VITA
VISSUTA
UN PEZZETTO DELLA MIA VITA
Sam, the Cowboy
Dai caseggiati posti in alto alla radura, lo si vedeva arrivare,
puntuale nel tardo pomeriggio. Sbucava all’uscita del ponticello tra il
verde degli alberi che costeggiavano il corso d’acqua che confinava con
la proprietà. Dritto, in sella al suo cavallo, con la mano sinistra sul
fianco, trottava elegantemente. Somigliava a John Wayne, senza però, il
fazzoletto al collo, e la pistola alla cinta.
Nello sfondo del verde, lungo la stradina alla fine dei campi coltivati,
la sua silhuette si staccava in tre dimensioni, creando un’immagine
molto suggestiva.
Ci veniva a trovare, due o tre volte la settimana, e la sua visita,
oltre che farci compagnia a cena, aveva un altro, ben specifico
obiettivo. Mi faceva il burro!
Prima di queste visite puntuali, lo si vedeva ogni tanto quando gli
mancava qualche capo di bestiame. Nella nostra proprietà, si coltivava,
maggiormente, erba medica e granoturco per i polli che allevavamo. In
questi campi, molto spesso entrava qualche capo del bestiame che di
solito pascolava all’infuori, o lungo i cigli erbosi della strada e
sotto gli alberi lungo il ruscello.
Queste mucche, ed anche i cavalli, erano molto intelligenti. Avevano
imparato a mettere una zampa dietro l’altra sugli stretti legni che
formavano il “grid”(la griglia): il passaggio sulla strada proprio per
tener fuori gli animali. Allora Sam, (pronunciato Sem) veniva a
prendersi le sue bestie.
La prima
volta che gli parlai, quando ci conoscemmo, ero da poco arrivata in quel
piccolo paesino (un centinaio di abitanti) del nord-est Australia, che
si stendeva fuori da un grosso centro: paesotto prevalentemente di
miniere di stagno, tra colli boscosi e piccole strette valli, con, qua e
là, gruppi di casette colorate.
In questo paesino che abitavamo, c’era la scuola elementare, il
distributore di benzina, la minuscola stazione e il negozio di generi
alimentari, dove che, oltre ai cibi, c’era tutto l’occorrente per i
bisogni degli abitanti di questa piccola comunità.
Mi aveva salutato levandosi il cappello e, stesomi la mano, mi disse:
“Piacere, chiamami Sam”. Si era poi fermato a parlare un po’ con mio
marito e Blui, l’anziano perente. Io, terminato di cogliere le uova mi
avviavo verso casa. Chiesi a Sam, con le poche parole che sapevo, se
voleva restare a cena con noi. Lui accettò volentieri.
Samuele. Sì, perchè questo era il suo nome, viveva solo non avendo
famiglia. Possedeva una piccola mandria che faceva pascolare nella sua
proprietà e nei terreni pubblici e dalla quale ricavava il necessario
per la sua vita da cowboy.
Eravamo all’inizio dell’estate. Quella sera mentre facevo la cena,
agitavo energicamente una grossa giara di vetro con dentro la crema del
latte, per farmi il burro. Quando Sam vide e intese cosa facevo, mi fece
capire che quel lavoro lo avrebbe fatto, volentieri, lui. Prese il
barattolo, montò a cavallo e si mise a galoppare tutt’intorno alla
proprietà. Dieci minuti dopo era di ritorno con il burro bell’e fatto.
Scese da cavallo e consegnandomi il frutto della sua cavalcata, mi fece
capire che quello era il suo contributo per l’invito a cena. Ecco, come
Sam diventò un caro ospite abituale.
Da lui imparai molte parole della lingua del luogo. Gli piaceva leggere,
diceva che aveva molti libri e me ne portò anche.
Questa amichevole abitudine continuò per vari anni, anche quando,
finalmente potemmo avere l’uso dell’elettricità e il burro lo facevo con
gli elettrodomestici.
Sam si riposava e mi faceva compagnia raccontandomi le storie dei suoi
libri. Poi, con l’arrivo di uno, e poi due figlioli, lui veniva sempre
ed invece della giara, li portava a fare una galoppata mentre io facevo
in pace la cena.
Lo perdemmo di vista quando vendemmo la proprietà per ritornare in
Italia dove pensavamo di rimanere (cosa che non avvenne).
Lo rividi
vent’anni dopo, si era ritirato nella cittadina vicina, mi riconobbe e
mi salutò allo stesso modo con il quale mi si presentò la prima volta.
NINA
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VITA
VISSUTA
RICORDO DI CLAUDIO
Dall'età
di circa venti anni, appena finita la guerra ed essendo io e i miei
fratelli orfani di guerra, ho cominciato a scrivere un piccolo diario
(non giornalmente) dove annotare i pensieri più importanti della mia
vita.
L'ultimo scritto è del 27-01-2005 dove raccontavo la vita di mia nipote
Veronica e del grande calvario del marito Claudio e del loro stupendo
bambino Cristiano.
A distanza di 5 mesi scrivo il seguito di questa vicenda.
Quando, molti anni fa, conobbi Claudio fidanzato e poi marito di mia
nipote Veronica, il mio primo pensiero fu: " Deve essere un ragazzo
dolcissimo ma dal carattere fermo, mi piace moltissimo e penso che si
farà volere un gran bene da tutti noi!” Così è stato per ben 8 anni!!
Ho sentito subito per Claudio quell'amore che una madre sente per il
proprio figlio.
un figlio, purtroppo, perduto troppo presto per volontà di Nostro
Signore!...
Claudio ci ha lasciati nel più profondo dolore il 16-02-2005 ed era un
ragazzo a cui la vita non ha risparmiato difficoltà e sofferenze e per
questa sua sete d'amore
è scaturito anche in me lo stesso sentimento di amore e protezione
materna nei suoi confronti.
Claudio ha saputo farsi amare! E’ stato un bravo figlio, buon marito e
bravo padre!... Io l'amavo e gli ero grata per l'affetto che aveva verso
di noi, verso mia nipote, per il suo grande amore di padre, per la sua
grandezza d'animo e per il rispetto verso il prossimo e tutto questo
fece di lui un donatore di sangue...
Questa sua missione è terminata con la sua malattia. Una terribile,
improvvisa, malattia: la Leucemia.
Nei miei ricordi più recenti c'è quello che riguarda i miei ricoveri
ospedalieri, essendo io una cardiopatica.
Riguarda il suo spronarmi ad avere fiducia nella vita e quando anche lui
si è ammalato e gli chiedevo: " Claudio, amore di nonna come stai?" Lui
mi guardava ridendo e rispondeva: " Nonnina noi siamo forti non
preoccuparti, a noi chi ci ammazza?"
Ed invece la vita è stata crudele con lui e, mentre io sono qui con i
miei ricordi, lui con i suoi 31 anni non c'è più...
Il vuoto che ha lasciato è incolmabile, Veronica sua moglie è distrutta
dal dolore e la sostiene solamente la grande fede in Dio.
Cristiano il figlioletto di appena 3 anni che gli era attaccatissimo,
non riesce a comprendere perchè il suo amato papà non ritorna da lui, ma
sta sempre in ospedale a dormire. Come si fa a dire ad un bimbo così
piccolo che il papà è volato in cielo e non ritornerà più?
Nella mia mente ritorna spesso un pensiero che anni fa inviai alla
“Palestra” che racconta di un bimbo che aveva perduto la mamma e lo
stesso destino è capitato a Cristiano, solo che lui ha perduto il papà e
nella sua vita ci sarà sempre una figura evanescente: il suo grande
papà.
Nel lungo cammino della vita, sarà guidato dalla mano della sua mamma e
da un’altra mano trasparente...
Quanti ricordi! Ricordi di amori perduti che mi fanno soffrire.
Ora mi domando spesso perchè la vita è così crudele? La risposta è
dentro di me, io la conosco bene, ma non voglio accettarla e la nascondo
in cantuccio del mio cuore.
Così è la vita! Bella o brutta che sia, noi dobbiamo accettarla e
farcene una ragione.
Grazie Claudio per l'amore che ci hai donato!!!
Maria De Leo Roma
30-05-2005
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di Anonima
Parlo
di me donna qualunque
Sono
romana e sono nata alla fine della grande guerra.
Fin da piccola sono stata attratta dalla vita scolastica perché mi
piaceva ogni materia ed anche perché ho sentito lo studio come dovere.
Il senso del dovere è, senza dubbio, la qualità che mi ha guidato
lungo tutta la mia esistenza e che, a
quel tempo, mi permise di dare il meglio in ogni materia e con un
pizzico di orgoglio, mi classificavo sempre prima in ogni esame...
Amavo lo studio e amavo le mie insegnanti e al termine di ogni Sessione
la medaglia d'argento in profitto è stata sempre appuntata sul mio
grembiule mentre le mie gote avvampavano per l'emozione.
La passione per la conoscenza mi è stata inculcata da mio padre
appassionato cultore di antropologia, storia e tradizioni. Lui sapeva
tutto e ad ogni mio " perché " c'era sempre una risposta
precisa ed esauriente che a me, però, non bastava e mi spronava a
saperne di più...
Per questo avrei voluto diplomarmi ed insegnare, ma la vita mi riserbava
un altro futuro meno inebriante e più faticoso.
Infatti, giovanissima fui chiesta in sposa da un operaio della nostra
zona, maggiore di me di nove anni che seppe irretirmi coi suoi occhi
scuri e la chioma inanellata e mi condusse all'altare a soli 17 anni,
con al seguito un largo stuolo di parenti. Ero la prima nipote della
nostra numerosa famiglia che andava sposa.
Piccola di anni e di statura, mi sembrò di aver trovato il Principe
azzurro perché lui così alto, slanciato e bello al pari d'un attore,
aveva scelto me fra le tante ragazze più grandi e floride che gli
ronzavano attorno.
Seppure con dispiacere, dovetti interrompere gli studi, dal momento che
lui esigeva che la sua donna stesse a casa per badare ai futuri figli e
a tutti i lavori casalinghi e non ci teneva affatto ad avere una moglie
più istruita di lui.
Secondo i suoi criteri aveva scelto me ben sapendo che mia madre, di
rigidi costumi, mi stava insegnando tutti i segreti dell'economia
domestica alternandoli al cucito e a tutto ciò che una casalinga deve
sapere.
La mia ingenuità non mi permise di capire i suoi veri intendimenti e
tantomeno il suo carattere.
Purtroppo compresi col tempo quanto egli fosse egoista, sospettoso e,
soprattutto, geloso non solo della moglie,
ma anche dei nostri quattro figli dimostrandosi un vero
dittatore nei confronti di tutti.
Non voglio dilungarmi sulle mille e mille delusioni che abbiamo
conosciute, resta il fatto che bastava un nonnulla per scatenare le
ombrosità del capofamiglia verso tutto e tutti che non permetteva a
nessuno di noi rapporti di parentela né di amicizia con chicchessia.
In una casa piccola è difficile vivere sereni quando l'ansia prevale e
i rapporti divengono tesi annullando il dialogo e la comprensione;
l'aiuto può venire solo dall'autocontrollo di chi ci riesce e spesso la
forza viene dall'applicarsi a qualcosa di piacevole che appaga e
distrae.
I ragazzi l'hanno trovata nello studio, poi nello sport e infine nel
lavoro ed io ho continuato a studiare con loro e mi sono applicata in
alcune personali creazioni artistiche dopo le fatiche quotidiane.
Alternavo i lavori, scrivendo poesie, favole, racconti e testi canzoni che ho raccolto e ordinato
in una età non più giovanile, formando un notevole numero di libri che
mi hanno valso premi e riconoscimenti e posso dire di non avere sprecato
neppure un minuto del mio tempo seppure non ho avuto mai un divertimento
all'infuori del tempo dedicato a nipoti e pronipoti.
Dolori inenarrabili ne ho conosciuti parecchi: la perdita dei genitori,
dei nonni, di zii e di amici, ma
il più grande e straziante quello di un figlio di quaranta anni,
già sposo e padre.
La libertà l' ho conosciuta a 75 anni, dopo la vedovanza avvenuta dopo
57 anni di oppressione, e l' ho usata diplomandomi in sei facoltà e
collaborando a vari giornali cartacei e on line.
Credo che solo la sofferenza renda l'animo più sensibile alle
riflessioni profonde e disponibile verso il prossimo.
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