Rione Trastevere - XIII


Trastevere anticamente conosciuto come Castra Lecticarum “portatori di lettiga” per il fatto che la zona era dedicata al culto dei Siri che vi abitavano ed erano soliti portare avanti e indietro dal Tevere carichi di mercanzie che commerciavano via fluviale con l’Oriente ed era anche frequentata da marinai e pescatori, per lo più immigrati che vi eressero i Santuari per le loro religioni, al pari gli ebrei che vi costruirono le loro Sinagoghe allorché si riversarono in questa regione "cistiberina Trans Tiberim" cioè al di là del Tevere.
Nel periodo regio Trastevere fu la XIV regione e suddivisa in 78 vici. All’epoca di Aureliano (270- 275 ) fu incluso nel Pomerio ed estese i suoi confini dal Tevere al Tempio della fortuna dei Giardini di Domizia in Prati (prata) dov’erano le campagne di Muzio Scevola e Lucio Quinzio Cincinnato, il Condottiero poeta contadino.
I Romani vi s’insediarono più tardi solamente per meglio sorvegliare il Tevere perché dal 754 –509 a.C. la zona era considerata terra di Etruschi.
Allorché Anco Marzio volle il ponte Sublicio (dal nome latino delle tavole di legno con cui fu costruito) fu più facile accedervi e, nell’età imperiale, vi sorsero grandi ville come quella di Clodia amica di Catullo e gli Horti Cesaris e, in viale Trastevere, la sede della VII Coorte dei Mille vigili del fuoco: l’exsubitorium o militi sebaciarii per le torce di sego che usavano nei loro turni di guardia notturni.

Trastevere assunse molta importanza sotto Bonifacio VIII che volle fondarvi lo Studium urbi e, col crescere della popolazione vi s’instaurarono commerci di varia natura. Alcune strade, in maggioranza sterrate, furono prima imbrecciate e, nel tardo 400, fu deciso di pavimentarle coi selci detti sanpietrini come se ne vedono ancora in alcuni percorsi. Fino alla fine del 700 il rione fu privo della illuminazione e solo le lanterne spandevano una fioca luce davanti alle bettole frequentate dai popolani che erano facchini impegnati nel carico e scarico delle barche nell’attivissimo Porto di Ripa Grande e dai lavoratori delle manifatture adiacenti come quella dei Tabacchi di piazza Mastai, del Lanificio Ajani e dell’Arsenale di Porta Portese. Molto attive anche le botteghe che producevano cere, chiodi, botti e tutto ciò aveva attinenza col commercio fluviale. Nell’ Istituto San Michele che ospitava vecchi e orfani vi furono organizzate scuole apposite attrezzate adeguatamente da dove uscirono cappellai, calzolai, tintori, ebanisti, arazzieri, tipografi e anche scultori, pittori musicisti che nella vita s’insediarono poi coi loro mestieri redditizi e utili alla società. alcuni di questi si affermarono come insigni Artisti.
Le donne trasteverine esprimevano il classico tipo romano, di bella presenza , con folte chiome e modi franchi e sbrigativi che fecero innamorare poeti e scultori; la Casa della Fornarina (Margherita Luzi) sta ancora a ricordare che fu amata da Raffaello Sanzio, tuttavia la vita di questa donna ebbe termine nel Monastero di Sant’Apollonia. Nei maschi romani prevaleva l’orgoglioso carattere litighino che unito ai robusti muscoli qualificarono i trasteverini come veri discendenti dei guerrieri progenitori che con la loro impetuosità furono sempre pronti a mettere a repentaglio la vita in molte cause sociali, senza disdegnare le appassionate serenate sotto le finestre delle donne amate da far dire a Massimo Grillandi:"Trastevere è terra bagnata dal sangue generoso di eroi e di santi dove resiste il dialetto del Belli, di Trilussa e di Pascarella che non deve chiamarsi – romanesco- ma lingua romana” questo il motivo che ha sempre fomentata la rivalità coi monticiani che gli contestavano la priorità romana. Molte vie sono intitolate agli Eroi garibaldini e anche il Ponte che unisce Trastevere con l’Arenula porta il nome di Garibaldi e fu costruito dall’architetto Angelo Vescovali nel biennio 1887/1888, immettendosi nella piazza G. Belli (ex Italia) realizzata nel 1890 e che prese il nome del poeta quando nel 1913 vi fu posto il monumento costruito da Michele Tripisciano.
Altri poeti sono ricordati nello stradario: piazza Trilussa, via Giulio Cesare Santini, via Giggi Zanazzo e via Augusto Jandolo e sempre numerosi poeti contemporanei portano avanti il gusto del sonetto e dei stornelli a braccio che nel passato si estrinsecavano solo nelle “Macchiette” degli avanspettacoli dei Teatri della zona, sempre affollatissimi e dove si sono esibiti anche celebri attori perché l’amore per l’arte e per l’esibizionismo hanno sempre avuta la meglio sulla brutalità. Non per nulla sullo storico palazzo Anguillara, vi è una lapide che attesta come l’immobile sia diventato la "Casa di Dante” per dono del Comune di

SAN GIOVANNI DE’ GENOVESI

Era d'usanza e com'è ancora a Roma
donà ospitalità ch'è sacra e bòna
e a Trastevere ce sta 'na chiesa apposta
indove er pellegrino po' fa' sosta.

Ner tempo antico quanno un genovese
seguiva la passione lungo er mare
sapeva che arivato a Ripa Granne
trovava un letto magara de du' spanne.

L'ospizzio San Giovanni l'aspettava
e lo stanco navigante lì approdava
e sia d'inverno che de primavera
pé lui era pronto er pasto e la preghiera.

Quanno ar momento giusto ripartiva
ner core tanta pace se sentiva
poi a cor contento a casa riccontava
l'accojenza cordiale che trovava.

 

Roma nel sesto centenario della morte del Poeta allo scopo di divulgarne le opere e la vita. Una curiosità sul toponimo della piazza S. Cosimato: sembra attribuirsi alla fusione dei nomi dei due Santi fratelli medici Cosina e Daziano detti anargiri perché curavano gratuitamente i malati poveri per cui sono stati amati dal popolo e, santificati dopo la morte e divenuti i Patroni dei dottori. Nei terreni compresi fra il complesso di S.Cosimato e S.Francesco a Ripa si estendeva al tempo di Augusto un bacino d’acqua per gli spettacoli di naumachia che si svolgevano fra gladiatori in barca che assumevano i nomi dei popoli divenuti sudditi di Roma.
Nel lussuoso Palazzo Corsini di via della Lungara visse lungamente la coltissima e bizzarra Cristina di Svezia che dopo aver abdicato al trono e aver percorsa tutta l’Europa, scelse Roma come residenza definiva e, conoscendo otto lingue e amando arti e scienze, fece del suo salotto la meta ambita di tutti gli artisti dell’epoca.
Morì il 19 aprile 1689 e fu sepolta in S.Pietro.
Pure alla Lungara fu popolare una donna proveniente dalla Sicilia al termine della peste del 1656, detta la Stroliga de la Lungara. Ciarliera, imbonitrice e indovina, sapeva conquistarsi la fiducia delle donne e quante le confidavano infelicità coniugali, venivano liberate dei mariti, ma fu scoperta e condannata a morte, dopo avere appurato che con le sue pozioni avvelenate aveva fatto fuori ben 600 uomini. Una vera strage di mariti, la cui fine era stata attribuita alla peste.
Molte sono le tradizioni e le feste derivanti da riti pagani, ma quelle che permangono attualmente sono riservate ai Santi e alle Madonne titolari delle molte chiese famose del rione, la più popolare è la Festa de noantri in onore della Madonna del Carmelo che si celebra l’ultima domenica di maggio e, fra addobbi multicolori e manifestazioni canore coi finali di salmodianti processioni e fuochi d’artificio tiene il popolo in allegria per una settimana. La Festa de li bocaletti, il giorno del Corpus Domini ora non si celebra più e consisteva in una processione sul Tevere di barche addobbate stipate di gente che cantava accompagnata dal suono di chitarre, mandolini e tamburelle mentre scolava numerosi bocaletti di vino.
La chiesa di San Giovanni dé Genovesi, merita una citazione a parte giacché fu fondata nel 400 con l’annesso ospedale di carità per marinai genovesi che arrivavano a Roma malati; fu costruita con un lascito del tesoriere del Fisco e della Camera Apostolica Meliaduce Cicala.
Nel cortile/giardino vi è un pozzo quattrocentesco contornato di piante di varie speci e una palma che fu piantata nel 1588. Nell’ala dell’ospedale con ingresso al civico 12 di via Anicia, vi è il Portale quattrocentesco del Chiostro dei Melangoli, il più bello della Capitale (opera di Baccio Pontelli) che prende il nome dagli alberi di questi frutti che vi sono piantati.
Pure la chiesa di S. Maria della Luce nella via omonima ricorda una leggenda che parla di un cieco che in quel punto riebbe la vista per l’apparizione della Santa Vergine.
A Trastevere è vivo il culto per Santa Francesca Romana una luminosa figura di  benefattrice  (1384-1440), contemporanea di s. Bernardino, che fu sposa, madre, vedova, fondatrice e religiosa, secondo la volontà di Dio. Era nata nella nobile famiglia Bussa de’ Buxis de’ Leoni nel 1384,  con  la vocazione monastica , ma  per volere paterno fu maritata  appena a tredici anni  al nobile Lorenzo dé Ponziani. Fu una  benefattrice instancabile  e fu  chiamata da tutti  amorevolmente Ceccolella  e si  dedicò sempre  a soccorrere poveri e infelici con le   provviste delle cantine  del  Palazzo dei Ponziani  situato in questo rione  che, miracolosamente, tornavano sempre piene  di frumento  e di altri generi alimentari. Al nome di Francesca  fu per questo aggiunto quello di Romana  ed è considerata compatrona di Roma e  viene invocata come protettrice dalle pestilenze e per la liberazione delle anime dal Purgatorio e dal 1951  anche degli automobilisti.
Storie e leggende si confondono in Trastevere che in ogni angolo riserva sorprese essendo il più genuino e schietto rione di Roma il cui territorio va da Ripa Grande, riva destra del Tevere, alla Porta Settimiana fino a piazza della Rovere, Mura urbane, piazza di Porta Portese e Ponte Sublicio.

Approfondimenti

Trastevere  è  uno dei punti più antichi di Roma che in ogni strada,  vicolo o palazzo  conserva memorie, religiose, patriottiche e culturali  di grande importanza che non è possibile elencare e raccontare completamente. In questo breve spazio tenteremo di ricordarne alcune fra le più popolari.
La Chiesa di Santa Maria  dedicata alla Madonna del Carmelo che fu restaurata nel  1450 dall’ architetto Bernardino Rossellini su ordine di Nicola V  e che nel 1702  Clemente XI  ci fece aggiungere il Porticato su progetto di Carlo Fontana. Fra infinite opere d’arte he la visita della Chiesa offre, sono d’ammirare gli splendidi mosaici  del Cavallini illustranti la vita della Madonna. Villa  Sciarra, una delle più piccole di Roma e  che sorge a ridosso delle Mura Gianicolensi, frequentata da mamme e bambini, ha uno scenario esotico di palme araucarie, alberi da frutto e piante di magnolie  fra cui  troneggiano l’Albero di Giuda  e la forsizia. In  soli 7.500 mq vi sono tante  zone suggestive e molti riferimenti storici. L’edificio più rappresentativo è il Casino Barberini  ove troneggiano cinque Statue in arenaria del 700,  quattro delle quali  raffigurano i Continenti  mentre la quinta dovrebbe rappresentare una delle quattro parti del giorno;  l’Esedra Arborea  è un angolo molto scenografico con le sue nicchie verdi ove sono collocate  altre statue ad indicare i 12 mesi dell’anno. Questa villa fu donata nel 1930 dalla sua ultima proprietaria  Henrietta   Wurts a Benito Mussolini   per essere destinata a parco pubblico. Sulla piazza S. Egidio che prende il nome dalla chiesa che ospita la Comunità di Sant’Egidio si trova la sede del Museo del folclore e dei poeti romani e  tra il quartiere Trastevere e Ponte Sisto si  erge il monumento  dedicato dai romani  ad uno dei  suoi poeti più popolari  e amati che in vernacolo moderno ha raccontato vizi e virtù della gente di Roma, quel  Carlo Alberto Salustri detto Trilussa.