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IN SALA “PROVA A INCASTRARMI“

L'onore di un mafioso

di Giuseppe Trabace

 

Quell’aula di un tribunale di New York alla fine degli anni 80 è stracolma di tanti coloriti personaggi che ostentano le loro origini siciliane e i legami “ di sangue “che intercorrono tra loro. Tra essi si fà avanti con coraggiosa incoscienza uno strano soggetto sui ciquant’anni, dal profilo cavallino, di corporatura robusta, ma dall’eloquio che, pur volgare, attira inaspettate simpatie nell’attonita giuria popolare. Questo in sintesi il tratteggio del protagonista del film di Sidnej Lumet “Prova a incastrarmi“.
Jackie Dee Di Norscio è un mafioso di origine italiana di mezza tacca incastrato dalla polizia per traffico di droga e condannato a 30 anni di reclusione. Il procuratore offre al detenuto la possibilità di una forte riduzione di pena ove denunci i componenti del clan mafioso della famiglia Lucchese. Di Norscio sdegnosamente rifiuta accusando il Procuratore di essere prevenuto contro gli italo-americani. Ha inizio il processo contro gli affiliati al clan Lucchese accusati di associazione mafiosa.
Di Norscio, affiliato anche lui, è tra gli imputati, e, sfiduciato verso il suo avvocato per la precedente dura condanna, decide di difendersi da solo. Ciò provoca l’ostilità del capo della famiglia Lucchese che considera Jackiee una testa calda che potrebbe compromettere il processo. Di Norscio dimostra nel corso del processo di essere dotato di grande furbizia e quindi in grado di saper cogliere gli umori della giuria popolare. Spesso le procedure giudiziarie sono violate dallo strano avvocato ma su questo interviene con durezza il giudice che guida il dibattimento. Le prove della losca attività del clan sono moltissime ma quasi tutte di carattere indiziario. Di Norscio prosegue con le sue tirate retoriche, insiste sfacciatamente sulla natura solo affettiva delle relazioni tra i componenti del clan, si proclama uomo d’onore legato fortemente sia ai suoi parenti che ai “picciotti“ della famiglia Lucchese. Alla fine succede l’incredibile, la sentenza di una giuria, “affascinata“ da Di Norscio, manda assolti tutti i mafiosi e l’improvvisato legale viene portato in trionfo dai “fratelli siculi“.
Storia purtroppo vera è raccontata con realismo- non privo di amara ironia sulle inefficienze della giustizia del suo paese -, dal veterano regista Usa Sidnej Lumet. Questo regista dell’America liberal è un esperto da oltre cinquant’anni di film “processuali“ di cui con ammirazione ricordiamo l’imperdibile “La parola ai giurati“ e il cult “Serpico“. Quì la regia è meno convinta, forse un po’ stanca in alcune sequenze, ma nel suo complesso la storia tiene grazie anche alla virtuosistica direzione degli attori, di cui molti poco conosciuti.
Van Diesel, fino ad ora misuratosi in film di azione, costituisce l’autentica sorpresa del film.
L’attore riesce ad esprimere con grande naturalezza tutta la disinvoltura e la gigioneria del personaggio, senza però trascurare le doti di umanità di cui pure è intriso. Vedasi per tutte la toccante scena in cui Di Norscio viene a sapere dell’improvvisa morte della madre. Accanto al protagonista una serie di volti ben scelti di mafiosi a tutto tondo. Una citazione per l’ottimo caratterista Ron Silver che del personaggio del giudice offre un ritratto ambivalente, disegnando la sua intransigenza per il rispetto delle procedure legali nonché la sua comprensione per i difet
ti umani.

 

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