Luigi, maturo professore che lavora a Milano, torna dopo tanti anni a
Mesagne in Puglia, suo luogo di origine, rivede i suoi tre fratelli,
entra nella casa dove ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza.
Si aggira frastornato per quella vecchia casa di paese, ricordi non
piacevoli riaffiorano, una sensazione di vuoto ma anche una voglia di
esserci. Questa una delle scene iniziali del film “ La terra “ in cui
l’autore Sergio Rubini ci illustra in sintesi le sensazioni di un uomo
che credeva di essere ormai lontano dalle sue radici ma ora, al rientro
nel ventre delle sue origini, sente crescere in lui un desiderio di cui
ancora non si rende conto.
Il
protagonista, trasferitosi a Milano tanti anni prima per gravi dissensi
con il padre ora defunto, torna nella sua Puglia perché due fratelli
vorrebbero vendere l’azienda agricola di famiglia. Tale intendimento è
duramente ostacolato dal violento fratellastro Aldo che quella terra
lavora. Rancori atavici ritornano in quel nucleo familiare.. Alla fine
la rissa sfocia in fatti più gravi. L’omicidio in paese di un malavitoso
vede coinvolti i fratelli di Luigi che si accusano fra di loro senza
esclusione di colpi.Alla fine il più giovane dei fratelli, in apparenza
il migliore dei tre, si accusa dell’omicidio. A quel punto Luigi, sino
ad allora fuori della mischia, interviene con decisione.. Non esita ad
accordarsi con la famiglia dell’ucciso offrendo, in cambio del silenzio,
la proprietà dell’azienda agricola. Il finale vede ritornare la pace tra
i quattro fratelli in nome di una solidarietà familiare che non può
venire meno.
Un film sanguigno che ci mostra una Puglia forse arcaica in cui la
famiglia rappresenta un valore che nei momenti difficili si afferma e si
impone. La storia ha momenti di convincente realismo anche se talvolta
pare perdere il filo per l’intenzione di voler dire troppe cose.Non
condividibile, o almeno ambigua, è la tesi degli sceneggiatori Rubini e
Domenico Starnone secondo cui in nome della famiglia debba pagarsi il
prezzo di un compromesso che arriva al punto di mandare libero un
omicida. Sergio Rubini, che ancora una volta torna ai paesaggi ed alle
atmosfere della “ sua” Puglia, dirige con mano sicura una storia di
passioni, di rabbie a volte grottesche ma anche segnata dalla
malinconia, a stento repressa, del protagonista. Fabrizio Bentivoglio è
spontaneo e credibile nel ruolo di Luigi. Gli altri attori sono tutti
affiatati. Una citazione per Massimo Venturiello, ottimo attore di
teatro, che nel ruolo di Aldo sa dare le giuste coloriture ad un
personaggio di duro che pure sottende infantili debolezze. Sergio Rubini
si ritaglia un cammeo impersonando con grinta un malavitoso che sarebbe
meglio non incontrare mai.
Un film, di qualità superiore alla media, da vedere.
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