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I
pensieri e le lettere di |
Segno dei tempi |
La nostra
Patrona Montale 2003 l'anno del disabile |
pagina dedicata |
Per
la prima volta le
consorelle della “Congregazione della Madonna della Misericordia
di Savona” hanno eletto me priora, una consorella che si muove con la carrozzina.
Sono venute a trovarmi in ospedale e mi hanno vista
serena nell’accettare la malattia che mi ha reso invalida. La
votazione è stata un “segno dei tempi”, si è privilegiata la mente e
non si è badato al corpo! |
La
malattia ha cambiato la mia scala di valori , sono diventata più
sensibile verso
gli
altri e
trovo
sempre il tempo di ascoltarli e
capirli, cercando di dir loro le parole giuste.
Voglio mettere in raffronto le mie esperienze con quelle di coloro
che mi sono vicini per capire insieme
che cosa il Signore vuole da noi e far emergere tutte le dinamiche
che ne conseguono e le variabili che innescano. Dopo ogni incontro, mi
sento più arricchita, avendo cercato di cogliere il positivo del
colloquio e questo è necessario per essere poi portatrice di speranza.
Desidero accompagnare le persone ad una autoformazione, essere punto di
riferimento per coloro che vogliono modificare il loro stile di vita ed
una presenza positiva, capace di dar fiducia, senza mai sostituirmi agli
interlocutori. Questo perchè è importante arrivare, con l’aiuto dello
Spirito Santo,
a vivere una vita cristiana conforme all’età, alle proprie basi
culturali e spirituali. Per essere veri cristiani nella vita quotidiana“...si devono soccorrere i deboli ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse:Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”(At 20,35). E’ questo il cammino che voglio fare per vivere in modo propositivo e stimolante la mia testimonianza verso coloro che sono alla ricerca del senso della propria esistenza. La preghiera, un incontro con Dio molto forte, ed i carismi della congregazione e della confraternita, mi aiuteranno nel mio compito. Maria Caterina Chiavari Marini Clarelli top |
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“Venite
benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi
fin dalla fondazione del mondo. Perchè...io ero...malato e mi avete
visitato”(Mt 25,34-36). Questo è quello che l’ammalata augura a
tutti quelli che sono venuti e verranno
a trovarla! Secondo la logica dell’economia della salvezza, Dio si immedesima in lei ed insieme attendono i visitatori. Infatti ella ha bisogno della comprensione, del sorriso, dell’aiuto degli altri. Aspetta che si sprigioni in loro la bontà, l’amore e la pazienza in tutte le varie forme, perchè Gesù vuole che dalla sofferenza e attorno ad essa cresca la solidarietà dell’amore, quel bene che certamente è in ognuno di noi e che assume i connotati della condivisione (essere-con), del dono totale di sè (essere-per) e si identifica infine con la gratuità. Come insegna la parabola del buon samaritano(Lc 10,25-37), chiunque incontri un sofferente ha il preciso dovere di intervenire con tutti gli accorgimenti affinchè il dolore sia diminuito. I credenti, in quanto partecipi dell’amore divino, devono impegnarsi a mettere in pratica il detto di Gesù:“Amatevi, come io vi ho amati”(Gv 13,34). L’ammalata ha avuto la fortuna di ricevere questa solidarietà, che richiama soprattutto l’idea dell’unità operosa nel condividere la sua situazione, nell’essere a suo servizio, progettando e realizzando un soccorso efficente. Ella apprezza tanto tutti coloro che hanno saputo trovare il tempo ed il modo di venirla a trovare, sempre disponibili per sbrigarle le commissioni di cui ha avuto bisogno. Ha perciò il desiderio di rivolgere loro la propria valutazione, il proprio affetto e ringraziarli di cuore. Sono tutti ricordati nelle sue preghiere, perchè non l’hanno mai fatta sentir sola, nè abbandonata.Così tra di loro è nata o si è consolidata un’amicizia voluta da Dio, un’intesa reciproca e disinteressata. Gesù autenticandola con il Suo stesso esempio l’ha santificata, rendendola soprannaturale e possibile. C’è un affetto di benevolenza, disinteressato, che comporta una comunicazione reciproca, una promozione che va da una persona all’altra e aiuta l’ammalata ad accettare la sofferenza. Avviene infatti qualcosa di misterioso e a tutta prima incomprensibile. L’ incontro genera la gratitudine che diventa, con il tempo, molto tenace e proietta fuori di sè la forza dell’amore divino. Colei che soffre, in una reciproca crescita e maturazione, percepisce la gioia di ricevere, ma anche quella di donare. Si realizza un incontro interpersonale, risultante da una libera inclinazione sperimentata nella comunicazione spirituale, fondata sulla simpatia, su una durevole unione e su una comune visione e valutazione delle cose. Si sprigiona un influsso tra le persone dovuto alla loro ricchezza spirituale e non alla loro cultura. Non ha importanza quello che esteriormente si comunicano, ma quello che sono. La vera potenza non è tanto sul piano del dare, quanto su quello dell’essere. Ciò che in ogni caso è da assicurare è l’atmosfera divina in cui l’amicizia può vivere e conservarsi. “Niente è così potente tra le cose umane, per mantenere lo sguardo rivolto sempre più intensamente a Dio che l’amicizia degli amici di Dio”( Simone Weil “Attente de Dieu”). La malattia è una realtà atroce, straziante, misteriosa, sconvolgente vi sono i dolori fisici, morali e spirituali, che solo chi è credente può accettare con serenità dicendo con Paolo: “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa”(Col 1,24). Credere in Dio non fa guarire, ma dà la forza di accettare secondo il proprio carattere e le proprie abitudini, anche se non è una cosa facile. Non toglie il dolore, ma lo illumina, lo eleva, lo purifica, lo sublima, lo rende valido per l’eternità. |
Solo
chi è vicina al Signore può accettare con serenità, perchè supera la
sfiducia con una rinnovata decisione di fede accompagnata dalla speranza,
che trasmette a chi le è vicino. |
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“Dal
profondo a te grido, o Signore,
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Alla fine degli anni ottanta ad
un convegno del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche)
ho capito che era indispensabile per me conoscere l’ebraismo e
dialogare con gli ebrei per meglio conoscerli. Ho perciò frequentato il
seminario tenuto da Amos Luzzato che mi ha aperto una nuova strada e
consigliato di far
parte dell’Amicizia Ebraico Cristiana(AEC) di Roma. Sono entrata in
questa associazione e mi sono
sentita accolta, tanto da accettare di far parte del
Consiglio direttivo ed in seguito di essere eletta
Presidente dell’AEC di Roma e della Federazione delle AEC in
Italia. La fondazione delle Amicizie è stata una sfida ed un atto di fiducia per i Cristiani e per gli Ebrei, che nella convinzione di essere portatori di valori etico-religiosi, sono riusciti a coltivare e sviluppare quanto c’era in comune tra le due religioni. Da allora ho sempre lavorato nella AEC e ho acquistato molti amici. L’amicizia tra di noi è stata sempre rispettosa, è cresciuta con la conoscenza reciproca, partecipando alle vicende gioiose o tristi dell’altro, capendolo ed impedendo che venga offeso. E’ importante lavorare insieme, pur essendo di religioni diverse ed anche noi cristiani di diverse confessioni, perché tutti perseguiamo lo stesso scopo: combattere l’antisemitismo e realizzare la pace. Tutti gli anni ai primi di dicembre nel monastero di Camaldoli si svolgono i Colloqui Ebraico Cristiani organizzati dalle AEC insieme a Padre Innocenzo Gargano. Sono giornate importanti di coesione ed un punto di riferimento obbligato per il dialogo ebraico-cristiano in Italia. Durante i colloqui, i soci delle AEC hanno sentito la necessità di creare una Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane in Italia per rafforzare i vincoli umani e rendere possibile una maggiore resistenza ai pericoli che si potevano presentare. E’ anche essenziale per migliorare la conoscenza tra ebrei e cristiani, agevolando quell’unità che fa sentire tutti figli dello stesso Dio, eliminando le differenze reciproche. Ho rappresentato la Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane in Italia nei convegni dell’ICCJ (International Council of Christians and Jews) che si svolgono ogni anno nelle diverse nazioni dove hanno sede le AEC e ne ho organizzato uno a Rocca di Papa dal 7 all’ 11 settembre 1997. L’ICCJ è nata nel 1946, nel ricordo della Shoà; nel 1947 ha redatto “I 10 punti di Seelisberg” frutto di un intenso lavoro a cui parteciparono Jules Isaac e Jacques Maritain. Un documento che, dopo tanti secoli di incomprensione e diffidenza nei rapporti fra ebrei e cristiani, può essere considerato come il primo importante tentativo di cambio di mentalità, capace a dar vita ad un nuovo atteggiamento che sarà riconosciuto dalla Chiesa cattolica durante il Concilio Vaticano II nella “Nostra Aetate” al paragrafo 4 e nei documenti successivi del Magistero. A tutt’oggi, fanno parte dell’ICCJ 31 nazioni dove esistono le AEC ed è la più importante associazione in ambito mondiale per il dialogo ebraico - cristiano. Far parte di queste associazioni è fondamentale per me anche da un punto di vista spirituale, mi danno un senso di comunione più ampia e mi pongono in una sorta di dialogo internazionale! Sono sicura di essere chiamata ad amare il popolo di cui l’ebreo Gesù faceva parte, a studiare la religione da Lui professata ed a distruggere i pregiudizi e le opinioni distorte che alimentano l’antisemitismo per poi costruire la pace. Giovanni Paolo II il 16 settembre 1990 diceva ai responsabili del “British Council for Christians and Jews” ricevuti in udienza:“è stato giustamente riconosciuto che l’antisemitismo, così come tutte le forme di razzismo è un peccato contro Dio e contro l’umanità e come tale deve essere condannato e rifiutato”. Durante il suo pontificato ha dato segni concreti riguado agli ebrei. Ero presente nella basilica di San Pietro, durante il Giubileo e mi sono commossa quando ha chiesto loro perdono! Ho cercato durante tutti questi anni di proporre ai cattolici la conoscenza ed il rispetto verso gli ebrei inducendoli ad un vero e sereno dialogo in cui si parli fraternamente con loro e si riscoprano i valori biblici, le loro sofferenze e le nostre comuni radici. La Conferenza Episcopale Italiana, basandosi sulla dichiarazione “Nostra Aetate” il 28 settembre 1989 stabilì, per la prima volta nel mondo, che ogni anno il 17 gennaio si celebrasse in Italia una “giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano”. Negli anni passati ho tenuto tante conferenze per sensibilizzare i cattolici al rispetto, al dialogo e alla conoscenza della tradizione ebraica con diversi tipi di uditori. Sono stata anche in un convento di clausura. Ho voluto scrivere del mio impegno verso gli ebrei, per far meglio capire lo stato d’animo di quando in ospedale mi sono resa conto di essere paralizzata. Volendo andare al colloquio di Camaldoli, chiesi al Primario di Neurologia d’urgenza del San Giovanni-Addolorata quando sarei guarita. Mi rispose: “Disdica tutti i suoi impegni e non ne prenda dei nuovi”! Non trovo le parole per scrivere come mi sono sentita! Ho capito che, se andava bene, non avrei più camminato. E’ passato più di un anno e dopo 7 mesi di ospedale sono ritornata a casa in carrozzina. Quello che voglio testimoniare con questo scritto è che ho avuto durante la mia degenza sia in ospedale, sia a casa tante visite, telefonate e lettere di molti miei amici ebrei. Dal Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni in ospedale, a Lea Sestieri con Lilli Spizzichino, a Vera Nunes Vais, al carissimo Natan Ben Horim e mi scuso se non nomino tutti coloro che mi sono vicini, mi aiutano psicologicamente e mi tengono al corrente delle varie attività... l’amicizia ebraico cristiana continua anche per me! Nella mia immobilità, anch’io ho voluto far qualcosa per il dialogo. Innanzi tutto, ho sempre offerto le mie sofferenze perché finisca la guerra in Israele sentendomi vicina agli amici che abitano lì. Tutte le sere dal primo di ottobre recito il Rosario per la pace come ha scritto il Santo Padre e mi sento molto impegnata. <Il Rosario è preghiera orientata per sua natura alla pace, per il fatto stesso che consiste nella contemplazione di Cristo, Principe della pace e “nostra pace”(Ef 2,14). Chi assimila il Mistero di Cristo - e il Rosario proprio a questo mira -, apprende il segreto della pace e ne fa un progetto di vita.......E come ( si potrebbe) contemplare il Cristo carico della croce e crocifisso, senza sentire il bisogno di farsi suoi “cirenei” in ogni fratello affranto dal dolore o schiacciato dalla disperazione?....Insomma, mentre ci fa fissare gli occhi su Cristo, il Rosario ci rende anche costruttori di pace nel mondo.....esso ci consente di sperare che, anche oggi una“ battaglia” tanto difficile come quella della pace, possa essere vinta.>(Rosarium Virginis Mariae n.40) |
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Nel
1989 la professoressa Caterina Conio mi scrisse parlandomi dell’ASSEFA e
proponendomi di adottare a distanza un bambino indiano. L’idea mi
piacque, così cominciai a conoscere l’associazione e a corrispondere
con il mio nuovo “figlio” Ponthi-Alagan al quale se ne sarebbero
aggiunti altri. Lo scambio di fotografie e di lettere ci avvicinava sempre
di più. Quando nel 1995, Itala Ricaldone, presidente dell’ASSEFA Italia, mi chiese di diventare la referente dell’Associazione per Roma, accettai volentieri, contenta di poter collaborare ad accrescere il numero delle adozioni nella capitale. Offrire a tanti bambini del Talminadu la possibilità di trascorrere un’infanzia serena, di studiare anziché essere costretti a lavorare in fabbrica, è stato il mio impegno di questi anni. Fra la fine del 1997 e l’inizio del 1998 sono stata in India, dove ho visitato numerosi villaggi del Talminadu e mi sono interessata delle attività svolte dall’ASSEFA. L’incontro con Ponthi-Alagan è stato molto emozionante per entrambi. Ora ha un negozietto nel suo villaggio e, dopo la morte della madre, mantiene il padre e due sorelline. Avendo constatato che nel villaggio di Nallapaly (VNLP) dove vivono molti bambini adottati dal nostro gruppo, mancava una scuola, ho pensato di lanciare una raccolta di fondi per poterla costruire. Così ho inviato una lettera ai genitori adottivi e agli amici, parlando del mio“sogno” e allegando la pianta della scuola. Grazie alla generosità di molti, sono riuscita a raccogliere la somma necessaria e a spedirla in India. Tuttavia il “sogno” non si è realizzato subito perché nel frattempo anche il Governo Indiano aveva scelto quello stesso villaggio per edificare una scuola, come poi ha fatto e a noi è stato chiesto di spostarla in un altro. Così la scuola dell’ASSEFA gruppo di Roma è stata costruita nel villaggio di Ayyar-Puram e, come si vede dalla fotografia, non solo è stata finita, ma è già in piena attività. Visto che gli impegni del nostro gruppo aumentavano, d’accordo con la sede di Sanremo, abbiamo scelto di diventare una Onlus. Il 7 giugno 2001, presso il notaio Alessandra Sbardella (genitrice adottiva) si è costituita l’“ASSEFA gruppo di Roma”. Lavorare insieme, suddividendo i compiti, è stata una decisione molto positiva. Durante la mia lunga malattia, l’attività del gruppo è proseguita soprattutto per merito di due consigliere, Manuelita Moris e Laura Gorgosalice e del vice-presidente Edek Osser, che hanno assolto tutti gli impegni e che ringrazio di cuore. Edek è stato in India nel febbraio per visitare i villaggi ASSEFA ed ha filmato le attività che si svolgono nel Talminadu. Uno dei cortometraggi è stato mandato in onda il 10 maggio 2002 su RAI DUE, nel corso del programma “non solo soldi”, che viene trasmesso anche in tutte le stazioni estere. Era molto interessante il commento della giornalista Tina Lepri, moglie di Edek. Ambedue hanno adottato due bambini attraverso l’ASSEFA. Ora abbiamo lanciato un’altra raccolta di fondi e mi auguro che presto un altro villaggio ASSEFA avrà una scuola voluta dal gruppo di Roma.
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Se
per 7 mesi ho potuto restare in ospedale ed anche ora, a casa,
continuare ad accettare la mia malattia è perché ho utilizzato e
valorizzato bene la sofferenza. Ho infatti la certezza che il dolore non
è mai vano, mai inutile. Anzi nel momento in cui mi sono accorta di
essere paralizzata, di dovere dipendere in tutto dagli altri, ho elevato
la mia esistenza ad una dimensione soprannaturale per riscattarla e
sublimarla per un destino superiore che oltrepassasse la mia situazione
personale e servisse ad una società, che ha tanto bisogno di chi sappia
accettare la sofferenza. Ho capito di poter collaborare con Cristo nel
piano della salvezza e diffondere intorno a me un esempio di
forza morale, che solamente chi soffre, con la fede nell’anima, può
comunicare agli altri. Come ha scritto San Paolo:”Perciò sono lieto
delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello
che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la
Chiesa“ (Col.1,24).Mi ha molto aiutato assistere alla Messa e ricevere
ogni giorno la Comunione.Ho chiesto al cappellano l’unzione degli
infermi con spirito di grande fiducia e l’ho ricevuta nella camerata
dell’ospedale, presenti le altre ammalate. E’ stata per me una
fonte di forza sia per l’anima che per il corpo. Ho invocato anche
la guarigione, ma sempre al fine che la salute del corpo mi porti ad una
unione più profonda con Dio attraverso l’accrescimento della grazia.Pur
permettendo l’esistenza della sofferenza nel mondo, certamente il
Signore non ne è contento, perché è un Dio di misericordia.
Infatti Gesù ha amato i malati ed ha dedicato una gran parte del suo
ministero terreno a guarirli e a confortarli. Al lebbroso, però,
che gli chiede:”Se vuoi puoi guarirmi“(Mc 1,40),quando è risanato,
Gesù gli proibisce di parlare del suo risanamento e c’è
sempre durante la Sua vita molta riservatezza riguardo alle
guarigioni. Il Suo atteggiamento fa capire che è qualcosa di eccezionale,
dal punto di vista dell’economia divina della salvezza.Ho molto pregato
Maria, l’ho invocata come salute degli infermi, recitando nella cappella
dell’ospedale il rosario e rispondendo alle litanie della Madonna.Sono
certa che ha presentato le mie sommesse invocazioni ed i miei affanni a
Gesù, il solo sollievo e ristoro nelle tribolazioni della mia vita.
Questo intimo e filiale colloquio con Maria nelle ore della solitudine,
dell’angoscia e della disperazione, mi ha aiutato a sopportare la mia
croce e a capire che le mie sofferenze diventavano fonte di merito.Ho
anche scoperto un maestro che guardo alla televisione e di cui ascolto e
leggo le parole. Mi è di esempio in questo periodo di sofferenza,
mi predilige ed ha affetto per me, perché sono malata e prega per
me, anche se non mi conosce. Infatti Giovanni Paolo II mi può capire
proprio perché ha sperimentato la sofferenza ed ha conosciuto la
debolezza fisica, che deriva dalla menomazione e dalla malattia. Ha
vissuto il dolore del corpo con fortezza cristiana senza mai
perdersi d’animo, dando un valore superiore alle sue malattie
santificandole e si è abbandonato con fiducia al Signore che lo prova,
riuscendo a condividere le Sue sofferenze per partecipare anche alla Sua
gloria (cf. Rm 8,17). Alle udienze ha sempre voluto gli ammalati accanto a
sè ed ha parlato loro considerandoli vicini al suo cuore e molto
importanti per il bene della Chiesa. Per il Papa le nostre vite
hanno un profondo significato, perché la sofferenza cristianamente
accolta e sopportata è preziosa agli occhi e al cuore di Gesù, una
sorgente di bene per lo stesso ammalato, per la Chiesa e per i fratelli.
Ha sempre esortato gli infermi a non cedere allo scoraggiamento, ma
a lottare contro la malattia per riacquistare la salute e la piena
disponibilità verso sé stessi, per essere un monito vivente di una
realtà fondamentale per il cristiano: la croce portata per amore del
Signore e dell’umanità. La strada per ottenere un’autentica
serenità, un forte sostegno ed un’incredibile forza è quella
dell’imitazione di Cristo sofferente. La nostra sofferenza, unita
alla Sua, se accettata ed offerta con generosa disponibilità, diventa una
sorgente di bene e uno strumento prezioso di redenzione per la salvezza
degli altri ed un grande valore nel piano di Dio. Per il Papa, saper
soffrire con amore, con rassegnazione, con coraggio, con fiducia, con
pazienza è una grande arte che si impara soltanto con l’aiuto della
grazia divina alla scuola di Cristo Crocifisso, che conosce e santifica la
nostra sofferenza. Quando Giovanni Paolo II ha incontrato i malati all’udienza del 13 gennaio 1982 disse loro:”Siate coraggiosi e forti: unite i vostri dolori e le vostre sofferenze a quelli del Crocifisso e diventerete corredentori dell’umanità insieme al Cristo. Il Papa è con voi e vi ricorda sempre nella preghiera”. Quando egli deve partire chiede ai malati di offrirele loro sofferenze e di seguirlo da vicino durante il viaggio; è sicuro che possono far molto per lui, ma allo stesso tempo, promette di pregare per loro e per la loro salute durante la Messa ( cf. Omelia nella Basilica di S.Pietro 11 febbraio 1982). Negli ultimi viaggi del Papa io ho offerto le mie sofferenze per lui. Come scrive l’Anonimo Brasiliano nel “Messaggio di tenerezza”, anch’io, durante la mia vita, ho camminato sulla sabbia accompagnata dal Signore ed ho sempre visto le orme del Signore insieme alle mie. Durante la mia malattia mi sembrava di vedere solo le mie ed “ho domandato allora: Signore, tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita ed io ho accettato di vivere con te, ma perché mi hai lasciato sola proprio nei momenti peggiori della mia vita?” Il Signore mi ha risposto dicendomi:“Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te durante tutta la camminata e che non ti avrei lasciata sola neppure per un attimo e non ti ho lasciata...i giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”. top Il discorso della Priora alle Consorelle in occasione della festa della loro Patrona |