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pagina di Maria Caterina

2003
ANNO EUROPEO DEL DISABILE

E’ l’anno europeo del disabile e voglio scrivere alcune mie riflessioni.
Noi siamo parte integrante della società, invece per la pubblicità, per la mentalità corrente esistono solo le persone fisiche perfette che contribuiscono alla ricchezza ed una società libera dal dolore.
A questa utopia i cristiani oppongono la croce, il simbolo della solidarietà di Gesù con la sofferenza ed indicano ad ogni persona la salvezza in tutte le situazioni insopportabili della vita con la loro testimonianza. Esiste infatti la vicinanza salvifica del Signore con ogni essere umano nelle situazioni dolorose ed insopportabili dell’esistenza. Per il credente il dolore umano acquista un significato più profondo, perché lo guarda da un'ottica ben precisa: la Risurrezione che appone il sigillo di Dio sull’atto della redenzione portata a termine con la croce e dà la certezza di partecipare fin d’ora al mistero della nuova vita. Questo evento illumina con una luce completamente diversa la sofferenza della croce e conduce al suo superamento. La solidarietà di Gesù con i disabili è motivata dalla loro dignità di persone umane. La lettura dei Vangeli, per loro, é necessaria per conoscere gli atteggiamenti di Cristo. Egli incoraggia le persone sane a sbarazzarsi delle idee preconcette, degli atteggiamenti sbagliati nei riguardi dei disabili ed invita tutti a reintegrali senza pregiudizi nella propria comunità (cf Mt 9,35;Lc 5,17-26).
I racconti biblici delle guarigioni mostrano l’importanza della scelta di una “cultura dell’attenzione” aperta al disagio fisico e mentale dei menomati e alle loro capacità di realizzare la propria vita. In Gesù questi malati troveranno la strada e l’incoraggiamento per accettare e vivere la propria situazione insieme ai loro familiari. Per essi esiste la sofferenza espressa con le lacrime che richiamano lo sguardo degli altrie permettono così di far nascere percorsi di speranza per uscire dalla situazione di crisi e di scoraggiamento.
E’ importante capire la condizione psico-sociale dei loro familiari che si trovano improvvisamente in una situazione ben differente da quella vissuta prima della malattia. In molti casi diventa impossibile per loro continuare le antiche abitudini e organizzare il tempo libero come prima. Tutto questo genera turbamento e spesso sofferenza. Molti di essi hanno interiorizzato vari pregiudizi della società riguardo ai propri disabili, portandoli all’isolamento e questo è un danno per i malati.
E’ necessaria dunque la partecipazione degli handicappati insieme alle loro famiglie alla vita sociale ed ecclesiale con i mezzi a loro disposizione, perché possano arricchirle e rafforzarle, in uno scambio di dare e di avere.
La condivisione dell’esistenza e della fede con i disabili ed i loro familiari dovrà essere prudente ed ingegnosa per un buon inserimento. Si dovranno eliminare i pregiudizi che ancora persistono, facilitare i contatti, togliere i pesi inutili che gravano sulle loro spalle ed infine impedire nuove discriminazioni. Quando ci si avvicina ai disabili occorre sbarazzarsi dalla compassione: un atteggiamento umano, una motivazione per lasciarsi coinvolgere e per aiutarli, ma senza manifestare pena per le loro menomazione se si desidera soccorrerli. Essi non chiedono la compassione di nessuno, ma vogliono arricchire la Chiesa e la società della propria esperienza.
Noi abbiamo diverse età, danni fisici, carenze mentali, viviamo, a secondo delle nostre possibilità economiche, in famiglia, oppure in strutture pubbliche o private e sperimentiamo gli alti ed i bassi dell’esistenza umana. Purtroppo molti di noi sono considerati non rispondenti alla normale concezione di essere umano, perché non possiedono determinate funzioni fisiche e capacità mentali. In una società organizzata in base alle proprie esigenze, dai così detti sani, noi, pur cercando di adottare con fatica uno stile di vita simile alla loro, molte volte non ci riusciamo. Vengono così svalutate automaticamente le nostre capacità residue. Sovente le menomazioni sono associate ai dolori ed alle sofferenze ed in tal modo pochi si accorgono del positivo che c’è nella nostra vita e delle nostre gioie.
Io sono contenta di avere vicino Lili, una signora romena che si occupa di me ogni giorno con affetto e premura, sempre pronta ad aiutarmi ad accettare un’esistenza improvvisamente cambiata. Con lei riesco a superare gli ostacoli e posso continuare a scrivere ed a ricevere in casa tante persone. Lili si alterna con Lucia, un’altra signora romena ed ambedue mi hanno fatto capire cosa vuol dire essere poveri e dover andare via dalla propria nazione per mantenere la famiglia. Nel mio piccolo cerco di aiutarle. Voglio ringraziarle insieme al signor Serafini, il mio sollecito fisioterapista e a Mansur, un iraniano molto forte, tanto da mettermi di peso in automobile e poi, guidando per Roma, mi porta alle celebrazioni della Congregazione di cui sono Priora.
Termino con la testimonianza di Lourdes Cunì, una dei giovani presenti a Madrid al raduno del 3 maggio 2003, rivolta al Papa: “La mia condizione mi crea difficoltà nel parlare e non posso neppure camminare ......Per molto tempo ho vissuto angosciata. Spesso mi sono domandata quale era il senso della mia vita e perché è successo proprio a me...Per anni l’unica risposta era stata quella di scoprire ogni mattina che ero sempre nello stesso luogo: immobilizzata su di una sedia a rotelle. A volte ho sentito che mi avevano strappata la speranza. Mi sentivo come se portassi la croce, ma senza l’incoraggiamento della fede. Un giorno ho scoperto Gesù e la mia vita è cambiata. Il Signore con la sua grazia mi ha aiutato a recuperare la speranza e ad andare avanti.” Ora Lourdes aiuta gli altri malati e vorrebbe mostrare loro come ha incontrato il Signore “per trasformare il loro dolore in un cammino di speranza, di vita e di santità.” La fede rafforza la sua vita e tutti i giorni si mette nelle mani di Dio, che le dà la forza, l’aiuta a superare i momenti difficili e le ha messo vicino molte persone che le vogliono bene incoraggiandola a continuare con gioia il suo cammino di fede. E’ consapevole di essere disabile, ma si sente utile. Offre il suo dolore ed i suoi limiti alla Chiesa, al Papa, ai giovani, alla salvezza del mondo e per questo si sente felice. Termina dicendo: “Nella mia via crucis mi sento animata dalla testimonianza di Sua Santità, che porta sulle sue spalle la croce della malattia e dei limiti fisici ed anche il dolore e la sofferenza di tutta l’umanità. Grazie Padre Santo, per il suo esempio!”(L’Osservatore Romano 5-6/5/2003)

 Maria Caterina Chiavari Marini Clarelli