Fatti e leggende di Roma sparita

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INDICE:
Da Natale a Capodanno - Il Tempietto di Sant'Andrea - La benedizione degli animali - La fioraia di Trinità dei Monti - Le Statue parlanti - Pasquino e il mobbing - Verso RomaSanta Francesca romana - Tradizioni romaneGli obelischi di Roma - Storie e leggende del colle Aventino - La fontana delle tartarugheDon Orione e san Filippo Neri - San Giovanni Battista de' genovesiLe catacombe - Il roseto della Valle Murcia - Giuseppe Gioachino Belli - La Festa de Noantri - L'anima de Roma - Palazzo Venezia preda di guerraCuriosità romane


DA NATALE A CAPODANNO

 

Ad ogni festa religiosa Roma usava attribuire anche significati pagani, tanto che dopo i devoti riti, le processioni e sacri cori, il popolo si riuniva festaiolo in allegre scorribande, balli caratteristici e grosse mangiate e bevute.
Ogni ricorrenza aveva le sue caratteristiche che tutti avevano il dovere di rispettare.
Per propiziarsi il nuovo anno si usava, fino a non molti anni addietro, disfarsi delle cose vecchie e logore, specialmente delle stoviglie che frantumandosi producevano scoppi e rumori specialmente se gettati dalle finestre, fra spari di mortaretti e fucilate a salve. Ogni primo di gennaio era meglio astenersi dall'uscire prima che le strade fossero ripulite dalle montagne di “cocci” sui quali si rischiava di cadere.
Al tempo del Belli, alla vigilia dell'Epifania, un altro tipo di baccano si svolgeva a Piazza Sant'Eustachio; in seguito per l'aumentato traffico, fu spostato a Piazza Navona dove c'era l'esposizione di Presepi, di dolciumi e giocattoli artigianali nelle baracche che si tramandavano di generazione in generazione. 
La folla che si sfrenava fra strombettate di ciufoli e rintroni di campanacci, faceva l'alba fra scherzi e risate mentre i genitori si affrettavano per riuscire a riempire di leccornie e... carbone le calze che i loro bimbi avevano appese al camino di casa.
La Vecchia secca, com'era definita la Befana, veniva così propiziata da tutta quella... caciara.
Contemporaneamente, per tutta la settimana nella chiesa di Sant'Andrea della Valle si svolgeva l'Ottavario delle Nazioni, ideato dall'Abate Vincenzo Pallotti, che per la durata di otto giorni dava possibilità ai bambini delle colonie straniere, di rendere omaggio al Santo Bambino recitando sermoni e litanie.

 

 


IL TEMPIETTO DI SANT'ANDREA

 

Ogni luogo della terra ha i suoi riferimenti storici che ne spiega le origini e questo a Roma, detta anche Capitale del mondo, è visibile quotidianamente visitandone chiese e monumenti, fontane e tempietti.
Questi ultimi venivano eretti quale ringraziamento per un eccesso di fede religiosa o per un vero scampato pericolo. 
Quello che ancora regge al tempo e che viene ammirato come una vera opera d'arte è quello situato sulla via Flaminia dedicato a Sant'Andrea che poi è diventato parte integrante della chiesa omonima.
La sua storia risale ad una vicenda accaduta il 30 novembre 1527, quindi proprio la notte di Sant'Andrea, durante quel sacco di Roma che fu una vera rivoluzione distruttiva compiuta dai Lanzichenecchi di Carlo V di Francia.
In quell'occasione furono incarcerati soprattutto nobili e prelati tenuti in una sorta di arresto domiciliare nell'ambito del quale, seppure guardati a vista da guardie armate, avevano facoltà di poter migliorare i loro pasti, coi propri averi.
Questo accadeva anche nel Palazzo della Cancelleria adibito a carcere di lusso per un gruppo di Cardinali, quasi tutti ricchi rampolli di famiglie aristocratiche.
C'era fra questi il Cardinale Giovanni Ciocchi Dal Monte che proprio la sera di Sant'Andrea organizzò una lauta cena ai guardiani lanzichenecchi con vini prelibati che, con l'aiuto dell'amico principe Prospero Colonna, fece fortemente oppiare al fine di farli cadere in un sonno lungo e profondo; raggiunto così l'intento, il promotore della festa, riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. 
Ventitrè anni dopo, quel fuggiasco divenne Papa col nome di Giulio terzo che, a ricordo di quella avventurosa salvezza, nel 1554, incaricò il Vignola di erigere un tempietto votivo a forma rotonda che proprio per questo fu chiamato Ecclesia sancti Andreae Rotundi.

 

 


LA BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI   

 

Per antica tradizione romana, il  giorno di  Sant'Antonio, protettore degli animali  è usanza far benedire gli animali

Nei secoli scorsi, questa cerimonia veniva patrocinata dai nobili  che vi si prodigavano con grande sfarzo. Dagli asini  ai buoi, dagli animali da cortile ai cavalli dei loro equipaggi , ogni animale riceveva la sua benedizione

Le bestie in numeroso corteo sfilavano fin dalle prime ore del mattino fra due fitte ali di popolo e  finivano per affollare per ore tutte le vie che confluivano alla chiesa di Sant' Antonio Abate a via Merulana.

Se i proprietari degli animali  appartenevano alla nobiltà, erano tenuti a fare cospicue offerte in denaro, se erano contadini davano le loro offerte in natura recando i prodotti delle loro coltivazioni.

Per un certo periodo  molte altre chiese romane si misero in concorrenza  per avere l'esclusiva di questa cerimonia fino a che , nel 1831 il Cardinale vicario in carica , intervenne minacciando di sospendere a divinis chi avesse compiuto il rito al di fuori della suddetta chiesa.

Ciò durò fino agli inizi del 1900 quando, per motivi di traffico, fu deciso che la benedizione degli animali  fosse compiuta nella chiesa di Sant'Eusebio situata aVia Napoleone III sempre nei pressi di Piazza Vittorio Emanuele ed è ancora quì che gli animali si ritrovano il 17 gennaio di ogni anno.

Questa pittoresca e rumorosa cerimonia è stata sempre una attrazione per gli stranieri e fonte d'ispirazione per insigni pittori .

Ne restano a testimonianza  la litografia di A.J.B.Thomas del 1823, l'acquerello di Bartolomeo Pinelli del 1831 e la pittura del danese Wilhelm Mastrand del 1838.

 

FINE

 

 

 

 


LA FIORAIA DI TRINITà DE' MONTI  
Vittorina Proietti alias Vittoria Lepanto

 

La scalinata di Piazza di Spagna, nei primi anni del secolo scorso, era il ritrovo di molte venditrici di fiori di ogni età , fra queste nel 1903 cominciò a farsi notare Vittorina, una bambina di otto anni, semianalfabeta, nata da povera gente nella campagna di Saracinesco. Una parente , venuta a stabilirsi nella capitale, l'aveva condotta seco, apparentemente,  perché imparasse a guadagnarsi da vivere per sé e per i suoi, ma col segreto scopo che qualche pittore di Via Margutta notasse la bellezza della bimba e ne facesse una modella.

La ragazzina oltre che bella si dimostrò anche intelligente e intraprendente e mise a profitto i consigli che molti dei suoi clienti le suggerivano cominciando a frequentare le scuole e, successivamente corsi di recitazione, comprendenti arte drammatica e dizione.

Presa a benvolere dal pittore Natale Attanasio, ebbe occasione di conoscere nel suo studio marguttiano, molti artisti dell'epoca e pare che proprio d'Annunzio le abbia suggerito il nome d'arte: Vittorina Lepanto.col quale intraprese la carriera cinematografica.

Bella, elegante e avvenente suscitò molte invidie nel mondo artistico dal momento che il regista Girolamo Lo Savio nel 1909 le affidò la parte di Desdemona nel film Otello, giudicata più che eccellente dalla stampa mondiale segnalandola: " Attrice intellettuale, grandiosa nei gesti e talvolta esuberante, ma anche piena di naturalezza espressiva che sa conquistare il pubblico".

Bastò questo a far dimenticare le sue modestissime origini e a procurarle altre significative scritture che le consentirono una favolosa carriera con lauti guadagni per cui poté acquistare al suo paese un vasto terreno su cui fece costruire un castello.

Fu protagonista dei film Carmen, La Signora delle camelie, Marozia, Lucrezia Borgia e Il Piacere che terminò di girare nel 1917 e contemporaneamente apprese la morte di Edoardo Scarfoglio che per lei aveva lasciata la moglie Matilde Serao e col quale aveva progettato di vivere.

Nel 1920 girò "Le rouge et le noir" di Mario Bonnard che fu il suo ultimo film perché decise di darsi  alle scene teatrali formando una Compagnia che le recò grandi trionfi in tutta l'America Latina.

Si sposò nel 1934 con l'ingegnere romano Romeo Cametti vivendo  con lui per alcuni anni in un lussuoso appartamento del quartiere Prenestino e, decidendo poi, di trasferirsi nel suo Castello di campagna.

Ma quì, scoperto il tradimento del marito che aveva messa incinta una domestica, lo scacciò di casa continuando a vivere fra agiatezze ed onori fino alla morte che la colse all'età di 79 anni nella sua casa romana.    

FINE

 

 


PASQUINO  E IL MOBBING

 

 

Dal  tempo di Leone X ( 1513 /21) fino al !970 a Roma, particolarmente durante il Conclave del 1522, le pasquinate non di regime furono un divertimento popolare , ma vennero perseguite dalle autorità  e molti autori, smascherati, finirono al patibolo.

 

  Il giornale virtuale che divenne una sorta di mobbing, specialmente contro il Papato, era il torso di Pasquino, un rudere di statua del Rione Parione all'angolo di palazzo Braschi su cui venivano appese nascostamente scritte satiriche, su tavolette, per prendere allegramente in giro sia leggi che personaggi in vista e le risposte si ritrovavano poi su altre statue ...parlanti che erano Madama Lucrezia, Marforio, l'Abate Luigi, il Facchino e il Babbuino.
La cultura popolana attribuì la statua al a ricordo di un sarto gobbo  di nome Pasquino che raccogliendo le dicerie della sua ciarliera clientela, spettegolava , con la sua lingua mordace, su tutto e su tutti,causando spesso inimicizie e duelli.
Nella realtà, è un residuo di statua di un gruppo marmoreo del III secolo a C  raffigurante Menelao.
I versi beffardi erano in forma di  epigramma in  italiano e in latino, ma anche in prose amene o in forma di dialogo. commissionati , per lo più, da nobili e potenti per far circolare dissensi  e calunnie, alcuni se ne ritrovano anche nei proverbi popolari.

 Seppure anonimi, i nomi degli autori e dei mandanti , venivano riconosciuti e sussurrati in giro perché  ne trasparivano le tendenze politiche. e lo spasso generale diventava maggiore.
Un esempio di pasquinata fu questa del 1521 in occasione della morte  di Papa Pio VIII: L'ottavo Papa Pio mò è morto - ma grazzie a Dio nissuno se n'è accorto.

 Per molti anni ,a ricordo di Pasquino, ogni  25 aprile si è celebrata a Roma una festa goliardica.

 

 

 

 

 




SANTA FRANCESCA ROMANA

 

 

Il 9 marzo è dedicato a Santa Francesca romana , nata come Bussi dé Leoni che andata sposa al facoltoso barone Ponziani, dedicò la sua vita ad aiutare i popolani poveri, specialmente dopo la morte del marito, disperdendone così il cospicuo patrimonio  che  aveva ereditato.

Chiamata familiarmente Ceccolella dai suoi beneficati, fu invece santificata come Santa Francesca Romana.. Fu intorno agli anni trenta, che ebbe inizio l'usanza di far benedire, in questa giornata, le automobili  per metterle  sotto la sua protezione, quasi a scimmiottare la benedizione degli animali che si faceva per Sant'Antonio Abate.

Fu prescelta  a questo scopo, Santa Francesca Romana  perché aveva posseduto il dono della dislocazione che significa il trovarsi in più luoghi contemporaneamente e le macchine a motore permettono appunto la rapidità di spostamento.

 

 

 

 



SAN GIUSEPPE

 

 

Nella festa di San Giuseppe che cade il 19 marzo si da la preferenza alle dolcezze fritte e, fino a qualche anno addietro, quasi tutte le strade dei vecchi rioni di Roma, a ricordo dei semplici impasti con cui egli sfamava il piccolo Gesù, si disseminavano banchi di friggitori che distribuendo ininterrottamente frittelle e ciambelle appena cotte nell'olio bollente, lasciavano nell'aria il dolce effluvio di zucchero vanigliato che invitava  tutti a partecipare alla festa.

San Giuseppe, infatti è detto anche: frittellaro.

Ai nostri giorni, che sono tempi di diete, solo al Trionfale rimane qualche tradizionale banco per non far dimenticare del tutto l' allegra festa popolare.

Il Santo però è il protettore delle famiglie ed anche degli artigiani avendo svolto il lavoro di falegname e nel 1583 l'Università dei falegnami raccolse le proprie regole nella Confraternita universitatis et ortis lignarolum che rappresentava 25 corpi d'arte tra cui ebanisti, bottari, catinari, barche ed altri lavoratori del legno.

Perciò, attorno ai friggitori, si raccoglievano per pregare il loro Santo comune, anche gli artigiani e non solo della categoria dei falegnami.        

 

 

 

 



TRADIZIONI ROMANE

 

Di tradizioni da festeggiare a Roma ce ne erano parecchie ed alcune hanno resistito al tempo e molte che sanno di leggenda era doveroso rispettarle con puntigliosa precisione sia per l’intera città o per singolo Rione che non accettava l’intromissione di Rioni antagonisti:

Naturalmente le gare e le rivalità generavano gazzarre e putiferi che a volte degeneravano in risse cruente dando luogo ad ulteriori spettacoli per gli spettatori.

Le date più ricordative e più solenni erano attese e preparate e, annualmente, i medesimi riti e festeggiamenti richiedevano addestramenti lunghi e minuziosi per non offrire il destro alle critiche dei rivali.

Quelle che la storia riporta con dovizia di particolari sono spesso le più cruente e drammatiche come la Corsa dei cavalli berberi lungo il Corso Umberto che scatenava un orda di animali selvaggi aizzati in precedenza e che metteva a repentaglio la vita di chi vi assisteva e, sempre c’era poi la conta delle persone calpestate.

Tali e quali erano le finte battaglie dei Prati di Castello con numerosi morti e feriti.

A maggio i vari Rioni, ognuno con un colore, andavano in processione a Castel di Leva a pochi chilometri dal centro di Roma per raggiungere il Santuario della Madonna del Divino Amore per ricordare il miracolo colà avvenuto riguardante un pellegrino salvato in extremis dai morsi di un nugolo di cani-lupo affamati.

Queste processioni davano modo alle matrone romane di sfoggiare abiti sgargianti ed equipaggi di carrozze e cavalli ornati di ricche gualdrappe e fiori di carta variopinti.

La finale di questi festeggiamenti erano abbuffate luculliane e abbondanti libagioni come quelle della festa per S. Giovanni nella notte delle Streghe dove fra schiamazzi, suoni di campanacci e stornellate a dispetto erano di rigore le scorpacciate dei lumache.

Da ricordare ancora la festa de Noantri che per l’ultima settimana di maggio teneva in festa Trastevere e che si apriva e chiudeva con le due solenni processioni che prelevavano e riportavano la statua sacra della Madonna benedicente chiudeva con la solenne processione che trasportava la statua sacra della Madonna benedicente dalla Chiesa di San Crisogono a quella di Santa Chiara e viceversa.

Le sassaiole dei rivali monticiani che cercavano in tal modo di spegnere le fiammelle dei “moccoletti “della processione omonima, sempre in Trastevere, era un altro avvenimento capace di elettrizzare i romani che, al di fuori del raccoglimento dovuto alla funzione sacra, avevano la possibilità di assistere alle zuffe fra partecipanti e “ disturbatori” che, accantonando la devozione, diventavano dei fuori programma scontati.

L’estate romana si protrae fino a metà novembre ed invoglia a scampagnate allegre, in quell’epoca specialmente, molte comitive si davano convegno ai Prati di Testaccio, recando seco le vivande precotte che avrebbero gustato in comunità sull’erba, innaffiate da generose bevute col vino frizzante di Frascati, mantenuto fresco nelle botti e “quartaroli“ entro le cantine del Monte dei Cocci.    

Queste “ottobrate” davano luogo a veri e propri spettacoli improvvisati che rendevano euforico il popolo, bisognoso di scaricarsi e diventare protagonista nel momento adatto per dimostrare le eventuali doti artistiche che aveva in serbo.

Si alternavano quindi, alle abbuffate, gare canore di stornelli scanzonati e di “saltarello” al ritmo di “tamburelle” adornate di nastri dai colori sgargianti come gli abiti delle donne e nei giri di “tacchi e punte” frenetici, s’ incendiavano i cuori esuberanti dei “bulli” e delle “minenti” e che davano anche luogo a scontri al coltello per le gelosie che scatenavano.

Molto hanno contribuito al colore folcloristico i “Ludus Carnevalarii“ che si svolgevano a Roma in Agone e sul Monte Testaccio detto pure Monte del Palio fin dal 1300, ai quali erano tenuti a partecipare le Corporazioni artigiane di tutti i Rioni con i propri stendardi e costumi, unitamente al clero e alla nobiltà.

Per Agone, la comunità giudea era quella obbligata a dare il maggior contributo in denaro affinché tutto si svolgesse con sfarzo e ricchezza, così pure tutti i territori dipendenti dalla Capitale dovevano far pervenire le loro “pecunia” comprese le grandi famiglie artigiane che preparavano per mesi gli atleti partecipanti facendo a gara per la ricchezza degli equipaggi e dei costumi indossati.

La grande Parata di Testaccio si chiudeva con la corsa sfrenata, lungo il pendìo del Monte, di carrozze, rivestite di panno rosso con attaccate due giumente e due maiali per ciascuna inseguite da tori e altri animali silvestri che finiva con un rotolamento generale.          

Pur sempre una festa cruenta, ma fortunatamente le feste dei Santi Patroni si continuano a festeggiare con un sentimento più devoto e mistico e le preghiere innalzate dai fedeli sono inspirate alla speranza di essere assistiti per il meglio dal loro Santo per la durata della loro vita terrena ed oltre.

Nelle comuni giornate d'estate vi era anche l'usanza di sedersi fuori dei portoni di casa in capannelli gioviali e chiassosi, parlando e sparlando e mentre girava il fiasco del vino o dell’acqua acetosa, si coniavano motti arguti e battute spiritose che ben presto facevano il giro della città senza approfondire chi ne fosse il vero autore, diventando quei proverbi pieni di saggezza e di esperienza di dominio nazionale conosciuti da tutti.

Così pure stornelli e canti anonimi che fanno parte del folclore e del repertorio classico non si sa come siano nati, ma l’origine sta sempre nelle vene poetiche di ignoti Menestrelli senza ambizioni di gloria.

Sono state proprio le succitate “usanze burine“ di Roma che hanno conferito a questa città l’impronta bonaria, contadina e artigiana, che attira e mette a proprio agio che viene a visitarla, giacché tutta la sua gente sa sorridere con genuina spontaneità mentre sdrammatizza con ironia gli eventi più seri e, soprattutto, sa dimostrarsi veramente amica.

 

 

 

 



VERSO  ROMA

 

 

Le more non ancora mature rosseggiano sui rovi ai lati della strada, le colline lussureggianti si ergono ricoperte di verde, in basso, ampie terre dissodate in attesa di sementi, due file di alberi, interrotte a distanza regolare da paracarri.

Questa la strada che stiamo percorrendo e che va verso Roma ed abbiamo raggiunto  Prima Porta ove sorge il nuovo Cimitero urbano e, che è la prima frazione della Città Eterna.

I cartelli pubblicitari s'infittiscono e la casa cantoniera sembra darci il benvenuto.

La nostra macchina incurva e costeggia una parte di rose rampicanti, è il muro che recinge il luogo di pace e quel profumo di rose che ci avvolge non ci fa pensare più a un giardino ameno che a un luogo di mestizia e di dolore  e la miriade di uccelli canori che volteggia  sembra pensarlo come noi.

Alla sinistra serpeggia il fiume Aniene che, quì, si mostra azzurro e pulito, ma è solo  un breve tratto che subito finisce perché frenato dalla diga e il  monte a destra ci nasconde l' affluente e getta ombra, nascondendo il sole. 

Come una lampada, d'improvviso spenta, la strada  adesso è cupa  e pure il fitto bosco contribuisce a renderla tale, ma è molto suggestiva la visione che dura per pochi chilometri  che già la periferia attrae la nostra attenzione mostrandoci  le prime costruzioni  e uno sferragliare ci fa sobbalzare  togliendoci all'incanto di un quadro naturale.

Siamo seguiti da un tir che trasporta  lamiere e ci stringiamo per farlo sorpassare mentre  la mente corre al tempo in cui l'acciottolato della via Flaminia veniva calpestato dagli zoccoli dei cavalli che al trotto riportavano a casa i valorosi guerrieri per cingerli d'alloro.

E siamo anche noi a Roma, ma in automobile...

 

 

 

 



GLI OBELISCHI DI ROMA

La passione per gli obelischi, era grande al tempo dell'antica Roma e, specialmente dall'Egitto ne vennero trasportati a profusione dalle grandi navi romane che solcavano i mari di Oriente. 
Se ne adornavano circhi e arene recando un fasto maggiore alla potenza della Città che già destava l'ammirazione dei popoli. Sfortunatamente quasi tutti furono distrutti dalle invasioni barbariche e i resti rimasero dimenticati fra le rovine per tempi lunghissimi fin quando per volontà di Papi, amanti della architettura, furono dissepolti, ripristinati e riportati in auge ad opera di scultori e architetti famosi. Presentemente l'Urbe vanta 15 imponenti obelischi, senza contarne altri più piccoli e meno conosciuti pure essendo capolavori artistici degni di nota. 
Sarà interessante passarli in rassegna per conoscerne la storia, iniziando da quello più antico e leggendario che si trova in piazza San Pietro. 


OBELISCO VATICANO 


Il monolito senza geroglifici fu fatto prelevare e trasportare da Eliopoli a Roma dall'imperatore Caligola nel 37 d.C. per abbellire il Circo di Nerone. 
Sulle rovine del Circo fu poi costruita la Basilica Vaticana dalla quale l'obelisco prese il nome nel 1586 allorché fu fatto collocato al centro della piazza da Sisto V dopo aver fatto togliere la sfera di bronzo che la sovrastava e che, si diceva, contenesse le ceneri di Giulio Cesare. 
La grossa sfera fu sostituita da una croce e dallo stemma della famiglia Chigi che aggiunti al basamento fanno raggiunger all'obelisco i 40,5 metri altezza. 
Per tutta la sistemazione, furono spesi 4000 scudi dell'epoca e impiegati 40 argani, 140 cavalli e 800 operai. 

 

OBELISCO ESQUILINO 
e OBELISCO QUIRINALE


Abbiamo accomunato questi due obelischi perché sono gemelli e provenienti dall'Egitto in epoca Domiziana per essere trasportati al Mausoleo di Augusto dove fecero bella mostra fino al momento che il tempio andò in distruzione, rimanendo abbandonati e infossati fra le macerie.
Sempre Sisto V, nel 1587, decise di farne sistemare uno nel retro della Basilica di Santa Maria Maggiore e d'allora fu chiamato Obelisco Esquilino dal nome della zona.
Il secondo ebbe un letargo più lungo e fu riesumato dall'architetto Antinori per volere di Papa Pio VI nel 1786 che lo volle sul Quirinale chiamandolo con questo medesimo nome, ma è conosciuto anche come Obelisco di Monte Cavallo. Sono entrambi di granito rosso e senza geroglifici e l'altezza, compresa di basamento è di 28,94 m. 

 

L'OBELISCO DELLA MINERVA

 

Nel 1665, il papa Alessandro VII decise di fare erigere, davanti alla chiesa dei Domenicani, un piccolo obelisco ritrovato nel loro giardino. 
Fu dunque scelto il progetto dell'architetto e scultore Gian Lorenzo Bernini napoletano di nascita, molto famoso a Roma, che presentò un elefante per dare una base dell'obelisco a rappresentanza di forza come spiega l'iscrizione su di un lato "...è necessaria una robusta mente per sorreggere una solida sapienza". 
Sembra però che Bernini abbia tratta l'ispirazione da una illustrazione di un romanzo di Francesco Colonna molto in voga, pubblicato nel 1499 a Venezia dal famoso tipografo editore Aldo Manuzio. 
Nel romanzo, pieno di riferimenti simbolici, si racconta di un elefante di pietra che trasporta, appunto, un obelisco. 
Nel suo progetto però l'animale non aveva alcun sostegno, e il peso dell'obelisco gravava interamente sulle zampe dell'elefante. Questo recò molte critiche all'autore che fu costretto a modificare il bozzetto, ricoprendo l'animale con una gualdrappa che ne appesantì parecchio la figura. 
Cosicché il popolo sarcastico di Roma gli affibbiò il nomignolo di: "Er porcino de la Minerva" Bernini decise di vendicarsi al momento della costruzione definitiva poi realizzata dal suo allievo Ercole Ferrata nel 1667, ponendo l'elefante in senso contrario alla chiesa e con la coda un poco alzata da sembrare un saluto osceno contro coloro che lo avevano costretto a modificare il suo progetto originale. 

 

OBELISCO MARCONI


Questa stele di 45 metri si altezza, si erge all’EUR ed è dedicata a Guglielmo Marconi.

A differenza degli altri obelischi che sono egiziani, è opera dell’italiano Arturo Dezzi.

E’ rivestita di 92 pannelli di marmo lunense che portano, appunto, incise le imprese di Marconi e altre figure allegoriche e fu inaugurata nel 1959 in vista delle Olimpiadi che si sarebbero svolte a Roma nell’anno successivo.

 

OBELISCO di DOGALI 


Dal 1925 è stato portato in un giardino di piazza dei Cinquecento accanto alle Terme di Diocleziano. L' ultimo obelisco dei tredici innalzati a Roma in età moderna ha avuto una sorte malinconica. Fu trasformato in monumento funebre a ricordo dei caduti di Dogali. Di granito rosso,è alto 6,34 metri; fu eretto a Eliopoli da Ramsete II e, dopo la conquista dell' Egitto, andò a ornare, insieme con altri, il tempio di Iside a Roma. Quì venne dissotterrato nel 1883 in via S. Ignazio, presso la tribuna di S. Maria sopra Minerva dall' archeologo Lanciani. Nel gennaio del 1885 si consumava il disastro di Dogali in Etiopa (548 soldati italiani annientati). Due anni dopo l' architetto Francesco Azzurri adattava l'obelisco, aggiungendovi edicole di stile cimiteriale, e lo innalzava davanti alla stazione Termini.

 

OBELISCO MACUTEO


Questo piccolo capolavoro, prende il nome di Macuteo dalla omonima piazza in cui si trovava fin dai tempi di Paolo V. Clemente XI lo fece portare sulla fontana di piazza della Rotonda di fronte al Pantheon ed è la copia quasi identica dell' Obelisco Minerveo di piazza della Minerva.

 

OBELISCO AURELIANO 


E' situato in un viale del Pincio per volontà di Papa Pio VII che nel 1922 ne diede incarico all'architetto Giuseppe Marini. Detto anche obelisco Antinoo perchè, inizialmente, fu fatto trasportare dall'Egitto dall'imperatore Adriano per essere collocato accanto al monumento funebre del suo giovane amico, sfortunatamente, annegato nel Nilo. Venne poi eretto ad ornamento nella spina dell'Anfiteatro Castrense. Prese infine il nome Aureliano perché rinvenuto fuori Porta Maggiore che era inclusa nelle Mura Aureliane, dalle quali venne trasportato nel giardino di Palazzo Barberini e in Vaticano senza mai ottenere una utilizzazione. Costruito in granito rosso, è alto 9,24 metri (17.26 con la base e la stella) con una scritta in stile egizio, ma di mano romana. 

 

OBELISCO DI AXUM


L'obelisco che si staglia in piazza di Porta Capena a Roma proviene da Axum, città santa dell'antico impero etiopico. In pietra basaltica scura, a sezione rettangolare, è alto 24 metri e pesa circa 150 tonnellate. Fu realizzato tra il primo e il quarto secolo dopo Cristo, probabilmente da artisti egizi al soldo del regno di Axum.La stele, rotta in tre tronconi, giaceva al suolo, come buona parte della cinquantina dl obelischi della città santa. In queste condizioni, almeno, la trovarono i soldati italiani che occuparono Axum alla fine del 1935. Non è chiaro chi ebbe l'idea dl trasportare l'obelisco a Roma. Fatto sta che, sezionato in sei parti e trascinato da centinaia di soldati italiani ed eritrei durante un'odissea durata due mesi fino al porto di Massaua. Fu tradotto per nave fino a Napoli e con un convoglio speciale fino a Roma dove fu collocato il 20 ottobre '37 nella posizione attuale. Per assicurarne la tenuta, fu rinforzato internamente con cunei metallici. La superficie del monumento dovette essere restaurata in più punti. Negli scontri seguiti all'8 settembre '43, l'obelisco, colpito da raffiche dì armi automatiche, subì altri danni. Oggi, il suo principale nemico è l'inquinamento atmosferico. L'obelisco dovrebbe ritornare all'Etiopia con le scuse dell'Italia per l'occupazione passata e in quanto prelevato come bottino di guerra. 
Tuttavia la questione non ci risulta così semplice. Come ha confermato il Duca Amedeo d'Aosta, il caso risultò chiuso gia' agli inizi del '69. La Farnesina lo avrebbe voluto inviare alla corte del re Hailè Selassiè, il quale di fronte agli enormi costi relativi al trasporto, disse di considerarlo come un suo dono personale agli italiani. 
Da altre fonti risulta che la Farnesina addirittura versò l'equivalente stimato per il trasporto all'Etiopia, la quale al momento di riprendere il monumento, non avendo più la somma concessagli, decise di lasciarlo all'Italia come dono della rinnovata amicizia. D'altra parte venne gia' restituita all'Etiopia, qualche anno fa, un'altra opera: il Leone di Giuda, portato in Italia assieme all'obelisco ed esposto per anni presso la stazione Termini. 
Ci sentiamo in dovere di chiederci, in questa ottica di restituzioni, quanti e quali tesori dovrebbero essere restituiti all'Italia trafugati nel corso delle occupazioni storiche subite.
Con molta probabilità la quasi totalità dei musei di mezza Europa si vedrebbero privare delle proprie opere migliori.

 

 

 



STORIE E LEGGENDE DEL COLLE AVENTINO

 

Al sorgere dei primi agglomerati urbani, Roma aveva un territorio acquitrinoso con vasti prati melmosi e molte alture. Per questo fu denominata “Septimontium”. In realtà i suoi Monti, poi detti Colli, non sono solo sette, ma ne annovera altri, più distanziati dal centro, ugualmente importanti e ricchi di storia. Tra i sette il più conosciuto è il Colle Aventino che sovrasta il Lungotevere da Ponte Palatino a piazza dell'Emporio e che, proseguendo per la Via Marmorata delimita dall'alto il Rione Testaccio. L'Aventino non fu mai unito alla città vera e propria perché si presentava come un bosco ricoperto di mirti, la pianta cara a Venere e, sembra che in una delle sue caverne vi dimorasse il brigante Caco. Era quindi un terreno neutrale dove si installarono i Sabini dopo il ratto delle loro donne da parte dei romani. Sembra che furono proprio i Sabini a dargli il nome perché Aventino era il Re di Alba che su questo colle fu ucciso da un fulmine e quì fu sepolto.
Una leggenda vuole, invece, chederivi da “aves”, nome latino di uccelli a ricordo della conta dei volatili fatta quassù da Remo che risultò essere di numero inferiore a quella fatta sul Palatino dal suo gemello Romolo che, vincendo la scommessa, ebbe la prerogativa di tracciare il solco della città che sarebbe diventata Roma. Qualunque sia stata l'origine del suo nome, lungo l'antico Vicus Piscinae Publicae, la strada che portava al Colle, sorsero in età romana importanti templi dedicati alle dee Giunone e Diana, dei quali se ne vedono ancora i resti; vi furono costruiti inoltre il Portico della Libertà e le Terme Suriane, sulle rovine di quest'ultime vi fu edificata la Chiesa di Santa Prisca, seguita dalla costruzione di quella di Santa Sabina, Sant'Alessio e Sant'Anselmo. Oltre che per i pellegrinaggi alle chiese, i visitatori di tutto il mondo, sono attirati da questo Colle dal famoso Parco degli Aranci con un belvedere che domina Roma, dal Roseto di Valle Murcia che raccoglie le rose di ogni paese, al Palazzo del Priorato di Malta che offre, avvicinando l'occhio al buco della serratura del suo portone d'ingresso, la visone stupenda della Basilica Vaticana al fondo di un suggestivo viale alberato.
Di tali curiosità e leggende Roma ne offre a dovizia che ampliano l'interesse storico e culturale della sua storia millenaria.

 

 



LE STATUE PARLANTI

 

Cò Lucrezzia e cò Pasquino
raggionava er popolino
le domanne che faceva
sopra er marmo l'appenneva.

Le risposte che trovava
tutte in giro le passava
era un modo scanzonato
de parla' senza gran fiato.

Sempre pronto a tempo e loco
più de tutto era 'no sfogo.
Quanno a Roma succedeva
Tanta gente ce rideva.

Ma s'è pèrza quest'usanza
che sfotteva la creanza.
Mò la gente pé parla'
cià li mezzi a volontà.

Pé risponne e interloquì
stanno tutti pronti lì
cor microfeno davanti
de la radio e artoparlanti.

La domanna è più inzidiosa
e la voce misteriosa
accusì er contradditorio
pija tutto l'uditorio
e diventa a 'sta magnera
la risposta più sincera.

 

 

 

 

 

 

LA  FONTANA DELLE TARTARUGHE

 

 

Al centro di Piazza Mattei, alle Botteghe Oscure, vi è la fontana  che  Giacomo Della Porta   ideò nel 1581 e che fu ornata da quattro Tartarughe che sono opera del Bernini.

La leggenda vuole che la fontana sia stata posta  in quel luogo per volere del Duca Mattei proprietario del palazzo omonimo che vi si trova.

Egli, stava per sposarsi con una ricca giovane, ma  essendosi impoverito per una perdita di giuoco, il futuro suocero fece rompere il fidanzamento.

L'orgoglioso Duca, indispettito, per dimostare la sua potenza, nonostante la perdita al giuoco, diede ordine di porre una fontana davanti al suo palazzo.

L'ordine fu eseguito in una sola notte, facendola trasportare  da un altro palazzo nobiliare in cui si trovava e, invitati padre e figlia, mostrando dalla finestra migliore  quel capolavoro esclamò: "Ecco cosa è capace di fare in poche ore uno squattrinato Mattei!". Riebbe la mano della ragazza, ma per dimenticare il tracollo e l’umiliazione subita fece murare la finestra, come ancora oggi appare.

Le tartarughe che si vedono sulla fontana ora,  non sono quelle originali che, rubate e ritrovate più volte, sono conservate, adesso, ai Musei capitolini.             

 

 

 



DON ORIONE E SAN FILIPPO NERI

 

 

Due figure presenti ancora nel culto e nella memoria dei romani sono San Filippo Neri, apostolo di carità e di educatore della gioventù e Don Orione che fu suo discepolo e che lo emulò nelle opere di bene.

Due umili preti che hanno dedicata tutta la loro vita a dispensare aiuti e consigli alla povera gente e, in special modo alla gioventù diseredata di Roma

che cercavano di educare nella cristianità della santa Fede. 

Ripercorriamo la straordinaria esistenza di don Orione,fondatore di uno dei primi Istituti di istruzione pubblica di Roma :-

Nato a Pontecurone in Alessandria nel 1872, morì a San Remo il 12 marzo 1940 e fu beatificato il 26 ottobre 1980.

Del cuore di questo Missionario per natura e vocazione, se ne è fatta una reliquia molto venerata che è custodita nella  la Curia degli Orionini.

Giunse fuori  Porta san Giovanni, nel 1908 e trasformò una vecchia scuderia in una Cappella/Oratorio per svolgervi il suo apostolato  sociale e religioso a beneficio dei giovani poveri del quartiere Appio Latino e dei terremotati della Marsica.

Solo nel 1920 poté inaugurare la Parrocchia d'Ognissanti e l'omonima Chiesa donata da Pio XII.

La realizzazione dell'Istituto scolastico, che era stato sempre il suo sogno, avvenne nel 1937 e fu intitolato a San Filippo Neri del quale proseguiva il percorso col preciso intento di adibirla all'insegnamento di una  gioventù   meno protetta, educandola religiosamente ed esortandola allo studio.

Alle classi elementari che hanno agito fino al 1996, si sono aggiunte le più innovative attività scolastiche dando agli allievi la possibilità di formazioni letterarie e tecniche specializzate che ha consentito a molti allievi di affermarsi in posizioni di prestigio, unendo alle qualifiche specifiche anche quei principi di umana solidarietà inclusi nei Programmi scolastici e usualmente praticati nella vita seguendo le direttive di tali educatori.

 

Pippo Bono er Santo de Roma

Li santi so' dell'esseri speciali
Co'sentimenti puri e celestiali
Viveno in ogni sito e fanno er bene
E leveno le perzone dalle pene.

De questi a Roma ce n'è stato uno
Che nun abbandonò proprio nessuno
E nun sapeva de fa' tanti miracoli
Giranno notte e giorni fra li vicoli.

Appianava contrasti e dispiaceri
Consideranno tutti amichi veri.
Lui aiutava paziente e generoso
Magara co'n conzijio giudizzioso

Adorato da tutti li romani
Che commossi jé baciavano le mani
E devotamente poi pé faje dono
Lo chiamorno pé sempre Pippo Bono.

 

 



SAN GIOVANNI BATTISTA DE' GENOVESI

 

Una storia particolare è all’origine della Chiesa San Giovanni Battista dei Genovesi che si trova in Via Anicia nel vecchio Trastevere e che conserva le originali tradizioni del suo Statuto.

Ne fu fondatore nell’anno 1492, il  genovese Meliaduce Cicala, tesoriere del fisco all’epoca di Sisto IV ed anche commerciante di minerali.

Egli lasciò il suo cospicuo patrimonio alle Autorità ecclesiastiche  per istituire una Confraternita Ospedale che potesse accogliere e assistere i naviganti genovesi di passaggio a Roma.

Inizialmente Chiesa e Ospizio furono dedicati a San Sisto, ma dopo molti cambiamenti e con la fondazione effettiva della Confraternita dei Genovesi nel 1482 l’attuale nome rimase definitivamente.

Mentre la Confraternita veniva a rappresentare ufficialmente la Repubblica di San Giorgio assumendo molti privilegi.

Il complesso è stato restaurato più volte nel corso dei secoli per aver subiti devastazioni e danni e l’ultimo rifacimento della facciata realizza con il graffito una scanditura regolare a grossi mattoni con un bordo più chiaro. Nella fascia affrescata sono ripetuti gli stemmi di Genova e dell’ospedale.

All’interno, nell’Altare maggiore primeggia  la figura di San Giovanni Battista che battezza Gesù nel Giordano.mentre i due dipinti laterali rappresentano ancora due suggestivi momenti della vita del Santo.

 In uno San Giovanni è nel deserto e nell’altro, è con Sant’Anna e la Madonna col Bambino.

In una edicola centrale lo sguardo è attratto da  una suggestiva tela di San Giorgio e il drago di Filippo Zucchetti; sul lato destro, dopo un Crocefisso ligneo posto sopra un inginocchiatoio, si può ammirare in un gruppo ligneo policromo la Madonna della Guardia sul Monte Figogna, riproduzione di quello in marmo di Giobatta Conti che si trova nei Giardini Vaticani.

In un’altra edicola vi è la statua del Santo in legno policromo, opera di Antonio Canepa  che fu benedetta da Benedetto XV, Infine come opera di maggior pregio, la tomba in marmo del fondatore della chiesa che viene rappresentato dormiente sopra il sarcofago sormontato da capitelli con testine alate, rifinito in alto con un rilievo rappresentante l’immagine della Vergine col Bambino avente ai lati san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista.

 La visita della chiesa è molto suggestiva, ma  la tradizione della Confraternita è altrettanto attraente giacché le 60 Consorelle e i Confratelli che ne fanno parte conservano le abitudini di aiutare i bisognosi e fra le riunioni rituali rispettano ancora quella di festeggiare, con la cerimonia ufficiale del 18 marzo, la festa della Madonna della Misericordia Patrona delle Consorelle dell’omonima confraternita.

 





LE CATACOMBE

 

I primi Cristiani ritenevano di doversi tenere pronti per la resurrezione e quindi venivano sepolti senza essere cremati in grotte sotterranee scavate nel tenero tufo

fuori della cinta di Roma, dato che , per motivi sanitari, era proibito farlo all'interno della città mentre le vie consolari erano fiancheggiate da ricchi sepolcri ove i patrizi custodivano in urne le ceneri dei propri dei proprri defunti.
La parola "catacomba", ormai usata per designare qualunque necropoli sotterranea, deriva presumibilmente dalla parola greca che significa "cavo".

Nelle tombe comuni,i corpi dei defunti venivano per lo più introdotti in fenditure poco profonde scavate nella pietra. I ricchi avevano tombe più spaziose e con archi decorati, che spesso erano vere e proprie tombe di famiglia. Abbondano anche le sepolture di bambini piccoli

 Le catacombe romane sono 69, ma solo cinque sono aperte al pubblico.

 Quelle ebraiche erano sei, quattro sono scomparse e le altre sono chiuse, compresa quella di via Appia Antica al numero civico 119A.

     

Catacomba di San Callisto

Conta oltre 17 km. di gallerie sotterranee, che scendono fino a gran profondità e si diramano su quattro o cinque livelli, fiancheggiate da nicchie scavate ("loculi") disposte su due e perfino tre livelli l’uno sull’altro, in cui i morti venivano deposti dopo essere stati avvolti in due strati di stoffa imbevuta di liscivia, onde evitare ai vivi il rischio di contaminazioni.


Cripta Papale e Cripta di S. Cecilia

Hanno un interesse sia religioso che storico. Nella prima riposano i resti di almeno cinque Papi martirizzati e poi santificati tra il 230 e il 283. Da notare le lapidi in marmo con le lettere greche MTP (per MarTiRe).
Eleganti decorazioni del IV secolo furono aggiunte da Papa Damaso I. Nell’821, Papa Pasquale I separò i resti di S. Cecilia da quelli di suo marito S. Valeriano e li fece nuovamente seppellire nella casa di lei, adesso incorporata nell’omonima chiesa in Trastevere (S. Cecilia in Trastevere).
Nelle gallerie sotterranee vi sono le pitture murali del II-III secolo nei cubicoli dei Sacramenti e nella Cripta di Lucina.

Catacombe e Basilica  di San Sebastiano

Qui si trovano le prime tombe cristiane definite "catacombe" dal nome con cui era nota la vallata. Nella Basilica, una delle sette mete di pellegrinaggio a Roma, vi è sepolto S. Sebastiano;, hanno quattro livelli di profondità, sono simili a quelle di S. Callisto.
Vi sono bei dipinti dei primi tempi del Cristianesimo, graffiti, stucchi e mosaici.
La basilica è in stile barocco. Nella prima cappella a sinistra vi è una statua in marmo levigato di S. Sebastiano, che giace crivellato dalle frecce (progettata dal Bernini, ma realizzata da Antonio Giorgetti).
I gradini adiacenti portano a una cripta dove i resti del Santo riposano in un’urna.
Altre sacre reliquie, meta per secoli di pellegrinaggio, si trovano nella cappella dell’abside destra. Fra di esse, una pietra che reca un’impronta ritenuta essere quella lasciata da Gesù Cristo quando incontrò S. Pietro che fuggiva da Roma; alcune delle frecce che si dice trafissero S. Sebastiano, la colonna cui egli fu legato, e infine le mani di S. Callisto e di S. Andrea.
258-298. Durante le persecuzioni volute dall’Imperatore Valeriano, i corpi di S. Pietro e di S. Paolo vengono qui nascosti e conservati per 40 anni.

288. S. Sebastiano, ufficiale romano, viene condannato a morte per aver predicato il Cristianesimo alle sue truppe. Subisce il martirio delle frecce ma sopravvive. Durante la convalescenza viene condotto al cospetto dell’Imperatore Diocleziano, che lo fa picchiare a morte.

IV sec. L’Imperatore Costantino, "Defensor Fidei", costruisce una chiesa sulle preesistenti tombe.1609-12. Sopra la chiesa, il Cardinale Scipione Borghese fa costruire dall’architetto Flaminio Ponzi l’attuale basilica.

Catacombe di S. Domitilla

Santa Domitilla, imparentata con gli Imperatori Domiziano e Vespasiano, nonché appartenente all’importante famiglia Flavia, fu martirizzata nel 95 d.C. Queste catacombe, che comprendono tombe cristiane e non, furono dedicate alla Santa perché il loro ingresso si trovava all’interno di un terreno di sua proprietà.
Purtroppo, le decorazioni della sua sepoltura vennero sfigurate da "tombaroli" del XVIII secolo. C’è una tomba particolarmente bella con affreschi del IV secolo che rappresentano S. Pietro e S. Paolo, ai due lati della scura e spettrale immagine della defunta. Sotto l’arco della tomba, visibile soltanto se ci s’inginocchia, un’"Ultima Cena" mille anni più antica di quella di Leonardo.
Rispetto a quelle della Via Appia Antica, queste catacombe sono un po’ fuori mano, ma sono tra le più vaste e le più antiche, e anche se soltanto due dei quattro livelli sono aperti, vale la pena visitarle perché meno affollate.

 

 

 

 



IL ROSETO DELLA VALLE MURCIA A ROMA

 

 

La Mecenate del Roseto di valle Murcia sull'Aventino è stata la Contessa Mary Senni che dopo varie e inutili richieste di uno spazio adatto e nonostante le sue offerte di cospicue varietà di rose pregiate al comune di Roma, riuscì ad ottenere nel 1950, una zona veramente ideale per il clima e per la posizione.
Il terreno era stato un antico cimitero ebraico.
La battaglia della ricca signora americana iniziata nel 1924, fu così vinta dopo molti tentativi e il meraviglioso Roseto è sempre la meta preferita degli amatori e dei coltivatori che mai si stancano di creare nuovi esemplari e partecipano ogni anno al Concorso Internazionale per la rosa: il "Premio Roma".

A proposito di rose, va ricordato che la varietà di rosa che dal giallo sfuma al vermiglio è "GIOIA" e fu presentata alla principessa Carolina di Monaco nel 1990 al Ballo della Rosa a Montecarlo.

 

 

 



GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

 


Un personaggio che ha offerto della società del suo tempo una visuale satirica e un tantino... pesante è stato indubbiamente G. Gioachino Belli e la sua poesia romanesca è ormai divenuta classica.
Però la sua versatilità scanzonata egli l'ha usata anche parodiando la sua firma in vari modi e non esiste certamente un'altra persona che abbia annoverato un così alto numero di pseudonimi.
Intanto c'è da ricordare che anche al momento del battesimo gli furono assegnati i seguenti nomi: Giuseppe Gioachino Francesco Antonio Raimondo e Maria.
Come Accademico degli Elleni si chiamò Tirteo Lacedemonio; come Accademico dell'Arcadia fu il pastore arcade Linarco Dirceo; inoltre si attribuì i soprannomi di Tiptèo Snerbarculi, Peppe de Giobbe, Pertichino Prospettico, Frà Giobbe dei Minori di S. Francesco, Peppetto er Greve de la Frezza, Peppe er tosto e semplicemente Peppe.
Firmando anche con queste sigle:G.G.B. o con le minuscole ggb che in alcuni casi divenne un numero 996.
Ce n'è per tutti i gusti!

 

 

 



LA FESTA DE NOANTRI

 

L'origine di questa festa popolarissima a Roma ed anche fuori di Roma, risale al tempo delle congregazioni Artigiane e vi si festeggiava la venerata Madonna del Carmine di Trastevere.
Veniva organizzata dai Vascellari che erano i fabbricanti di terraglie dei quali questa Madonna era Patrona.
La processione che si snodava lungo i vicoli del Rione durante la festa era anche detta de' "Bucaletti" giacchè anche i boccali in terracotta venivano fabbricati dagli "Sponsor".
La preparazione di questa Festa-Spettacolo durava oltre una settimana e i Vascellari che avrebbero dovuto trasportare a braccia la pesantissima macchina con lo Stendardo (alta dieci metri e con una circonferenza di circa 60) dovevano sottoporsi a prove di forza ed esercitazioni varie che si svolgevano nel grande piazzale fuori la Porta Portese.
Naturalmente prima e dopo la Festa le frequenti "libagioni" coi boccali del frizzante vino di Frascati teneva alte le calorie dei partecipanti e non erano rare le risse furibonde che davano il via alle scommesse per i vincitori.

 

 

 



L'ANIMA DE ROMA

Roma fu granne ai tempi dell'Impero
quanno dettava legge ar monno intero
ciebbe Saggi Docenti e Militari
ommeni veri e quarche vorta rari.

Fu Caput Mundi ce lo sanno tutti
ma mò se semo messi proprio brutti
giacchè le razze se so imbastardite
e tante vecchie usanze so' sparite.

Qui capiteno le cose più impenzate
e quasi tutte so cose importate
eppuro ancora er popolo romano
è allegro e schietto semprice a la mano

s'intenerisce pè 'na strimpellata
o pè 'na storia triste e disgrazziata
e l'Anima de Roma è ancora questa:
er core bòno de la gente onesta.

 

 



PALAZZO VENEZIA PREDA DI GUERRA

 

Il Palazzo Venezia era considerato preda di guerra dall'Impero Austro-Ungarico e per rivendicarlo all'Italia fu necessario un decreto di legge emanato il 27 agosto 1916 con una data precisa per evacuarlo dall'Ambasciata che vi si era insediata da tempo.
La data fu determinata al 31 ottobre dello stesso anno e alla sera di questa giornata le finestre dei sotterranei del Palazzo, a livello stradale, furono contemporaneamente illuminate da una numerosa schiera di popolani bontemponi che vi si era data convegno per festeggiare l'avvenuto recupero.

 

 

 



CURIOSITA’  ROMANE

 

Lo scrittore/ viaggiatore Gregorovius che descrisse Roma in modo particolareggiato, la definì con queste parole:  “…ha il carattere di stato ruinoso e di deserto incantevole.”

Questa Città, difatti, ha sempre conquistato chiunque, l’abbia vista anche  una sola volta e le storie e le leggende strabilianti che la riguardano fanno meglio conoscerla e ne approfondiscono la storia.

Le sue origini fantasiose e le glorie e le tradizioni vengono tramandate con un misto di religiosa fatalità.

Nessuno sa sottrarsi al fascino delle sue antiche mura, dei suoi monumenti, delle fontane e delle chiese e ogni luogo sta a dimostrare  il percorso della sua lunga Storia in un assortimento di curiosità veramente interessanti.

La sigla A.U.C. che, visitando la città compare sovente, significa Ab Urbe Condita che sta a significare: Dalla Fondazione di Roma (753 a.C.) e di testimonianze antiche e, di epigrafi in latino, se ne annoverano ovunque e, a futura memoria, il Forcella le ha raccolte in volume.

I romani sono una mescolanza di sabini, latini ed etruschi e allorché questi popoli sancirono l’accordo di essere governati da due Re fu nominato Romolo che era latino e Tazio che era sabino.

Due Re che ebbero la stessa sorte, quella di morire per morte violenta.  Prima toccò a Tazio e poi a Romolo.

La suddivisione amministrativa di Roma in 14 Regioni (Rioni) si fa risalire ad Augusto e la strada che percorrevano i trionfatori per recarsi al tempio di Giove era la Clivius Capitolina, una sorta di ascesa che andava dal Foro al Campidoglio.

Le Mura Aureliane che cingevano la Città e che ancora resistono al tempo, furono volute da Aureliano fra il 270 e il 275 per difenderla dalla minaccia delle invasioni barbariche e racchiudevano un circuito di 18 chilometri,  quattro volte maggiore di quello della città Serviana.


L’altezza dell’Anfitreatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo, è di 57 metri con 527 metri di circonferenza con tre ordini di arcate sovrapposte che, in origine racchiudevano altrettante statue di gladiatori.

Nel quarto piano vi sono 40 finestroni rettangolari intervallati da lesene corinzie e . la maestosità dell’insieme incuriosisce gli estatici ammiratori che mai si stancano di visitarlo unitamente alle terme di Caracalla,  di Diocleziano che si ergono maestose a ricordare la l’orgogliosa  sovranità che Roma ebbe sul mondo antico.


Gli alberi che più di altri hanno attecchito in questo clima temperato sono e cipressi  e pini ed anche il profumato alloro che permetteva di forgiare con le sue robuste foglie le corone per gli eroi e per coloro che si distinguevano nelle arti e , ascoltando l’Inno di Roma, si sente serpeggiare ancora l’eco delle gesta che l’hanno resa immortale.

Sull’Aventino  (l’antica valle Murcia che prendeva nome dai mirti cari a Venere) si gode il panorama dal suggestivo Parco degli Aranci dove al profumo di zagara di questi frutti si mescola quello del Roseto che si trova a poca distanza e , fra le chiese disseminate sul Colle, nel convento dei Domenicani, nella storica  Basilica di Santa Sabina, vi fruttifica l’albero di aranci piantato da San Domenico.


Mater Magistra fu detta Roma e in essa la grandiosità era doverosa.

Allorché fu eretto il Foro per onorare Augusto la statua a lui dedicata era di proporzioni enormi e,  fra i resti nella Via dei Fori Imperiali si possono ancora vedere le impronte dei piedi che misuravano sette volte la grandezza di un piede umano maschile.


Roma occupa un territorio collinoso e dei suoi Colli, sette sono rimasti famosi . Essi sono: Capitolino, Palatino, Aventino, Esquilino, Celio, Quirinale e Viminale.

L’imprecisione che spesso coglie chi vuole ricordarli, avviene perché anche gli altri sono importanti per qualche avvenimento storico che li riguarda e sono: Gianicolo, Oppio, Monte Mario, Monte Sacro, Monte Verde, Monti Parioli  a questi si possono aggiungere i Colli Albani come cornice.   

 
Anche il carattere dei suoi abitanti rispecchia qualità e pregi  col cameratismo che mostrano verso tutti e qualcuno ha sottolineato che, specialmente  nelle donne romane vi si ritrovano le qualità  femminili di ogni parte d’Italia.

La bellezza delle milanesi, la grazia delle fiorentine, l’eleganza delle torinesi, l’eloquenza delle veneziane, l’arguzia delle napoletane, l’orgoglio delle siciliane.

Più d’ogni altra cosa, esse possiedono l’altezza della mente e la fortezza dell’anima e, nell’insieme la squisitezza di sentimenti, giustezza dell’apprezzamento e ingegno vivissimo.

Per ciò che viene ritrovato nei corredi funerari, si deduce che gli ornamenti delle matrone romane, a cominciare dalla pubertà erano ricercati e sofisticati, specialmente se appartenevano a ricche famiglie.

Una delle molte  testimonianze è stata data dal ritrovamento della bambola smontabile Crephereia Triphena, che duemila anni fa era stata posta nella tomba della omonima sposa /bambina.

Come pure altri  scavi hanno riportato alla luce i cosmetici, gli unguenti e monili di ogni genere fra cui importanti anelli nel cui castone potevano nascondersi sia “make up” che veleni destinati a nemici.

Similmente nelle tombe dei guerrieri trovavano posto le loro armi e i loro trofei ed è nel decifrare le loro epigrafi che ne conosciamo i  nomi , specialmente se sono stati membri di famiglie di grado elevato o abbiano ricoperte posizioni importanti.
 

 La Piramide Cestia che sorge accanto al Cimitero acattolico, a sua volta addossato alle Mura Aureliane dell’Ostiense, è un’altra curiosità  degna di nota perché fu costruita in breve termine da colui che la volle come sua sepoltura: Gaio Cestio Epulone, Tribuno del popolo, Pretore del Sacro Collegio e coordinatore dei banchetti sacri dopo il 12 a.C.

La mastodontica costruzione misura 27 metri di altezza  e  22  per ogni lato di base con l’interno addobbato in modo sfarzoso. Purtroppo l’incuria e le predazioni, l’hanno privata delle cose preziose e ne hanno cancellato gli affreschi colorati delle pareti.

 

Un’altra statua, piccola e suggestiva, di circa un metro di altezza  si può vedere a Piazza Fiume: Sta a ricordare il bambino poeta Quinto Sublicio  Massimo i cui ricchi genitori gliela fecero erigere a grandezza naturale, alla di lui prematura scomparsa.

 

“Pulcino della Minerva” è detto il piccolo elefante marmorato che sorregge l’obelisco di Piazza della Minerva e che fu un’opera del Bernini il quale venuto a discordia coi frati della antistante chiesa che gli contestavano l’opera che stava eseguendo, volle vendicarsi  ponendo l’elefantino in posizione irriverente verso di loro... e chiunque l’osserva può rendersene facilmente conto.

 

Altre curiosità quasi nascoste si trovano nelle ricche abitazioni private che possedendo cortili all’interno del portone d’ingresso, l’abbellivano con fontane artistiche e sculture varie che più lustro e importanza recavano ai proprietari, specialmente se le opere avevano illustri firme.

Ad esempio Palazzo Strada, ha nel suo cortile una fontana fatta dal Bernini  dove l’acqua sgorga da tritoni  e delfini che reggono una conchiglia portante lo stemma del Papa, amico dei padroni di casa che l’avevano fatta eseguire, quale ringraziamento allo stesso Pontefice, per aver loro concesso l’uso dell’Acqua  Felice.

 

Oltre la Basilica di San Pietro che merita un capitolo a parte, è doveroso ricordare quella di San Giovanni in Laterano che è la sede pontificia ufficiale. Il tetto della facciata è ornato da 15 statue alte circa 7 metri che impersonano Gesù Cristo i due Santi Giovanni  e dei maggiori Dottori della Chiesa.

Si racconta che il terremoto di oltre cento anni orsono, fece cadere la testa di una delle statue che fino a che non fu ripristinata creò un colossale ingombro sulla piazza, ma fu lo spasso per i bambini che vi facevano dei grandi girotondi.

L’unico Pontefice che l’abitò, nel contiguo Palazzo costruito appositamente fu Sisto V.

   

La basilica  fu anche chiamata Costantiniana  poiché nel suo fonte battesimale, costruito in porfido, vi fu battezzato Costantino che divenne poi Imperatore.

Sua madre Elena venne santificata come lo furono anche sua sorella e sua figlia ambedue di nome Costanza.

 

Una curiosità che riguarda, invece,  la basilica di Santa Maria Maggiore è il sogno fatto nella stessa notte da Papa Liborio e il patrizio romano Giovanni: videro entrambi la  Madonna che chiese loro di erigere una chiesa a suo nome sul Monte Cispio.

La mattina dopo, 15 di agosto, una coltre di neve imbiancò il luogo indicato.

Da qualche anno per ricordare questa storia, una finta nevicata viene fatta cadere il 15 di agosto sulla Basilica.

 

La  campana del Campidoglio, detta Patarina, fu conquistata dai romani ai viterbesi ed ha la particolarità di suonare solamente alla morte di un Papa.

 

Piazza  Navona è una delle più note, per la sua forma di  grande nave ed anche perché vi sono legati molti avvenimenti storici. Era il Circo Agonale dove vi si svolgevano giochi equestri e rappresentazioni varie con allestimenti di tribune speciali per le autorità e le persone importanti che vi assistevano sfoggiando abbigliamenti ed equipaggi molto lussuosi.

Questi giuochi precedevano quelli ancora più impegnativi di Testaccio che venivano preparati da tutti i rioni di Roma con offerte sostanziose al clero da parte delle Corporazioni Artigiane cristiane ed  ebraiche.

Nel XVII secolo la piazza era concava al centro perché veniva allagata chiudendo le condutture di scarico delle sue tre immense fontane, facendola diventare un immenso lago profondo circa un metro dove gareggiavano le sontuose berline occupate dai nobili personaggi del patriziato romano che si divertivano sguazzando nell’acqua nel mentre offrivano un godimento visivo al popolo che si assiepava curioso ai margini.

Poi per tutto l’arco dell’anno, la piazza era adibita a mercato e vi si svolgeva qualunque tipo di traffico commerciale, ma il più strano e caratteristico era quello  “Degli avanzi” che, alla lettera, era formato proprio dalla vendita a basso prezzo di avanzi dei lauti pranzi che i Signori consumavano nelle trattorie adiacenti.

I venditori per richiamare gli acquirenti usavano i loro coloriti linguaggi romaneschi:

 “ Aò! Che ciccia!  Aò! Che onti! “

Ma l’ammirazione più profonda, era, ed è sempre data alle fontane che offrono perennemente una immagine di forza e di perfezione trasfusevi dal Bernini sempre in antagonismo col rivale e pur grande Borromini.

La fontana del Moro, mostra un gigantesco etiopico che lotta con un delfino; quella dei Fiumi che fu dedicata  ai maggiori fiumi allora conosciuti: il Danubio, il Nilo, il Gange e il Rio de la Plata; nella terza fontana primeggia Nettuno dio del mare.

Resta difficile elencare le altre bellissime fontane che non solo come attrattiva coinvolgono la vita del popolo romano, specialmente nel periodo estivo.

 

 Ogni famiglia romana benestante possedeva nell’800 la vigna nel suburbio ove si trasferiva per trascorrere ozi estivi organizzandovi allegre feste campestri nelle famose “ Ottobrate” e nelle altrettanto giulive “Carnevalate” che finivano in interminabili mangiate fra stornellate e ballate di saltarello che è l’allegra danza in coppia al suono di tamburello.

Alcune di queste vigne contornate di produzioni agricole personali diventarono col tempo le belle ville abbellite dai costosi e suggestivi capolavori di pittori e scultori che sono rimasti nella storia e che, ancora oggi, formano le mete ambite di estimatori e turisti.

 

Un esempio è la immensa Villa Corsini, ai piedi del Gianicolo, diventata il magnifico Orto Botanico Comunale di Roma che è dotata di tutte le specie arboree del mondo.

Ospita 7000 varietà di piante e nel 1989, con un imponente restauro, è stata valorizzata al massimo.

Nel progetto vi è il ripristino delle quattro fontane del 700 collegate, per mezzo dell’ombroso viale, alla Serra delle piante xerofile che prosperano nel clima secco, appositamente allestito.

Nella parte alta, confinante col Gianicolo, vi è impiantato l’Arboreum col Belvedere.

Le visite  che si succedono ininterrottamente sono di gente comune e, soprattutto di scolaresche previa prenotazione.

 

Nel Palazzo dei Corsini, invece, visse a lungo la regina Cristina di Svezia  con il suo scudiero e amante che era un Monaldesi e che per gelosia fece poi assassinare in terra di Francia.

La Regina morì nello stesso palazzo nel 1689

 

Del Gianicolo si ricorda Villa Laonte dove fu raggiunto e ucciso Nerone in fuga.

 

Sul Colle Esquilino vi è Palazzo Borgia la cui sottostante via prese il nome di Via  Scellerata dal momento che la figlia di Servio Tullio vi calpestò il corpo del proprio padre col suo cocchio per poterne usurpare il trono.

 

Il Colle Palatino apparteneva alla famiglia Farnese e fu portato in dote dall’ultima erede Elisabetta allorché andò sposa al Re di Spagna Filippo V°, divenendo poi  proprietà dei Borboni quando questi regnarono su Napoli.

Dopo il 1860 l’ultimo Re di questa casata, lo cedette a Napoleone III che, dopo la sua sconfitta subita a Sedan lo rivendette al Governo italiano nel momento che Roma divenne Capitale.

Si deve a Napoleone III se questo sacro colle, ritornò di proprietà romana .

Tantopiù che rappresenta la vera culla di romanità perché in una capanna della sua sommità ,vi nacquero  Romolo e Remo , gemelli abbandonati che , come vuole la leggenda vennero allattati da una lupa.

 

 Altra curiosità storica: le Statue Parlanti, così dette perché rappresentarono il primo mobbing cittadino, mordace e spregiudicato, dovuto all’arguzia di coloro che nottetempo vi affiggevano cartelli satirici in rima o in prosa che alimentavano la morbosa curiosità popolare.

 Di queste statue famose se ne vedono ancora i tronconi che sono: l’Abate  Luigi, Marforio, Madama Lucrezia che a maggio veniva festeggiata con una collana di cipolle e Pasquino, che sembra essere stato un sarto velenoso e molto chiacchierone.

 

La via Labicana  è, invece, l’antica Via latina che attraversava l’Italia dal centro al sud.

 

Altre caratteristiche della Città Eterna sono le Basiliche e le  Piazze con le superbe Fontane.

 

La Barcaccia è la fontana costruita da Pietro Bernini che sta a ricordare l’inondazione fino al Monte Pincio ( Piazza Spagna) che fu uno dei maggiori straripamenti del Tevere che accadevano quando il fiume non aveva ancora i muraglioni.

Un'altra memorabile inondazione fu quella del 1870 che dal Porto di Ripetta allagò fino al Corso Umberto  e fu necessario servirsi di barche per rifornire di vettovaglie dalle finestre a mezzo di ceste e cordicelle, gli abitanti  bloccati ai piani alti dei palazzi della zona.

 

Il Ponte Sublicio sotto l’Aventino è  chiamato anche ponte di Orazio Coclite perché questo eroe attraversò il Tevere a nuoto proprio in quel punto come fece anche la prode fanciulla Clelia che lo attraversò a cavallo per sfuggire al,nemico etrusco Porsenna che la teneva in ostaggio nel suo campo militare nel 507 a.C.

La fanciulla che era andata a chiedere aiuto al Console romano, fu rimandata al nemico, affinché questi, ammirato dal suo coraggio la rendesse libera.

 

Al Lungotevere Raffaello Sanzio  sorge il Centro Bibliografico dell’Ebraismo Italiano ove sono selezionati e catalogati 25000 volumi a mezzo di schede computerizzate  che possono essere consultate dal pubblico che ne fa richiesta.

Il soffitto a cupola, dipinto da Emanuele Luzzati  presenta sottoscritti in ebraico i segni zodiacali ed una rossa pianta d’Italia, situata all’ingresso che puntualizza i luoghi ove le comunità ebraiche hanno lasciato tracce significative.

E’ stato scritto che in ogni libro c'è un po’ della vita di chi lo scrive e lo cura.

In questa enorme biblioteca vi si ritrovano gl’incroci  di vite ebraiche e cristiane italiane di tutti i tempi con l’aggiunta di un settore musicale e di un altro audiovisivo.

Anche la Torah  che è insegnamento e Legge, è evidenziata come fosse scritta sul bianco fuoco del grembo divino con le cui lettere fu creato il mondo.

Una tradizione ebraica che sempre viene tramandata e rispettata è quella di conservare, dietro la porta di ogni casa la Mezuzac che è l’astuccio per il rotolo di pergamena contenente due passi della legge.