Avvicinarsi, senza speculazioni, al mondo particolare dei transessuali
non è cosa agevole. E’ una realtà che per buona parte non conosciamo e
di cui molti diffidano. Coraggioso è stato l’intento del regista e
sceneggiatore Duncan Tucker di costruire un film dal titolo "Transamerica"
sui problemi, i drammi, le incertezze del transessuale Bree posto, senza
volerlo., dinanzi ad una situazione singolare che lo costringe ad un
ripensamento sui suoi problemi esistenziali.
Bree è un transessuale, di Los Angeles sui 40 anni, che appare
all’esterno come una donna, anche se è in attesa di un intervento
chirurgico che annullerà i segni della passata mascolinità. E’ un essere
umano in crisi di identità da molti anni, timoroso di vedere scoperto il
suo segreto, isolato dalla ricca famiglia borghese da cui proviene. D’un
tratto dal carcere di New York gli telefona Toby, un giovane disadattato
di 16 anni, alla ricerca del padre. Bree nega di conoscerlo ma in realtà
ricorda di avere avuto da giovanissimo una breve relazione con una donna
e, nel dubbio, va a trovare il giovane. Il primo impatto non è facile,
Bree nasconde la sua identità sessuale a Toby e quindi non può
rivelargli di essere suo padre. Si spaccia per una missionaria della
chiesa del Padre potenziale. Il ragazzo è in una situazione difficile,
povero, spesso dedito alla droga, orfano di madre e con un patrigno che
odia. Bree, ormai certo della sua paternità, induce il giovane- previa
promessa di ritrovare il fantomatico padre- a intraprendere insieme un
viaggio che li porterà a Los Angeles in auto. Questo viaggio è in
pratica il motore con cui si sviluppa la storia. Non mancano i contrasti
e le incomprensioni tra i due. Bree è sensibile e pieno di pudori, il
ragazzo è arrogante, talvolta brutale, anche se non riesce a nascondere
il suo desiderio di avere una famiglia. Nel lungo viaggio succede di
tutto, attraversano il sud degli Stati Uniti, superano problemi e
difficoltà, inizia una solidarietà che non si incrina neppure quando
Toby scopre che la “missionaria“ è fisicamente un uomo. Contattano la
famiglia del transessuale. La madre di Bree vive con grottesca angoscia
la rivelazione che i due sono padre e figlio ed in un certo qual modo
costringe lo stesso Bree a rivelare a Toby di essere suo padre. Il
giovane reagisce violentemente e fugge lontano. Con il tempo la
situazione migliora. Il giovane va a trovare nella sua casa di Los
Angeles il padre, sia pure a fatica un dialogo tra i due inizia. In
fondo hanno bisogno l’uno dell’altro.
Film
diretto con mano leggera da Duncan Tucker. La sceneggiatura, opera dello
stesso Tucker, non indulge ad ammiccamenti di sorta nel descrivere,
senza quasi mai calcare la mano, la situazione difficile e delicata in
cui si trova Bree. Sia pure senza volare alto il regista ci descrive
questo rapporto padre-figlio che, all’interno di un contesto del tutto
particolare, si va delineando e costruendo sia pure tra errori ed
incertezze. La recitazione di tutti gli attori è curata con estro
creativo.
Il protagonista Bree è impersonato dall’ottima, anche se poco
conosciuta, Felicity Huffmann. L’attrice riesce a comunicarci tutte le
ansie, i tremori di una persona comune che si trova in una situazione di
diversità e ci coinvolge nella sua scoperta inattesa di un sentimento
paterno. Una citazione particolare merita la veterana caratterista
Fionnula Flanagan che ci regala il ritratto di una madre del tutto
inadeguata ad accettare un figlio che vive sulla sua pelle il suo status
di transessuale.
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