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IL PARLAMENTO EUROPEO PREMIA
 “ AI CONFINI DEL PARADISO “
DI FATIH AKIN

Voglia di integrarsi
di Giuseppe Trabace


 

(scheda)

Il pianeta terra, pur attraversato da una sommatoria di problemi non semplici da risolvere, negli ultimi trent’anni ha visto incrementarsi imponenti fenomeni migratori che pretendono delle risposte convincenti. Uno dei passi da compiere, senza frapporre indugi, è una politica complessiva delle nazioni più sviluppate tesa a favorire, meglio ad incentivare, una integrazione tra i popoli coinvolti a partire dalle culture.
Il giovane regista tedesco di origine turche Fatih Hakin, con il film “ Ai confini del paradiso” sviluppa il tema del rapporto tra la Turchia, sua paese di origine, e la Germania che da molti anni sta divenendo la patria di adozione di un vasto numero di turchi. Tutto ciò senza trascurare il tema attuale di una Turchia che chiede di entrare in Europa. Si può di certo osservare che il regista sente profondamente queste tematiche e in conseguenza, con passione, forse non disgiunta da una certa dose di ingenuità, si misura in una storia dall’intreccio complesso ma che pure appare emblematica e coinvolgente.

Alì, un anziano vedovo di nazionalità turca che vive a Brema, decide di convivere con Yeter, una prostituta turca, costretta al suo triste mestiere da una vita passata intrisa di dolori e frustrazioni e dalla necessità di mantenere agli studi ad Istambul la figlia Ayten. Alì, condizionato dalla sua mentalità maschilista di turco di antica generazione, per gelosia batte la convivente e accidentalmente la uccide. Il figlio di Alì Nejat, docente universitario, affezionato alla morta, abbandona il suo lavoro e si reca ad Istambul per cercare Ayten che da tempo non da notizie di sé. La figlia della defunta in realtà è braccata dalla polizia turca in quanto fa parte di un gruppo estremista qualificato come terrorista. La ragazza emigra a Brema ed invano cerca la madre il cui corpo è seppellito ad Istambul. Sola e senza denaro incontra la studentessa Lotte di solida famiglia borghese che vive con la madre Susanne. Una grande amicizia sorge tra le ragazze, poi nasce un intenso legame omosessuale. Ayten ad un certo punto viene arrestata dalla polizia tedesca e, nonostante l’opposizione legale sovvenzionata da Susanne, la contestatrice viene estradata in Turchia e rinchiusa in un istituto carcerario. Lotte la segue a Istambul e lotta strenuamente per far liberare l’amica che per suo canto si rifiuta di collaborare con gli inquirenti. Per gli strani casi della vita Lotte diviene coinquilina di Nejat ma tutti due non sanno di essere legati ad Ayten. Lotte per aiutare l’amica si fa incastrare in un gioco pericoloso connesso all’attività terroristica e finisce assassinata nei vicoli tortuosi di Istambul. Susanne sconvolta corre nella capitale turca, incontra in carcere una Ayten travolta dal rimorso e ormai pronta a collaborare con la polizia. Susanne si apre con la ragazza che ormai considera come una figlia ed incontra anch’essa Neytat con cui, nel comune ricordo della figlia scomparsa, instaura un rapporto di vera amicizia. Neytat, infine, dinanzi allo spettacolo del dolore tremendo di quella madre, sente il bisogno di rivedere il padre da lui allontanato dopo l’omicidio di Yeter. Andrà a ritrovarlo sulle coste del Mar Nero.
Vite che si intrecciano, coincidenze che si ripetono,dolori che incombono sui protagonisti di questa storia, ma in primo luogo culture tanto diverse di due popoli che prima si scontrano, poi tentano di trovare un punto di contatto anche inconsapevolmente. E’ la premessa di una vera integrazione che si va costruendo giorno per giorno. Questo il messaggio che traspare da questo originale film. La sceneggiatura è un coinvolgente ordito svolto su diversi piani e consapevolmente è stata premiata al recente Festival del Cinema di Cannes. Il regista ci mette del suo con grinta giovanile, anche se qualche passaggio della storia andava sfumato come la relazione descritta in modo sciattamente materialistico tra Alì e Yeter o il cambio troppo improvviso di personalità di Susanne. Di buon livello la fotografia e abbastanza serrato il montaggio. Gli attori sono tutti adeguati al ruolo assegnatogli. Una citazione particolare merita la fresca spontaneità di Patrycia Zlolkoska nella parte non facile della coraggiosa, anche se sfortunata, Lotte. Un discorso a parte va fatto per Hanna Schygulla che impersona con mirabile partecipazione e misura il ruolo di Susanne, madre borghese prima ansiosa, poi travolta dalla perdita della figlia. Attrice mito del grande cinema tedesco degli anni 70 dello scomparso regista Rainer W. Fassbinder, la Schygulla ritorna alla ribalta cinematografica dopo anni di assenza.

            Un film da vedere che giustamente è stato insignito dal Parlamento europeo del primo premio Lux per il cinema in ragione dei temi trattati di evidente rilievo internazionale.

 

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