E’
l’anno europeo del disabile e voglio scrivere alcune mie riflessioni.
Noi siamo parte integrante della società, invece per la pubblicità,
per la mentalità corrente esistono solo le persone fisiche perfette che
contribuiscono alla ricchezza ed una società libera dal dolore.
A questa utopia i cristiani oppongono la croce, il simbolo della
solidarietà di Gesù con la sofferenza ed indicano ad ogni persona la
salvezza in tutte le situazioni insopportabili della vita con la loro
testimonianza. Esiste infatti la vicinanza salvifica del Signore con
ogni essere umano nelle situazioni dolorose ed insopportabili
dell’esistenza. Per il credente il dolore umano acquista un
significato più profondo, perché lo guarda da un'ottica ben precisa:
la Risurrezione che appone il sigillo di Dio sull’atto della
redenzione portata a termine con la croce e dà la certezza di
partecipare fin d’ora al mistero della nuova vita. Questo evento
illumina con una luce completamente diversa la sofferenza della croce e
conduce al suo superamento. La solidarietà di Gesù con i disabili è
motivata dalla loro dignità di persone umane. La lettura dei Vangeli,
per loro, é necessaria per conoscere gli atteggiamenti di Cristo. Egli
incoraggia le persone sane a sbarazzarsi delle idee preconcette, degli
atteggiamenti sbagliati nei riguardi dei disabili ed invita tutti a
reintegrali senza pregiudizi nella propria comunità (cf Mt 9,35;Lc
5,17-26).
I racconti biblici delle guarigioni mostrano l’importanza della scelta
di una “cultura dell’attenzione” aperta al disagio fisico e
mentale dei menomati e alle loro capacità di realizzare la propria
vita. In Gesù questi malati troveranno la strada e l’incoraggiamento
per accettare e vivere la propria situazione insieme ai loro familiari.
Per essi esiste la sofferenza espressa con le lacrime che richiamano lo
sguardo degli altrie permettono così di far nascere percorsi di
speranza per uscire dalla situazione di crisi e di scoraggiamento.
E’ importante capire la condizione psico-sociale dei loro familiari
che si trovano improvvisamente in una situazione ben differente da
quella vissuta prima della malattia. In molti casi diventa impossibile
per loro continuare le antiche abitudini e organizzare il tempo libero
come prima. Tutto questo genera turbamento e spesso sofferenza. Molti di
essi hanno interiorizzato vari pregiudizi della società riguardo ai
propri disabili, portandoli all’isolamento e questo è un danno per i
malati.
E’ necessaria dunque la partecipazione degli handicappati insieme alle
loro famiglie alla vita sociale ed ecclesiale con i mezzi a loro
disposizione, perché possano arricchirle e rafforzarle, in uno scambio
di dare e di avere.
La condivisione dell’esistenza e della fede con i disabili ed i loro
familiari dovrà essere prudente ed ingegnosa per un buon inserimento.
Si dovranno eliminare i pregiudizi che ancora persistono, facilitare i
contatti, togliere i pesi inutili che gravano sulle loro spalle ed
infine impedire nuove discriminazioni. Quando ci si avvicina ai disabili
occorre sbarazzarsi dalla compassione: un atteggiamento umano, una
motivazione per lasciarsi coinvolgere e per aiutarli, ma senza
manifestare pena per le loro menomazione se si desidera soccorrerli.
Essi non chiedono la compassione di nessuno, ma vogliono arricchire la
Chiesa e la società della propria esperienza.
Noi abbiamo diverse età, danni fisici, carenze mentali, viviamo, a
secondo delle nostre possibilità economiche, in famiglia, oppure in
strutture pubbliche o private e sperimentiamo gli alti ed i bassi
dell’esistenza umana. Purtroppo molti di noi sono considerati non
rispondenti alla normale concezione di essere umano, perché non
possiedono determinate funzioni fisiche e capacità mentali. In una
società organizzata in base alle proprie esigenze, dai così detti
sani, noi, pur cercando di adottare con fatica uno stile di vita simile
alla loro, molte volte non ci riusciamo. Vengono così svalutate
automaticamente le nostre capacità residue. Sovente le menomazioni sono
associate ai dolori ed alle sofferenze ed in tal modo pochi si accorgono
del positivo che c’è nella nostra vita e delle nostre gioie.
Io sono contenta di avere vicino Lili, una signora romena che si occupa
di me ogni giorno con affetto e premura, sempre pronta ad aiutarmi ad
accettare un’esistenza improvvisamente cambiata. Con lei riesco a
superare gli ostacoli e posso continuare a scrivere ed a ricevere in
casa tante persone. Lili si alterna con Lucia, un’altra signora romena
ed ambedue mi hanno fatto capire cosa vuol dire essere poveri e dover
andare via dalla propria nazione per mantenere la famiglia. Nel mio
piccolo cerco di aiutarle. Voglio ringraziarle insieme al signor
Serafini, il mio sollecito fisioterapista e a Mansur, un iraniano molto
forte, tanto da mettermi di peso in automobile e poi, guidando per Roma,
mi porta alle celebrazioni della Congregazione di cui sono Priora.
Termino con la testimonianza di Lourdes Cunì, una dei giovani presenti
a Madrid al raduno del 3 maggio 2003, rivolta al Papa: “La mia
condizione mi crea difficoltà nel parlare e non posso neppure camminare
......Per molto tempo ho vissuto angosciata. Spesso mi sono domandata
quale era il senso della mia vita e perché è successo proprio a
me...Per anni l’unica risposta era stata quella di scoprire ogni
mattina che ero sempre nello stesso luogo: immobilizzata su di una sedia
a rotelle. A volte ho sentito che mi avevano strappata la speranza. Mi
sentivo come se portassi la croce, ma senza l’incoraggiamento della
fede. Un giorno ho scoperto Gesù e la mia vita è cambiata. Il Signore
con la sua grazia mi ha aiutato a recuperare la speranza e ad andare
avanti.” Ora Lourdes aiuta gli altri malati e vorrebbe mostrare loro
come ha incontrato il Signore “per trasformare il loro dolore in un
cammino di speranza, di vita e di santità.” La fede rafforza la sua
vita e tutti i giorni si mette nelle mani di Dio, che le dà la forza,
l’aiuta a superare i momenti difficili e le ha messo vicino molte
persone che le vogliono bene incoraggiandola a continuare con gioia il
suo cammino di fede. E’ consapevole di essere disabile, ma si sente
utile. Offre il suo dolore ed i suoi limiti alla Chiesa, al Papa, ai
giovani, alla salvezza del mondo e per questo si sente felice. Termina
dicendo: “Nella mia via crucis mi sento animata dalla testimonianza di
Sua Santità, che porta sulle sue spalle la croce della malattia e dei
limiti fisici ed anche il dolore e la sofferenza di tutta l’umanità.
Grazie Padre Santo, per il suo esempio!”(L’Osservatore Romano
5-6/5/2003)
Maria
Caterina Chiavari Marini Clarelli
|