(scheda) |
Una bella ragazza muore. Chi l’ha uccisa? Un mistero molto
difficile da svelare all’interno di quella piccola comunità di
un paesino di montagna. Il film "La ragazza del lago" disvela i
meccanismi di questa brutta storia. La macchina da presa si
insinua – in un certo qual senso si introduce - nelle vite di
persone che hanno un po’ tutte sofferenze nascoste perché è in
queste ultime, nelle pieghe del loro animo, che si trova la
soluzione dell’enigma.
Il testardo commissario di polizia che dirige l’inchiesta
intuisce quasi subito la situazione e significativamente afferma
che dietro questo delitto si nascondono dei sentimenti. |
Siamo in un
incantevole paesino montano della Carnia in provincia di Udine, una ragazza
di poco più di vent’anni viene trovata uccisa sulle sponde di un lago.
E’stata soffocata nell’acqua ma pare che non abbia opposto resistenza
all’assassino. Incaricato delle indagini è l’ispettore Sanzio, un napoletano
trapiantato da qualche anno nel nord. Un funzionario scrupoloso, a volte
duro con i suoi collaboratori, forse perchè la sua vita privata è segnata
dal dolore. Ha una figlia poco più che adolescente che non sempre lo
comprende, ha una moglie afflitta da una malattia mentale irreversibile che
da anni è ricoverata in una casa di cura. Quest’uomo porta il suo fardello
con dignità, anche se talvolta non può sottrarsi a cupe, sia pur temperate
da un’ironia tutta partenopea, riflessioni. sulla vita. Il commissario,
nello sviluppo delle indagini, entra per così dire nel vissuto di persone
che soffrono situazioni non facili e che tentano per paura o per pudore di
nascondere. Sanzio conosce nel profondo le sofferenze dell’esistenza ma non
può sottrarsi, per dovere professionale ma anche per un bisogno etico,
dall’andare a fondo per conoscere quelle situazioni. La verità pian piano
verrà a galla. La determinazione dell’ispettore di polizia, la sua capacità
di far venir fuori le contraddizioni di quelle persone porterà
all’individuazione di un colpevole che, nel confessare l’omicidio, sentirà
un senso di liberazione da un peso ormai insopportabile.
Trattandosi di un film giallo, sia pure con riflessi particolari , non
diremo il nome dell’assassino.
Tratto da un romanzo di Karin Fossum, il film trova una sua dimensione man
mano che i suoi personaggi rivelano quello che si portano dentro, che si
mostrano nudi agli occhi di uno spettatore indotto a considerarli con
un’umana pietà che non può mancare. Il regista Andrea Molaioli è al suo
esordio. Aiuto di Nanni Moretti non ne segue le orme, piuttosto punta ad
un’indagine non superficiale sull’animo umano con riferimento a persone
semplici, non ancora toccate dal degrado urbano. Il film è sorretto da una
sceneggiatura molto ben fatta dallo stesso Molaioli e dagli ottimi Sandro
Petraglia e Ludovica Rampolli. Uno script che ha una sua complessità, forse
infarcito di troppe storie, ma che offre un credibile ordito drammatico,
anche se non mancano sprazzi di più leggera lettura. Il cast è composto di
attori di collaudata bravura, quasi tutti con ottime esperienze di teatro.
Fra tutti spicca l’interpretazione di Toni Servillo nel ruolo del
commissario. Da notare il suo passo dinoccolato e spedito, come di un uomo
che vuole reagire alle ferite della vita, il serrato, talvolta implacabile,
modo di interrogare i sospettati dell’omicidio, poi il suo trasformarsi pian
piano in un confessore partecipe del dolore dell’interlocutore, infine le
sue battute tra l’amaro e l’ironico che sottolineano la sua natura di uomo
del sud. E’ una recitazione scabra, naturale, di sottrazione che ricorda il
modo di porgersi del grande Eduardo De Filippo. Una piccola riserva, forse
quest’attore dovrebbe aprirsi al sorriso un poco di più. Da segnalare la
toccante bravura di Omero Antonutti che impersona un vecchio ossessionato da
un rapporto di amore-odio verso il figlio convivente colpito da handicap
mentale. Un discorso a parte va fatto per Valeria Golino, nella fase attuale
l’attrice più intensa del nostro cinema. Ha una piccola parte, quella di una
madre ferita nell’animo dalla morte del suo unico figlio di 3 anni. Pure i
suoi sguardi ora trepidi ora di sfida verso quel commissario così
insinuante, la sua voce roca ma specchio di una sofferenza interiore,
riescono a trasmetterci emozioni forti.
Un film presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia che ha
riscosso un confortante riconoscimento dalla critica e dal pubblico. Si
consiglia di vederlo perché è una storia che fa pensare.
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