Tramonto di un attore

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INDICE:

Tramonto di un attore - La marionetta - La ragazza del treno - L'alieno e il colpo di fulmine
un gatto scopre il mondo
- Viaggio tragicomico


TRAMONTO DI UN ATTORE

I recinti degli animali erano tutti tranquilli. Quella mattina, i sorveglianti, dopo aver distribuito il primo pasto ai loro ospiti, si accinsero a ricevere il furgone che avrebbe scaricato fra non molto un grosso orso che un popolare ed importante circo aveva deciso di mettere a riposo collocandolo presso il loro Zoo.
Era un piccolo zoo che aveva però una discreta rappresentanza di animali, ma un orso vi mancava, non essendosi mai presentata l'occasione di acquistarne uno.
Per questo la bestia era attesa con molta curiosità ed anche con una certa apprensione data la sua mole. Gli uomini che lo dovevano prendere in consegna, sapevano benissimo che gli orsi in genere sono animali difficili da trattare se adulti mentre si lasciano facilmente addomesticare nelle prime settimane di vita.
Quello in arrivo doveva essere molto anziano perchè andava in pensione dopo una vita di Circo. Dovevano tenersi guardinghi ed attendersi qualsiasi reazione dato che entrava in un ambiente nuovo; soprattutto avrebbe dovuto sottostare a nuove regole e a nuovi guardiani. Meglio stare in guardia!
Finalmente il rombo dell'automezzo, di doppia portata si fece sentire e ben presto s'inoltrò lungo il viale d'accesso.
L'intera squadra degli addetti era pronta a riceverlo. Spalancati i portelli posteriori, il bestione si presentò in tutta la sua possanza. Pur vecchio, era un bellissimo esemplare di color mogano e aveva ancora l'andatura baldanzosa.
Quelli che lo accompagnavano gli tolsero le funi che lo avevano protetto dagli scossoni del furgone. Era stato abituato piuttosto libero e quindi lo sospinsero appena di quel tanto che serviva a farlo andare per il verso giusto.
Il proprietario dello Zoo, appassionato di ogni tipo di fauna, era il più ansioso e gli premeva di vederlo sistemato al più presto perchè aveva profuso un bel mucchio di denaro in quell'orso!
Le trattative erano state portate avanti puntando appunto sulla sua docilità. Questo era fondamentale altrimenti gli avrebbero creato grosse difficoltà data la limitata ampiezza dello Zoo che non consentiva grande distanza fra le gabbie. Inoltre non godeva di sovvenzioni governative e l'esiguo prezzo dei biglietti d'ingresso non gli dava dei guadagni elevati.
Per questo voleva evitare che il nuovo ospite creasse confusione invece che divenire un ulteriore richiamo per i visitatori. Questo, era stato il motivo principale che lo aveva spinto ad acquistarlo. Sperava vivamente che la bestia, abituata alla libertà del Circo, si rassegnasse a vivere ingabbiata.
Intanto seguiva le operazioni d'installo dell'orso che caracollava lento, col buffo caratteristico passo. Ma dinanzi all'apertura del gabbione che lo attendeva, si era impuntato e non voleva entrarvi. Col suo vocione sbraitava attirando la curiosità degli altri animali che si erano allineati all'interno degli altri alloggi. Il loro gridìo eccitato e gli odori nuovi che giungevano al suo olfatto lo fecero ancor più innervosire. Indietreggiare però non poteva giacché tutti i guardiani facevano barriera e colui che lo guidava cercava di spingerlo a forza verso quel nuovo alloggio. Quest'ultima imposizione lo portò ad infuriarsi perchè era sempre con dolcezza che gli erano stati insegnati gli esercizi che eseguiva per divertire il suo pubblico.
Erettosi sulle zampe posteriori, emetteva suoni terribili, mostrando com'era brutta e pericolosa la sua collera.
Come rabbonirlo? I vecchi guardiani presero l'iniziativa consultandosi in fretta e decisero il da farsi. Per prima cosa lo fecero rientrare nel furgone che ancora conservava gli odori consueti; nel frattempo sottoposero al Direttore la loro idea.
Essi avevano pensato di ricreare un'arena circense provvisoria per far esibire l'orso com'era sua abitudine. Il piazzale del Giardino Zoologico si sarebbe prestato molto bene perchè era circondato da aiuole piene di fiori come fiorita era l'arena del Circo da cui proveniva. La cosa necessaria però era di approntare, nel più breve tempo possibile, un pubblico allegro e vivace. Solo in questo modo l'orso si sarebbe disteso e rassegnato. Ne erano certissimi!
Il Direttore accettò e si pose subito al telefono e dopo alcuni tentativi a vuoto, riuscì a convincere un suo amico Preside di scuola media ad autorizzare l'uscita fuori orario degli allievi di due classi che, accompagnati dai loro insegnanti avrebbero assistito ad una "lezione dal vivo" molto insolita.
L'esuberante comitiva dopo poco giungeva felice, disponendosi a divertirsi.
Quando l'orso fu fatto nuovamente scendere dall'automezzo, trovò ad attenderlo la stessa atmosfera allegra che al Circo era abituale. Ritornò docile e obbediente e al ritmo di musiche note trasmesse da un registratore, trovato frettolosamente, diede inizio al suo spettacolo. Fortunatamente l'uomo che lo aveva accompagnato conosceva i comandi giusti cosicché il bestione si trovò ben presto a suo completo agio. Lo stratagemma sortì l'effetto desiderato e la piccola folla giovanile che per quell'uscita imprevista era diventata fin troppo euforica, fu prontissima a sottolineare gli sgambetti e gli inchini dell'orso-attore che recitava per loro.
Fu poi lo scroscio finale di applausi che riuscirono a consolare la bestia riluttante che ormai stanca, ma felice, non oppose più resistenza e avviandosi soddisfatta si lasciò condurre al suo nuovo destino.
Nel futuro si sarebbe dovuto accontentare soltanto delle visite curiose che da fuori la gabbia avrebbero assistito alle sue esibizioni... solitarie. Applausi corali non ne avrebbe più ricevuti! Sarebbero solamente tornati nei suoi sogni.
Come ogni attore al tramonto sarebbe vissuto di ricordi sperando ad ogni momento di essere chiamato ancora a recitare.

 

 



LA MARIONETTA

C' era una volta un pezzo di stoffa e non "un pezzo di legno" come inizia il libro di Pinocchio.
La stoffa di colore rosa fu scelta da un artista per creare una marionetta che doveva agire da protagonista in uno spettacolino per bambini che stava preparando. E non fu una scelta a caso perché quel rosa rispecchiava l'incarnato dei bimbi e, il burattinaio, intendeva fare un pupazzo simile al vero. L'uomo che aveva subito il grande dolore di perdere un suo figlioletto, voleva riprodurne le sembianze in quella marionetta e farlo agire come fosse vivo. Lavorando a quella sua creazione si ritrovò spesso con gli occhi pieni di lacrime e non si dava pace per quel piccolo tesoro che aveva perduto. Applicandogli i legacci che gli avrebbero permesso di essere snodabile, presagiva l'ammirazione che avrebbe riscossa da parte dei piccoli spettatori a cui il programma era destinato.
Alla fine, il povero padre, non seppe frenare le lacrime che scesero su quel corpicino imbottito di cotone che aveva costruito con tanto amore.
Come un tocco magico, il pupazzo, assunse proprio quella espressione umana che l'artista aveva perseguita e la rassomiglianza con suo figlio risultò perfetta. I suoi spettacoli per l'infanzia presero l'avvio ed ogni volta che la bella Marionetta entrava in scena riscuoteva un successo strepitoso. La sua recitazione era talmente veritiera che i piccoli spettatori volevano toccarlo per accertarsi che non fosse veramente un bambino in carne e ossa. Il papà burattinaio le dava la sua voce e sembrava che veramente fosse la marionetta a parlare e nessuno immaginava quante fitte al cuore sentiva il povero padre ogni volta che s'immedesimava in quella finzione.
Fu tanta la sofferenza che il povero burattinaio, morì di crepacuore stringendo al petto la marionetta vestita da paggio.
La vasta produzione di marionette fu messa all'asta e andò a ruba e la gara per accaparrarsi il bellissimo paggio fu veramente serrata, ma la vittoria arrise ad una signora collezionista di bambole e pupazzi originali che sborsò per averla un'altissima cifra.
A lei piacque soprattutto l'abbigliamento lussuoso di quella marionetta anche se non aveva mai assistito alle sue recite, perché viaggiava in continuazione, riportando da ogni viaggio una bambola.
Ne aveva riempito una grande vetrina che ricopriva la parete più vasta del suo salone di ricevimento.
Stanca dell'ultimo viaggio, depose il suo ultimo acquisto frettolosamente fra le altre bambole e, ogni tanto, vi gettava uno sguardo distratto.
La marionetta, invece, dal suo posto di osservazione capì di trovarsi in una casa signorile, molto silenziosa e triste come la sua bella padrona che non vedeva mai ridere. Avrebbe voluto recitare per lei e divertirla come aveva fatto in precedenza coi suoi spettatori. Coi suoi compagni di vetrina non aveva stabilito alcun rapporto, preso com'era dalla simpatia per la sua signora.
Fu proprio quando lei decise di riordinare la vetrina che ebbe modo di starle in grembo, godendo delle sue attenzioni. Per mancanza di tempo aveva trascurato di farlo ed ora nello spolverare con garbo la maschera da paggio ebbe un fremito . Sentì d'improvviso che non era una qualunque marionetta . Comprese che l'attrazione istintiva che l'aveva spinta ad acquistarla le era venuta, oltre che dalle sembianze aggraziate e dalla foggia del vestiario, anche dall' espressione che aveva qualcosa di umano. I suoi occhi non avevano la fissità delle altre bambole, ma uno sguardo "consapevole" che la inteneriva. Sembrava che avesse capito il dramma che da anni la tormentava: il non potere avere figli. Proprio questo il motivo principale per cui si era circondata di bambole e questo bel paggio vestito di velluto nero, col bavero di candido merletto , il giustacuore ricamato d'argento , la spavalda piuma bianca sul cappello e le scarpine di vernice con la fibbia d'argento sulle calze di seta, rappresentava il figlio che non aveva mai avuto. Proprio così lo avrebbe voluto! Così pensando , l'amabile signora, destinò alla marionetta un posto d'onore nella sua vetrina in modo da renderlo visibile da qualunque punto del salone. Ne avrebbe avuti consensi da tutti i suoi conoscenti e, lei stessa, prese l'abitudine di andarlo a salutare ogni mattina come spinta da una forza occulta. A volte le sembrava che egli seguisse i suoi movimenti anche quando suonava al pianoforte e che volesse consolarla nei momenti più tristi.
Un giorno che più forte sentì l'infelicità di non essere madre, prese il suo paggio fra le braccia parlandogli come se potesse ascoltarla: Perché non sei veramente mio figlio? Gli occhi del pupazzo sembrarono rispondere al suo appello disperato ed ella captò quanto anch'egli fosse infelice per non avere una madre. Inconsciamente strinse al petto l'orfano immaginario con la stessa tenerezza di una madre vera. "Da questo momento, tu sarai il mio bimbo ed io la tua mamma" sussurrò la signora e sentì placarsi la sua ansia di maternità. La marionetta non poté mai dirle, purtroppo, la sua altrettanto grande felicità.

 


LA RAGAZZA DEL TRENO

Lo scompartimento era stipato e due donne tenevano persino i figli sulle ginocchia. La giovane che sedeva presso il finestrino non poteva passare inosservata poiché con la testa sovrastava tutti gli altri occupanti e i suoi capelli biondo naturale brillavano sotto il raggio di sole che di sbiego la colpiva. Pure il viso ne era illuminato anche se ne era visibile soltanto il profilo giacché si teneva costantemente girata verso l'esterno estraniandosi completamente da ciò che le accadeva intorno.
La visione del paesaggio che le si snodava dinanzi nel procedere del treno, sembrava assorbirla completamente. Nessuno avrebbe immaginato che la sua mente fosse affollata di pensieri niente affatto rosei che mal si addicevano alla sua giovane età.
Persino lo scopo del suo viaggio non era così ameno come avrebbe lasciato presupporre la destinazione di quella linea ferroviaria diretta ad una stazione balneare della riviera,ricercata e affollatissima nella stagione estiva, come dimostrava l'allegria euforica dei compagni di viaggio diretti a godersi il loro periodo di spensierato riposo.
Non così per Lara che provvista di una sola capace sacca sportiva e con
indosso gonna blu e casacca a pois rossi e blu minutissimi, induceva a pensare che fosse diretta a consuete compere mattutine. Il particolare che colpiva del suo abbigliamento era la cravatta rossa a fiocco sul davanti della scollatura che sottolineava la sua giovanile età.
Composta e ferma in quella posizione restava assente dalle banali e frammentate chiacchiere degli occasionali compagni di viaggio, assorbita com'era a guardare il paesaggio fuori del finestrino.
Quella parte d'Italia la incuriosiva veramente perché le era sconosciuta anche se, studiandola  a suo tempo, l'aveva ammirata per il clima e e per la produzione dei suoi magnifici fiori che esportava in tutto il mondo e che rappresentava una cospicua fonte di guadagno per la zona. Si era prefissa più volte di visitarla minuziosamente. Ma non ora!
Nell'attuale circostanza, il suo viaggio sarebbe stato forzatamente breve perché si sarebbe concluso in un tempo determinato e affatto piacevole che non prevedeva svaghi.

Nell'approssimarsi della periferia della città, le siepi e soprattutto i balconi delle abitazioni stavano offrendo al suo animo un intimo godimento per la profusione di sgargianti fiori multicolori che inebriavano l'atmosfera e che la distraevano dai suoi cupi pensieri.
Era il conforto del quale abbisognava la ragazza il quel momento così grave per lei che stava per affrontare una dura prova con esiti incerti.
Si notava che era pervasa da un  evanescente nervosismo che la portava a tamburellare ritmicamente le mani sulla rivista che teneva piegata in grembo, che non aveva neppure aperta.   Il ritmare delle dita sembrava seguire una musica che solo lei sentiva e che le teneva compagnia. Era gradevole guardarla! E, qualcuno, stava ammirando quella piacevole visione  da molto tempo ormai. Difatti, il giovanotto giunto per ultimo in quel vagone, non avendo trovato posto, se ne era rimasto all'impiedi sull'uscio dello scompartimento proprio affascinato da quella figuretta addossata al finestrino.
Avrebbe però voluta vederla in pieno viso e aveva atteso inutilmente che lei si voltasse.

Il tempo era trascorso ed egli era divenuto sempre più impaziente di ammirarla in pieno viso giungendo a pensare persino che fosse sordomuta poiché neppure il frignare di uno dei bimbi era riuscita ad interessarla. Lui, pendolare di quel percorso, non l'aveva mai incontrata prima ed era pieno di curiosità nei suoi riguardi: era forse una studentessa che si recava ad un esame?
Oppure doveva presentarsi ad un lavoro? L'esiguità del suo bagaglio lasciava prevedere proprio un brevissimo viaggio.Ma che serietà perbacco ! Quella era vera apatia! Ed era un nonsenso in una ragazza così bella e giovane.
Possibile che non fosse incuriosita dai compagni di viaggio? Macché, neppure per un istante si era sgranchita da quella posizione.
L'interesse di Marco era diventato esasperante e nel giungere a destinazione stava rimuginando un pretesto per avvicinarla.
Nel frattempo i viaggiatori si stavano preparando all'arrivo, ma non la ragazza.

Egli fu il primo a scuotersi per lasciar passare tutti gli altri, tenendosi a distanza per vederla uscire visto che il treno era giunto al suo capolinea.
Il vagone si era ormai svuotato, ma della fanciulla non c'era traccia.
Quasi automaticamente, Marco si ritrasse verso lo scompartimento ormai vuoto e la vide che con le braccia sollevate che stava per ritirare la sacca dall'alta reticella, ma fu lui che, sveltamente gli prestò aiuto con un sorriso: Se permette faccio io, signorina!
La sicura e gentile voce maschile e le robuste braccia che avevano afferrata la tracolla del suo bagaglio, colsero di sorpresa Lara che, istintivamente, si voltò verso di lui rivelandogli il suo segreto... Lo  sfregio della parte sinistra che deturpava un sì bel volto, rese molto imbarazzato il  giovane che subito mise a fuoco una serie di riflessioni conclusive per le supposizioni fatte in precedenza, rimproverandosi persino la sua irruenza.
Sconcertato si sentì in una posizione d'inferiorità, vergognandosi di averla quasi costretta a mostrarsi e, nel contempo, avvertiva grande commozione per la bella adolescente che doveva convivere con la parte brutta di sé stessa.

Certo che per lei doveva essere molto difficile accettarsi  e, specialmente, superare la curiosità altrui. Si spiegava così l'atteggiamento che aveva tenuto per tutto il viaggio: Meglio tenersi in disparte che dare spiegazioni!
Fu lei a toglierlo d'impaccio sorridendo:  Ringrazio per l'aiuto ... ma ora devo sbrigarmi per giungere in porto.  Poi, ridendo addirittura, volle rettificare la sua frase: Non alludo al Porto di questa città, ma al mio personale giacché mi toglierà da un incubo che dura da tre anni. Vado infatti alla Clinica di chirurgia plastica ove ho prenotato questa operazione, sperando che riesca bene.   

Marco, rincuorato, da tanta positività insistette per tenerle la pesante sacca e insieme scesero dal convoglio incamminandosi verso l'uscita della stazione.
Nel frattempo Lara spiegò come si era sfregiata:

Devo incolpare me stessa giacché ho voluto strafare per migliorare il mio primato nella Corsa a ostacoli e, sbattendo proprio contro uno degli ostacoli mi sono rotta uno zigomo e la sutura fatta d'urgenza per arrestare l'emorragia mi ha lasciata questa cicatrice. Ora spero che la mia faccia torni com'era. Ora però debbo affrettarmi che mi aspettano fra un'ora.
Il giovanotto, incoraggiato dalla serenità di quella bella figliola, si mise a sua disposizione  in quanto residente, era pratico della città e l'avrebbe accompagnata volentieri alla Clinica.
Lara accettò ben volentieri e quello fu l'inizio di una bella amicizia che servì a confortare i suoi giorni di degenza e che permise a entrambi di conoscersi a fondo e di capire che erano fatti l'uno per l'altra.

FINE


L'ALIENO E IL COLPO DI FULMINE

L'alieno inviato sulla Terra per alcune perlustrazioni di routine, incrociò fortuitamente lo sguardo dolce e ingenuo di una fanciulla che, sospirando assorta, guardava il cielo, sognando uno sconosciuto Principe Azzurro. Un solo sguardo e il cuore dell'alieno ebbe un sobbalzo e avvertì sensazioni nuove, mai provate che non riuscì a respingere fino ad essere sollecitato ad inoltrare ai suoi superiori mandatari una insolita richiesta. Voleva restare sulla Terra per sempre pur di non allontanarsi dalla fanciulla che lo aveva ammaliato.
Inutili i tentativi dei suoi comandanti per farlo desistere da quella che consideravano un'assurda richiesta. Come poteva scegliere di vivere in un luogo così tecnicamente arretrato e dove si doveva lavorare con tanta fatica per avere in cambio minimi benefici? La sua preparazione culturale, seppure uguale a quella di ogni alieno, era di gran lunga superiore a quella del più grande scienziato terrestre e gli avrebbe creato , senza dubbio, disagi tali da rendergli sgradito il vivere. Perché non valutare la fortuna di essere nato alieno? Per valutare bene la gravità del passo che stava per compiere gli fu lasciato uno spazio di tempo per riflettervi.
Trascorso il quale, però, l'alieno rinnovò la sua richiesta con molta sicurezza deciso a restare sempre vicino alla bella fanciulla.
I sapienti alieni non conoscevano la leggenda di Cupido e la potenza delle sue frecce e non ne sapeva nulla neppure il giovane extraterrestre che, colpito da quel dardo, si ritrovò perdutamente innamorato.
E per questo Amore, rinunziò all'esistenza perfetta ed appagante per cui era nato, esponendosi impavido, a tutte le conseguenze che la vita da terrestre avrebbe comportato, giacché le sue straordinarie facoltà aliene sarebbero sparite.

 



UN GATTO SCOPRE IL MONDO

Questa è la storia di un gatto pacifico che per lunghi anni era vissuto, pigro e sornione, in una vecchia casa curato e vezzeggiato dalla sua padroncina che lo serviva di tutto punto. Non che lui avesse esigenze straordinarie poiché gli bastava trovare i suoi pasti monotoni e abituali sempre pronti e ugualmente pronta e netta la cassetta per i suoi " ritiri" intimi. Le novità non le aveva mai gradite!

Eh! Si! era una bestiola molto abitudinaria!

Il raggio di sole che filtrava dalla finestra socchiusa lo incuriosiva coi suoi spostamenti che variavano col cambiare delle ore e gli creavano molti conflitti con la sua innata pigrizia poiché,per goderselo, doveva stare all'erta e cambiare di posto.

Un'altra attrazione era la tastiera del pianoforte che, se per caso rimaneva scoperta, diventava il suo punto di riferimento preferito perché passeggiandovi rapidamente, riusciva a comporre "Improvvisi" inediti eccezionale perché le dissonanze diventavano inesplicabili e,invece degli applausi, erano accolti con la sgridata Gli dispiaceva assai che le sue composizioni assordanti fossero mal comprese!

Altre volte impazziva per i gomitoli di lana e anche in quel caso veniva scacciato mentre la sua pallina morbida e colorata poteva rincorrerla per delle ore senza essere disturbato. Aveva imparato a riconoscere la sigla di una certa trasmissione musicale preferita dalla sua signorina e, non appena la udiva, saltava sul grande televisore sdraiandosi beato con l'immobilità di una sfinge, restandovi per la durata del programma. La ragazza era convinta che fosse amante della musica, mentre a lui, invece, conciliava il sonno ed era un modo piacevole di addormentarsi guardando la casa dall'alto e non acciambellato sul suo tappetino.

Trascorreva una esistenza placida e solitaria che lo aveva sempre soddisfatto e si confaceva perfettamente all'egocentrismo gattesco.

Del mondo esterno non conosceva nulla, tranne il volteggiare di strani esseri che guardava, curioso, da dietro i vetri di casa e non avendoli mai annusati non sapeva cosa fossero.

Un certo giorno, si vide circondato da tante persone sconosciute armeggianti per casa che lo sloggiavano da ogni ambiente precludendogli i suoi angoli preferiti. Non vedeva più l'ordine che conosceva e si sentì spaesato.

La casa stava subendo delle trasformazioni perché sarebbe stata ammodernata, anche se al gatto stava bene com'era!

Fra i tanti lavori che si stavano facendo fu aperta una nuova finestra che fece entrare liberamente il sole e quello gli piacque perché finalmente vide tanto cielo azzurro che gli si apriva a un palmo dagli occhi e a cui poteva accedere con facilità e ne fu attirato al punto che continuò a camminargli incontro.

Quel percorso lo aveva attirato e lui inconsciamente andava verso la libertà!

La tentazione fu forte e il cielo lo attirò! Misurò lo spazio...un balzo e via... Ora non camminava più sulle piastrelle abituali lisce e pulite, ma le sue zampe dovettero servirsi delle unghie per tenersi sicuro sulle tegole rosse di un tetto. Ecco perché il cielo gli era tanto vicino!

Sbalordito per quelle novità procuratagli da un breve salto capiva solo di trovarsi in un'altra dimensione che richiedeva coraggio perché guardando verso il basso vide un vuoto spaventoso. In quel mentre sentì la padrona che lo chiamava con voce allarmata: "Fuffo, dove sei finito? Non farmi stare in pena dove ti sei nascosto?" Ci fu in lui un attimo d'indecisione, ristette e riprese la passeggiata insolita.

Era troppo curioso per tornare indietro!

Tutto le novità che vedeva lo interessavano. Decise d'ignorare i richiami che da dolci e persuasivi erano diventavano perentori come ordini...

No! Non avrebbe ceduto e sarebbe rientrato se e quando ne aveva voglia.

Una occasione simile non se la poteva far scappare. Voleva godersi quel grande spazio senza confini e scoprire il mondo!

Se ne stette a gironzolare da un tetto all'altro e scovò pure un sorcetto che non riuscì ad afferrare come non riuscì neppure ad afferrare quelle ali più rapide di lui che gli svolazzavano al disopra.

Fu per il placido gattone una ginnastica inusitata che lo stancò.

Si acciambellò per riposarsi e di addormentò nel fresco pomeridiano come non aveva mai fatto. Dormì per delle ore dimentico di tutto e al risveglio vide l'alba e il sorgere del sole e ne restò affascinato dimenticando tutto il suo passato e adattandosi a quella strana trasformazione che eccitava i suoi atavici istinti di specie solitaria.

Furono ore incantevoli durante le quali non cercò ne il mangiare né il bere appagato solamente dallo spazio nuovo tutto suo.

Si addormentò beato più volte e ad ogni risveglio si sentiva addosso sensazioni diverse: vedeva la diversità della notte e del giorno all'aperto come non gli era mai capitato. Ad un nuovo risveglio notturno, sentì nello stomaco un rimescolio strano che non aveva mai avuto. Si stiracchiò incurvando al massimo il dorso e cominciò a zampettare con cautela su quel percorso sdruccioloso, fortunatamente i suoi occhi erano fatti apposta per ben vedere al buio e con facilità gironzolò di nuovo sui tetti.

La passeggiata aumentò il rimescolio dello stomaco e comprese che il cibo lo avrebbe trovato soltanto nel posto consueto.

Seppure riluttante ritrovò l'orientamento per tornare di dove era venuto e, rifacendo il salto in senso inverso si ritrovò di nuovo nella casa.

La padroncina che lo aspettava ansiosa, dapprima espresse la sua gioia nel rivederlo, e, sperando che la capisse, prese a mortificarlo tacciandolo d'ingratitudine rinfacciandogli persino che per non lasciarlo solo aveva dimenticato pure di come si facesse a viaggiare...

Ma lui non si soffermò ad analizzare i toni diversi di quella voce che non aveva mai sentita adirata in quel modo, l'unica cosa che gi premette in quel momento fu quella di rifocillarsi e, come sempre, trovò pronto il suo pasto estremamente gradito che lo rimise in forze.

Apprezzò il ritrovato calore della casa e per alcuni giorni sembrò aver dimenticata la parentesi di libertà. Però cominciò a comportarsi in modo strano nei confronti dell'alloggio che durante la sua assenza era stato rinnovato.

Gli spostamenti fatti crearono disagio alla bestia che irritandola diede inizio ad una sorta di rappresaglia.

Saltava con dispetto ovunque e faceva danni e in più sporcava dove non doveva avendo trovato anche una cassetta nuova.

Per la padrona di casa era difficile stare dietro a quel gatto dispettoso, non era più il Fuffo docile e educato che aveva preso lattante, cosicché lei stessa non si comportava con lui con la dolcezza e la pazienza di un tempo. sembravano due sconosciuti.

Passò del tempo senza che questo stato d'incomprensione si modificasse finchè un giorno Fuffo non udì aldilà di quella finestra tentatrice il richiamo di una sua simile che però non riusciva a vedere e la tentazione fu fortissima e, con il solito balzo dal davanzale, ancora una volta... via per i tetti.

Incontrò la micetta assai più intraprendente di lui perché randagia e libera che facendole le fusa l'attirò nelle sue grazie e nuovi momenti lo coinvolsero

Talmente che decise di seguirla oltre i tetti.

Essa era randagia avvezza a molte esperienze e abituata sulla strada, sapeva destreggiarsi con molta astuzia. L'ingenuo Fuffo la seguì per ogni dove e, furono giorni pieni di curiosità appagate che non potevano durare perché alcune novità furono umilianti. Vivere vicino alle fogne, ricercare di che nutrirsi negl'immondezzai in mezzo a fetori insopportabili, essere scacciati a pedate dai negozi, scansare i piedi dei frettolosi viandanti ed essere assordati dagli ululati di sirene e affumicati dagli scappatoi delle macchine. Queste cose annichilirono il povero gatto che non vi era abituato facendogli rimpiangere l'alloggio che aveva abbandonato.

Se questo era il mondo meglio ignorarlo. Forse l'inferno era migliore.

La felicità che aveva assaporata era stata breve e ingannevole e, giurò a sé stesso che mai più si sarebbe fatto irretire dal desiderio di libertà.

Capì che la vita da bighellone sarebbe stata gravosa,incapace com'era a procacciarsi il vitto e non era sufficiente la sola libertà per vivere e la vita randagia non si confaceva affatto a lui,gatto di buona famiglia!

Si sentiva sporco e affamato e cercava invano la gattina che era sparita.

Meglio dimenticarla e tornare definitivamente alla vita passata.  

Solo il fiuto lo aiutò a ritrovare la tanta strada percorsa e, risalito finalmente sul tetto, sentì vergogna del suo comportamento.

Quella bravata gli sarebbe stata di monito per tutta la vita!

Aveva fretta di rientrare nelle abitudini del passato che gli assicuravano il pasto e gli davano tanta tranquillità.

Ma vedendolo rientrare in quello stato pietoso, la padroncina fu presa da panico e, prima di farlo mangiare, lo tuffò in una tinozza piena d'acqua e disinfettante mentre chiamava "un uomo con camice bianco" che lo trafisse con un lungo spillone che terrorizzò lo spaurito Fuffo.

Che lo spillone fosse una siringa per vaccinazione, la bestiola non lo sapeva e la prese come una grande punizione.

Da quel giorno il gatto si disse: "Vadano i gatti giovani in giro fra i tetti e nelle strade insicure, io che sono stato sempre dignitoso e serio, ho il dovere di rispettare la mia posizione e i vantaggi che ne ricevo sono superiori a quelli che offre una vita randagia e avventurosa e, anche per questione di carattere, preferisco vivere tranquillo e senza pensieri."

  

                                        



VIAGGIO TRAGICOMICO

Dopo molti tentennamenti, Denise, si convinse di mandare la sua adesione a quel breve viaggio organizzato che aveva come meta una località della Svizzera e soltanto il giorno della partenza conobbe i suoi compagni di viaggio.
Per la verità, durante il percorso in pullman, non fraternizzò con nessuno anche perché si avvide quasi subito che la sua vicina di posto, anziana quanto lei, era dura di orecchio.
Non era certo il caso di iniziare una conversazione serrata perciò il suo interesse si concentrò sul panorama che l'interessò molto essendo, per sua fortuna, il suo posto capitato accanto al finestrino.
Alternò al godimento della natura la lettura del quotidiano che aveva avuto cura di acquistare al momento della partenza e all'annotare sull'agenda qualche appunto sulle località che le passavano davanti, senza prestare troppa attenzione al cicalare dei compagni di viaggio, in maggioranza donne.
Molte di loro non erano nuove a questo tipo di viaggi, quasi tutti finalizzati da sponsor interessati a mostrare e vendere articoli vari. Denise non era affatto disposta a riempirsi la casa di quelle cose inutili che tutti acquistavano per via del buon prezzo, convinti di fare degli affari.
Ella si concentrò quindi alla contemplazione del magnifico panorama che si andava snodando davanti ai suoi occhi, dandole quasi una gioia fisica che la incitava a fissare ogni sensazione con brevi annotazioni. Le avrebbe elaborate in modo corretto dopo le visite prestabilite dal programma.
La curiosità più forte era quella della visita ad uno stabilimento lider nel settore del cioccolato per vedere la lavorazione del suo dolciume preferito che da qualche tempo le era stato proibito dal medico, allarmato dalla sua pressione arteriosa… al rialzo.
Non giovane, Denise era in quella terza età in cui è concesso di condurre una vita quasi passiva, liberata, finalmente, dai molti doveri familiari che non concedono spazio ad una moglie e madre responsabile. A questo stato di subordinazione si era adeguata senza troppi rimpianti, dedicandosi completamente alla casa, al marito e all'unica figlia che, al momento della morte del padre, era già sposata e madre.
Era stato un buon compagno il defunto consorte che l'aveva resa felice e aveva conclusa la sua vita laboriosa d'improvviso, vittima di un infarto.
In breve tempo, la sua vita si era trasformata!
Vedova e sola da circa dieci anni Denise aveva cominciato a frequentare dei Corsi serali di Giornalismo ed aveva avuto la possibilità di vedersi pubblicato qualche articolo. Questo la spronò a continuare e, avendo trovando un suo spazio per esprimersi, si sentì realizzata e non del tutto inutile.
La predisposizione a scrivere l'aveva ereditata dal nonno materno, giornalista affermato e che, durante l'infanzia, aveva dato alla nipote prediletta consigli preziosi.
La brama di conoscenza e l'entusiasmo col quale scriveva la spronavano ad appuntare tutto ciò che la colpiva e nei suoi resoconti si ritrovava la verità e l'immediatezza che percepiva.
La visita allo Stabilimento le riservò delle sorprese, specialmente scoprendo che era situato qualche chilometro fuori città in un antico maniero che incuteva una sorta di timore perché sembrava un fortino, anche se il profumo che si sprigionava intorno lasciava presagire le dolcezze interne.
Nell'entrare, il contrasto fra antico e moderno fu subito evidente.     
Le apparecchiature modernissime di metallo cromato che luccicavano sotto le luci erano possenti e attive in ogni ora del giorno e della notte e con il loro rumore costante mostravano i vari passaggi del cacao, prima di trasformarsi negli svariati tipi di cioccolata da tutti graditi.
Nel visitare i vari padiglioni tutti furono presi dall'euforia, inebriati dall'odore acuto di cacao e vaniglia tanto che quando fu loro offerta la degustazione gratuita di quelle leccornie, ci fu letteralmente l'assalto ai tavoli dove i vassoi erano allineati.
Da quel momento nessuno tenne più conto del tempo e ogni partecipante al viaggio si concentrò soltanto a scegliere e gustare quell'ineffabile ben di Dio.
Denise dimenticò persino la sua ipertensione in agguato.
Non seppe mai quante praline e fondenti e wafer ingoiò, decisa a saltare la cena che avrebbe trovato in albergo.
Ma quando si risvegliò dall'estasi dell'ingordigia, si rese conto, con disappunto, che accanto a lei non c'era più nessuno del suo gruppo.
Piuttosto confusa, girovagò nei padiglioni adiacenti, con la speranza di vedere qualche viso conosciuto, ma invano!
Dei partecipanti al viaggio, non c'era più nessuno!
Solo allora fu presa dal panico cominciando a fare domande concitate per trovare la via dell'uscita, ma non conoscendo altre lingue che l'italiano, nessuno capì ciò che quella signora straniera andava chiedendo. Qualcuno la guardò anche con sospetto e una giovane sorvegliante che avrebbe voluto aiutarla intuendo che si trovava in difficoltà, la prese per la mano quasi fosse al cospetto di una persona inefficiente, sospingendola fino alla porta di un ufficio dove entrò, facendole cenno di aspettare richiudendosi l'uscio alle spalle.
Subito Denise fu avvicinata da un uomo che in un idioma sconosciuto le fece capire che l'avrebbe accompagnata al suo pullman, ripetendone spesso il nome. Questo fu almeno quello che credette di capire Denise che, docilmente lo seguì fino alla strada dove vide l'uomo confabulare concitatamente con il guidatore di un automobile privata che guardava fissamente con una brutta espressione la sua rigonfia borsa da viaggio.
La malcapitata, con una intuizione repentina, fece dietro front, rientrando correndo nello stabilimento mentre gridava concitatamente una delle poche parole inglesi che riuscì a ricordare: help... help.
In un lampo fu circondata da molte persone che la sospinsero verso lo stesso locale ove si era diretta la sorvegliante poco prima : il posto di guardia della fabbrica.
Qui fu più facile farsi capire dopo aver mostrato, al gendarme che la interrogò, la ricevuta di pagamento del viaggio e una copia del programma dove era prenotata l'ora della visita fatta.
Ci volle un po’ prima di chiarire completamente la posizione della signora che era rimasta nello stabilimento mentre i compagni, conclusa la visita erano risaliti nel loro torpedone.
A trarla d'impaccio, giunse la telefonata allarmata della guida del pullman che si era accorta dell'assenza della signora solo al momento del rientro in albergo.
Tenuto conto dell'età e dell'eccitazione causata dalla scorpacciata di cioccolata, dopo tanta astinenza, la golosa Denise, fu riaccompagnata all'albergo ove si ricongiunse alla comitiva e un finale tragicomico fu posto come finale al racconto del suo viaggio in Svizzera.