Il cinquantenne Sandro Lanza, attore di mezza tacca di film
commerciali e di fiction televisive, è avviato sul viale del tramonto.
Eccolo ospite d’onore di uno dei tanti scadenti contenitori televisivi
Intervistato da uno squallido presentatore sul suo excursus
professionale, l’attore, in uno scatto di sincerità, confessa un suo
sogno ricorrente. Il famoso regista Pietro Germi gli chiede di essere il
protagonista di un rifacimento del suo grande film “Divorzio
all’italiana“. In questo sogno ci sono tutte le speranze frustrate di un
attore che si sforza di illudersi e si rifugia nell’onirico anche perché
ha poco da ricordare sul suo percorso umano. Questa la chiave del film
di Pupi Avati "La cena per farli conoscere", malinconica storia di un
uomo, eternamente immaturo, deluso nella sua professione, ma che pure
tenta un difficile recupero.
Lanza, in un istinto di sopravvivenza e
nella speranza di far rinascere un rapporto d’amore finito, si sottopone
a Parigi ad un intervento di plastica facciale per recuperare
l’avvenenza perduta ma i risultati sono pessimi. Disperato chiede
soccorso a Ines, una figlia, affermata intellettuale, che per vecchi
trascorsi familiari non lo ama. Un aiuto a stento glielo dà, ma la
situazione non si risolve. L’attore ha altre due figlie, tutte concepite
con madri diverse Una con professione di medico, è sposata in Spagna con
un altro medico semi alcolizzato. L’altra vive a Roma sposata con il
figlio viziato di un importante editore. Tutte tre sono lontane da un
padre che a suo modo le ama ma che per la sua vita precaria e per
l’egocentrismo proprio suo lavoro le ha sempre trascurate. Cesare non
riesce a districarsi più e tenta il suicidio. Ora le tre figlie sono
riunite perché in qualche modo il padre va seguito. Ognuna di esse ha un
carico di problemi non facilmente risolvibili, decidono di trovare una
compagna per quell’uomo solo e programmano una cena per far incontrare
i colombi. Un atto forse suggerito dall’egoismo ma anche dalla voglia di
aiutare quell’uomo ormai indifeso. Alma giunge alla cena semi ubriaca,
straparla, confessa di avere sempre amato quel Cesare incontrato da
ragazzina ad una manifestazione. L’attore osserva con comprensione,
come in uno specchio, quell’essere umano in crisi per il convivente che
l’ha abbandonata senza riguardi, lei è ancora più sola di lui che bene o
male ha le figlie che lo assistono. La donna sta male, lui l’assiste
dolcemente, poi la riaccompagna a casa. Si chiariscono, fra loro due,
entrambi alla deriva , non può nascere un legame amoroso ma possono
capirsi. Lei gli confida che la figlia Ines è afflitta da un tumore e
che a giorni dovrà sottoporsi ad un intervento chirurgico. Forse per la
prima volta Cesare sente l’esigenza di aiutare quella figlia sofferente
e decide, nonostante le resistenze della stessa Ines, di seguirla a
Parigi per starle accanto in quel momento difficile. Ines uscirà fuori
dal tunnel della malattia, quelle figlie vedranno finalmente in quell’uomo
superficiale una persona più vicina. E’ forse il momento che quella
famiglia trovi un punto di coesione, ma la morte coglie improvvisamente
Cesare. Quest’uomo lascia ben poco della sua esperienza di attore, forse
però, nel suo umano tentativo di recupero, è riuscito a creare un legame
più saldo tra le tre sorellastre.
Pupi
Avati, sensibile e conosciuto autore nostrano, riesce con questo buon
film a ritrovare quei toni malinconici e soft che gli sono propri dopo
alcuni film dell’ultimo periodo che avevano convinto meno. La
descrizione del mondo dello spettacolo dei nostri giorni è credibile. La
scena di apertura del film, pur nello stile contenuto voluto dal
regista, non risparmia colpi, dagli attori ridotti a ripetere
all’infinito nelle fiction personaggi stereotipati a tutto quel
bestiario televisivo artificioso che trova le sue travi di appoggio, in
un bagno di preoccupante incultura, nella pubblicità vera o occulta. La
famiglia, così detta libera, piena di contraddizioni con non poche
difficoltà nel vissuto quotidiano, viene filmata senza compiacimenti.
Riserve si esprimono sulla descrizione approssimativa di alcuni
personaggi di contorno o per alcune situazioni della sceneggiatura un
tantino ovvie o scontate (ad esempio il brutto male da cui è afflitta
Ines). Le musiche del musicista Riz Ortolani sono azzeccate e
particolarmente piacevoli. Avati, come sempre, dirige da maestro attori
non tutti di primo piano. Su tutti, in sorprendente simbiosi con la
linea voluta dalla regia, spicca l’interpretazione del lombardo-pugliese
Diego Abatantuono. Attore di razza, quando non si caccia in operazioni
commerciali, ci dà un ritratto a tutto tondo del protagonista, ci mette
la sua innata ironia ma sorprende quando indulge a sofferti, ma sobri,
toni malinconici. E’ prevedibile che raccolga premi nelle varie
manifestazioni promosse dal nostro cinema. Nel variegato ruolo di Alma
Francesca Neri è particolarmente brava nel descrivere le crisi di una
donna della nostra epoca. Tra le tre figlie, tutte affascinanti, la
palma spetta alla solare spagnola Isabella Incontrada che disegna con
efficacia il suo contraddittorio personaggio. Una segnalazione per Fabio
Ferrari, che caratterizza abilmente un arrogante riccone afflitto da
manie erotiche per il gentil sesso.
Lo consigliamo a chi ama un cinema non urlato e che fà presa
sui sentimenti.
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