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Trascurando l’ascensore Pietra vola non senza affanno su per
le scale, gira rapida la chiave nella toppa e spalanca la porta.
Un raggio di sole riflesso sul lucido parquet l’abbaglia.
Sbatte
le palpebre. Immerse nella luce d’oro le cose sembrano
irreali, inconsistenti, nuotare senza peso a mezz’aria.
Che silenzio. Invece che in
casa è come se fosse d’improvviso piombata in un luogo remoto
di cui non conosce i percorsi. Il silenzio ha voci che non vuol
sentire, facce che non vuol vedere, mani che non vuole…Si
riscuote, chiude lentamente la porta e s’avvia in soggiorno ad
accendere la tivù.
Un berciare
scomposto frammisto a note sfacciate l’investe, la volgarità
regnando ormai sovrana, tivù-spazzatura la chiamano, nel falso
nome del pluralismo d’immagine e d’informazione non
risparmia più nessuno.
Scrollando la testa Pietra passa in camera, si sbarazza
frettolosa della giacca la veste le scarpe, nella borsetta
finita sul letto fruga a cercare l’orologio. Si rassicura,
c’è tempo.
Dinanzi alla specchiera barocca che riempie l’intera parete
ella sosta a lungo, e mentre meccanicamente si ravvia i capelli
le sfugge un moto di disappunto.
-Che naso lucido, che occhiaie…una lavata non ci
starebbe male!
In bagno, indecisa se aprire i rubinetti del lavabo o quelli
della doccia finisce con l’aprirli tutti. Lo scorrer
dell’acqua le piace, la rilassa.
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Lesto rumore d’acque
Chiaro scroscio argentino
Sottovoce
Pietra ripete i
due versi che le son affiorati da soli alle labbra. Niente male come
inizio, si dice, proprio niente male! Vediamo, come continuare?
Liscio teso serpente
Squamoso ruvido d’anni
Mentre
si china a raccogliere tra le mani l’acqua i versi le cantano dentro a
mo’ di nenia ciclica che va e viene stimolata da chissà quali
recessi.
Falso serpente
Ruvido d’anni
Ridacchia
fra sé e sé cercando l’immagine più rispondente, più aderente a
quel che le brucia dentro mentre grondante d’acqua annaspa verso
l’accappatoio. Lo afferra, si strofina con vigore, apre gli occhi, li
sgrana sullo specchio.
-La mia faccia..!
Sussulta al suono della sua voce che come fuoco d’artificio
scoppiettando s’avventa sul bersaglio ma lo fallisce. Risoluta si
porta ambo le mani al volto come per cancellarne l’esuberante
pienezza. Invano. Così facendo ne evidenzia maggiormente, invece, la
fitta ragnatela di rughe di cui non s’era accorta.
Cielo, come s’è guardata finora allo specchio? Smarrita ella sbarra
vieppiù gli occhi e mentre le braccia le ricadono di colpo lungo i
fianchi dallo specchio che la riflette a figura intera una vizza donna
affranta indugia a sua volta a fissarla impietosa, l’occhio che rotea
disperato in cerca di aiuto.
Non ne trova, non c’è linea curva o volume del suo corpo che possa
darle una mano in quel senso perché esaminandosi minuziosamente Pietra
non trova nulla di attraente o passabile, di sé.
La gioiosa furia di prima si è dissolta lasciando al suo posto la paura
mentre facendosi subdolamente strada nella sua mente il pensiero di Anji
la trafigge.
-Lui mi aspetta…Che ora
s’è fatta?
Rimane lì, a fissare la sua immagine allo specchio, nuda come un verme,
i seni cascanti, la linea della pancia arrotondata, gonfia di malsano
turgore, le braccia le gambe le cosce…
Lesto rumore
d’acque
Scroscio argentino
Liscio serpente
Rugosi gli anni
L’immagine
del serpente associata ad Anji è forse un’esagerazione dettatale da
quel folle desiderio controverso che l’ha turbata fin dal primo
momento, ma rugosi gli anni…ah si, ecco i versi da mettere in musica!
una canzone per le donne che arrancano su per la strada tutta in salita
del tramonto, del crepuscolo anzi, quelle donne ripiegate sul loro
vissuto nel tentativo estremo di trovare un senso alla vita dopo che
hanno dato e avuto, o magari soltanto dato.
Però lui, Anji, ha detto che vuol vederla un minuto, un minuto solo:
che è mai un minuto..?
Pietra scuote ribelle la testa ma il cuore le si torce nel rammentare i
momenti esaltanti dell’incontro, la ricerca, la scoperta, l’infinita
dolcezza, l’assurdità della sua irresistibile attrazione per
quell’uomo.
Al telefono la sua voce, il tono tenero, accattivante, l’ha
rimescolata tutta.
-Verrai…di’, verrai?
Non deve perdere la testa, non lei! lei non è di quelle che non sanno
vivere senza qualcuno a cui pensare di cui sognare con cui ridere o
piangere, non lei, maledizione! dopotutto non è sola, ha la sua musica
che le riempie le giornate, le fa compagnia; dal sole dalle nuvole da
cento cose intorno lei sa come trarre l’ispirazione per le idee nuove,
i tempi sono cambiati e far rimare amore con cuore è vecchiume stantio
da relegare in soffitta, non solo, ma pure plaudire a balorde vite
spericolate lo è, per non parlare dei sedicenti musicisti del dum-dum
dam-dam buoni solo ad eccitare scompostamente gli animi durante certe
serate violente dove urlano tutti come ossessi mentre corruschi sprazzi
di luce colorano di rosso viola blu gli zazzeruti che ballonzolano sul
palco, gli attillatissimi jeans dimenanti o le gonne al vento al ritmar
convulso.
Ma…Anji la sta aspettando, le ha strappato la promessa, l’ha
supplicata, blandita, ha cancellato i suoi scrupoli…Lei, Pietra,
vinta?
-Verrai, di’…verrai?
E allora che ci fa davanti allo specchio a contarsi le rughe, gli
slabbramenti, i turgori nei posti sbagliati, invece di correre a
vestirsi?
Steso falso serpente
Glorioso d’anni
-Verrai,
di’, verrai?
Gli occhi appuntati sulla figura riflessa nello specchio, Pietra torna
con gli occhi della mente a quegli ultimi mesi vissuti in un lampo come
a vent’anni, gioiosamente alla giornata, senza fermarsi a riflettere,
a pensare, in preda a qualcosa che aveva da tempo dimenticato, che anzi
non credeva potesse esistere a quel modo, come chi corresse a perdersi
ad occhi chiusi in fondo al baratro, anzi ogni giorno di più bramosa di
farlo.
-Chi è quello?
L’amica Pepa aveva sorriso con aria misteriosa dandole di gomito. Era
una serata tiepida, le stelle in cielo occhieggiavano a migliaia, il
mare laggiù respirava calmo, ronfando lieve di piccole onde spumose e
l’ampia terrazza, gremita di signore in lungo e uomini in cravatta
nera, sfavillava di luci disposte ad arte a rivelar celando che facevano
da contraltare alla musica, quella buona, antica.
Si trattava di una di quelle riunioni cosiddette culturali a cui lei era
intervenuta, alla fine, dietro le pressanti insistenze della vecchia
amica, giusto per levarsela di torno, dopo che tra loro due s’era
svolto un dialogo di questo tipo:
-Allora, Pietra… che ne dici?
-Madonna, Pepa!
-Pietra, per favore, smettila di star rintanata nella tua cuccia! Sarà
una serata ad hoc, ti dico! con tanta bella gente, provinciali quanto
vuoi ma di prim’ordine, ci tengono, e non è escluso che ci si possa
trovare qualche vero artista, nel mucchio.
-Intellettuali…Cielo, te li raccomando, Pepa!
L’amica l’aveva ignorata sovranamente e aveva continuato:
-L’invito l’ho avuto personalmente dal dottor Luna, l’editore
di...Sai, no? Non possiamo mancare, sarebbe una grave mancanza di
riguardo per non parlare della buona educazione che impone…
Pietra l’aveva interrotta bruscamente tentando di nicchiare:
-Mi pare di capire che l’emerito signore abbia dato l’invito a te,
Pepa, non a me!
L’amica si era acconciata sulle gracili spalle lo scialletto
sfrangiato di fili blu e oro che portava con la scusa di soffrire le
correnti d’aria, da quella fragile donna che ostentava di essere, e
aveva dichiarato:
-E vuoi che abbia cuore di lasciarti tutta sola a morire di noia davanti
al televisore? Guarda che programmi ti propinano…Ci si può solo
dormire davanti!
Bah, s’era detta Pietra, ma poi per stanchezza, ed anche per un
pizzico di curiosità, aveva ceduto.
Entrando, le luci la musica il brusio le rapide occhiate curiose i
sorrisi, le donne impettite a far capannello a sé, da una parte, e gli
uomini aggruppati dall’altra, per poco non l’avevano fatto scappar
via ma non per nulla Pietra era una donna di mondo capace di sopportare
di tutto senza batter ciglio, perciò aveva drizzato le spalle, tirato
su il mento e con la coda dell’occhio notato uno che districatosi da
una cerchia in animata discussione si stava facendo largo verso di loro.
-Chi è quello?
Pepa, in agitazione, era tutta un rossore mentre con voce soffocata
aveva bisbigliato:
-Il dottor Luna in persona, ragazza mia! Che degnazione lasciare gli
amici per…
Non molto alto, gli occhi chiari che spiccavano piacevolmente nella
faccia glabra, abbronzata, dagli zigomi alti, sorriso che metteva in
mostra una chiostra di denti rapaci, l’uomo vestiva affettatamente di
scuro piuttosto luttuoso se non per la cravatta a colori vivaci, quasi
chiassosi.
Pepa era tutta un cinguettio:
-Ti presento il dottor Anji Luna, Pietra. La mia amica musicista,
dottore.
Nel riprendere possesso della mano che lui aveva portato alle labbra in
un corretto quanto antiquato baciamano, Pietra aveva avvertito uno
strano senso di rabbia di cui si meraviglia ancor adesso ed anzi non sa
dire se lui le sia piaciuto subito o no, a prima vista.
Di quelle faccende lei non se n’è più occupata da anni considerando
questo tipo di esperienza una cosa sepolta in fondo alla sua memoria cui
ricorre, ora, sempre meno spesso. Lo fa per difendersi dal dolore perché
il tempo sa soltando alleviarle, le ferite, non cancellarle.
Per tutta la sera il dottor Luna non le s’era scollato da presso.
Cortese, premuroso, l’aranciata, la pizzetta, il bignè, un goccio di
spumante?, un vero cavalier servente, e certe occhiate, certi
sottintesi, insinuazioni, a una donna queste cose non sfuggono, e Pepa
che non finisce di darle di gomito non appena lui volta un momento la
testa verso qualcuno che lo sta chiamando, la cretina si sta divertendo
alle sue spalle, le lancia certe frecciatine, sorrisetti d’intesa,
gridolini che in altri momenti l’avrebbero di certo esilarata. Ma non
in quel frangente.
Al ricordo dell’altalenante gioco a rimpiattino intercorso per
telefono tra lei e l’eloquente silenzio di là dal filo in quei due
tre mesi, Pietra chiude gli occhi sia perché odia la vista della faccia
disfatta che la sta scrutando spietata dallo specchio, sia perché non
sopporta la dolcezza struggente mista a rabbia feroce che le ribollisce
dentro. La sconvolgente attrazione per quell’uomo le ha spalancato
orizzonti insospettabili, richiami possenti, irresistibili, emozioni,
frenesia, una sorta di ultimo rifugio nel buio che senza essersene resa
conto l’aveva finora avvolta minaccioso.
L’ultima spiaggia. Si sente ridicola, alla sua età, lei che fin a
quel momento ha creduto che rifugiarsi in mare aperto lasciandosi
sballottare e sferzare dalle ondate la ponesse al riparo dalle
transazioni incrociate o ulteriori, lei che al massimo se ne era
concesse di complementari senza impegnarsi in giochi più profondi.
Da quando molti anni prima ha perduto il compagno della sua vita, è
stata sempre lei a voler condurre il gioco e quando non vi è riuscita
la cosa non l’ha toccata più di tanto anche perché, fino a quel
momento, lei stessa non si è fatta toccare nel profondo dalle cose. La
musica stessa che le scorre dentro le vene parallelamente al suo stesso
sangue è una sorta di ripiego, uno sfogo, come affidare alla carta le
impressioni, i sogni, i desideri insoddisfatti, le certezze e le
incertezze, per cercare testimonianza di esser ancora viva.
Da quando conosce Anji la sua musica si è arricchita di sonorità, di
vibrazioni nuove, di profondità insospettate, di moniti, di piacere
spasmodico e cieca rabbia così strettamente annodati insieme da non
riuscire a snodarsene.
Rumore d’acque
Scroscio argentino
Steso serpente
Ruvido d’anni
Quell’arruffio,
il battito incontrollabile ed incontrollato, quel pulsare veloce e
stordente del sangue è cominciato a tormentarla ancor prima di tornare
a casa dalla famosa serata culturale.
Lo ricorda bene. Salutata Pepa in fretta e furia, sbarra la porta, si
libera affannata delle vesti seminandole per casa e corre a sdraiarsi
sul letto.
Mortalmente stanca, non riesce tuttavia a prendere sonno. Il letto, una
graticola rovente, le affoca la pelle. Rotola su se stessa in cerca di
refrigerio, si gira, si rigira senza requie. Stizzita si tira su, mette
i piedi a terra, si alza, un capogiro la paralizza, tende le braccia
cercando un appiglio e in quel momento squilla il telefono. Lo abbranca.
-Pronto! –urla ricadendo a sedere sul letto.
All’altro capo del filo, silenzio.
-Pronto…ma chi è?
–ripete con tono di voce ancora più alto. Ancora silenzio.
Si guarda intorno spaventata come se l’invisibile intruso, chissà
come, possa sorprenderla nell’intimità della sua camera, ma
rendendosi conto dell’impossibilità oggettiva di tale evenienza ella
s’acquieta ma per poco, chè il telefono ha ripreso l’ininterrotto
segnale di linea libera.
-Oh…hanno riattaccato.
C’è delusione nel tono delle parole che le son salite suo malgrado
alle labbra. Chi poteva essere, Pepa no, certo, avrebbe detto qualcosa
lei, chi altri dunque?
In quei due tre mesi durante i quali Pietra si è chiusa in se stessa
rifiutandosi di veder gente con la scusa di lavoro impellente da
sbrigare, solo la musica è stata la depositaria delle sue emozioni. Le
telefonate sono continuate a ritmo incalzante fino a iersera quando
all’improvviso rompendo il silenzio Anji s’è rivelato dicendo con
voce strozzata:
-Verrai…di’, verrai?
Stanca sfiorita
Brama avventata
Gioco d’inganni
Subito tace
Le
mani premute sulla faccia, Pietra resta inerte a fissare la propria
immagine riflessa nello specchio gli occhi febbrili scrutando i
lineamenti, le macchie dell’età sulla finissima pelle delle mani, le
fitte increspature della fronte, del collo, ed intanto, senza
convinzione, continua a ripetersi che deve affrettarsi a vestirsi
truccarsi agghindarsi per l’incontro con Anji.
Non c’è rimasto tempo.
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