Era
di novembre negli anni del dopoguerra. Le foglie inondavano i
marciapiedi in quella via alberata del quartiere Monteverde di Roma. Livia
Corini camminava triste e pensierosa. La sua vita era ad una svolta.
Aveva avuto una sola traumatica esperienza amorosa. A 18
anni aveva preso una cotta al liceo per Marco, quel ragazzo dai
lunghi capelli biondi. Lui l’aveva circuita per mesi, le aveva prestato
mille attenzioni, non chiedendole nulla, neppure un bacio Lei quasi
dubitava che lui l’amasse. Poi un pomeriggio di giugno erano andati
insieme al cinema. Il “candido” giovane l’aveva prima baciata con
intensità e poi, all’uscita dalla proiezione, spinta con forza in
un stanzetta buia laterale. Il suo corpo era stato violato con brutalità
e dopo quel gentiluomo non l’aveva neppure accompagnata a casa. Non
l’aveva detto a nessuno, si attribuiva delle colpe e poi i suoi genitori
sarebbero stati i suoi primi persecutori. Anni anonimi erano trascorsi.
Aveva compiuto trentadue anni. La sua vita? Una piccola stanza di un
appartamento in cui viveva da sola, un lavoro non amato di impiegata in
uno studio di avvocato, le serate a leggiucchiare qualche libro senza
nemmeno parenti o amici con cui sfogarsi.
Oggi quel cardiologo, cui si era recata per una visita di routine,
le aveva diagnosticato con sicurezza quel difetto mitralico che avrebbe
comportato cure continue e costose.. Le era parso di entrare in un gorgo,
non era abituata alla malattia e poi proprio nell’unico periodo felice
della sua esistenza... Stava vivendo da nemmeno due mesi una storia con
Tonino. Un incontro casuale in un ufficio di un ente previdenziale. Lei vi
era andata per chiedere notizie sul fatto che alla madre vedova ancora non
arrivava dopo molti mesi la pensione di reversibilità. Quell’uomo sui
quarant’anni, leggermente brizzolato, dai grandi occhi verde scuro, le
era subito piaciuto. Era affabile, aveva subito trovato la pratica
di pensione e compresa la causa del ritardo Occorreva però che la
madre sottoscrivesse l’ennesimo modulo. Livia stranamente fu quasi
contenta di tornare dopo qualche giorno. Quella persona la guardava al
secondo incontro con intensità forse esagerata ma a lei non dispiacque e
con disinvoltura accettò di vederlo il sabato successivo per un tè in
centro. Si chiamava Tonino Accunto, un calabrese venuto a Roma da oltre 15
anni, di carattere fondamentalmente timido. Con lei era però naturalmente
espansivo. Gli incontri erano continuati sempre in locali pubblici fin
quando lei aveva preso coraggio e aveva proposto una breve vacanza
all’isola di Ponza. Arrivarono nel pomeriggio del venerdì in quel posto
incantevole. Pioveva tanto, le raffiche di vento si susseguivano, eppure
quel mare dal colore grigio-argento la eccitava molto. Presero in quel
piccolo albergo due camere separate ma quella notte, senza quasi parlare,
finirono uno nelle braccia dell’altro. Erano in quel grande letto nudi.
Il rapporto fisico era stato intenso ma ora Tonino pareva non muoversi più,
taceva e fumava con lunghe boccate. Livia si alzò dal letto ed in piedi
con poche parole sofferte gli raccontò del suo precario amore di
diciottenne. Lui farfugliò che non gli importava e subito cadde in un
sonno profondo. Il resto della vacanza trascorse senza allegria. Tonino
era colpito da quella novità che chiaramente non si aspettava. I suoi
pregiudizi di calabrese gli impedivano di comportarsi naturalmente, Dalle
scarse parole e dal modo di fare si notava in quell’uomo un imbarazzo
che a lei parve fastidioso ma anche segnale che quel rapporto per lui non
era precario, che insomma ci teneva.
Tornarono a Roma. Si vedevano solo la domenica, andavano a casa di
Livia e si amavano a lungo. La sera un film distensivo, niente di più.
Tonino non parlava mai del futuro, ma era tornato affettuoso. Livia si
accontentava. Comprendeva le ritrosie di quell’uomo. Viveva in un
piccolo appartamentino alla Garbatella con la madre, molto anziana e
malandata. Non era facile per lui uscire da quella situazione anche perchè
il suo stipendio era modesto. Ora su Livia calava l’ombra della malattia
e lei passeggiava in quel viale alberato e umido di Roma riflettendo e
chiedendosi se raccontare o meno a Tonino i suoi guai. Aleggiava in
lei come un presentimento. Poi disse tra sé “Devo farmi forza,
tentare una via per risolvere la mia situazione” Guadagnava poco, le
sembrò naturale chiedere all’avvocato, suo datore di lavoro, un
anticipo sui futuri stipendi. Lo trovò ben disposto. Quell’uomo, così
freddo all’apparenza, si mostrò comprensivo, si lasciò sfuggire
perfino “Una persona seria come lei è una garanzia per il nostro
studio, le verrò incontro certamente”. Passò qualche giorno, poi Livia
si decise , telefonò a Tonino e gli chiese di vedersi all’indomani in
una nota pasticceria sul Lungotevere.
L’uomo la guardava interrogativamente in quel bel locale mentre
lei, silenziosa, intingeva nervosamente la brioche nel cappuccino
bollente. Poi lui sbottò “ ma insomma Livia si può sapere cosa cavolo
mi devi dire? Mi hai fatto venire fin quì per mostrarmi le tue voglie di
cappuccino? Tanto valeva vederci a casa tua e passare meglio il tempo!”.
Lei lo scrutò con attenzione. Dov’erano finite le sue attenzioni, la
sua paziente dolcezza? Pensò per un attimo di alzarsi e andarsene. No!
Doveva togliersi quel peso sullo stomaco. Disse “ Visto che fremi tanto
sappi che ho una seria malattia al cuore. Occorrono cure e tanta pazienza.
Forse dovrò ricoverarmi e per qualche tempo non ci vedremo”. Tonino ora
la guardava negli occhi un po’ torvo. Disse qualche parola vagamente
consolatoria, poi frettolosamente la salutò, doveva scappare dalla madre
afflitta da febbre alta. Livia era per strada, a lunghi passi costeggiava
il Lungotevere, l’atteggiamento di lui non le era piaciuto, ma forse la
novità non piacevole poteva averlo sorpreso.
Passarono settimane, lui non telefonava e in ufficio era sempre
fuori posto. Si decise a telefonargli a casa. Voleva chiarire quella
situazione una volta per tutte. Era il tardo pomeriggio e le rispose una
voce di donna anziana. Chiese se fosse in casa Tonino e la voce sgraziata
soffiò “ Mio figlio non c’è, non lo trova oggi e non lo troverà
domani. Sta sempre fuori! “ Lei insistette “Ma sono un’amica, devo
parlargli” Sferzante fu la risposta “ Mio figlio non ha amici tra li
fimmini. Vuole un consiglio? Non lo cerchi più! “ Iniziò le cure. Era
sola ancora una volta. Quell’uomo si era dileguato nel momento del
bisogno e lei non lo cercò più.
Era estate, ora Livia stava meglio. Pareva rinata alla vita.
Frequentava un esclusivo circolo del tennis. Era stata segnalata dal suo
avvocato. Qualche volta si misurava in lunghe partite di tennis con un
maturo cliente dello studio. Faceva lunghe passeggiate a Villa Pamphili e
gli capitava di fermarsi a chiacchierare con persone sconosciute ma sole
come lei. Fu in quei viali che una domenica nel primo mattino le capitò
di incontrare Tonino dolcemente abbracciato con una donna molto più
anziana di lui e pesantemente truccata. L’uomo la riconobbe anch’egli
subito. Cercò di abbassare lo sguardo. Sul suo volto appariva una
smorfia quasi oscena di paura che lei lo fermasse e lo compromettesse.
Livia continuò ostentatamente a fissarlo ma proseguì sicura il suo
cammino. Era un passato che scompariva. Aveva pagato per la sua sincerità.
Forse aveva imparato qualcosa.
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