Archivio torna a racconti

Diario  
di Annemarie Lenz

prima puntata
seconda puntata

Man mano che passano gli anni, la maggior parte di noi inizia a vivere di ricordi. Sarà che abbiamo infilato le pantofole e cerchiamo di campare di “rendita”. Le avventure appartengono ai nostri figli, i grandi eventi non abbattono più la nostra porta. Ed è qui che ho capito l’importanza di scrivere un diario quando la nostra vita è ancora in piena evoluzione. Purtroppo pochi lo fanno e quando invecchiano hanno dei ricordi ricchi ma confusi. Quante volte diciamo: avrò avuto dieci o undici anni..., sarà stato nell’estate 60 o 61... Non riusciamo a dare un ordine cronologico alla nostra vita e molte piccole e grandi cose vengono offuscate da imprecisioni e dimenticanze. Quanto avrei voluto che mia madre avesse scritto le sue memorie; era una narratrice favolosa ed aveva tante cose da dire, ma con la sua morte mi sono rimaste solo le briciole della sua fantastica giovinezza.
Una sola volta ho tenuto un diario, e seguendo quelle parole voglio rituffarmi nell’evento che ha travolto e cambiato la mia vita.
Ero stata una bambina felice nella mia sonnacchiosa città di Berna in Svizzera. I miei genitori erano sì severi ma davano a mio fratello ed a me tanto affetto. C’era un tempo per studiare, un tempo per aiutare nei lavori domestici, e c’era la gioia del gioco in piena libertà  con i bambini del nostro quartiere. Il sistema scolastico prevedeva a quell’epoca quattro anni di elementare e cinque anni di scuola secondaria, e quindi tre anni di scuola superiore. Poco dopo Pasqua del 1959 iniziai il mio primo anno superiore. Tutto faceva pensare che avrei fatto un tranquillo diploma, avrei quindi o lavorato o continuato a studiare, ma un giorno la nostra insegnante di inglese ci portò la notizia di una possibile borsa di studio della durata di un anno negli Stati Uniti. Con l’entusiasmo e l’innocenza che solo un adolescente può avere, portai la novità a casa. Mamma che in quel momento stava pulendo i vetri non ebbe più bisogno d’acqua: con le sue - premature - lacrime avrebbe pulito un grattacielo. Papà, invece, da uomo di grandi vedute mi incoraggiò  subito e così feci la domanda. Ci vollero mesi di esami, colloqui, visite mediche e tempi di lunga attesa prima di avere la conferma che ero tra i cinque fortunati della mia città, tra i 1800 diciassettenni di tutto il mondo che in agosto del 1960 si imbarcarono per l’America.


 

10 agosto 1960

Il grande giorno è arrivato. Munita di due grosse valigie ed una valigetta che contiene la lastra toracica richiesta dalla dogana americana, esco di casa, mi giro un attimo per imprimere ben bene il portico incorniciato di rose rosse, mi chino per accarezzare Chicco il gatto e salgo in macchina con i miei genitori e mio fratello che mi accompagnano a Basilea per prendere il treno. Non so come mi sento; è la prima volta che parto da sola. Prevarrà la nostalgia o il gusto del nuovo, dell’avventura?
A Basilea rimane poco tempo per gli addii: incontriamo il gruppo svizzero e saliamo sul treno per Rotterdam in Olanda. Il dado è tratto - da adesso tutto sarà sconosciuto.

19 agosto

Quante cose possono vedere due occhi in poco tempo? Negli ultimi giorni i miei non si sono mai fermati. Appena scesi dal treno a Rotterdam mi colpiscono quei buffi cartelli pubblicitari che sembrano scritti in un tedesco sbagliato. Ma no, siamo in Olanda e sbagliata sono io. Per un po’ vedo solo il selciato del grande piazzale davanti alla stazione. La nostra organizzazione, l’AFS, veglia su di noi come Mamma e Papà, ma perché non ci aiutate a portare le nostre valigie? Sembriamo dei forzati con la lingua di fuori e manca poco che lecchiamo le strade olandesi. Finalmente il pullman che ci accompagna all’immenso porto di Rotterdam. Acqua c’è ne tanta, ma del mare neanche l’ombra. Ah già, questo porto non si trova sul mare. La nostra nave, la “Seven Seas” mi sembra maestosa nel suo candore e solo più tardi saprò che è un transatlantico piccolo e anche vecchio.
Dopo le formalità mi viene assegnata una cabina; siamo in sei con tre letti a castello e senza oblò ma sopra il mio letto si trova il bocchettone dell’aria che mi fa sentire una privilegiata, specialmente dopo il primo giorno quando una nostra compagna soffre di mal di mare. Divertimenti a bordo ce ne sono pochi, all’unico bar servono acqua, Coca Cola e aranciata. La piscina mi interessa molto, ma il tempo olandese non permette spogliarelli. Nel pomeriggio la nave viene trainata verso il canale che conduce al mare. Affascinata guardo i famosi mulini e le fattorie così diverse dalle nostre. Non vedo l’ora di arrivare al mare, ma quando è il momento mi perdo l’ultimo lembo dell’Europa perché siamo a tavola e consumiamo il primo dei tanti ottimi ed opulenti pasti. La mattina, dopo la pioggia del giorno precedente, ci accoglie uno splendido sole che si riflette sulle bianchissime “falaises”, le rocce della costa inglese. Ci fermiamo a Southhampton  per prendere a bordo il resto dei ragazzi europei. Siamo novecento coetanei e si sentono tante lingue diverse. Ancora non siamo un gruppo omogeneo ed ognuno cerca i propri connazionali.
In lontananza vediamo scomparire l’Inghilterra, e adesso sono parecchi giorni che esiste solo il mare ed il cielo. Non si vedono molti ragazzi sui ponti, il mal di mare ha fatto tante vittime, ma la mia compagna di Berna ed io siamo forti, anche se talvolta dobbiamo fare più di un tentativo per andare all’interno. C’è un certo odore un po’ ovunque, ma alla fine vince sempre la prospettiva di avere anche le porzioni di dolce dei malati.
Oggi sono preoccupata, vedo il personale fissare poltrone e sedie al pavimento, infilare grosse corde nei corrimani. Che sta succedendo? E’ una giornata afosa, manca la brezza, e malgrado la piscina sia riempita della gelida acqua dell’Atlantico mi faccio svariati bagni. Finalmente uno steward mi informa che sta arrivando un uragano di nome Cleo. Deglutisco a vuoto e penso alle mie solide montagne svizzere.

21 agosto

L’uragano ci ha appena sfiorati perché la nave ha fatto un giro largo ritardando il nostro arrivo a New York di un giorno.
Stamattina mi sono alzata alle cinque, era ancora buio, ma per niente al mondo avrei voluto perdermi la vista della “Terra promessa”. Il caldo era insopportabile e l’acqua della piscina, appena pompata dal mare, era marrone ed oleosa e per niente invitante. Alle sei avvistiamo Staten Island dove una volta gli immigrati dovettero attendere il loro ingresso negli USA. Più tardi nella foschia si delinea la statua della libertà. Vedo salire a bordo il pilota che ci condurrà nel porto, ed ha inizio anche la quarantena che durerà due ore. Provo a sistemare le formalità doganali, ma solo a mezzogiorno riesco finalmente a scendere a terra. Raccolgo i miei bagagli e mi avvio verso l’uscita. Un doganiere mi dice qualcosa che non capisco ... se questo è inglese, mi hanno insegnato una lingua diversa. Per fortuna il linguaggio dei gesti è universale; apro le mie valigie per l’ispezione e quindi salgo a bordo del pullman che ci porterà nel cuore di Manhattan negli uffici dell’AFS.
Qui vengo accolta dalla famiglia che mi ospiterà. Sono frastornata da tante cose nuove, faccio fatica a capire questo inglese tanto diverso da quello scolastico. Mi sento così piccola in mezzo ai grattacieli e non mi dispiace quando saliamo su una macchina che sembra un autobus ed usciamo dal mare di cemento. In meno di due ore raggiungiamo la cittadina di Easton in Pennsylvania che sarà casa mia per quasi un anno. Davanti ad una graziosa villetta in pietra con uno striscione enorme di benvenuto ci fermiamo e subito vengo abbracciata da un sacco di gente. Mi ci vorrà del tempo per conoscere tutti.
Sono in piedi da venti ore e non vedo l’ora di inaugurare il mio bel letto. Buona notte Mamma, buona notte Papà.

25 agosto

Ho conosciuto i nonni di Judy, la mia sorella americana, e sto familiarizzando con Easton e dintorni. E’ una tipica cittadina americana di circa 40.000 abitanti in mezzo a dolci e verdi colline. Io abito in un quartiere con tutte villette unifamiliari, circondate da piccoli giardini. Una della prime cose che ho imparato è che nessuno usa mai la porta di casa, tutti entrano dalla porta che si apre sulla cucina. Che la porta principale serva solo a reggere il numero civico?
Mai avrei pensato di essere una persona importante, ma ieri è venuto un giornalista per intervistarmi ed anche un fotografo. Oggi mi hanno intervistato per telefono. Sul giornale di oggi c’è un lungo articolo con fotografie su di me. Vorrei proprio sapere come ho fatto a raccontare tutte queste cose con quel poco di inglese che so.......
Che grande onore - stasera sono stata presentata alla città in un grande parco. Il sindaco mi ha dato la chiave d’oro di Easton. C’era tanta gente ed io mi vergognavo un po’. (Sotto sotto mi gonfiavo come un gallo cedrone!)

8 settembre

Altre interviste, altre incomprensioni linguistiche, bagni in piscina, picnic e concerti - il tempo passa in fretta. Non c’è molto spazio per la nostalgia anche se a volte vorrei avere una bacchetta magica. La famiglia è molto gentile tranne la mia nuova sorella; non ci capiamo.
Oggi è il mio primo giorno di scuola. Frequento l’ultimo anno di “High School”, paragonabile al liceo. L’edificio è un enorme quadrato di tre piani e per seguire le lezioni bisogna raggiungere l’aula del professore, il quale invece non si muove mai. Considerando che abbiamo quattro minuti a disposizione tra una lezione e l’altra c’è un caos indescrivibile nei corridoi. La giornata comunque inizia sempre nella stessa maniera. Tutti fanno il giuramento alla bandiera americana e quindi dicono il padre nostro.
Di norma abbiamo tutti i giorni le stesse materie. Per me hanno scelto inglese e letteratura americana, problemi di democrazia che è una specie di iniziazione alla politica - all’inizio era un mio incubo, ma con il tempo ho fatto la stessa cosa che ho visto fare molti parlamentari: dormire!
Anche la storia americana,  la biologia e lo spagnolo fanno parte del mio programma. Inoltre c’è una lezione sulla sicurezza del traffico (in teoria potrei prendere la patente durante l’anno, ma la mia organizzazione non me lo permette) e infine la ginnastica. Musica e sport vengono inseriti fuori dalle ore scolastiche.
Tutti sono molto gentili con me, ma faccio tanta fatica a capirli. I professori si comportano come tutti gli insegnanti del mondo: minacciano prove e compiti in classe. Sarò mai in grado a seguire le lezioni?

14 settembre

Incredibile - già è passato quasi un mese dal mio arrivo. Ho ancora qualche problema linguistico, a scuola “zoppico” in alcune materie, soprattutto in storia. Ma perché il professor Mathews, che fa anche l’allenatore della squadra di football, non consuma le sue energie e le sue cattiverie con lo sport? E’ mai possibile che ci debba tartassare tutte le sante mattine con i suoi test e farci snocciolare in ordine cronologico tutti i presidenti degli Stati Uniti con i fatti più salienti della loro presidenza? Se non avessi il mio angelo custode nella persona dell’assistente didattico che mi aiuta a capire i testi inglesi, giuro che diventerei un mozzo su qualche mercantile diretto in Europa.
La mia vita si è normalizzata dopo il chiasso iniziale. I giornalisti hanno trovato cose più interessanti, i miei compagni di scuola si sono abituati a parlare lentamente quando si rivolgono a me e in famiglia mi trovo abbastanza bene.
Ho ancora qualche difficoltà con alcune abitudini americane: quando mi sveglio la mattina alle sette, il mio povero naso deve fare i conti con l’odore di pancetta e uova fritte - la prima colazione del mio papà americano. Io non riesco a prendere altro che un bicchiere di latte. Per pranzo la mamma prepara un tramezzino con burro di arachidi e marmellata e mi da 10 cents per una confezione di latte. Abbiamo solo venti minuti di tempo per il pranzo, ma quel panino risulta sempre poco. Si cena alle sei, e la mamma è una brava cuoca. Mi metto a tavola con una fame da lupi, ma a quanto pare le buone maniere vietano di ripulire il piatto, bisogna sempre lasciare un bell’avanzo (che io guardo con occhi famelici). Uno dei primi sabati ero sola a casa all’ora di pranzo e spinto dalla fame ho mangiato ben sei hot dogs (panino con wurstel). Un’altra cosa nuova per me è il fatto che si taglia tutta la carne insieme e poi si posa il coltello e la mano disoccupata deve sparire sotto il tavolo. Altri lidi - altri usi.

30 settembre

Scuola, sempre scuola: voti, compiti, studio. Sono a 6000 km da casa mia, ma certe cose non cambiano. Il mio inglese sta facendo progressi, ora capisco perfino la televisione.
Ho stretto qualche amicizia a scuola e anche con dei vicini di casa. La famiglia Reganis mi invita spesse. Il dottor Reganis è un chirurgo, e mia ha liberato da una brutta infezione al piede. Hanno due bambine deliziose alle quali faccio occasionalmente da babysitter.
A scuola sono iniziate tutte le attività sportive: football, pallacanestro, lotta libera, hockey, baseball e spesso vanno in trasferta. In questo modo vedo tanti posti nuovi. Io faccio parte della squadra femminile di pallacanestro con un’ora di allenamenti al giorno. In più sono membro del coro che spesso prova la mattina presto. Abbiamo anche una banda musicale ed un’orchestra. Non manca il teatro. I ragazzi americani sono instancabili.

9 ottobre

L’altra sera sono stata invitata ad una cena dagli svizzeri della nostra città. E’ stato molto formale con discorsi vari e alla fine mi hanno presentato una grandissima torta che, come ospite d’onore, ho dovuto tagliare. Che strano, non sono quasi più riuscita a parlare tedesco.
Che dolore! Due amiche mi hanno fatto fare una passeggiata a cavallo. Siamo andate al pascolo a prendere i cavalli e li abbiamo cavalcati senza sella fino alle stalle. Quindi abbiamo girato per la campagna. Non so se riuscirò mai più a camminare e stare seduta.

26 ottobre

Davvero non mi annoio mai; quasi quasi non ho più tempo per dormire. La scuola mi impegna tanto, anche se l’inglese non mi crea più problemi; i compiti non mancano mai e spesso devo studiare di notte perché sono una specie di invitata permanente ad incontri di insegnanti, studenti, società varie. Molte famiglie mi invitano a cena. Non sempre mi diverto, ma anche questo fa parte del mio compito: imparare la vita americana e raccontare come si vive nel mio paese.
Se solo non fossi stata così stupida a raccontare che suonavo il pianoforte -  hanno trovato subito una insegnante che mi carica di compiti anche lei - “mi raccomando, devi esercitarti almeno un’ora al giorno”. Dove lo trovo il tempo?
Ieri siamo andati a New York con la nostra classe. Finalmente ho potuto ammirare i grattacieli. La mattina ci hanno portato alla borsa di New York a Wall Street. Sinceramente mi sembrava una gabbia di matti. Come fanno a capire qualcosa se tutti urlano e gesticolano?. Il giro in battello intorno a Manhattan  nel pomeriggio è stato molto più interessante.
Stamattina siamo ancora assonnati in classe quando veniamo avvisati che a mezzogiorno il candidato alla vicepresidenza degli USA verrà a visitare la nostra scuola. Ho pensato ad uno scherzo, ma puntualmente a mezzogiorno sono arrivate sette immense macchine con Henry Cabot-Lodge in piedi. Non si sono fermate però e ci siamo dovuti accontentare del suo sorriso ed il benevolo saluto con la mano. E’ il mio primo impatto con la campagna elettorale che adesso si fa rovente. Chi sarà il prossimo presidente: Nixon o Kennedy?

9 novembre

Kennedy sarà il nuovo presidente. La mia famiglia non è contenta perché avrebbe preferito Nixon.
Da un po’ di tempo ho tanta nostalgia. Vorrei tornare a casa. Sono tanta stanca e mi sento sola. Sarà anche bello essere sempre al centro dell’attenzione, ma in questo modo non si trovano amici. Non ho nessuno che mi presta una spalla per piangere. Quanto mi mancano i miei genitori e mio fratello!
La mia insegnante di pianoforte si è arresa: non si può insegnare ad un asino a cantare, se questo non ci prova neppure, ma ho trovato il modo di ragliare - mi hanno dato un violoncello! Nei prossimi giorni lo riconsegnerò prima che qualcuno mi picchia. E’ stupefacente quanto rumore si può fare con poche corde tese.

24 novembre

La mia tristezza è passata, o forse non ho avuto il tempo per coltivarla. Sono stata invitata dalla signora Edwards, il mio angelo custode dei primi tempi a scuola, per una gita a Philadelphia. Mi ha mostrato tutti gli edifici storici e mi ha portato a pranzo in un grandissimo negozio. Non ho mai visto niente del genere. Già ci sono tutte le decorazioni natalizie.
A scuola me la cavo abbastanza bene. Quasi tutti i giorni c’è qualcosa di nuovo e gli inviti continuano. Sono persino andata a ballare.
Ieri invece ho avuto una grandissima sorpresa. Dopo la scuola tutti gli alunni e i prof si sono riuniti nella palestra per la preparazione della partita di football del giorno di Thanksgiving (giorno di ringraziamento). Ha suonato la banda, le majorettes hanno sfilato e le “cheerleaders” hanno incitato i tifosi. Al termine sento chiamare il mio nome. Due capitani della squadra mi vengono a prelevare e mi portano in mezzo alla squadra (si può diventare più rosso di un peperone?) dove mi fanno sedere su un trono, mi mettono una corona di penne in testa, un immenso crisantemo giallo con la W blu (l’emblema della scuola) viene attaccato al mio cappotto, e invece dello scettro mi regalano un braccialetto. Sono diventata la loro principessa indiana.
Stamattina sono andata allo stadio già alle sette. La partita è iniziata alle dieci e la nostra squadra di guerrieri ha vinto. Nella marcia trionfale per le vie della città non potevo mancare e , scortata da due indiani, ho festeggiato, orgogliosa, con la mia corona di penne in testa.
La sera di Thanksgiving si cena con il tradizionale tacchino - che è più bello da vedere che non da mangiare. Per chiudere la giornata in bellezza sono stata invitata al ballo della vittoria. Be, i cavalieri non mi sono mancati, come si conviene ad una principessa...

12 dicembre

Qualche giorno fa sono stata al mio primo ballo in abito da sera e il mio cavaliere mi ha mandato un’orchidea da portare con un elastico al polso. Altro che principessa, mi sono sentita una regina!
Adesso abbiamo allenamenti duri per la pallacanestro. Tra poco inizieranno le partite. Anche il coro prova quasi tutti i giorni e già abbiamo cantato in alcune chiese. Ieri dovevamo andare fuori città per un concerto, ma la neve che cade incessantemente ci ha fermati.
Oggi è tutto bloccato, la neve è alta mezzo metro e la temperatura 15 gradi sotto zero. La scuola è chiusa e io mi sono divertita a spalare la neve intorno alla casa. Mi è servito anche per riscaldarmi, stamattina ho trovato un bel mucchietto di neve nella mia stanza: la finestra non chiude bene,  e a volte devo mettere i vestiti sul letto per non morire di freddo.
Le strade sono state pulite, lungo i marciapiedi i cumuli di neve sembrano colline e la scuola ha riaperto i battenti. I miei professori mi hanno fatto un bellissimo regalo di Natale: una telefonata ai miei genitori in Svizzera. Ieri pomeriggio ho chiamato l’operatore per prenotare la chiamata. Non è tanto facile fare una telefonata intercontinentale; bisogna avvisare con 24 ore di anticipo. Per essere sicuri che tutto fili liscio viene avvertito anche il ricevente.
La mia famiglia è andata fuori città per tutta la giornata, così stamattina la mia prof d’inglese mi ha accompagnata in chiesa, poi mi ha offerto il pranzo a casa sua e alle 15.00 siamo venute a casa. Che emozione quando squilla il telefono e l’operatore mi chiede se sono pronta! Al mio si sento la voce di papà e le lacrime non si fermano più. Poi papà mi passa mio fratello e per ultima mamma. Ride quando sente il mio strano tedesco, non ricordo quasi più la mia lingua!. Cinque minuti passano troppo in fretta e quando l’operatore ci interrompe mi sveglio bruscamente da un bellissimo sogno. Per fortuna c’è la mia prof che mi impedisce di piangere per il resto della giornata.

27 dicembre

Natale in America - pensavo che Natale si festeggiasse ovunque uguale, ma mi sono resa conto che anche qui vale il detto: paese che vai, usanze che trovi. E’ pur vero che gli ultimi giorni non sono stati i più felici per me. La nostalgia ha preso il sopravvento ed il mio umore è più nero del carbone. Sono stata poco gentile con la mia famiglia e mi vergogno.
Negli ultimi giorni sono arrivati tanti regali dalla Svizzera, non sol per me ma anche per la famiglia. Li ho messi tutti sotto l’albero che troneggia con le sue luci artificiali nel salotto. Mi mancano tanto le candele che usiamo a casa mia e tutta l’atmosfera festosa, ma anche intima che ha caratterizzato tutti i Natali della mia vita. Qui è tutta una corsa all’acquisto ed è normale che si regala anche lo scontrino insieme al pacchetto. L’unica cosa veramente bella è il girare per le vie del quartiere con il coro e cantare le vecchie canzoni di Natale. Dovunque ci sono addobbi più o meno vistosi, dagli alberi illuminati alle slitte con le renne che sembrano semafori impazziti.
La sera della vigilia non è stata altro che uno scambio molto prosaico di regali con l’immancabile commento: “se non ti piace puoi cambiarlo, l’ho comprato in tale negozio e l’ho pagato tot.” Nessuno ha pensato a cantare, a parlare del significato di questa festa. Ho ricevuto tanti regali e mi sento ingrata per non gioire. Anch’io ha fatto dei pensierini, ma con i 14 dollari al mese che sono la mia paghetta stabilita dall’organizzazione e pagata dai miei genitori, non ho potuto fare grandi cose.
Il giorno di Natale è passato con la messa e nel pomeriggio con l’incontro tra amici per ammirare i regali.

8 gennaio

Le feste sono passate tra balli, inviti, passeggiate e perfino una gita in montagna per pattinare su un lago ghiacciato, un posto incantevole in mezzo a un bosco innevato. L’ultimo dell’anno l’ho passato a fare da babysitter a due bambine.
Siamo tornati tutti a scuola e la squadra di basket è in piena attività, purtroppo siamo, per il momento, un branco di perdenti.
Da oggi devo assolvere ad un compito legato alla mia borsa di studio: parlare in pubblico del mio paese e delle mie esperienze. Lo sapevo e lo temevo, ma tutti i miei tentativi di preparare un discorso sono falliti ed eccomi qui a improvvisare! Dal pulpito di una chiesa, davanti a mille occhi puntati su di me vinco la paura e “sparo” le mie parole per più di un’ora. A giudicare dall’applauso il pubblico non si era addormentato.

20 gennaio

Sono stata a Harrisburg, la capitale della Pennsylvania, con la scuola e ho avuto l’onore di parlare con il governatore, ma anche questo non mi ha salvato dai tanti compiti che mi attendevano al ritorno. Siamo in zona fine semestre ed i prof si sono scatenati. Non mi posso lamentare di noia: tra studio, discorsi in pubblico e partite di palla canestro, persino il sonno diventa un optional.
L’altro ieri ha incominciato a nevicare. La mattina ho trovato un mucchietto di neve nella mia stanza, entrato dalla finestra che chiude male.
Da ieri hanno chiuso la scuola - evviva, così mi riposo - almeno così pensavo, ma Mom mi ha portato una pala e mi ha ordinato di pulire il marciapiede. Non sarebbe un problema se la nostra casa non fosse all’angolo tra due strade. Mugugnando mi sono messa al  lavoro mentre la mia “sorella” si crogiolava sul divano.
La scuola è chiusa anche oggi, e anche stamattina sono di turno come spalatrice. A mezzogiorno guardo l’insediamento del nuovo presidente, J.F.Kennedy. Chissà che presidente sarà. Tra qualche anno lo sapremo.

28 gennaio

Che giornata! La nostra classe ha fatto una gita a New York. La prima tappa ci ha portato al museo di arte moderna: che impressione vedere gli originali di quadri che conoscevo solo come stampe!. Salvador Dalì non rientra nei miei preferiti, ma l’emozione che suscitano i suoi dipinti è straordinaria.
Dopo un rapido spuntino andiamo a teatro per assistere al musical “my fair lady”. Siamo talmente entusiasti che all’uscita ci perdiamo nei meandri della metropolitana. Solo un tassista pronto a caricare sette ragazzi smarriti ci salva dal mancare il prossimo spettacolo. Andiamo alla Metropolitan Opera. “L’Elisir d’Amore” di Donizetti ci avvolge con le sue dolci note e accende in me una gioia immensa. Come epilogo della giornata una passeggiata a Broadway con le sue mille luci ed il ritorno in pullman a casa.

Fine della prima puntata.

Seconda puntata