Donna
Mara, era andata ad aiutare il cognato nella raccolta delle olive;
pertanto per diversi giorni si era alzata all’alba avviandosi
all’uliveto fuori il paese.
Le olive venivano raccolte in un gran lenzuolo ai piedi dell’albero
ma, a volte capitava che un po’ di queste andassero a finire fuori
il telo; donna Mara aveva l’incarico di raccogliere quelle olive,
così alla fine della giornata si sentiva con le ossa rotte, tutta un
dolore, per non parlare del mal di schiena.
Il cognato oltre al denaro le aveva promesso una bottiglia d’olio
genuino, frutto della nuova annata; tutto questo l’aveva allettata
tanto da sobbarcarsi al duro lavoro.
Ultimata la spremitura il cognato, fedele alla parola data, si
premurò di chiamarla per mantenere la promessa.
Donna Mara, finite le faccende di casa, in un batter d’occhio prese
un bottiglione grosso e panciuto, quello lasciatagli dalla buonanima
della nonna paterna, chiuse la porta a doppia mandata e si avviò a
passo svelto verso la casa del cognato.
Questo nel vederla rimase un po’ perplesso e confuso per la
grandezza del bottiglione, ma non disse nulla per amore di pace e
lo riempì ugualmente pensando fra sé, che donna Mara era una parente
e che l’avrebbe ricambiato in seguito con altri favori.
La donna contentissima uscì dalla casa del cognato tutta tronfia e
pettoruta portando tra le braccia il bottiglione d’olio, lo cullava
quasi come un bambino, a volte si soffermava lungo la strada per
riposarsi e nello stesso tempo se lo accarezzava, lo palpeggiava,
pensando che essendo parsimoniosa le sarebbe bastato per tutto
l’inverno.
Arrivò a casa un po’ ansante prese la chiave dalla tasca e
l’introdusse nella serratura cercando di aprire, ma questa benedetta
porta era stata sempre un guaio: perché prima bisognava tirare la
maniglia verso di se e poi girare la chiave, ma questa volta l’altra
mano era impegnata a tenere il bottiglione. Volendo fare e strafare
le due cose contemporaneamente cercò di aiutarsi alzando anche la
gamba poggiandovi l’ingombrante bottiglione ma questo in bilico
cadde rumorosamente a terra rompendosi in tanti pezzi. L’olio
cominciò a scivolare lentamente allargandosi sul pianerottolo. Donna
Mara prima rimase pietrificata poi a poco a poco cominciò a rendersi
conto del guaio e si misi le mani ai capelli mentre i suoi occhi le
schizzavano fuori dalle orbite. Contemporaneamente la sua bocca si
apriva e chiudeva come un pesce fuor d’acqua senza emettere alcun
suono.
Finalmente irruppe un grido disumano dalla sua gola, rimbombando per
le scale.
Le sembrava che una voragine si fosse aperta ai suoi piedi
portandosi via tutto il suo olio. Con le mani convulse e tremanti
finalmente riuscì ad aprire la porta e vide che l’olio era penetrato
anche in casa; continuò a gridare più forte sentendosi impotente.
Alcune comari che abitavano vicino accorsero pensando che si fosse
sentita male e salirono trepidanti e frastornate le scale, ma ebbero
una battuta d’arresto quando videro donna Mara con i capelli
scarmigliati e gli occhi spiritati che con le mani tremanti
accennava all’olio sparso a terra.
Queste iniziarono a gridare: chi toccava la propria chiave non
avendo altro pezzo di ferro a portata di mano, chi si faceva
ripetuti segni di croce e chi con le dita cercava di fare gli
scongiuri di rito, perché era saputo e risaputo che l’olio versato
in terra porta male ed è indice di future disgrazie, chissà cosa
sarebbe successo!
Una volta che le comari ebbero finito di gridare per esaurimento di
voce, si guardarono in faccia e furono tutte concordi che bisognava
pulire il pavimento. Ma come? Chi consigliava di raccogliere l’olio
con una spugna e metterlo in un contenitore, chi invece era per una
soluzione radicale: asciugare tutto con dei giornali e buttare ogni
cosa nell’immondizia.
Finalmente pulito il pavimento si sedettero per riposare, ma mentre
i corpi si rilassavano iniziarono a considerare episodi simili
accaduti con conseguenze devastanti. Una comare cominciò a
raccontare quello che era accaduto nella sua famiglia molti anni
prima. Un capodanno si era deciso di friggere per amici e parenti
delle frittelle particolari, ma purtroppo all’ultimo momento si
avvidero che mancava l’olio, fu incaricato il fratello maggiore di
prendere la damigiana e travasarne un po’ in un fiasco. A questi,
forse stanco e un po’ bevuto dalla veglia della notte precedente per
i festeggiamenti dell’anno nuovo, gli sfuggì la damigiana dalle
mani, inondando la casa tutta d’olio. Il padre inorridito non ebbe
la forza nemmeno di parlare, si chiuse nella camera da letto e li
rimase senza mangiare per tre giorni. La madre e le sorelle scalze
con le spugne raccolsero l’olio in un tegame che in seguito fu
venduto a prezzo stracciato ad un friggitore. Ma la mala sorte si
presentò subito alla famiglia: alla madre morì improvvisamente il
fratello maggiore e al padre mancò la sorella badessa amatissima e
stimatissima di una brutta malattia.
Un’altra raccontò che nella sua famiglia si era rotto una piccola
bottiglia d’olio, ma ugualmente la settimana successiva il fratello
cadde dall’albero, mentre raccoglieva la frutta e si ruppe la gamba
rimanendo zoppo per tutta la vita.
Anche le altre comari non vollero essere da meno e cominciarono a
gara raccontando episodi analoghi accaduti a parenti amici e
conoscenti provando quasi un gusto sadico nel parlarne.
La povera donna Mara ascoltava muta, inorridita e paralizzata dal
terrore. Le comari avendo poi esaurito il tema delle disgrazie
passarono ad altri argomenti. La più anziana timidamente fece
osservare che aveva sentito dire che in questi casi si può
esorcizzare la mala sorte buttando del sale accompagnato da parole
propiziatorie: ma tutte si guardarono in faccia e dai lineamenti dei
loro visi e dall’espressione degli occhi e della bocca si capì che
nessuno conosceva questi rituali.
Comunque decisero ugualmente di tentare buttando del sale dove era
caduto l’olio. Qui sorse un’altra disputa: il sale doveva essere
fino, oppure grosso?
Alcune comari con le mani in aria gesticolando cercavano d’imporsi
sulle altre; dicendo che il sale grosso avrebbe tolto le sventure
gravi, mentre il sale fino avrebbe tolto solo le piccole avversità.
Si stabilì alla fine di buttare a terra insieme sale grosso e fino;
così rimasero tutte contente. Le parole rituali furono sostituite
dalla recita del santo rosario anche questo considerato da tutte
efficace in momenti di grande afflizione.
Era sera inoltrata quando le comari iniziarono a pregare, e qualcuna
vinta dalla stanchezza cominciava a chiudere gli occhi e abbassare
la testa con respiro profondo che rasentava il russare, mentre la
corona rimaneva immobile nelle mani, poi con un sussulto apriva gli
occhi e cercava di mettersi in pari con le altre.
Alla fine delle preghiere rincuorarono donna Mara dicendo che
bisogna avere fede perché tutto sarebbe andato per il meglio,
dopodiché la salutarono e ciascuna ritornò a casa, promettendo che
l’indomani si sarebbero fatte vive di buon ora.
Donna Mara passò una notte agitatissima sognò che le moriva il
marito così si svegliò all’improvviso sconvolta, ma si quietò
pensando che gia era morto tanto che ancora ne portava il lutto.
Vinta dalla stanchezza si riaddormentò e stavolta sognò che gli
cadeva addosso il tetto della casa e sentendosi soffocata e senza
fiato si risvegliò di nuovo tremante e piena di sudore. Pensò di
alzarsi perché albeggiava e sarebbero venute le comari che erano
piuttosto mattiniere. Cominciò a fare qualche faccenda di casa per
scaricare la tensione nervosa ed allontanate i tristi presentimenti
che la facevano tremare come una foglia al vento.
Ma le preghiere e gli scongiuri di rito fatti la serata precedente,
non servirono a nulla infatti quella mattina la mala sorte puntuale
come il fisco, si presentò a donna Mara sotto le sembianze del
postino che con un telegramma comunicava la rottura del femore
della figlia che abitava nella città vicina.
Donna Mara cominciò a gridare che quello era il principio delle sue
disgrazie, poi stanca di urlare e dietro consiglio delle comari
subentrò la rassegnazione al volere di Dio…, e si preparò alla
partenza. Prese una vecchia valigia riempiendola di roba, ma quando
fu il momento di chiuderla si presentò il problema, la valigia non
chiudeva perché troppo colma, allora chiamò una vicina di casa che
era tanto alta quanto larga e la fece sedere sul coperchio, ma se da
una parte la chiusura funzionò dall’altra parte saltarono con un
colpo secco le cerniere, intervenne allora un’altra comare che
risolse il problema chiudendo la valigia con una grossa corda, poi
questa uscì di corsa in cerca di un garzone per aiutare donna Mara
a portare la valigia alla stazione.
Purtroppo cercando per il paese non trovò nessuno.
Infatti alcuni erano a lavorare nei campi, altri si erano avviati a
pascolare le pecore, di conseguenza non rimaneva che qualche vecchio
e incartapecorito seduto tremante davanti la porta di casa a
prendere il sole, attorniato da un nugolo di mosche che gli facevano
compagnia, non restava alternativa che chiamare Tonino, lo scemo del
paese, che con la promessa di due belle mele rosse si convinse a
mettersi sulle spalle la valigia pesantissima di donna Mara.
Le comari l’accompagnarono per un tratto di strada, ma al bivio, la
lasciarono rincuorandola promettendo che sarebbero andate subito al
santuario della Madonna delle Grazie ed iniziare una novena.
Cammin facendo le comari passarono davanti al botteghino del lotto
e,all’unisono decisero di giocare i numeri del guaio successo,
facendo una cinquina così composta: numero del bottiglione, numero
dell’olio buttato a terra, gli anni di donna Mara, il giorno e
l’ora. All’uscita del banco lotto le comari iniziarono un’ultima
disputa: come impiegare la vincita?
Una parte di queste proponeva di darla in beneficenza
all’orfanotrofio del paese altre, invece indicavano l’ospizio dei
bambini orfani e ciechi del paese vicino perché baciati due volte
dalla mala sorte. La discussione si fece sempre più accesa tra le
grida di chi faceva la voce più forte; alla fine la più saggia ed
illuminata fece notare che era inutile affannarsi e fare castelli in
aria, avrebbero pensato sul da farsi a vincita avvenuta, ora era
meglio avviarsi al santuario della Madonna. Così uscite fuori paese
si avviarono lungo un viottolo e per alleggerire il cammino
intonarono il “Salve Regina” accompagnate dal canto dei grilli e
delle cicale.
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