Chiudi finestra

UNA REGISTA EMERGENTE, TAMARA JENKIS, PER
"LA FAMIGLIA SAVAGE"
Vite non risolte
di Giuseppe Trabace


 

(scheda)

Film indipendente sceneggiato e diretto con intensa partecipazione dalla emergente Jenkins. Le migliori immagini ce le offre la scena iniziale già citata che descrive con sofferta ironia quell’illusorio mondo di cartapesta per anziani. In seguito lo script molto efficace si sofferma con duro realismo su una forte condizione di disagio. La regia talvolta indulge a qualche lentezza e caduta di gusto nella descrizione della banalità del vivere quotidiano, il che può originare stanchezza nello spettatore. La regista si fa peraltro valere nell’approfondimento psicologico dei caratteri dei tre protagonisti ed in ciò è molto aiutata dall’eccellente recitazione dei tre attori protagonisti. Laura Linney vive letteralmente il personaggio di Wendy. Sostenuta da una sceneggiatura che le dà ampi spazi l’attrice ci regala con sensibilità il ritratto di una donna dei nostri tempi, stretta tra l’ambizione di arrivare e le difficoltà della sua vita solitaria. Per questo film la Linney ha avuto la nomination per l’Oscar 2008 quale migliore attrice protagonista. Conferirle l’Oscar pare senz’altro una scelta azzeccata. Philip Seymour Hofman, al vertice tra gli attori quarantenni de cinema statunitense, disegna mirabilmente il ruolo di Jon. La sceneggiatura si sofferma meno sul suo personaggio, ma lui sa infondere- con una recitazione tutta interiore -a Jon tutta la sua,  per certi aspetti disperata, nevrosi. Indimenticabili i suoi sguardi rivolti ad un padre morente che pure ha difficoltà ad amare e comprendere. Il ruolo del capriccioso e scarsamente sensibile vegliardo Lenny è affidato all’esperto Philip Bosco. E’ ineccepibile.

Pare opportuno rivolgere una critica ai distributori che, probabilmente “affascinati “ dalle pellicole digestive del momento, hanno pochissimo promosso un film meritevole di essere veduto.
 

Le prime sequenze del film statunitense “ La famiglia Savage “ ci mostrano la località amena di Sun City in Arizona. Vie ampie, casette deliziose ad un piano circondate da giardini curatissimi, multicolori segnali pubblicitari. Quivi in una palestra si esibiscono in grotteschi balletti un vasto numero di uomini e donne in calzamaglia, dall’età molto avanzata. La regista Tamara Jenkins con queste prime immagini ci da il segnale evidente di una problematica tanto attuale nella società del benessere : l’incapacità di tante persone avanti con gli anni di affrontare il tema reale della fine dell’esistenza e l’illusorio ritorno a vezzi e abitudini giovanili. Quando sopraggiunge la malattia scoppia il dramma che coinvolge anche i familiari. Questo uno dei temi esistenziali affrontati da un film che trova la sua ragione nello scandagliare nelle coscienze di una normale famiglia americana che si trova per l’appunto precipitata in un abisso a fronte dell’insorgenza di una grave malattia senile che colpisce un suo membro.

L’anziano Lenny Savage vive da 20 anni nel paradiso fasullo di Sun City in una villetta di proprietà della sua convivente. L’anziana donna muore improvvisamente e Lenny subisce un duro colpo che incide pesantemente sul suo già fragile equilibrio. Vengono avvertiti i due figli quarantenni che da anni non vedono il padre per dissensi dovuti al carattere autoritario di quest’ultimo. Wendy vive a Manhattan, non ha un lavoro fisso, scrive commedie teatrali ma non ha sfondato. La sua vita privata è precaria, vive sola, ha una relazione abbastanza infelice con un uomo sposato. Jon vive a Buffalo, insegna letteratura teatrale all’università ma ambisce a traguardi più esaltanti. Ha da anni una relazione con una polacca ma vi sono problemi difficili da affrontare. I fratelli hanno caratteri profondamente diversi. Wendy vive con nevrotica fragilità la sua condizione di precaria e di single cui tenta di opporsi con l’attaccamento morboso al suo gatto, ma riesce tutto sommato ad esternare i suoi sentimenti. Jon, pur parzialmente affermato nel lavoro, vive con dolore la sua condizione di nevrotico apparentemente non in grado di esternare le emozioni, anche quelle amorose, che pure lo attraversano.
I due fratelli, nonostante qualche esitazione di Jon, accorrono a Sun City e vengono informati dai medici che il padre è affetto da demenza senile e che ormai non gli rimane molto da vivere. I due figli sono in crisi La loro condizione la regista Jenkins la sintetizza con questa frase “Fratello e sorella sono costretti a compiere un viaggio nel mondo surreale della vecchiaia al quale non sono sicuri di poter sopravvivere“. Jon, vinte le sue remore verso il padre, gli trova una collocazione presso un ricovero per anziani nei pressi di Buffalo. Wendy con slancio generoso vorrebbe per il padre una collocazione più dignitosa ma le loro condizioni economiche non lo consentono ed in aggiunta, il vecchio Lenny assume atteggiamenti inconsulti non dovuti soltanto alla malattia ma anche alla sua connaturata incapacità di aprirsi agli altri. I fratelli per stare vicini al padre ora vivono assieme nella casa di Jon ormai solo. In buona parte estranei fra di loro, lo scontro dei caratteri differenti è inevitabile ma un inizio di contatto umano si fa pian piano largo. Jon giunge a sciogliersi in lacrime a fronte delle difficoltà della vita mentre Wendy riflette sul significato dei vincoli familiari pur con tutte le loro contraddizioni. L’anziano padre muore e i figli, nonostante tutto, sentono un vuoto che forse non si aspettavano. Sei mesi dopo i due fratelli si rincontrano. Ora Wendy ha tangibili riconoscimenti sulla sua attività di commediografa mentre Jon ha ritrovato il suo rapporto amoroso con la donna polacca. Finale un po’ consolatorio ma che vuol significare che dai grandi dolori dell’esistenza può sgorgare un positivo modo di confrontarsi e di conoscersi.

...............................................