Siamo
alle prime sequenze del film di Gianni Amelio "La stella che non c’è".
In una sala attorno ad una tavola imbandita pranzano alcuni manager
cinesi che hanno appena acquistato in Italia un altoforno in funzione
dello sviluppo delle acciaierie nel loro paese. L’atmosfera è lieta, ma
ecco irrompere in quella sala l’ex manutentore dell’altoforno Vincenzo
Buonavolontà che in lingua italiana si sforza di far comprendere a quei
commensali che quella enorme struttura è difettosa e che ciò potrebbe
comportare dei pericoli. Nella sua irruenza maltratta pure la spaurita
interprete cinese ma ciò nonostante riceve solo assicurazioni generiche
che saranno puntualmente disattese. Ecco un italiano con la schiena
diritta che quasi pretende di essere ascoltato - da gente che non lo
capisce - non per chiedere favori o spillare soldi ma per garantire
sicurezza a lavoratori a lui sconosciuti ma a cui è legato da una forte
solidarietà. Questa scena ci dà il segnale che assisteremo ad un film
serio, non retorico e particolarmente attento ai temi sociali che
attengono al globo in cui viviamo.
Vincenzo scopre il difetto della centralina ma ormai i cinesi hanno
portato nel loro paese l’altoforno. Il nostro protagonista con una
testardaggine esemplare parte per la Cina per porre riparo a quel
difetto. Entra in una realtà per lui inimmaginabile, si trova di fronte
un grande paese, con il peso di centinaia di milioni di abitanti,
attraversato da processi di una formidabile espansione industriale ma
pure tormentato da squassanti problemi sociali, come già successo
alcuni decenni or sono in America e in Europa. Quest’uomo pare travolto
anche per la oggettiva difficoltà a comprendere la lingua cinese ma
trova la sua bussola proprio in quella giovane interprete cinese sopra
descritta. La ragazza al primo impatto lo respinge ma poi rimane colpita
dalla sua dirittura morale e gli fa, oltre che da interprete, da guida.
Ecco i due attraversare la Cina, è la scoperta di una nazione che sta
trasformando la sua millenaria realtà rurale in un mondo industriale che
avanza inesorabilmente, ma in cui pure esistono vaste aree di povertà ed
emarginazione, le cui vittime principali sono i bambini, i vecchi e le
donne prive di cultura. Vincenzo osserva con silenziosa partecipazione.
Nel lungo viaggio la giovane approda al suo poverissimo luogo di origine
ove la vecchia nonna accudisce un bambino di pochi anni, nato da una
sbagliata relazione dell’interprete con un giovane cinese. Vincenzo
comprende che la ragazza ha gravi problemi personali da risolvere e, pur
provando un sentimento d’amore per lei, continua da solo il suo viaggio.
Allorché arriva nel luogo ove è situato l’altoforno ha la sorpresa che
gli industriosi operai cinesi hanno da tempo già individuato i difetti
della centralina. U n viaggio inutile? Forse no. Vincenzo ha scoperto
una realtà spesso non piacevole ma ha fatto una notevole esperienza di
vita. L’uomo è triste e si sente solo ma un soffio di speranza nasce
quando la giovane cinese lo ritrova e gli fa comprendere che anche da
parte sua è nata una simpatia amorosa.
Il film trova la sua origine nel romanzo "La dimissione" di Ermanno Rea
e Gianni Amelio lo dirige con sicurezza pur essendo una storia non
facile da raccontare. Alcune scene hanno un taglio documentaristico e,
pur apprezzando le oneste intenzioni del regista, va detto che le
immagini soffrono talvolta di un forse inevitabile ritmo lento. Dove il
film trova una sua forza è nella verità di quei volti del popolo cinese
ora determinati, ora rassegnati ma sempre permeati da una saggezza che
viene da lontano. I due protagonisti, eroi positivi della storia, sono
tratteggiati con sensibile attenzione. Sergio Castellitto, nel ruolo di
Vincenzo, sa esprimere con disarmante semplicità la cupa nevrosi
dell’uomo, la voglia di conoscere quel mondo a lui sconosciuto per poi
far emergere, nella parte finale del film, il suo status di uomo solo ma
desideroso di uscirne. Nella parte della giovane interprete Amelio ha
scelto per il ruolo della giovane protagonista l’esordiente Tao Ling,
studentessa di italiano nell’università di Pechino. Il debutto della
ragazza è buono. Il carattere di questa fanciulla, indurito dalle
traversie della vita ma capace anche di esprimere una positiva voglia di
cambiamento e di partecipazione ai problemi del suo paese, è tinto di
una verità che colpisce.
Il film, selezionato per la Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno,
è stato accolto senza eccessivi entusiasmi, a parte la intensa
interpretazione di Castellitto. Va in ogni caso condiviso l’intento
degli autori di mostrarci senza veli la storia attuale di un paese di
cui ancora si conosce ben poco.
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