Quell’aula
di un tribunale di New York alla fine degli anni 80 è stracolma di tanti
coloriti personaggi che ostentano le loro origini siciliane e i legami “
di sangue “che intercorrono tra loro. Tra essi si fà avanti con
coraggiosa incoscienza uno strano soggetto sui ciquant’anni, dal profilo
cavallino, di corporatura robusta, ma dall’eloquio che, pur volgare,
attira inaspettate simpatie nell’attonita giuria popolare. Questo in
sintesi il tratteggio del protagonista del film di Sidnej Lumet “Prova
a incastrarmi“.
Jackie Dee Di Norscio è un mafioso di origine italiana di mezza tacca
incastrato dalla polizia per traffico di droga e condannato a 30 anni di
reclusione. Il procuratore offre al detenuto la possibilità di una forte
riduzione di pena ove denunci i componenti del clan mafioso della
famiglia Lucchese. Di Norscio sdegnosamente rifiuta accusando il
Procuratore di essere prevenuto contro gli italo-americani. Ha inizio il
processo contro gli affiliati al clan Lucchese accusati di associazione
mafiosa.
Di Norscio, affiliato
anche lui, è tra gli imputati, e, sfiduciato verso il suo avvocato per
la precedente dura condanna, decide di difendersi da solo. Ciò provoca
l’ostilità del capo della famiglia Lucchese che considera Jackiee una
testa calda che potrebbe compromettere il processo. Di Norscio dimostra
nel corso del processo di essere dotato di grande furbizia e quindi in
grado di saper cogliere gli umori della giuria popolare. Spesso le
procedure giudiziarie sono violate dallo strano avvocato ma su questo
interviene con durezza il giudice che guida il dibattimento. Le prove
della losca attività del clan sono moltissime ma quasi tutte di
carattere indiziario. Di Norscio prosegue con le sue tirate retoriche,
insiste sfacciatamente sulla natura solo affettiva delle relazioni tra i
componenti del clan, si proclama uomo d’onore legato fortemente sia ai
suoi parenti che ai “picciotti“ della famiglia Lucchese. Alla fine
succede l’incredibile, la sentenza di una giuria, “affascinata“ da Di
Norscio, manda assolti tutti i mafiosi e l’improvvisato legale viene
portato in trionfo dai “fratelli siculi“.
Storia purtroppo vera è raccontata con realismo- non privo di amara
ironia sulle inefficienze della giustizia del suo paese -, dal veterano
regista Usa Sidnej Lumet. Questo regista dell’America liberal è un
esperto da oltre cinquant’anni di film “processuali“ di cui con
ammirazione ricordiamo l’imperdibile “La parola ai giurati“ e il cult “Serpico“.
Quì la regia è meno convinta, forse un po’ stanca in alcune sequenze, ma
nel suo complesso la storia tiene grazie anche alla virtuosistica
direzione degli attori, di cui molti poco conosciuti.
Van Diesel, fino ad ora misuratosi in film di azione, costituisce
l’autentica sorpresa del film.
L’attore riesce ad esprimere con grande naturalezza tutta la
disinvoltura e la gigioneria del personaggio, senza però trascurare le
doti di umanità di cui pure è intriso. Vedasi per tutte la toccante
scena in cui Di Norscio viene a sapere dell’improvvisa morte della
madre. Accanto al protagonista una serie di volti ben scelti di mafiosi
a tutto tondo. Una citazione per l’ottimo caratterista Ron Silver che
del personaggio del giudice offre un ritratto ambivalente, disegnando la
sua intransigenza per il rispetto delle procedure legali nonché la sua
comprensione per i difetti umani.
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