Vita e fantasia |
|
|
INDICE: Una breve vacanza - Una straniera a Roma - Un giorno perduto |
||
A
poco più di quarant'anni sono diventata nonna. Questo
ha comportato di dovermi occupare di bambini di ogni età e l'ho sempre
fatto con grande disponibilità e con smisurato affetto. Mia
madre mi raccontava che, fin da piccola amavo stare con quelli più
piccini di me e mi piaceva insegnare loro a parlare e a compitare e il mio
desidero era sempre stato quello di fare la "Maestra
giardiniera" come si chiamavano allora le insegnanti di scuola
materna. La
scuola che avevo iniziato allo scopo di conseguire questo diploma non ebbi
modo di portarla a termine perché prima dell'esame e del tirocinio mi
sposai. Però
non fu mai vanificato quanto avevo appreso di pedagogia e di puericultura
e di questo figli e nipoti se ne sono avvantaggiati. Amavo
più di tutto narrare alle giovani anime le favolette morali che lasciano
motivi per meditare sui valori sacri dell'esistenza. Ricordo
con dolcezza le riunioni di festività familiari quando radunavo i piccoli
accanto a me nel grande salotto della nostra casa di origine e, mai sazi
dei miei racconti, restavano rapiti ad ascoltarmi mentre i loro genitori
conversavano o si intrattenevano giocando alle carte o alla tombola. Sono
stati quelli, sempre i miei momenti di felicità perché mi permettevano
di sentirmi come Gesù quando
richiamava i bambini accanto a sé e ognuno reclamava il suo racconto
preferito. Su
questa base , poi si passava al giuoco che consisteva nel tirare a sorte
un titolo inventato sul quale si costruiva una favola nuova e inedita.
Ed erano storie di animali e di fate che
ancora oggi narrano ai loro figli. Se
io davo loro briciole di sapere, essi senza saperlo,mi davano la gioia di
assaporare la purezza dei loro occhi ingenui e sinceri. Ancora
oggi quella generazione che è divenuta adulta e responsabile di famiglie
proprie mi da la soddisfazione di averle saputo inculcare quei
valori che spesso tanta gente ha dimenticato e che, forse, con le mie
favole hanno fatto presa nei loro teneri cuoricini.
|
|
|
LA
CAMPIONESSA
Le otto concorrenti, assorte e tese, gareggiavano quel giorno, per il titolo nazionale che avrebbe permesso alla vincitrice di andare alle Olimpiadi. Il gruppo era formato da atlete non professioniste, ma finaliste di squadre aziendali che dedicavano ogni ora di riposo agli allenamenti. Una delle più brave era Veronica che si distingueva per l'altezza e per la magrezza eccessiva, era tutta nervi e muscoli. Lavorava come segretaria nella Ditta paterna che produceva cartoni da imballaggio ed era lei che ne curava anche la pubblicità. Non potendo disporre di orari regolari, quando si trovava a fare allenamento restava nelle corsie più a lungo delle colleghe e fin da piccolissima si portava dietro il suo bagaglio di speranze che dandole la carica la portavano sempre in testa alla classifiche e di riconoscimenti ne aveva accumulati parecchi. Volenti o nolenti, i componenti della sua famiglia avevano dovuto sottostare al suo desiderio di portare avanti il suo hobby perché voleva raggiungere l'ambito traguardo delle Olimpiadi per fregiarsi del titolo di Campionessa perchè sentiva di potercela fare. Quel giorno si sentiva in gran forma e al via si staccò da terra come per spiccare il volo e, correndo non sentiva neppure il suolo sotto i suoi piedi. Era quasi certa di avere le ali. Oltre la capacità che le veniva dall'altissimo grado di preparazione la giovane in questa gara aveva messo un impegno particolare perché voleva ripagare le attenzioni premurose di Marco suo nuovo allenatore che da pochi mesi era subentrato a quello che la seguiva da molti anni e che si era messo in pensione. Marco aveva subito visto in lei la stoffa della campionessa e seppure bravo e preciso con tutte altre, da Veronica si aspettava grosse soddisfazioni. Soltanto quattro mesi addietro, il padre della ragazza aveva avuto un grave incidente e la giovane aveva dovuto sostituirlo anche nel lavoro manuale oltre che in quello amministrativo e l'allenamento aveva dovuto, giocoforza, subire una battuta d'arresto che aveva rischiato l'addio definitivo dello sport. Rimestare con una pertica, nei grossi calderoni, l'impasto bollente della carta posta a macero e, in seguito, manovrare la pesante pressa e aiutare la confezione delle risme da spedire non era cosa da poco. E lei, per due mesi, aveva tenuto un ritmo frenetico che, fortunatamente era cessato col ritorno in fabbrica del padre. Era ancor più dimagrita in quel periodo, rischiando la depressione. Soltanto l'insistenza e la disponibilità del suo allenatore le aveva fatto ritrovare la forma ideale. Per questo Veronica sentiva per lui molta riconoscenza e ci teneva particolarmente alla vittoria. Ella andava in palestra dopo aver espletato le sue mansioni in fabbrica e avrebbe avuto bisogno di riposo perché non era nelle condizioni ideali per sottoporsi ad ulteriori sforzi e di questo i genitori si dolevano pensando che, la loro figlia, dovesse prendersi più cura di sé stessa. Né lei né il suo allenatore erano d'accordo giacché l'entusiasmo che le attivava l'atletica aveva la forza di galvanizzarla. La fiducia di Marco nelle sue capacità la inorgogliva, spronandola a fare sempre meglio. Anche lui era stato campione del salto ad ostacoli ed era un bell'esempio per le ragazze che erano ligie alla disciplina che aveva imposta. Dal suo canto, egli imparziale con tutte le allieve era orgoglioso dei risultati ottenuti. Però faceva affidamento soprattutto sulle lunghe gambe nervose e agili di Veronica che gli lasciavano prevedere la sua idoneità per la partecipazione ai Campionati Mondiali. Il cuore di Veronica era sgombro da altre passioni oltre quella sportiva e, sempre partecipe nei fidanzamenti e matrimoni di amiche e parentele, ascoltava malvolentieri le esortazioni della madre che l'esortava di lasciare le gare di corsa e correre invece a cercarsi un fidanzato... Intanto i giri della corsa si susseguivano rapidi e perfetti e le atlete, come angeli volanti, tenevano avvinti gli spettatori che tifavano per l'una o per l'altra, ma la maggioranza scandiva il nome di Veronica, la preferita, che sovrastava le altre in altezza, in stile e in velocità. Poche briciole di secondi ancora e... con uno spasmo finale, fu proprio lei a tagliare il traguardo e un'ovazione generale la proclamò vincitrice. Oramai era certa che sarebbe andata alle Olimpiadi! Inebriata e felice la giovane, col fiato grosso, si comprimeva il seno con le mani,incapace di parlare e la commozione la vinse e pianse lacrime di gioia cercando con lo sguardo un'unica persona, colui che in parte, era stato l'artefice della sua vittoria e Marco le fu accanto in un abbraccio di congratulazione, sospingendola dolcemente per sottrarla alla pressione di tutti coloro che l'attorniavano...
La Campionessa, circondata dalla folla che l'acclamava,sudata e accaldata, desiderava farsi la doccia e rimettersi in ordine, ma era sospinta, baciata e toccata come un portafortuna mentre numerosi fotoreporter la riprendevano ridente e sommersa da un gran fascio di fiori. Era sul bordo della scaletta che conduceva agli spogliatoi e fece per scendere, nel momento che un fotografo le chiedeva un ultimo flash. Si voltò accondiscendente e, in quell'attimo di distrazione, mise il piede in fallo e... nessuno fu pronto a sorreggerla mentre precipitava lungo la chiocciola della scala. L'allenatore scese precipitosamente apprestando il primo soccorso, ma l'urlo della infortunata nel rialzarsi l'agghiacciò: Veronica, caduta in malo modo, doveva aver subito un danno serio alla gamba destra dandole un dolore lancinante che le impedì di camminare. Una crisi violenta di pianto sconvolse la povera giovane, incapace di muoversi e che dovette essere ricoverata con urgenza in ospedale. Purtroppo la diagnosi fu infausta poiché bisognava operare il ginocchio e, dopo, far seguire un lungo periodo di riabilitazione. La disperazione di colei che aveva messa tutta l'anima per raggiungere quella vittoria fu commovente perché in un solo istante si era distrutto il suo sogno di gloria. Seguì un lungo periodo dolente e anche noioso durante il quale l'affettuoso Marco le fu vicino consolando la sua pena fisica e morale. La rincuorava dicendo che, senza bisogno di partecipare alle Olimpiadi, il suo meritato titolo di Campionessa lo avrebbe ricevuto se non su di un podio, nello stesso ospedale con tutti gli onori. Quell'incidente non fu del tutto malaugurato giacché indirizzò diversamente il futuro della Campionessa perché il suo cuore cominciò a palpitare per un'altra passione e, stavolta, non sportiva allorché fu certa che il trasporto che sentiva per Marco non era solo di riconoscenza dell'allieva verso il maestro, ma qualcosa di più grande e completo che si stava maturando in quel periodo di degenza ospedaliera. Quotidianamente, infatti, egli le era accanto per confortarla con tante premure e la esortava, soprattutto, a non drammatizzare, accontentandosi del titolo raggiunto e pensando ad un futuro al di fuori dello sport. Poco a poco, Veronica che sembrava refrattaria alle questioni di cuore, presa com'era sempre stata dal lavoro e dagli allenamenti, sentì una emozione nuova impossessarsi del suo essere e il tumulto che avvertiva ogni qualvolta il suo allenatore la guardava con una certa espressione adorante le rese chiaro che quello era l'uomo del suo destino. Cominciò a vedere la vita sotto un altro aspetto e si avvide di desiderare ciò che ogni ragazza ricerca: dividere per sempre la propria vita con un essere che l'ama altrettanto e, lei, era certissima che il suo ruolo di moglie lo avrebbe saputo svolgere con lo stesso trasporto e la stessa puntigliosità che aveva messi nel raggiungere il titolo di campionessa. Per amore di Marco... Campionessa delle mogli voleva essere!
FINE
|
||
L'alba stava per sorgere e i lampioni stradali, rendevano lucente l'asfalto intriso di pioggia. il riflesso, sotto quella luce fioca rendeva scivolosa la strada. Aveva piovuto a dirotto per due giorni e due notti e gli alberi avevano un aspetto desolato e si stavano liberando del loro residuo umido con uno stillicidio continuo che era addirittura piacevole a conclusione della torrida estate. Lo era, infatti, per la giovane che, a passo svelto, stava percorrendo il viale lungo e solitario mentre respirava a pieni polmoni l'aria mattutina impregnata dell'odore di ozono che il temporale aveva sprigionato. Le piaceva quel rettilineo che non le era sconosciuto perché abitava nei pressi, ma non lo frequentava spesso dato che costeggiava la strada ferrata e non c'erano abitazioni né negozi ma un susseguirsi di magazzini che a quell'ora avevano le saracinesche serrate. Vi si riponevano le derrate del vicino mercato e qualche cane ne restava a guardia durante la notte. I lati della strada, in terra battuta erano ricoperti di erba selvatica e ciuffi di malva e di altea sfioriti rappresentavano l'ultimo spazio campestre della città. Era prossima al ponte fluviale che immetteva ad un altro quartiere e l'avrebbe raggiunto fra qualche attimo e subito dopo le prime case le avrebbero portato segni di vita. Non era sua abitudine uscire da sola in ore antelucane, ma quel giorno era stato necessario perché aveva un appuntamento insolito. Si recava a donare sangue per la prima volta, ma era sua volontà continuare a farlo. Se l'età glielo avesse consentito, specialmente, dopo la morte accidentale del fratello maggiore, vittima di un incidente stradale, lo avrebbe già fatto spinta dalla consapevolezza che proprio il difficile reperimento di sangue determinò la fine del fratello.. Il tragico avvenimento aveva fatto nascere in lei un acuto desiderio di compiere questo gesto umanitario, ma non poteva farlo ancora essendo minorenne. Per la verità, non sapeva ancora se il suo sangue fosse idoneo alla donazione perché non aveva fatto gli accertamenti obbligati, ma fra poco anche questo dubbio si sarebbe risolto. Aveva seguito con particolare interesse le Campagne di Solidarietà che i mass media diffondevano continuamente per sollecitare la cittadinanza a collaborare, ma chi aderiva era ancora un numero esiguo di volontari a fronte della richiesta. Da quando aveva raggiunta la maggiore età, ci pensava sempre più spesso, ma non riusciva a convincere sua madre diventata iperprotettiva dopo la disgrazia. Fino a che, due sere prima, un improvviso appello radiofonico, interruppe il programma musicale che stavano ascoltando. Si richiedeva sangue per un ragazzo in condizioni gravissime, la mamma, ripensando al suo sfortunato figlio che non aveva potuto averlo, non si sentì più di ostacolarla. Dopo avuti i ragguagli del caso al numero telefonico indicato, Alina ebbe l'appuntamento. Il suo carattere, gioioso per natura, aveva risentito moltissimo della perdita del fratello al quale era legatissima ed era diventata più riflessiva e meditativa e capiva pure i timori della madre nei suoi riguardi dopo l'accaduto funesto. Non stava molto bene in quei giorni, la mamma, altrimenti l'avrebbe accompagnata. Camminava a passo svelto mentre riassumeva mentalmente gli ultimi anni. Diplomata maestra, era in graduatoria, da oltre due anni per l'assegnazione di un posto e, qualche supplenza saltuaria non le permetteva di guadagnare abbastanza per iscriversi a qualche corso di specializzazione. Per questo già da un anno aveva cominciato a dare ripetizioni a qualche bambino di famiglie conoscenti sia in casa propria che a domicilio. Le sue lezioni si svolgevano durante il pomeriggio e per qualche materia, nel periodo di esami, anche collettive. Ciò comportava un buon risparmio per le famiglie che, soddisfatte dei risultati si affrettavano a passare parola e, Alina, aveva sempre molti allievi. Si scosse dai suoi pensieri, intravedendo già l'insegna luminosa del centro trasfusionale, mentre lo stomaco vuoto faceva sentire il suo richiamo non abituato al digiuno forzato. Una delle abitudini che Alina aveva sempre rispettate era quella di non uscire di casa senza aver fatto colazione, ma, stavolta la consuetudine era stata accantonata. Avrebbe rimediato appena possibile. Aveva cominciato a correre per affrettarsi e un cane da dietro una saracinesca, avvertendo il cambio del passo, cominciò a latrare e, come fosse un richiamo, altri cani risposero creando un frastuono che non accennava a smettere, divenendo sempre più rabbioso perché, forse erano incatenati. Chissà cosa stavano comunicandosi le bestie nel loro linguaggio? Alina ebbe un brivido di spavento e pensò ad una loro probabile sortita.... Se ciò fosse avvenuto come avrebbe potuto salvarsi dall'aggressione canina? Sentiva il cuore batterle in gola.. Ma ecco!... era arrivata. Giunta dinanzi all'ingresso del Centro entrò spavaldamente nel portone spalancato e, da quel momento si sentì pervasa da uno spirito di Donatrice, consapevole di poter avere la possibilità di salvare almeno una vita.
FINE
|
||
Attraverso l'Opuscolo Missionario a cui sono abbonata ho imparato a conoscere la Missione Cumana dell'Eritrea, ma prima di entrare nello specifico è d'uopo rifarne un poco la storia. Bisogna parlare del tradimento compiuto dal Capotribù di Dasè di nome Scirfà che insinuatosi nella comunità cattolica con false dimostrazioni di affetto e simpatia ne carpì i favori e la fiducia. Ma egli, nascostamente si era preventivamente accordato con alcuni sottocapi musulmani, affinché il santone Durnasc che si trovava nel Sudan, fosse richiamato in Ducambia,accanto al villaggio Dasè per invitare tutti i simpatizzanti della Missione a radersi a zero il capo e abbracciare la religione musulmana. Tuttociò avvenne per ordine governativo e fu imposto ai primi del febbraio 1921. La popolazione Cumana, formata da gente semplice e primitiva, impaurita dalle continue vessazioni a cui era fatta segno, aderì in buon numero e iniziarono ad ostacolare il lavoro dei Missionari, la cui Opera era stata accolta inizialmente con molto favore e gratitudine, Trascorsero quindici anni in queste condizioni di contrasto che, per le monache e i frati cappuccini, furono assai difficili e, solo per la loro incrollabile fede continuarono a prodigarsi senza badare alle immense difficoltà. Documentata sulla situazione chiesi al Segretariato dell'Opera Missionaria il permesso di poter andare in visita in quelle terre, garantendo che mi sarei fatta promotrice di una campagna di assistenza che avrebbe aiutato tangibilmente i religiosi e, specialmente i bambini.più poveri e malati. Mi diedi da fare presso associazioni e istituti di beneficenza e, anche con l'aiuto di privati, riuscii a raggranellare denaro, medicinali, indumenti e generi di conforto M'imbarcai con molta emozione e, dopo una ottima traversata, toccai il suolo di quella parte di mondo arida e desolata. Quando giunsi a Ducambia, mi salutò un sole sfolgorante e anche il cielo turchino e limpidissimo parve abbracciarmi. Senza perdere tempo nella contemplazione della natura, a bordo di una "campagnola" di proprietà dell'albergo ove avevo preso alloggio, mi feci condurre al palazzetto delle autorità per avere i permessi e i mezzi pratici per trasportare i "colli" fino alla Missione. Dalle autorità, fui accolta con sommaria cordialità, ma qualche sorriso mi fu indirizzato allorché si evidenziò che gli aiuti erano sostanziosi e di varia natura e, soprattutto, gratis. Si organizzò la Carovana degli imballaggi ben etichettati e riparati dal caldo per non rovinare le derrate alimentari e i medicinali. Vidi da lungi tre modeste costruzioni bianche e affiancate con un recinto sommario e notai che quella centrale un poco più alta era sormontata da una croce, certamente quella era la chiesa. L'apertura del recinto non era così grande da far passare i due automezzi carichi e neppure la campagnola cosicché decisi di scendere da sola, precedendo i i doni. Lo spiazzo disadorno dinanzi alle costruzioni, pure essendo di prima mattina, era già pieno di cumani in attesa: donne con bimbi in braccio soprattutto, ma anche vecchi appoggiati a bastoni e giovani con gli arti fasciati... Mi diressi verso il portoncino già aperto del fabbricato di destra, di sicuro l'infermeria poiché la fila in attesa era la più numerosa e le bende che vedevo denotavano che avevano bisogno di medicature. Il cartello che vidi entrando me lo confermò : difatti vidi scritto AMBULATORIO e non solo in italiano, ma in inglese e in lingua locale.. mentre a lato sopra un semplice arco un'altra scritta portava scritto VACCINAZIONI e la fila in attesa era esclusivamente di ragazzini spauriti che che spalancavano i loro profondi occhi dolenti su tutto e su tutti e, in quel momento specialmente sulla mia persona vestita all'europea. Entrando nell'ambulatorio mi si fecero incontro tre medici in camice bianco una donna e due uomini che salutai a voce essendo le loro mani ricoperte di guanti di lattice. Seppi poi che erano una monaca e due frati che tutti chiamavano Dottori. Altre due suore erano addette alle vaccinazioni Seppure semplici e disadorni, gli ambienti erano puliti e vi aleggiava odore di creolina. I Dottori mi avevano indirizzata alla Chiesa dove avrei trovato il religioso responsabile, il Capo Missionario, dissero. Cosa che feci immediatamente e nel frattempo gli uomini dei camion stavano scaricando contenitori e sacchi che ammucchiarono a un angolo dello spiazzo su di un grande tavolo all'ombra di un albero immenso, avrebbero pensato poi le suore a smistare i bagagli secondo i contenuti. Tutto sommato i missionari avevano fatto del loro meglio per rendere quel luogo abbastanza confortevole e protetto e seppi pure che le stesse costruzioni erano state opera delle suore che impastando mattoni e calcina avevano eretto la chiesa, l'ambulatorio e il loro alloggio. Come
primo colpo d'occhio ne fui contenta. Avevo rimandato autisti e mezzi come pure l'accompagnatore dell'albergo che pregai però di tornare a riprendermi nella tarda serata poichè le suore e i bambini mi volevano dedicare una piccola festicciola di ringraziamento ed io non intendevo disertarla. Semplicità, ordine e disciplina sembrava essere il motto della Missione. Meno ordine trovai nel visitare l'aula scolastica adiacente alla sacrestia della chiesa perché vi s'insegnava di tutto e senza stacco per età: dalla cultura generale all'artigianato, indifferentemente ai maschi e alle bambine per preparare gli adolescenti a qualche futuro lavoro. La dentro si studiava e si lavorava in allegria ed era allegro anche il locale che tinteggiato di azzurro, aveva le pareti ricoperte di stampe di tutto il mondo e quadretti con soggetti vari e gli alunni imparavano facilmente nomi di luoghi, di animali e di piante La piccola suora/ insegnante, artefice di questo metodo didattico, mi disse arrossendo che prima di prendere i voti aveva frequentata una scuola d'arte e poi...amava i bambini ed era, ancora lei, quella che li vaccinava.. La sensazione riportata da quella esauriente giornata in Missione fu di profondo rispetto per l'umiltà che in silenzio e in ombra riesce a produrre cose grandiose e coloro che esplicavano le loro mansioni, scelte e non imposte, rivelavano un senso di cristianità fra i più puri. Nel tardo pomeriggio, capii dal brusio che veniva dalla "scuola che mi si voleva festeggiare a sorpresa come fa la mamma quando prepara i doni della Befana ed io dovevo fingere di non accorgermi di nulla prima dell'evento. Che commozione hanno saputo suscitarmi gli sguardi di quella infanzia povera e abbandonata! Mi stavo informando su tutto poiché nel mio prossimo articolo intendevo informare profani e classe medica su i dati statistici più rilevanti circa l'uso di medicinali più recenti che stentavano ad arrivare in posti remoti come sono le Missioni a causa degli alti costi. Era chiaro che bisognava renderli più contenuti oppure produrli con tariffari diversi ad uso esclusivo del terzo mondo Mi ero premurata di portare un forte quantitativo di disinfettante intestinale perché laggiù il colera è sempre in agguato e fui contenta aggiornarmi sulla recente statistica a proposito di questo farmaco che, sperimentato durante l'ultima epidemia di dissenteria era stato in grado di curare tutti alla perfezione e rapidamente e non vi era stato neppure un decesso. Constatai con sorpresa che quasi tutti i frequentatori della Missione parlassero e comprendessero molte lingue e molti dialetti europei e mi fu facile la spiegazione dato che i Missionari vi si alternano per periodi più o meno lunghi e ognuno di essi porta il suo modo di parlare che, specialmente i giovani apprendono e fanno proprio. Al tramonto, dopo la funzione religiosa con un breve discorso del Capo Missionario, giunse l'ora del "Ricevimento" e fui introdotta nell'aula scolastica che si presentava in un modo completamente diverso da come l'avevo vista al mattino perché era diventata un bellissimo teatrino. Due tavoli sovrapposti ricoperti con un telo rosso fungevano da palcoscenico, due lenzuoli increspati da sipario e appesi tutt'intorno una quantità di lampioncini cinesi rendevano una visione fiabesca. intanto i bambini di ogni età intonavano le loro canzoncine. Commossa, mi unii al coro finale distribuendo a tutti caramelle e biscottini. In tutta coscienza mi sento di dire che quando si familiarizza senza remore e preconcetti ci si dimentica del colore della pelle e si capisce quanto sia effimero il contrasto razziale che l'umanità ha ovunque le stesse necessità e i medesimi sentimenti Persino quella minuscola comunità ha saputo donarmi quel calore umano di simpatia e di comunicativa che, a volte, è difficile trovare in un consanguineo e quando la semplicità e la schiettezza si esprimono d'impulso si capisce che siamo tutti uguali.. L'oscurità caduta d'improvviso mi spinse ad accomiatarmi e salii nella campagnola che nel frattempo era venuta a prelevarmi Mentre mi allontanavo mi voltai ancora una volta e,la Missione che si allontanava dal mio sguardo, mi rimandò, come un ultimo saluto, il tremolio luccicante della Croce illuminata in mio onore.
FINE
|
||
La
conoscevo appena nonostante fossimo dirimpettaie con la differenza che lei
abitava un piano più alto in modo che poteva vedere entro il tinello
della nostra abitazione dove si svolgeva buona parte della nostra vita
familiare e per maggiore visibilità, tenevamo la finestra sempre
spalancata. FINE
|
||
L'operato
di uno zelante poliziotto è alla base di questo racconto. FINE
|
||
L'aria fresca e frizzante mi dava un brivido eppure piacevole dopo l'afa asfissiante dei giorni precedenti. Mi aggiustai sulle spalle, con la mano, il leggero scialle traforato che avevo sferruzzato durante quei giorni mentre con l'altra nano mi richiudevo dietro il portoncino del villino cercando di non fare troppo rumore. Dovevo raggiungere mio marito che in macchina ai stava aspettando sul viale oltre il cancello. Per
sbrigarmi avevo infilato un abito leggero, forse troppo leggero, ma
non credevo facesse così
fresco; oramai dovevo rassegnarmi, la valigia
era già nel
portabagagli ed anche volendo non avrei più potuto cambiarmi. Ero
infreddolita e di cattivo umore perché ritenevo che si poteva benissimo
partire in un 'ora più comoda, ma le decisioni di mio marito sono irrevocabili.
La notte non avevo potuto prendere
sonno perché disturbata da un vento violento
e afoso di scirocco che scatenatosi come una furia sembrava voler
schiantare gli alberi del piccolo giardino intorno alla casa. resistere alle sferzate e pur grondanti acqua erano ancora in piedi. In
quel momento di depressione pensai che l'estate poteva dirsi finita, eppure
i girasoli, i gerani, le canne indiche e i campanelli non erano ancora
sbocciati anche se le loro
corolle turgide sembravano prossime a schiudersi; ora,senza
sole, col vento furioso che si era aggiunto all'acqua che per quattro
notti consecutive l'avevano intrisi, rischiavano di marcire prima di
aprirsi. Sarebbe stato un vero peccato! Preferii non ribattere e, mentre partivamo rapidamente, chiusi il vetro dalla mia parte e, rannicchiandomi tutta, cercai di riscaldarmi un poco. Avevamo avuta la sfortuna di scontrarci con un tempo pessimo che alternava continuamente pioggia, vento e afa tanto da costringerci ad interrompere il soggiorno presso nostra figlia dopo una sola settimana, Quella era una temperatura più autunnale che estiva e il mare non avevamo potuto goderlo affatto giacché la spiaggia era impraticabile. Per me questo problema non esisteva che, anzi, non avendo l'obbligo della vita di spiaggia, potevo dedicarmi esclusivamente ai nipotini. Avevo fatto così per tutta la settimana di maltempo e, se fossi dovuta restare ancora,avrei continuato nello stesso modo. Amo molto il mare, finché resta una distesa azzurra, calma e solitaria e pur quando si trasforma in mostro infuriato scosso da marosi, ma solo per ammirarne la maestosità. Ma l'essere costretta a dividere la spiaggia con una moltitudine di bagnanti nudi, sudati, schiamazzanti e invadenti, m'innervosisce al punto di arrivare ad odiarlo unitamente alla sabbia che ti arriva da tutte le parti. Molto meglio godere in riposo l'aria marina dal vasto capanno eretto a mo' di "tucul" africano al centro del grande giardino che circonda la villetta a due piani bianca e ridente. Veramente distensivo, starsene a conversare con parenti e amici seduti sui tronchetti di legno all'intorno del grande tavolo di quercia e respirando il caratteristico odore di abeti e pitosfori, che l'attorniano come in un abbraccio protettivo riparando anche dagli sguardi estranei. Il periodo dedicato a questa vacanza era, quasi sempre, di una ventina di giorni estivi, ma questa volta il clima non propizio ci cacciava anzitempo. Me ne dispiacevo parecchio pensando alle cose che avevo in mente di fare e che mi ero programmata da tempo. Innanzitutto godermi mia figlia e i suoi due piccoli figli che in città non avevo modo di vedere spesso e poi avevo dei lavori a maglia per loro da concludere che mi sarebbe stato più agevole compiere con i bambini accanto. Difatti i piccoli mi erano sempre vicini mentre lavoravo perché,nel contempo, li tenevo buoni raccontando favole e storie che divertivano anche i loro amichetti che via via ingrossavano il gruppo. Tutti i bambini erano contenti della parentesi di pioggia giacché si erano già stancati dei troppi bagni e dei giochi con la sabbia che duravano oramai da circa due mesi. In quella settimana con la nonna, avevano riscoperto favole e indovinelli, giochi da tavolo e merendine. Eh già! Le merendine! Questa nonna che qualcuno prendeva in giro per l'importanza che dava alle cose infantili perché non disdegnava di unirsi ai loro passatempi, anzi, ne inventava sempre di nuovi per tenerli buoni, allegri e contenti. Così, per le merendine, appunto! Ogni giorno le mie modeste imprese dolciarie, riscuotevano applausi non solo dei nipoti, ma anche da bimbi nuovi ...assaggiatori prima e, poi, abituali frequentatori del nostro giardino poiché l'odore di vaniglia e cannella che usavo, uniti a quello delle fresche bibite con la menta del prato, attiravano pure quei piccoli che invece del sole della spiaggia preferivano dirottare verso il profumo del nostro capanno. Ed io, lì, a preparare vassoi di tortelli e frittelle che li rendevano felici specie quelli che avevano contribuito alla cerca di pinoli ed erbette profumate nel bosco accanto. In quei giorni è sembrato più d'essere in montagna che al mare seppure giungeva fino a noi il suo rumoreggiare. Ed era proprio questo ad amareggiare il nonno, fanatico del nuoto e della elioterapia e che non sapeva occupare il tempo altro che nella lettura dei quotidiani, diventando nervosissimo per la forzata inattività. L'alzataccia mattutina era derivata dalla fretta di ritornarsene in città vista la inutilità, per lui, di rimanere colà se non poteva stare sulla spiaggia e tutti quei ragazzini nel capanno, lo infastidivano e non condivideva affatto il mio benessere. Ed eccoci così in viaggio verso Roma.
Prima di svoltare l'angolo del vialetto gettai un ultimo sguardo verso le serrande abbassate a proteggere il sonno di coloro che restavano e che avevamo trascorso una notte insonne per il fragore del temporale, unito al dispiacere del nostro distacco. Solo adesso,forse, dormivano sodo pertanto ci eravamo salutati la sera prima ed eravamo usciti senza far troppo rumore. Mi accomodai ancora meglio nel sedile rovesciando il capo sulla spalliera, lasciando vagare i pensieri che tornarono alla sera precedente e rividi tutti noi attorno al tavolo del tinello per una cena che fu più lunga del solito per mitigare il disappunto dei bambini nell'apprendere che i nonni erano decisi a partire. Il maschietto avrebbe voluto addirittura venire con noi e si calmò soltanto alla promessa che saremmo ritornati al più presto, mentre fuori tuoni e lampi si susseguivano incessantemente. Con un sospiro deviai le mie fantasticherie verso il lavoro che mi aspettava una volta giunta a casa:- chissà se anche sul nostro terrazzo la pioggia aveva fatto danni? E seppure avessi sistemato ben le mie piante, chissà se vento e pioggia fossero arrivati fino a loro. Ve ne erano alcune sul punto di sbocciare forse, il ritorno improvviso mi avrebbe permesso di godermi queste fioriture. Giungemmo al passaggio a livello nel momento stesso che si stavano lentamente abbassando le sbarre e la brusca frenata del nervoso mio autista fece spegnere il motore della macchina costringendoci ad una pausa di attesa un pò più lunga. Ciò contribuì ad innescare altri rimbrotti maritali: "Te lo avevo detto che bisognava partire prima...anche il treno ci mancava!" Interloquii, cercando di calmare la sua insofferenza: "Stai calmo, non ti agitare per ogni cosa... tanto se partivamo prima, avremmo incontrato un altro treno ché questa è una linea molto frequentata!" Ma l'effetto pacificatore che speravo non avvenne e lui ricominciò: "Non è tanto per il treno, ma per il motore che si è spento . Tu non sai - perché non puoi saperlo - cosa significa per un motore, fermarsi di colpo poco dopo avviato! Specialmente dopo essere stato fermo per giorni sotto l'acqua di questa settimana infernale! Benzina e olio ... un disastro." Era vero che non sapevo nulla di motori e le sue parole mi fecero balenare la visione di una casseruola dove benzina e olio si frullavano insieme all'acqua piovana. Fu solo un attimo, ma mi diede un brivido come accadeva ogni volta che le parole allarmanti di mio marito mi causavano angoscia e facevano il vuoto nel mio cervello disperdendo le idee sensate che spesso contiene. Mi feci forza per rasserenarmi e presi a scherzare: "Ma quale disastro paventi se la macchina, dal momento che siamo entrati in villa è rimasta al riparo della tettoia ben coperta dal suo tendone? Non fare l'esagerato! "Di' piuttosto, che sei infuriato contro il tempo che ti ha impedito di mostrare il tuo torso nudo insieme alla valentìa delle tue esibizioni nell'acqua da offrire all'ammirazione delle belle sirene. Va là, che ci tieni a far vedere che sei ancora un bell'uomo e l'ammirazione ti piace!" "Che c'entra l'ammirazione delle donne, adesso? Tu non hai mai voluto credere che se amo prendere il sole è perché mi asciuga le ossa e sudando mi libero degli acidi." Preferii non parlare più e mi posi ad osservare la campagna che stavamo percorrendo che era la vecchia Maremma, forse più vicina alla Tuscia che alla Toscana che ora l'asfalto aveva divisa, formando il rettilineo che sfocia nella rotatoria del bivio per l'antico paese di Tarquinia. Noi, in senso inverso,provenivamo dal Lido di Tarquinia, moderno e confortevole. Non finivo di bearmi nella contemplazione di campi coltivati da ambedue i lati e, aldilà dei recinti spinati, frotte di contadini raccoglievano frutta e verdure,riempiendone ceste da portare ai mercati. Mi chiesi da quante mai generazioni quegli alberi fossero stati piantati! L'aria fresca sottolineava che il tempo sarebbe rimasto incerto e noi infilammo l'autostrada che si snoda ancora fra vigne e frutteti stalle e case coloniche. Improvvisamente il sole squarciò le nubi e un globo, rosso e infuocato, sfolgorò sopra di noi. Mi venne da ridere perché lo trovai comico come quello che disegnano i bambini delle scuole materne, mentre mio marito lo salutò con rabbia: "Adesso vieni? Non potevi farlo ieri?" Per un fenomeno ottico l'astro si scisse in due rifrangendosi sui cristalli chiusi della nostra auto ed il " secondo sole" prese a corrermi a fianco per un lungo tratto. Sembrava un pallone lanciato senza meta e col suo colore così acceso appariva come una stonatura nell'atmosfera ancora evanescente. Fu così per qualche chilometro ancora, fino a che il colore dei due soli si stemperò in un grigio incerto, segno ancora di pioggia. Me ne rammaricai per quelli che avevamo lasciato al mare e che dovevano ancora starsene riparati. Che brutta stagione incerta e poco calda! Si era ai primi di agosto e di giornate chiare e serene se ne erano viste pochine e, con l'ora legale, il tempo era di un'ora più giovane e ciò spiegava il motivo dell'aria così pungente. Era semplicemente il sorgere dell'alba in aperta campagna che per i cittadini, rappresenta sempre una novità. Guardavo davanti,osservando come la monotonia del percorso venisse interrotta dalla siepe spartitraffico colma di variopinti oleandri che suggerivano l'estate e non era possibile credere che la bella stagione fosse finita sul nascere. Vedevamo adesso venirci incontro la corona ondulata dei Monti della Tolfa con le bianche cave di allume che sorpassammo in breve e, subito dopo c'immettemmo nella breve Galleria Principe e i miei pensieri si confusero nel suo buio per tornare a godere nuove visioni naturali all'avvicinarsi del semicerchio di luce che ne decretava l'uscita. Ebbi netta l'impressione di ammirare un quadro perfetto: sfondo celeste con uno spicchio di cielo più azzurro, una collinetta, una casa , due alberelli al disopra di un fossato. Un vero splendore! E che tonalità indovinate ha la natura! Pensai a mia sorella pittrice, avrebbe dovuto vederli quei colori: qualche tonalità di verde,il grigio-azzurro del cielo, il rosa della casa...con poche, sapienti pennellate li avrebbe ricreati all'istante. Usciti dalla Galleria ritrovai il rettilineo degli oleandri e pensai che pur sembrando abbandonati a sé stessi erano sempre belli e rigogliosi e non sembravano soffrire per l'inquinamento atmosferico che stava dilagando. Da dove traevano tanta vitalità ? La natura è pur sempre generosa e vitale e ci sa donare cose meravigliose. Uno stormo improvviso di uccelli distrasse le mie riflessioni. Li vedevo volteggiare felici quasi a gareggiare in velocità con noi in un giuoco pericoloso di alte e basse impennate come volessero sfidarci col rischio di sfracellarsi su di noi. Continuarono per un bel tratto poi, stanchi, decisero di riposarsi su di un filo telegrafico seguendo il conduttore dello stormo che lo aveva fatto per primo. Voltandomi li vidi allineati che guardavano dalla nostra parte a mo' di saluto. Adesso il paesaggio stava cambiando e monti e colline restavano alle nostre spalle mostrandoci in lontananza il Porto di Civitavecchia disseminato di velieri. Questa evanescente visione marina ci allietò per alcuni chilometri e la linea dell'orizzonte si confuse sempre più fra mare e cielo.. A velocità sostenuta passammo fra due file di serre trasparenti che sotto il sole, finalmente liberato dalle nubi, luccicavano come lastre d'argento. Attorno, campi di terra fertile, mostrava le arature già eseguite per poter ricevere le nuove sementi; nei campi a pascolo le greggi brucavano fra allegri richiami che mi ricordarono un vecchio detto: "correre come pecore pazze" e quelle, dopo tanta pioggia, sembravano veramente ebbre di sole e di libertà. Allo svincolo di Cerveteri c'immettemmo nella magnifica via Aurelia che conduce direttamente a Roma. Istintivamente mormorai: "Che bella giornata oggi!" Inaspettato, udii il rabbioso commento del mio compagno: "Se fosse stata così ieri, ora non saremmo quì!" Aveva ragione. Ma, anche lui avrebbe dovuto essere un poco più paziente e aspettarsi il ritorno del sole. C'era ancora la speranza di ricominciare la vacanza, questo volta, forse, un pò più lunga perché l'estate doveva ancora venire.
FINE
|
||
Mi
chiamo Helga Harwey ed ho 24 anni; sono nata a Monaco di Baviera. FINE
|
||
Pregustavo già la prossima domenica perché avevo deciso di recarmi a visitare la Mostra di un nuovo vivaio floreale ove pensavo di acquistare delle piantine da mettere a dimora. Il destino però aveva disposto diversamente poiché quella mattina, ancora immersa nel sonno, un prolungato squillo di citofono mi spinse ad alzarmi precipitosamente e buttato sulla camicia da notte il poncho che avevo a portata di mano, risposi a quel richiamo importuno, Ma nessuno rispose al mio - "chi é"- assonnato. Il brusco risveglio, mi aveva dato un tuffo al cuore e non ricevendo alcuna risposta mi sentii molto irritata e d'impeto aprii la porta d'ingresso per vedere se per caso l'ignoto suonatore di citofono non stesse già salendo in ascensore Non feci neppure in tempo ad oltrepassare la soglia che un colpo di vento mi chiuse la porta alle spalle.Rimasi di stucco! E adesso cosa fare? Seminuda, irritata, e un pò sudata, chiamai l'ascensore per scendere dal portiere che, forse, sarebbe stato capace di aprire la mia porta. Giunta alla guardiola, situata al centro del cortile condominiale la trovai sprangata fu un altro colpo impensato che mi offuscò la mente. Non ricordai che era domenica e che lui non abitava neppure nel palazzo cosicché presi a camminare convulsamente, senza una direzione precisa. Ormai vagavo come un automa senza rendermi conto di nulla, stringendomi con le mai il poncho che riusciva a ricoprire a metà la mia camicia di batista ricamata.Anche i piedi con le leggere pantofole era intirizziti. Non mi chiesi neppure ove fossi ché la zona mi era sconosciuta e avevo già sorpassati parecchi incroci di strade deserte. Chissà che ora era ? Sicuramente ero nella parte dove stavano sorgendo dei villini non tutti ancora abitati e questo pensiero m'impaurì causandomi un ulteriore shock. Stavolta il sudore che mi ricoprì fu di vera paura. Stavo rasentando un muretto dove mi appoggiai presa da vertigine e visti alcuni scalini li salii inconsciamente e caddi riversa. Mi risvegliai mentre un donnone mi stava rialzando a fatica mentre apriva un portoncino in cima agli scalini. Volli dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalla mia gola. Questo non scompose la robusta figura che mi stava aiutando che, aperta la porta chiese l'aiuto di qualcuno che era nell'interno. Ora erano quattro le mani che si prodigavano attorno a me, che mi liberarono dell'ingombrante poncho e mi adagiarono su di un basso divano appoggiato a una parete disadorna di fronte ad un'altra parete con due armadi pensili appesi. L'ambiente squallido non mi forniva indicazioni di dov'ero e non riuscivo a far capire che una sete tremenda mi torturava perché non riuscivo a parlare ne a muovere un dito. La paralisi che mi aveva colpita, mi aveva trasformata in un oggetto inanimato e non sapevo dove fossi, mi sentivo la bocca storta e i nervi tesi e non potevo comunicare in alcun modo quasi ipnotizzata dalla lampadina avvitata al filo elettrico che dal centro del soffitto mi pendeva sul capo. Quella luce fioca rendeva ancor più miserevole l'ambiente. Possibile che nessuno prendesse l'iniziativa di chiamare un medico? In un attimo di lucidità mi resi conto di quanto fragile sia l'essere umano e come da un istante all'altro possa perdere l'autonomia. La piccola donna che mi era accanto, fu pronta a togliersi il camice mentre quella che mi aveva soccorsa per prima rientrava con un camice identico e un fascio di carte in mano. La giovane le si rivolse dicendo di sentirsi stanchissima e, avendo terminato il turno, se ne sarebbe andata e uscì nel pronunziare l'ultima parola. Subito dopo dalla stessa porta giunse un uomo coi baffi che indossava un' uniforme che dopo aver bisbigliato qualcosa al donnone, vuotò un una piccola sporta in un pensile dell' altra parete, da dove prelevò un termos il cui contenuto bevve dopo averlo versato in un bicchiere di carta che gettò poi in un cestino accanto. Prima di andarsene, mi si avvicinò guardandomi dubbioso e facendo un gesto sibillino. Forse mi aveva presa per un'ubriaca. La donna continuando a leggere le sue carte, mi teneva d'occhio e dopo un pò uscì dalla stanza e mi giunse il rumore di uno sciacquone che acuì la mia sete. Appena rientrata, dalla porta esterna entrò un uomo, alto e imponente con un giubbotto di pelle che mi guardò con sorpresa, informandosi su di me, ma anche lui non ebbe risposta alla sua curiosità e, dopo aver mangiata una banana che aveva presa da uno degli armadi, se ne tornò via con molta fretta.. Poco dopo la porta d'ingresso si riaprì per fare entrare un distinto signore, vestito di scuro, che posata una borsa, mi si avvicino e, capii finalmente, che un medico si stava prendendo cura di me. L'uomo rapidamente mi sentì il polso, mi auscultò il cuore e prese ad alzarmi braccia e gambe che ricaddero inerti, mentre lui ad ogni prova prendeva appunti su di un taccuino. Fu un sollievo allorché mi aprì la bocca e ordinò al donnone dell'acqua che mi versò egli stesso in gola e che feci fatica a ingoiare. Sentii subito un guizzo interno che mi rigenerò immediatamente.. Forse non era trascorso molto tempo dal mio ritrovamento anche se a me era parso un secolo! Intanto il medico armeggiò con una siringa e dell'alcool e m'iniettò qualcosa che mi causò un formicolio nelle gambe e nelle braccia e mi spinse a muovere un braccio. Ciò fece sorridere il dottore che con questa mia involontaria reazione comprese in che stato fossi e prese provvedimenti urgenti rivolgendosi al donnone in attesa che uscì immediatamente.. Quando rientrò fece col capo un cenno affermativo verso il medico. Compresi poco dopo il significato di quell'assenso perché giunse un 'ambulanza che rapidamente mi carico e mi condusse in un nosocomio dove riuscii a far capire con la mano che volevo scrivere. E, sorretta da una infermiera, potei tracciare sul foglio fornitomi il numero di telefono di mia sorella che giunse appena chiamata e non si dava pace per quanto mi era accaduto Ma il medico ospedaliero fu in grado di dirle che un grave stato di shock, specialmente in una persona in età, può essere micidiale e, nelle migliori delle ipotesi provocare reazioni imprevedibili e quindi l'accaduto era spiegabilissimo. La paralisi che mi aveva colpita, si sarebbe risolta in breve, anche se la parola l'avrei gradatamente, sarebbe stato sufficiente il riposo a letto e una cura di aerosol per decongestionare le corde vocali atrofizzate dal raffreddamento prolungato dopo la sudata della notte. Mi potevo considerare fortunata per essere capitata in una minuscola postazione di ristoro per i volontari che giravano notte e giorno per aiutare, diseredati e barboni, L'unica cosa che non riuscii a far coincidere coi miei confusi ricordi fu la data perché quel preciso giorno l'ho proprio perduto, cancellato completamente.
|