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“LA GUERRA DI MARIO" E “L’AMICO DI FAMIGLIA": DUE BEI FILM

CINEMA ITALIANO SVEGLIATI !

di Giuseppe Trabace

 


Valeria GolinoIl cinema italiano da qualche anno .è in crisi di incassi e, per quel che ci interessa, anche di qualità. I nostri registi, i nostri sceneggiatori, quasi sempre, non riescono a darci quelle emozioni, quelle sferzate di vitalità che interessano gli appassionati della settima arte. Si continua a descrivere i temi della realtà italiana (vedasi il recente mediocre film della regista Comencini “A casa nostra”) ma, a parte qualche rilevante prova di attore o la professionalità di alcuni eccellenti direttori della fotografia  e scenografi, le storie raccontate non passano lo schermo, e, trascorsi alcuni minuti dall’inizio della proiezione,  cala la noia o l’indifferenza dello spettatore. Certo c’è ancora qualche regista della vecchia guardia che continua un suo coerente percorso. Tra tutti spicca il veterano Marco Bellocchio che negli ultimi anni ha presentato opere che, con tonalità ora drammatiche ora grottesche, hanno descritto, all’interno di un raffinata introspezione psicologica sui personaggi, l’attualità di molte delle questioni irrisolte del nostro paese che sono sotto gli occhi di tutti. Tra tutti l’ottimo film "Buongiorno notte", che rievoca la tragedia del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro non badando alla realtà storica degli avvenimenti  ma piuttosto approfondendo i traumi e le insicurezze di quei giovani delle Brigate rosse travolti negli anni 70 dall’illusione di poter sovvertire la società capitalistica.
A questo punto va detto che non si può andare a caccia di spettatori o addirittura pretendere di avere riconoscimenti internazionali allorché si fanno film con un occhio rivolto ad alcune commedie di costume di grande successo dei primi anni 60  – tra tutti "Il sorpasso" di Risi e "La donna scimmia" di Ferreri – per il motivo che la realtà è di molto mutata. Occorrono nuove idee e soprattutto buon gusto. C’è un certo tipo di film che da anni colgono vasti consensi di un pubblico con un gusto imbastardito da certi  programmi televisivi che qualcuno si ostina a definire di varietà. La scarsità qualitativa di questo cinema si può cogliere agevolmente vedendo gli insipidi  film  - oltretutto intrisi di volgarità – dell’irresistibile (?) duo Boldi-De Sica sotto la direzione involuta, anche se furba, di Neri Parenti.
Tra  i registi di mezza età  (Calopresti, Tornatore, Andò, Piccioni) ci  sono limitati segnali positivi, di un più convinto modo di offrire un cinema d’evasione ma con dei contenuti legati all’attualità ma la voglia di  successi facili e ben remunerati spegne talora le velleità di rinnovamento. Un esempio per tutti. Carlo Verdone, comico di razza, aveva diretto negli ultimi cinque anni pellicole di buono spessore comico-satirico, attualizzando con garbo la commedia di costume del passato. Anche lui col il suo ultimo film "Il mio miglior nemico" pare tornare indietro, adeguandosi alla routine commerciale. Il successo di pubblico lo ha ottenuto, molto meno convincono la sue dichiarazioni di voler accedere con questo suo film minore ai mercati europei e di oltre oceano.
L’occhio va rivolto con più attenzione ad alcuni giovani registi italiani che stanno dando attualmente segnali di rinnovamento e che vanno incoraggiati. Parliamo di Crialese, di Parravicino, di Infascelli, di Garrone. Ci danno confortanti risultati, pur con alcune piccole defaillance, e operano seriamente per filmare nuove tematiche come il disagio dei giovani d’oggi o l’immigrazione.
Secondo la nostra visione del cinema i  registi che più sollecitano speranze per un reale rinnovamento del nostro cinema sono  l’anziano Antonio Capuano e il giovane Paolo Sorrentino. Entrambi sono napoletani veraci, dotati di quella creatività solare non estranea ai cittadini partenopei.
Capuano è figlio d’arte. Il padre Luigi è stato alcuni decenni or sono uno di quei registi artigiani che hanno sapientemente rappresentato, sia pure condizionati da intenti commerciali, il melodramma popolare partenopeo, rifacendosi agli schemi della sceneggiata e con frequente ricorso  al famoso repertorio canzonettistico. Dal padre ha appreso l’arte di non vergognarsi di rappresentare le emozioni e gli impulsi più elementari del popolo napoletano. Di suo ci ha messo la  capacità di darci un’immagine non convenzionale del  costume dell’Italia del sud, ricorrendo ad approfondimenti psicologici sui personaggi dei suoi film,. elementi questi ultimi da tempo estranei al nostro cinema. Si è imposto nel 1996 con il film "Pianese Nunzio,14 giorni a maggio". Una storia dura. Il regista poteva uscire dalle righe e cadere nella sfera della volgarità gratuita. Il film, pur non omettendo nulla su un episodio di pedofilia, ci mostra sino in fondo un’umanità che sbaglia ma che pure cerca in qualche modo un riscatto morale.
Il suo ultimo film "La guerra di Mario" può essere considerato una summa della sua creatività. Ambientato a Napoli, la trama  è quella  dell’affidamento all’ agiata intellettuale Giulia di un bambino di 9 anni definito difficile. La nuova madre ha la sensibilità di comprendere che le ribellioni, le stranezze del piccolo Mario trovano la loro origine dai dissesti e dalla povertà della sua famiglia naturale. Un padre equivoco, forse malavitoso, una madre, certamente vittima, ma a sua volta incapace di esercitare il suo ruolo. La scuola non riesce a comprendere i problemi di Mario e se ne lava pilatescamente le mani. Le assistenti sociali, tenute a seguire il bambino ed a relazionare al giudice minorile su come proceda l’affidamento, alternano eccessive comprensioni sugli strani comportamenti di Mario con accuse alla madre di non saper gestire la situazione. La famiglia naturale di Mario, grata a parole per essersi tolto il peso di quel figlio, tormenta Giulia con continue richieste di aiuti e di denaro. Infine Sandro, convivente di Giulia, non riesce a colloquiare col bambino che gli è chiaramente ostile.
Mario, esaudito fin troppo nelle sue richieste da Giulia, pian piano si chiude in sé stesso e trova un riparo alla sua solitudine nell’amore verso un cane raccolto per strada e nell’amicizia di un compagno di scuola che peraltro soffre anch’egli della stessa situazione di degrado derivante dalla famiglia. Verranno meno entrambi e Mario troverà accanto a sé soltanto Giulia. E’ un inizio di dialogo tra i due ma tutto sarà vanificato dall’insipienza e dalla superficialità delle istituzioni.Il giudice minorile revocherà a Giulia l’affido del bambino. Mario ora è solo.
Film – con sceneggiatura dello stesso regista - non facile, secco che non indulge a sentimentalismi, va dritto al sodo, affronta con coraggio- ma c’è qualche tocco algido di troppo- il tema di un’infanzia sofferente che subisce l’indifferenza della società; c’è anche la grinta di una donna che vuole fino in fondo esercitare, anche talvolta sbagliando, il ruolo di madre protettiva. Sono temi semplici che ai nostri giorni incidono sulla pelle di tanti di noi e Capuano non si è tirato indietro nel descrivere con efficacia tutto ciò.
Gli attori sono tutti all’altezza. Una citazione particolare va a Valeria Golino nel ruolo di Giulia La sua recitazione è spontanea - diremmo neorealistica- e senza forzature, eppure il suo bel volto tradisce la tensione di una donna che vuole portare a termine un delicato impegno morale. Va ricordata pure la bravissima Rosaria De Cicco. Nel ruolo di Nunzia, la madre naturale di Mario, esprime le difficoltà di una donna povera ed emarginata che vive tra finzione e realtà ed è quindi incapace di dare a Mario l’amore che gli spetterebbe.
Paolo Sorrentino, 36 anni, regista di qualità, dopo film di spessore come "L’uomo in più" e “Le conseguenze dell’amore" ha presentato il suo nuovo lavoro "L’amico di famiglia". Trattasi di un film complesso che pare una commedia di costume, ma, nel dipanarsi della trama, assume, pur ricorrendo ai toni del grottesco,. gli aspetti di una storia intrisa di tragedia.. La storia è ambientata nella provincia di Latina, in particolare a Sabaudia. Uno spaccato provinciale in cui emergono i difetti del vivere al di sopra delle proprie possibilità, quindi del progressivo impoverimento fino a raggiungere l’ultima spiaggia del ricorso agli strozzini. In questo ecco spiccare il personaggio di Geremia.. E’ una persona sui sessant’anni, ripugnante non solo per l’aspetto fisico, che esercita con fredda ironia il bel mestiere di strozzino. Il suo modo di comportarsi con i "clienti" è fintamente affabile, la sua è una carità pelosa Chiuso ad ogni barlume di umanità è cordialmente odiato da chi a lui sciaguratamente si affida. Pure quest’uomo che non esita a perseguitare con la violenza coloro che non gli restituiscono nei termini il denaro prestato, ha un punto debole, è la mancanza di un affetto. Ecco l’incontro con la bella figlia ventenne di uno dei suoi  “beneficati". Dopo essere stato respinto brutalmente, Geremia trova la ragazza disposta a cedergli e si illude di vivere con lei. Si tratta di una trappola organizzata dalla giovane unitamente ad un amico di Geremia che ne conosce le debolezze. Geremia si trasformerà da persecutore in vittima, tutti i suoi soldi accumulati per una vita in forza della sua losca attività gli saranno sottratti. Ora Geremia è condannato a continuare la sua vita senza speranze e in primo luogo senza il suo tesoro……..
Favola amara in cui tutti i personaggi sembrano privi di un riscatto morale. Il tutto è condotto con mano sapiente dal regista, la sceneggiatura. firmata dallo stesso Sorrentino - scorre senza sbavature sostenuta da dialoghi ben fatti. A volte l’ambizione del regista di offrirci un quadro sulfureo dell’ambiente descritto lo porta a qualche lentezza, a inquadrature troppo insistenti. La storia però funziona anche per le stupende immagini di Sabaudia a merito dell’operatore Luca Bigazzi.
Geremia è impersonato dal veterano attore di teatro Giacomo Rizzo. Interprete aduso a misurarsi da comico di razza con le più popolari farse del teatro partenopeo entra con estrema disinvoltura nei panni del laido protagonista.  I suoi modi di esprimersi, di camminare sfiorando i muri, di farci comprendere che siamo in presenza di un escluso. Danno sapore ad un’interpretazione cui dovrebbe spettare il riconoscimento di un premio. Fabrizio Bentivoglio, nel ruolo dell’amico infedele, conferma le sue doti di attore intenso e versatile.

L’auspicio è che questi due registi continuino nella strada intrapresa e che il pubblico li sostenga come meritano.

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