglie. Vi sono due giovani che devono sposarsi senza amore nel pomeriggio per risolvere l’intricata situazione di lui che con quel legame eviterebbe di partire soldato per il Vietnam. La ragazza, osteggiata dalla sua famiglia, si sacrifica per spirito umanitario ma, ciò nonostante, in quelle poche ore di attesa scoccherà tra i due la scintilla dell’amore. Appare una matura diva della canzone in crisi per la paura di invecchiare. Crede di risolvere tutto ubriacandosi senza ritegno e insultando il fedele marito che tenta di frenarla. Eppure, in prossimità dell’arrivo di Bobby, quella sera si esibirà con successo nella sala concerto dell’hotel Ambassador. Inizia la notte del 6 giugno, Kennedy, uscito vittorioso dalla competizione elettorale, infiamma la platea del grande albergo con un discorso che riassume mirabilmente tutto il suo programma e punta su un radicale cambiamento rispetto al passato. L’entusiasmo di tanta gente è al massimo, Kennedy lascia la sala, attraversa le cucine circondato da molte persone e in questo luogo avviene l’inimmaginabile. Tra la folla spunta una persona che senza esitazioni spara a raffica sull’uomo politico. La confusione è al diapason, prevale la sorpresa, poi subito dopo è il terrore. Kennedy è in terra immobile ferito in più parti del corpo, vicino a lui 5 persone ferite. Ora tanti piangono disperati, ancora una volta l’odio ha abbattuto un leader politico su cui erano dirette le speranze di un popolo. Bobby morirà dopo poche ore, i feriti si salveranno. Il regista Estevez, figlio del famoso attore Martin Scheen all’epoca fervente sostenitore di Bobby, ha voluto rappresentare questo triste episodio della storia americana con la sincerità di chi vuole ricordare una personalità che aveva colpito l’immaginazione di tanta gente. In coerenza il suo film diffonde i messaggi che quest’uomo nella sua pur breve vita ha lanciato e lo fa senza aggiunte o interpretazioni diffondendo spezzoni documentaristici degli interventi di Bobby. Luomo politico non appare interpretato da un attore ma lo si vede attraverso la ricostruzione filmata. Una scelta di regia coraggiosa e non commerciale che va apprezzata. Il film tarda a carburare, i primi venti minuti – che si soffermano su un sommario tratteggio dei 22 personaggi-scorrono lenti senza suscitare eccessivo interesse. Dopo la storia inizia a funzionare, le emozioni di quegli uomini e di quelle donne ci toccano. Pian piano chi di noi ha superato la soglia della maturità risente le sensazioni di quell’anno 1968 e le illusioni ad esso collegate. Tutto culmina in quel grande pezzo di cinema che sono le tragiche sequenze finali del film. Estevez mescola con bravura – aiutato da un eccellente montaggio- gli spezzoni documentaristici della brutale uccisione di Kennedy con le facce stravolte dei personaggi del film. Indimenticabili le immagini dello stupore doloroso dei testimoni di quell’evento e del terrore dipinto sui volti dei feriti. Impeccabile la direzione degli attori. D’altra parte si è in presenza di un cast di alto livello. Nessun attore va fuori dalle righe o carica il ruolo assegnatogli. Tutti sono concentrati e costruiscono il personaggio assegnatogli mirando ad avvicinarsi il più possibile alla verità. Tra i tanti spicca la performance dell’ottimo attore nero Laurence Fishburne che impersona il saggio capo chef delle cucine dell’hotel. La sua recitazione è convincente quando sotto un velo di leggera ironia illustra al giovane immigrato la volontà inflessibile di lottare contro l’emarginazione con mezzi e strumenti pacifici. Sharon Stone sorprende per la sua capacità di calarsi nel ruolo della moglie tradita del direttore dell’albergo. La diva esprime doti di sensibilità nel darci il ritratto di una donna sfiorita, senza illusioni ma che pure mostra una sua umanità dolente. Segnaliamo,infine,l’attore Christian Slater che ci mostra con efficacia il volto torvo dell’intolleranza nel disegnare il ruolo del responsabile delle cucine dell’albergo. Una curiosità, tra gli interpreti si ritaglia una parte lo stesso regista Estevez. E’ l’infelice marito della diva della canzone in crisi. Un film da vedere possibilmente in sala, le emozioni che dà potrebbero sfiorire a fronte di un passaggio televisivo. ...............................................
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