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I lettori ci scrivono

 

AVEVO QUASI NOVE ANNI
1° parte 

 

Bambina si emigra!..

 

11 aprile 1956, avevo quasi nove anni... Il Giulio Cesare, maestoso, si allontanava dal porto di Genova, destino finale Argentina.

É strano, sempre ho pensato a quel giorno con un sole splendido nel cielo, e invece il vero mi ricorda che, da quel  momento in poi, la mia cara terra si allontanava ai miei occhi, mentre delle piccole gocce di pioggia scendevano su di noi.

Non dimenticheró mai, finché avró vita, lo sguardo fisso nei cari volti: della mia nonna, che propio in quel giorno compiva i suoi sessantasei anni, della mia mamma, che curiosamente non piangeva ed era strano perché, lei, ha sempre pianto su tutto nella vita, della mia gemellina Maria Gloria con i suoi grandi occhi azzurri. Erano sguardi colmi di sentimenti diversi, pieni di qualcosa grande,  troppo forse, per i miei pensieri.

Cos’era? Non lo sapevo con certezza allora, ma era una angoscia di un qualcosa d’irremediabile, da sembrare eterno.

Non piú avrei giocato nel cortile di Lucca con i miei amichetti, mai piú il profumo delle castagne  a Pescaglia, mai piú la bianca neve, mai piú il nascondiglio dietro il fieno nelle belle notti d’estate, dove il cielo vellutato sembrava tanto a portata di mano.

Mi avevano avvertita, si partiva per sempre!

Forse sarei diventata una scrittice...chi lo saprá mai. Giá a quell’etá avevo troppi sentimenti dentro di me e non m’importava se tante volte d’estate mangiavamo solo come piatto unico la panzanella e se d’inverno con tanto pane soltanto un uovo fritto.

Ero nella mia prima età, quella che ci sveglia al sentire della vita...

 

                                                                                                                      Liliana Giammattei

2° parte

Bimba siamo arrivati…!
E cosi, il transatlantico Giulio Cesare era arrivato a destinazione!
Dopo un viaggio lungo, imprevedibile e lussureggiante, almeno per me che poco conoscevo di feste e intrattenimenti, di personale appositamente dedicato a farci dimenticare che eravamo in mezzo all’oceano, con giochi , feste in maschera e tutto il cinema che volevamo vedere e in piú con la pancia sempre piena di gustosi cibi.
Infatti, appena  dall’altoparlante scattava la voce che chiamava a pranzare, io ero la prima a correre presso la grande sala da pranzo, dove c’erano gli antipasti preparati  nei piatti e io ne mangiavo tutte le ulive che potevo prima che arrivassero gli altri passeggeri…Come ero “ghiotta”! Ricordo anche la libertá che mi godevo, con la mia amichetta di viaggio Nadia, non c’era rimasto angolo della nave sconosciuto a noi due.
E si!…Fu proprio un viaggio di sogno, come dire  …un simile a  Pinocchio nel paese dei balocchi, dopo sarebbe venuto il risveglio  alla brutta realtá!
Nella mattina del 27 aprile 1956 arrivammo al porto di Buenos Aires, capitale Argentina, ad aspettarci c’era mio zio Rinaldo, lui ci avrebbe condotte a Rosario, distante circa trecento cinquanta kilometri da Buenos Aires. Mio zio era un personaggio  che ben poteva essere uscito da un film di Vittorio De Sica, come quelli del neorealismo italiano: “Roma cittá aperta”; “Ladri di biciclette” e cosi via… Indossava un completo chiaro, abbastanza strapazzato, dove, alla giacca specialmente, le patacche si erano ormai irremediabilmente affezzionate.
Povero zio, parlava  un italiano un po strano, si sfaceva in complimenti per farci sentire meno tristi, era venuto solo lui  a prenderci perché la spesa era troppa per moglie e tre figli. Ci fece conoscere un pó la cittá di Buenos Aires, che era cosí grande, cosi rumorosa, cosi grigia, tanto…straniera!
L’indomani mattina, 28 aprile, partimmo in treno per Rosario. Questa era una novitá per me, di fatti non ero mai stata in un treno. Gli adulti scambiavano notizie su Tizio e su Caio con un continuo  bla…bla…bla... mentre io guardavo dal finestrino il paesaggio che all’inizio fu divertente perché nuovo, ma poi…prati e  prati, mucche e mucche…prati e piú prati…mucche e piú mucche…tantissime mucche! Credo che infine mi addormentai.
Dopo circa sei ore di viaggio arrivammo alla stazione di Rosario, sembrava, allora,  che l’arrivo del treno da Buenos Aires fosse un grande avvenimento.
Dal finestrino incominciarono a scorrere ai miei occhi volti diversi, incuriositi, con lo sguardo all’insú. Lo zio ci indicò la zia Liliana, sua moglie e sorella di mia madre, una giovane Anna Magnani con un taillieur nero avvitato, capelli riccioluti corti, due occhi enormi celesti e una bocca che veramente saltava all’occhio con le labbra dipinte rosso sangue.
Aveva in braccio un batuffolone grosso, tutto in celeste, che vendeva salute: mio cugino Roberto di nove mesi e, attaccati alla gonna uno per parte, il tenero Reni, diminutivo di Rinaldo di cinque anni  e la magrolina Gloria di sette anni, i miei nuovi cugini con cui avremmo vissuto i seguenti lunghi e interminabili, primi quattro anni della mia vita in Argentina…

LILIANA GIAMMATTEI – TORTUGUITAS – BUENOS AIRES