Sera di venerdì 4
marzo 2005, ore 20,30, è buio pesto, un’auto viaggia su quella strada
che porta all’aeroporto di Bagdad. E’ una strada ad alto rischio
vigilata con ferrea determinatezza dai soldati USA allertati dai tanti
sanguinosi attentati dei terroristi irakeni che si verificano da
interminabili mesi. Su quell’auto viaggiano un carabiniere che fa da
autista, una giornalista italiana Giuliana Sgrena, rapita da molti
giorni da una delle tante bande di cosiddetti ribelli, e l’alto
funzionario del SISDI Nicola Calipari. Quest’ultimo pochi minuti prima,
dopo defatiganti e complesse trattative, ha strappato la Sgrena dalle
grinfie dei sequestratori e la sta conducendo verso la salvezza. Ad un
tratto un bagliore e alcuni proiettili provenienti dalle truppe
americane investono l’auto. Ecco Calipari fare scudo con il proprio
corpo per impedire che la giornalista venga colpita. Quest’uomo
coraggioso viene colpito a morte mentre gli altri due se la cavano con
ferite non gravi.
Questa in estrema
sintesi la cronaca di un avvenimento che in questi giorni sta
sconvolgendo il nostro paese. Tante le implicazioni a livello dei
rapporti internazionali in primo luogo per individuare le responsabilità
di chi ha premuto il grilletto. Tutto giusto e sacrosanto ma a noi
italiani si impone in questo momento storico una riflessione per un
aspetto non secondario.
La nostra Italia,
così allegramente protesa all’inseguimento del benessere consumista
senza badare troppo ai mezzi, più o meno leciti, con cui raggiungerlo,
spesso dimentica dei veri valori, rimane quasi sbigottita dinanzi ad un
pubblico funzionario che compie il suo dovere fino in fondo, che
rinuncia insomma alla vita per salvare un essere umano che neppure
conosceva fino a pochi minuti prima. Ma cos’è successo? Si chiedono in
tanti, forse Calipari è stato colto da quella” follia “ che talvolta
spinge gli uomini a compiere atti di eroismo? Troppo facile e
assolutorio. La verità potrebbe essere quella di contro che la pubblica
opinione nostrana si è bellamente dimenticata cosa significhi espletare
funzioni di pubblico interesse da parte di un servitore dello Stato.
Tutta una letteratura, tutto un giornalismo da anni si affannano a
descrivere con dovizia di particolari le crepe e i ricorrenti disservizi
della macchina dello Stato e quindi le “colpe “ dei tanti- forse
troppi!-funzionari che hanno il compito di rappresentarlo. Non si può
certo negare che queste denunce abbiano di frequente un serio fondamento
ma una domanda dobbiamo porci noi tutti. La civile convivenza, un
minimum di sicurezza, il mantenimento complessivo di uno status sociale,
organizzativo e amministrativo sono fattori che, nonostante tutto,
esistono nel bel paese. Sarebbero essi possibili se non vi fossero, a
livelli di vertice e non, funzionari pubblici che non considerano lo
Stato come un fastidioso e ingrato padrone, ma operano giornalmente con
costanza , professionalità e spirito di vero sacrificio in favore
dell’intera collettività? La risposta la lascio a chi legge. Il nostro
avviso è che può sembrare strano ma di persone così ve ne sono,
altrimenti la baracca non potrebbe assolutamente funzionare. Evitiamo di
farci convincere dai venditori di fumo che purtroppo non sono rari sia
nel mondo politico che in quello economico che in quello
dell’informazione. La morte tragica di Calipari è un segnale, sia
impegno comune il coglierlo.
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