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EASTWOOD ECCELLENTE REGISTA DI "LETTERE DA IWO JIMA"

Guerra, violenza e pietà
di Giuseppe Trabace

 

 


Iwo Jima, quell’isola bagnata dal lontano oceano Pacifico, sovrastata da un vulcano spento, è stata nel 1944 nel corso della seconda guerra mondiale il luogo dove si sono scontrati, senza esclusione di colpi, i marines statunitensi e le truppe dell’impero giapponese. Un luogo e un’impresa rimasti mitici nell’immaginario del popolo americano per la vittoria che le truppe statunitensi riportarono dopo una battaglia protrattasi per oltre 4 mesi e che si concluse con otre 26.000 morti e migliaia di feriti dell’una e dell’altra parte. Il regista Clint Eastwood ha voluto ricostruire tutto ciò realizzando due film visti con le diverse ottiche degli americani e dei giapponesi. L’opera “Lettere da Iwo Jima“ verte sul ritrovamento ai giorni nostri su quell’isola di molte lettere di militari giapponesi ai familiari. Quivi emerge la realtà - non truccata dalla propaganda delle fazioni in lotta - di quelle vite, di quelle persone travolte dalla inesorabile violenza della guerra, disperate ed affamate nella solitudine delle trincee o delle gallerie, ma che pure mantengono, per la maggior parte, la loro dignità di uomini ed in quel frangente riscoprono gli affetti profondi delle persone a loro legate.

Da poco nella notte degli Oscar a Hollywood i premi per la migliore regia e per il miglior film sono stati assegnati all’italo-americano Martin Scorsese. Non è  stata una scelta peregrina ma il film di Scorsese “The departed“, opera solida illuminata dalla straordinaria interpretazione di Leonardo Di Caprio, non raggiunge la forza delle immagini che ci ha donato “Lettere da Iwo Jima“. Auguri al simpatico Scorsese e, quanto ad Eastwood, non gli mancherà di rifarsi molto presto.

E’ un film corale, non è possibile illustrarne compiutamente la trama. Il regista si sofferma nella rievocazione di persone che con i loro scritti pongono in evidenza i diversi aspetti di quel mondo nipponico in quel momento storico. Vi sono militari abbacinati dalla fanatica politica di guerra dell’imperatore e che assumono atteggiamenti di crudeltà anche verso i commilitoni non abbastanza in linea con le loro idee. Vi sono pure tanti militari che hanno soltanto subito quella politica guerrafondaia. Essi rimpiangono amaramente i tempi della pace e si illudono di potere tornare un giorno dalle loro famiglie. Su tutti spicca la figura del generale Kuribayaschi. Militare evoluto, che ha anche studiato negli Stati Uniti, comprende al suo arrivo che per la preponderanza di uomini e di mezzi il nemico prevarrà. Ciò nonostante predispone con equilibrio una difesa che possa rallentare la vittoria dei marines in quel territorio strategico per le sorti della guerra. Il generale, nonostante l’opposizione dei suoi collaboratori, riesce nell’impresa di resistere il più possibile ma sarà sempre sensibile nei confronti dei problemi anche dei soldati più umili. Il film ha la sua triste inevitabile conclusione con la morte della grande maggioranza dei nipponici e i più fanatici si suicideranno in onore dell’imperatore. Il generale si batterà con piena lucidità fino all’ultimo e volutamente offrirà la sua vita come un capitano mentre affonda la sua nave.

Clint Eastwood appare ispirato e convinto delle sue tesi. Nel film non vi sono retoriche prese di posizione contro la guerra, i crudi avvenimenti a cui assistiamo mostrano tutta l’inutilità delle guerre con il fardello delle crudeltà in esse insite.L’occhio sapiente del regista illustra gli scontri sanguinosi con riprese eccezionali che prendono ispirazione da altri grandi film sulla guerra. Ricordiamo fra tutti il capolavoro di Lewis Milestone “All’ovest niente di nuovo“. Eastwood, sempre con estrema compostezza, fa muovere i suoi personaggi in modo da farne scaturire tutta l’umanità e da suscitare nello spettatore più avveduto un senso di partecipazione alle loro tristi vicende. Il film è presentato in lingua giapponese, con sottotitoli nella nostra lingua. Potrebbe originare nello spettatore qualche problema, ma la scelta è in sostanza opportuna in quanto la lingua giapponese riesce a dare maggiore veridicità all’assunto. La sceneggiatura è lineare ma la vera linfa viene dalla regia di un Eastwood da ritenere ormai uno dei pezzi da novanta del cinema mondiale. Tutti ottimamente diretti gli attori, quasi tutti giapponesi. Tra essi, nel ruolo del generale, spicca l’interpretazione di Ken Watanabase che riesce a infondere nel suo personaggio una notevole intensità drammatica. La fotografia è uno dei pregi maggiori del film. E’ stato scelto un raffinato colore tenue, che addolcisce le immagini in contrasto con l’infuriare della battaglia e con le forti emozioni proprie della storia. Il regista, intervistato da una giornalista, afferma di avere ritenuto che andasse scelta una desaturazione dei colori in modo da far emergere i neri.

           

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