10 agosto 1960
Il grande
giorno è arrivato. Munita di due grosse valigie ed una
valigetta che contiene la lastra toracica richiesta dalla dogana
americana, esco di casa, mi giro un attimo per imprimere ben
bene il portico incorniciato di rose rosse, mi chino per
accarezzare Chicco il gatto e salgo in macchina con i miei
genitori e mio fratello che mi accompagnano a Basilea per
prendere il treno. Non so come mi sento; è la prima volta che
parto da sola. Prevarrà la nostalgia o il gusto del nuovo,
dell’avventura?
A Basilea
rimane poco tempo per gli addii: incontriamo il gruppo svizzero
e saliamo sul treno per Rotterdam in Olanda. Il dado è tratto -
da adesso tutto sarà sconosciuto.
19 agosto
Quante cose
possono vedere due occhi in poco tempo? Negli ultimi giorni i
miei non si sono mai fermati. Appena scesi dal treno a Rotterdam
mi colpiscono quei buffi cartelli pubblicitari che sembrano
scritti in un tedesco sbagliato. Ma no, siamo in Olanda e
sbagliata sono io. Per un po’ vedo solo il selciato del grande
piazzale davanti alla stazione. La nostra organizzazione, l’AFS,
veglia su di noi come Mamma e Papà, ma perché non ci aiutate a
portare le nostre valigie? Sembriamo dei forzati con la lingua
di fuori e manca poco che lecchiamo le strade olandesi.
Finalmente il pullman che ci accompagna all’immenso porto di
Rotterdam. Acqua c’è ne tanta, ma del mare neanche l’ombra.
Ah già, questo porto non si trova sul mare. La nostra nave, la
“Seven Seas” mi sembra maestosa nel suo candore e solo più
tardi saprò che è un transatlantico piccolo e anche vecchio.
Dopo le formalità mi viene assegnata una cabina; siamo in sei
con tre letti a castello e senza oblò ma sopra il mio letto si
trova il bocchettone dell’aria che mi fa sentire una
privilegiata, specialmente dopo il primo giorno quando una
nostra compagna soffre di mal di mare. Divertimenti a bordo ce
ne sono pochi, all’unico bar servono acqua, Coca Cola e
aranciata. La piscina mi interessa molto, ma il tempo olandese
non permette spogliarelli. Nel pomeriggio la nave viene trainata
verso il canale che conduce al mare. Affascinata guardo i famosi
mulini e le fattorie così diverse dalle nostre. Non vedo
l’ora di arrivare al mare, ma quando è il momento mi perdo
l’ultimo lembo dell’Europa perché siamo a tavola e
consumiamo il primo dei tanti ottimi ed opulenti pasti. La
mattina, dopo la pioggia del giorno precedente, ci accoglie uno
splendido sole che si riflette sulle bianchissime “falaises”,
le rocce della costa inglese. Ci fermiamo a Southhampton
per prendere a bordo il resto dei ragazzi europei. Siamo
novecento coetanei e si sentono tante lingue diverse. Ancora non
siamo un gruppo omogeneo ed ognuno cerca i propri connazionali.
In lontananza vediamo scomparire l’Inghilterra, e adesso sono
parecchi giorni che esiste solo il mare ed il cielo. Non si
vedono molti ragazzi sui ponti, il mal di mare ha fatto tante
vittime, ma la mia compagna di Berna ed io siamo forti, anche se
talvolta dobbiamo fare più di un tentativo per andare
all’interno. C’è un certo odore un po’ ovunque, ma alla
fine vince sempre la prospettiva di avere anche le porzioni di
dolce dei malati.
Oggi
sono preoccupata, vedo il personale fissare poltrone e sedie al
pavimento, infilare grosse corde nei corrimani. Che sta
succedendo? E’ una giornata afosa, manca la brezza, e malgrado
la piscina sia riempita della gelida acqua dell’Atlantico mi
faccio svariati bagni. Finalmente uno steward mi informa che sta
arrivando un uragano di nome Cleo. Deglutisco a vuoto e penso
alle mie solide montagne svizzere.
21 agosto
L’uragano ci
ha appena sfiorati perché la nave ha fatto un giro largo
ritardando il nostro arrivo a New York di un giorno.
Stamattina mi sono alzata alle cinque, era ancora buio, ma per
niente al mondo avrei voluto perdermi la vista della “Terra
promessa”. Il caldo era insopportabile e l’acqua della
piscina, appena pompata dal mare, era marrone ed oleosa e per
niente invitante. Alle sei avvistiamo Staten Island dove una
volta gli immigrati dovettero attendere il loro ingresso negli
USA. Più tardi nella foschia si delinea la statua della libertà.
Vedo salire a bordo il pilota che ci condurrà nel porto, ed ha
inizio anche la quarantena che durerà due ore. Provo a
sistemare le formalità doganali, ma solo a mezzogiorno riesco
finalmente a scendere a terra. Raccolgo i miei bagagli e mi
avvio verso l’uscita. Un doganiere mi dice qualcosa che non
capisco ... se questo è inglese, mi hanno insegnato una lingua
diversa. Per fortuna il linguaggio dei gesti è universale; apro
le mie valigie per l’ispezione e quindi salgo a bordo del
pullman che ci porterà nel cuore di Manhattan negli uffici
dell’AFS.
Qui vengo accolta dalla famiglia che mi ospiterà. Sono
frastornata da tante cose nuove, faccio fatica a capire questo
inglese tanto diverso da quello scolastico. Mi sento così
piccola in mezzo ai grattacieli e non mi dispiace quando saliamo
su una macchina che sembra un autobus ed usciamo dal mare di
cemento. In meno di due ore raggiungiamo la cittadina di Easton
in Pennsylvania che sarà casa mia per quasi un anno. Davanti ad
una graziosa villetta in pietra con uno striscione enorme di
benvenuto ci fermiamo e subito vengo abbracciata da un sacco di
gente. Mi ci vorrà del tempo per conoscere tutti.
Sono in piedi da venti ore e non vedo l’ora di inaugurare il
mio bel letto. Buona notte Mamma, buona notte Papà.
25 agosto
Ho conosciuto
i nonni di Judy, la mia sorella americana, e sto familiarizzando
con Easton e dintorni. E’ una tipica cittadina americana di
circa 40.000 abitanti in mezzo a dolci e verdi colline. Io abito
in un quartiere con tutte villette unifamiliari, circondate da
piccoli giardini. Una della prime cose che ho imparato è che
nessuno usa mai la porta di casa, tutti entrano dalla porta che
si apre sulla cucina. Che la porta principale serva solo a
reggere il numero civico?
Mai
avrei pensato di essere una persona importante, ma ieri è
venuto un giornalista per intervistarmi ed anche un fotografo.
Oggi mi hanno intervistato per telefono. Sul giornale di oggi
c’è un lungo articolo con fotografie su di me. Vorrei proprio
sapere come ho fatto a raccontare tutte queste cose con quel
poco di inglese che so.......
Che grande onore - stasera sono stata presentata alla città in
un grande parco. Il sindaco mi ha dato la chiave d’oro di
Easton. C’era tanta gente ed io mi vergognavo un po’. (Sotto
sotto mi gonfiavo come un gallo cedrone!)
8 settembre
Altre
interviste, altre incomprensioni linguistiche, bagni in piscina,
picnic e concerti - il tempo passa in fretta. Non c’è molto
spazio per la nostalgia anche se a volte vorrei avere una
bacchetta magica. La famiglia è molto gentile tranne la mia
nuova sorella; non ci capiamo.
Oggi è il mio primo giorno di scuola. Frequento l’ultimo anno
di “High School”, paragonabile al liceo. L’edificio è un
enorme quadrato di tre piani e per seguire le lezioni bisogna
raggiungere l’aula del professore, il quale invece non si
muove mai. Considerando che abbiamo quattro minuti a
disposizione tra una lezione e l’altra c’è un caos
indescrivibile nei corridoi. La giornata comunque inizia sempre
nella stessa maniera. Tutti fanno il giuramento alla bandiera
americana e quindi dicono il padre nostro.
Di norma abbiamo tutti i giorni le stesse materie. Per me hanno
scelto inglese e letteratura americana, problemi di democrazia
che è una specie di iniziazione alla politica - all’inizio
era un mio incubo, ma con il tempo ho fatto la stessa cosa che
ho visto fare molti parlamentari: dormire!
Anche la storia americana,
la biologia e lo spagnolo fanno parte del mio programma.
Inoltre c’è una lezione sulla sicurezza del traffico (in
teoria potrei prendere la patente durante l’anno, ma la mia
organizzazione non me lo permette) e infine la ginnastica.
Musica e sport vengono inseriti fuori dalle ore scolastiche.
Tutti sono molto gentili con me, ma faccio tanta fatica a
capirli. I professori si comportano come tutti gli insegnanti
del mondo: minacciano prove e compiti in classe. Sarò mai in
grado a seguire le lezioni?
14
settembre
Incredibile -
già è passato quasi un mese dal mio arrivo. Ho ancora qualche
problema linguistico, a scuola “zoppico” in alcune materie,
soprattutto in storia. Ma perché il professor Mathews, che fa
anche l’allenatore della squadra di football, non consuma le
sue energie e le sue cattiverie con lo sport? E’ mai possibile
che ci debba tartassare tutte le sante mattine con i suoi test e
farci snocciolare in ordine cronologico tutti i presidenti degli
Stati Uniti con i fatti più salienti della loro presidenza? Se
non avessi il mio angelo custode nella persona dell’assistente
didattico che mi aiuta a capire i testi inglesi, giuro che
diventerei un mozzo su qualche mercantile diretto in Europa.
La mia vita si è normalizzata dopo il chiasso iniziale. I
giornalisti hanno trovato cose più interessanti, i miei
compagni di scuola si sono abituati a parlare lentamente quando
si rivolgono a me e in famiglia mi trovo abbastanza bene.
Ho
ancora qualche difficoltà con alcune abitudini americane:
quando mi sveglio la mattina alle sette, il mio povero naso deve
fare i conti con l’odore di pancetta e uova fritte - la prima
colazione del mio papà americano. Io non riesco a prendere
altro che un bicchiere di latte. Per pranzo la mamma prepara un
tramezzino con burro di arachidi e marmellata e mi da 10 cents
per una confezione di latte. Abbiamo solo venti minuti di tempo
per il pranzo, ma quel panino risulta sempre poco. Si cena alle
sei, e la mamma è una brava cuoca. Mi metto a tavola con una
fame da lupi, ma a quanto pare le buone maniere vietano di
ripulire il piatto, bisogna sempre lasciare un bell’avanzo
(che io guardo con occhi famelici). Uno dei primi sabati ero
sola a casa all’ora di pranzo e spinto dalla fame ho mangiato
ben sei hot dogs (panino con wurstel). Un’altra cosa nuova per
me è il fatto che si taglia tutta la carne insieme e poi si
posa il coltello e la mano disoccupata deve sparire sotto il
tavolo. Altri lidi - altri usi.
30
settembre
Scuola, sempre
scuola: voti, compiti, studio. Sono a 6000 km da casa mia, ma
certe cose non cambiano. Il mio inglese sta facendo progressi,
ora capisco perfino la televisione.
Ho stretto qualche amicizia a scuola e anche con dei vicini di
casa. La famiglia Reganis mi invita spesse. Il dottor Reganis è
un chirurgo, e mia ha liberato da una brutta infezione al piede.
Hanno due bambine deliziose alle quali faccio occasionalmente da
babysitter.
A scuola sono iniziate tutte le attività sportive: football,
pallacanestro, lotta libera, hockey, baseball e spesso vanno in
trasferta. In questo modo vedo tanti posti nuovi. Io faccio
parte della squadra femminile di pallacanestro con un’ora di
allenamenti al giorno. In più sono membro del coro che spesso
prova la mattina presto. Abbiamo anche una banda musicale ed
un’orchestra. Non manca il teatro. I ragazzi americani sono
instancabili.
9 ottobre
L’altra sera
sono stata invitata ad una cena dagli svizzeri della nostra città.
E’ stato molto formale con discorsi vari e alla fine mi hanno
presentato una grandissima torta che, come ospite d’onore, ho
dovuto tagliare. Che
strano, non sono quasi più riuscita a parlare tedesco.
Che dolore! Due amiche mi hanno fatto fare una passeggiata a
cavallo. Siamo andate al pascolo a prendere i cavalli e li
abbiamo cavalcati senza sella fino alle stalle. Quindi abbiamo
girato per la campagna. Non so se riuscirò mai più a camminare
e stare seduta.
26 ottobre
Davvero non mi
annoio mai; quasi quasi non ho più tempo per dormire. La scuola
mi impegna tanto, anche se l’inglese non mi crea più
problemi; i compiti non mancano mai e spesso devo studiare di
notte perché sono una specie di invitata permanente ad incontri
di insegnanti, studenti, società varie. Molte famiglie mi
invitano a cena. Non sempre mi diverto, ma anche questo fa parte
del mio compito: imparare la vita americana e raccontare come si
vive nel mio paese.
Se solo non fossi stata così stupida a raccontare che suonavo
il pianoforte - hanno trovato subito una insegnante che mi carica di compiti
anche lei - “mi raccomando, devi esercitarti almeno un’ora
al giorno”. Dove lo trovo il tempo?
Ieri siamo andati a New York con la nostra classe. Finalmente ho
potuto ammirare i grattacieli. La mattina ci hanno portato alla
borsa di New York a Wall Street. Sinceramente mi sembrava una
gabbia di matti. Come fanno a capire qualcosa se tutti urlano e
gesticolano?. Il giro in battello intorno a Manhattan nel pomeriggio è stato molto più interessante.
Stamattina siamo ancora assonnati in classe quando veniamo
avvisati che a mezzogiorno il candidato alla vicepresidenza
degli USA verrà a visitare la nostra scuola. Ho pensato ad uno
scherzo, ma puntualmente a mezzogiorno sono arrivate sette
immense macchine con Henry Cabot-Lodge in piedi. Non si sono
fermate però e ci siamo dovuti accontentare del suo sorriso ed
il benevolo saluto con la mano. E’ il mio primo impatto con la
campagna elettorale che adesso si fa rovente. Chi sarà il
prossimo presidente: Nixon o Kennedy?
9 novembre
Kennedy sarà
il nuovo presidente. La mia famiglia non è contenta perché
avrebbe preferito Nixon.
Da un po’ di tempo ho tanta nostalgia. Vorrei tornare a casa.
Sono tanta stanca e mi sento sola. Sarà anche bello essere
sempre al centro dell’attenzione, ma in questo modo non si
trovano amici. Non ho nessuno che mi presta una spalla per
piangere. Quanto mi mancano i miei genitori e mio fratello!
La mia insegnante di pianoforte si è arresa: non si può
insegnare ad un asino a cantare, se questo non ci prova neppure,
ma ho trovato il modo di ragliare - mi hanno dato un
violoncello! Nei prossimi giorni lo riconsegnerò prima che
qualcuno mi picchia. E’ stupefacente quanto rumore si può
fare con poche corde tese.
24 novembre
La mia
tristezza è passata, o forse non ho avuto il tempo per
coltivarla. Sono stata invitata dalla signora Edwards, il mio
angelo custode dei primi tempi a scuola, per una gita a
Philadelphia. Mi ha mostrato tutti gli edifici storici e mi ha
portato a pranzo in un grandissimo negozio. Non ho mai visto
niente del genere. Già ci sono tutte le decorazioni natalizie.
A scuola me la cavo abbastanza bene. Quasi tutti i giorni c’è
qualcosa di nuovo e gli inviti continuano. Sono persino andata a
ballare.
Ieri invece ho avuto una grandissima sorpresa. Dopo la scuola
tutti gli alunni e i prof si sono riuniti nella palestra per la
preparazione della partita di football del giorno di
Thanksgiving (giorno di ringraziamento). Ha suonato la banda, le
majorettes hanno sfilato e le “cheerleaders” hanno incitato
i tifosi. Al termine sento chiamare il mio nome. Due capitani
della squadra mi vengono a prelevare e mi portano in mezzo alla
squadra (si può diventare più rosso di un peperone?) dove mi
fanno sedere su un trono, mi mettono una corona di penne in
testa, un immenso crisantemo giallo con la W blu (l’emblema
della scuola) viene attaccato al mio cappotto, e invece dello
scettro mi regalano un braccialetto. Sono diventata la loro
principessa indiana.
Stamattina sono andata allo stadio già alle sette. La partita
è iniziata alle dieci e la nostra squadra di guerrieri ha
vinto. Nella marcia trionfale per le vie della città non potevo
mancare e , scortata da due indiani, ho festeggiato, orgogliosa,
con la mia corona di penne in testa.
La sera di Thanksgiving si cena con il tradizionale tacchino -
che è più bello da vedere che non da mangiare. Per chiudere la
giornata in bellezza sono stata invitata al ballo della
vittoria. Be, i cavalieri non mi sono mancati, come si conviene
ad una principessa...
12 dicembre
Qualche giorno
fa sono stata al mio primo ballo in abito da sera e il mio
cavaliere mi ha mandato un’orchidea da portare con un elastico
al polso. Altro che principessa, mi sono sentita una regina!
Adesso abbiamo allenamenti duri per la pallacanestro. Tra poco
inizieranno le partite. Anche il coro prova quasi tutti i giorni
e già abbiamo cantato in alcune chiese. Ieri dovevamo andare
fuori città per un concerto, ma la neve che cade
incessantemente ci ha fermati.
Oggi è tutto bloccato, la neve è alta mezzo metro e la
temperatura 15 gradi sotto zero. La scuola è chiusa e io mi
sono divertita a spalare la neve intorno alla casa. Mi è
servito anche per riscaldarmi, stamattina ho trovato un bel
mucchietto di neve nella mia stanza: la finestra non chiude
bene, e a volte
devo mettere i vestiti sul letto per non morire di freddo.
Le strade sono state pulite, lungo i marciapiedi i cumuli di
neve sembrano colline e la scuola ha riaperto i battenti. I miei
professori mi hanno fatto un bellissimo regalo di Natale: una
telefonata ai miei genitori in Svizzera. Ieri pomeriggio ho
chiamato l’operatore per prenotare la chiamata. Non è tanto
facile fare una telefonata intercontinentale; bisogna avvisare
con 24 ore di anticipo. Per essere sicuri che tutto fili liscio
viene avvertito anche il ricevente.
La mia famiglia è andata fuori città per tutta la giornata,
così stamattina la mia prof d’inglese mi ha accompagnata in
chiesa, poi mi ha offerto il pranzo a casa sua e alle 15.00
siamo venute a casa. Che emozione quando squilla il telefono e
l’operatore mi chiede se sono pronta! Al mio si sento la voce
di papà e le lacrime non si fermano più. Poi papà mi passa
mio fratello e per ultima mamma. Ride quando sente il mio strano
tedesco, non ricordo quasi più la mia lingua!. Cinque minuti
passano troppo in fretta e quando l’operatore ci interrompe mi
sveglio bruscamente da un bellissimo sogno. Per fortuna c’è
la mia prof che mi impedisce di piangere per il resto della
giornata.
27 dicembre
Natale in
America - pensavo che Natale si festeggiasse ovunque uguale, ma
mi sono resa conto che anche qui vale il detto: paese che vai,
usanze che trovi. E’ pur vero che gli ultimi giorni non sono
stati i più felici per me. La nostalgia ha preso il sopravvento
ed il mio umore è più nero del carbone. Sono stata poco
gentile con la mia famiglia e mi vergogno.
Negli ultimi giorni sono arrivati tanti regali dalla Svizzera,
non sol per me ma anche per la famiglia. Li ho messi tutti sotto
l’albero che troneggia con le sue luci artificiali nel
salotto. Mi mancano tanto le candele che usiamo a casa mia e
tutta l’atmosfera festosa, ma anche intima che ha
caratterizzato tutti i Natali della mia vita. Qui è tutta una
corsa all’acquisto ed è normale che si regala anche lo
scontrino insieme al pacchetto. L’unica cosa veramente bella
è il girare per le vie del quartiere con il coro e cantare le
vecchie canzoni di Natale. Dovunque ci sono addobbi più o meno
vistosi, dagli alberi illuminati alle slitte con le renne che
sembrano semafori impazziti.
La sera della vigilia non è stata altro che uno scambio molto
prosaico di regali con l’immancabile commento: “se non ti
piace puoi cambiarlo, l’ho comprato in tale negozio e l’ho
pagato tot.” Nessuno ha pensato a cantare, a parlare del
significato di questa festa. Ho ricevuto tanti regali e mi sento
ingrata per non gioire. Anch’io ha fatto dei pensierini, ma
con i 14 dollari al mese che sono la mia paghetta stabilita
dall’organizzazione e pagata dai miei genitori, non ho potuto
fare grandi cose.
Il giorno di Natale è passato con la messa e nel pomeriggio con
l’incontro tra amici per ammirare i regali.
8 gennaio
Le feste sono
passate tra balli, inviti, passeggiate e perfino una gita in
montagna per pattinare su un lago ghiacciato, un posto
incantevole in mezzo a un bosco innevato. L’ultimo
dell’anno l’ho passato a fare da babysitter a due bambine.
Siamo tornati tutti a scuola e la squadra di basket è in piena
attività, purtroppo siamo, per il momento, un branco di
perdenti.
Da oggi devo assolvere ad un compito legato alla mia borsa di
studio: parlare in pubblico del mio paese e delle mie
esperienze. Lo sapevo e lo temevo, ma tutti i miei tentativi di
preparare un discorso sono falliti ed eccomi qui a improvvisare!
Dal pulpito di una chiesa, davanti a mille occhi puntati su di
me vinco la paura e “sparo” le mie parole per più di
un’ora. A giudicare dall’applauso il pubblico non si era
addormentato.
20 gennaio
Sono stata a
Harrisburg, la capitale della Pennsylvania, con la scuola e ho
avuto l’onore di parlare con il governatore, ma anche questo
non mi ha salvato dai tanti compiti che mi attendevano al
ritorno. Siamo in zona fine semestre ed i prof si sono
scatenati. Non mi posso lamentare di noia: tra studio, discorsi
in pubblico e partite di palla canestro, persino il sonno
diventa un optional.
L’altro ieri ha incominciato a nevicare. La mattina ho trovato
un mucchietto di neve nella mia stanza, entrato dalla finestra
che chiude male.
Da ieri hanno chiuso la scuola - evviva, così mi riposo -
almeno così pensavo, ma Mom mi ha portato una pala e mi ha
ordinato di pulire il marciapiede. Non sarebbe un problema se la
nostra casa non fosse all’angolo tra due strade. Mugugnando mi
sono messa al lavoro
mentre la mia “sorella” si crogiolava sul divano.
La scuola è chiusa anche oggi, e anche stamattina sono di turno
come spalatrice. A mezzogiorno guardo l’insediamento del nuovo
presidente, J.F.Kennedy. Chissà che presidente sarà. Tra
qualche anno lo sapremo.
28 gennaio
Che giornata!
La nostra classe ha fatto una gita a New York. La prima tappa ci
ha portato al museo di arte moderna: che impressione vedere gli
originali di quadri che conoscevo solo come stampe!. Salvador
Dalì non rientra nei miei preferiti, ma l’emozione che
suscitano i suoi dipinti è straordinaria.
Dopo un rapido spuntino andiamo a teatro per assistere al
musical “my fair lady”. Siamo talmente entusiasti che
all’uscita ci perdiamo nei meandri della metropolitana. Solo
un tassista pronto a caricare sette ragazzi smarriti ci salva
dal mancare il prossimo spettacolo. Andiamo alla Metropolitan
Opera. “L’Elisir d’Amore” di Donizetti ci avvolge con le
sue dolci note e accende in me una gioia immensa. Come epilogo
della giornata una passeggiata a Broadway con le sue mille
luci ed il ritorno in pullman a casa.
Fine
della prima puntata.
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