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newsletter dell' 8
GENNAIO 2021 |
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LA CRISI
DELLA
DEMOCRAZIA
AMERICANA
CHIAMA
L’EUROPA
AD
ASSUMERSI
LE
PROPRIE
RESPONSABILITA’
GLOBALI
-
L’episodio
di
ieri
dell’assalto
al
Campidoglio
è
stato
un
vulnus
drammatico
per
la
democrazia
degli
Stati
Uniti;
ma è
stato
anche
la
manifestazione
eclatante
della
fragilità
e
della
debolezza
del
Paese
che
rimane
nonostante
tutto
il
più
potente
al
mondo
e
che
condiziona
tutta
la
politica
estera
degli
alleati
democratici
e le
relazioni
internazionali
-
Per
gli
Europei
c’è
una
sola
lezione
da
trarre
dalla
situazione
americana:
rifuggire
la
tentazione
di
affidarsi
alla
“solidità
delle
istituzioni
democratiche
americane”
e
alla
forza
“dei
checks
and
balances”
della
Costituzione
federale,
e
capire
che ora
sono
gli
USA
ad
aver
bisogno
di
un’Europa
forte
e
determinata,
una
potenza
positiva
alleata
che
li
guida
nel
governo
di
un
mondo
che
loro
hanno
costruito,
ma
che
non
sono
più
in
grado
di
indirizzare
-
Come
il
MFE
ricordava
nel
suo comunicato
stampa diffuso
dopo
la
vittoria
di
Biden,
“Solo
completando
la
sua
unificazione,
l'Europa
contribuirà
a
sconfiggere
nel
suo
seno
e
nel
mondo
intero
i
seguaci
del
tycoon
americano”.
Quanto
accaduto
ieri
ha
dimostrato
quanto
è
vero
questo
assunto;
ora
possiamo
solo
impegnarci
affinché
l’attacco
al
Campidoglio
spinga
gli
Europei
ad
assumersi
le
proprie
responsabilità
globali
----
A
seguire
la
dichiarazione
completa
Dopo
quanto
avvenuto
ieri
negli
Stati
Uniti,
con
l’assalto
al
Campidoglio
da
parte
dei
movimenti
armati
che
sostengono
Trump,
diventa
sempre
più
urgente
e
indispensabile
per
gli
Europei
riflettere
sul
loro
rapporto
con
gli
USA
e
sul
futuro
che
vogliono
costruire
per
sé e
per
il
mondo.
L’episodio
di
ieri
è
stato
un
vulnus
drammatico
per
la
democrazia
degli
Stati
Uniti;
ma è
stato
anche
la
manifestazione
eclatante
della
fragilità
e
della
debolezza
del
Paese
che
rimane
nonostante
tutto
il
più
potente
al
mondo
e
che
condiziona
tutta
la
politica
estera
degli
alleati
democratici
e le
relazioni
internazionali.
Per
questo,
il
problema
della
crisi
del
sistema
americano
non
è
solo
un
problema
interno,
ma è
un
problema
per
il
mondo
intero.
Sperare
che
la
leadership
americana
abbia
la
forza
di
ridisegnare
l’ordine
internazionale
e di
guidare
la
nascita
di
un
nuovo
multilateralismo
cooperativo
significa
voler
chiudere
gli
occhi
di
fronte
alla
realtà.
Lo
spettacolo
offerto
ieri
dalla
folla,
che
nessuno
ha
fermato
nella
sua
marcia
verso
e
dentro
il
Campidoglio,
perché
si
trattava
di
sostenitori
del
presidente
ancora
in
carica,
e la
tracotanza
che
gli
aggressori
hanno
ostentato,
dimostrano
che
la
presidenza
di
Biden
non
potrà
non
essere
pesantemente
condizionata
dalle
tensioni
interne
che
l’accompagneranno.
Come
ha
tweettato
lo
stesso
Trump,
questo
passaggio
è
parte
di
una
strategia
della
tensione
che
continuerà,
guidata
dall’obiettivo
del
Make
America
Great
Again,
per
riprendere
le
parole
del
presidente
uscente.
Trump
e i
movimenti
cui
fa
riferimento
–
che
rappresentano
una
parte
non
marginale
del
Paese
–
hanno
preparato
il
terreno
per
contestare
e
indebolire
la
legittimità
del
governo
federale;
ora
che
queste
forze
hanno
trovato
corrispondenza
ai
massimi
livelli
istituzionali,
andranno
oltre
lo
stesso
Trump,
troveranno
nuovi
leader
e
non
si
placheranno,
alimentate
da
una
crisi
profonda
del
modello
sociale
e
della
dottrina
economica
americani.
Sicuramente
nei
prossimi
giorni
si
vedrà
se
almeno
la
reazione
ex-post
riuscirà
ad
essere
adeguata
(trovando
gli
strumenti
per
incriminare
o
rimuovere
Trump),
o se
gli
Stati
Uniti
rimarranno
in
balia
di
un
personaggio
che
usa
la
propria
posizione
istituzionale
per
negare
i
fondamenti
del
sistema
democratico
americano
e
chiamare
alla
rivolta
le
frange
violente,
vagheggiando
il
colpo
di
Stato.
Tuttavia,
persino
nella
prima
ipotesi
–
per
non
parlare
della
seconda
– la
discesa
del
sistema
statunitense
nell’abisso
del
populismo
e la
forza
politica
guadagnata
da
chi
nega
i
valori
e i
principi
universali
liberali
e
democratici
rendono
gli
USA,
come
Paese
e
come
potenza,
un’anatra
zoppa.
Per
gli
Europei
c’è
una
sola
lezione
da
trarre
dalla
situazione
americana:
rifuggire
la
tentazione
di
affidarsi
alla
“solidità
delle
istituzioni
democratiche
americane”
e
alla
forza
“dei
checks
and
balances”
della
Costituzione
federale,
e
capire
che
ora
sono
gli
USA
ad
aver
bisogno
di
un’Europa
forte
e
determinata,
una
potenza
positiva
alleata
che
li
guida
nel
governo
di
un
mondo
che
loro
hanno
costruito,
ma
che
non
sono
più
in
grado
di
indirizzare. Utopia
pensare
che
gli
Europei
possano
fare
un
passaggio
del
genere?
No,
solo
presa
d’atto
dei
cambiamenti
avvenuti
nello
schieramento
occidentale
e
delle
nuove
responsabilità
che
competono
ad
un
continente
che
può
offrire
un
modello
positivo
per
il
mondo.
All’Unione
europea
basterebbe
poco
per
fare
il
passaggio
politico-istituzionale
federale,
costruendo
su
quanto
già
fatto
in
campo
monetario
ed
economico.
Con
il
Next
Generation
EU
ha
già
posto
le
basi
per
la
nascita
di
una
sovranità
europea
in
campo
economico,
che
a
questo
punto
deve
solo
essere
consolidata
riformando
i
Trattati
con
l’attribuzione
della
competenza
fiscale
al
Parlamento
europeo.
Questo
sarebbe
sufficiente
per
portare
l’UE
a
diventare
subito
il
punto
di
riferimento
del
governo
economico
della
globalizzazione,
e
questo
accelererebbe
i
passaggi
analoghi
in
tutti
gli
altri
settori
necessari.
Come
il
MFE
ricordava
nel
suo comunicato
stampa diffuso
dopo
la
vittoria
di
Biden,
“Solo
completando
la
sua
unificazione,
l'Europa
contribuirà
a
sconfiggere
nel
suo
seno
e
nel
mondo
intero
i
seguaci
del
tycoon
americano”.
Quanto
accaduto
ieri
ha
dimostrato
quanto
è
vero
questo
assunto;
ora
possiamo
solo
impegnarci
affinché
l’attacco
al
Campidoglio
spinga
gli
Europei
ad
assumersi
le
proprie
responsabilità
globali.
Pavia,
7
gennaio
2021
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Newsletter n.
170
Quando è a rischio la libertà di
stampa, la democrazia soffre.
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La ricerca della Fondazione Murialdi sul giornalismo
italiano dalla caduta del fascismo alla Costituente
ad opera di Giancarlo Tartaglia, pubblicata da Il
Mulino e in libreria dal 14 gennaio, è stata oggetto
di una recensione su Il Fatto Quotidiano da
parte di Giovanni Valentini il 2 gennaio
scorso. Riportiamo di seguito il testo
dell’articolo.
“La libertà è come l’aria: ci si accorge di
quanto vale quando comincia a mancare” (Piero
Calamandrei)
Se
è sempre valida la libertà in generale, la citazione
del giurista Calamandrei riportata qui sopra lo è a
maggior ragione per la libertà di stampa. Tanto più
in un periodo storico come quello che stiamo
vivendo, segnato dalla crisi dell’editoria, dal
declino dell’informazione professionale, dai social
network e dalle fake news. E’ proprio quando
comincia a mancare la libertà di stampa, infatti,
che se ne apprezzano di più la funzione e la
necessità. E allora è a rischio anche la qualità
della vita democratica.
Può
essere utile a tutti, perciò, leggere il saggio di
Giancarlo Tartaglia, segretario generale della
Fondazione Paolo Murialdi, intitolato Ritorna la
libertà di stampa (il Mulino). Sulla base di
una ricca documentazione, il volume ricostruisce le
vicende del giornalismo italiano nei quattro anni
cruciali (1943-1947) tra la caduta del fascismo e la
Costituente. Una “zona crepuscolare”, per dirla con
lo storico inglese Eric Hobsbawn, di cui conserviamo
la memoria attraverso i libri e la testimonianza dei
nostri padri.
Per
la stampa nazionale, quello fu un passaggio sofferto
e tormentato che tuttavia conteneva i germi di una
rinascita decisiva per la nostra democrazia. Ma il
saggio di Tartaglia diventa di particolare attualità
nella fase che stiamo attraversando: una fase in
cui, purtroppo, ci manca l’aria e non solo
metaforicamente. Fra le tante severe lezioni
impartite dall’epidemia, c’è anche quella che
riguarda l’attendibilità e l’affidabilità delle
notizie infettate dal virus della disinformazione o
della cattiva informazione.
Nel
ventennio fascista – racconta l’autore del libro –
“la visibilità dei giornalisti era stata maggiore di
qualsiasi altra professione”. Medici, avvocati,
ingegneri, architetti avevano potuto attraversare la
dittatura senza la necessità di compromettersi né a
favore né contro il regime. E invece, come scrisse
Luigi de Secly, il direttore che avrebbe guidato la Gazzetta
del Mezzogiorno di Bari dal ’43 al ’60, unico
quotidiano a non sospendere mai le pubblicazioni
durante la transizione, “non così purtroppo è
avvenuto per i giornalisti, per i quali la politica
era un ferro del mestiere e specialmente per coloro
che come noi traevano dall’esercizio professionale
lo stretto necessario per l’indispensabile pane
quotidiano”. Altri, come Raffaele De Luca dalle fila
del Partito d’Azione, sosteneva piuttosto che quella
dei giornalisti era la “classe più screditata
d’Italia, ancor più della burocrazia corrotta”,
perché la grande maggioranza di loro per vent’anni
aveva “anteposto la carriera alla propria
coscienza”.
Oggi che il fascismo fortunatamente non c’è più, la
libertà di informazione è minacciata dalla crisi
economica dell’editoria; dalle maxi-concentrazioni;
dall’assalto dei grandi gruppi industriali che
perseguono i propri interessi e i propri affari;
dallo sfruttamento dei giornalisti, sempre più
precari e malpagati o non pagati affatto; e perfino
dall’incertezza delle loro pensioni, insidiate dalla
diminuzione dei redattori professionisti e dei
contributi previdenziali. Tant’è che ora il governo
promette d’intervenire per legge, come reclama la
Federazione nazionale della stampa: da una parte,
con il cosiddetto “equo compenso” e, dall’altra, con
l’allargamento della base ai “comunicatori” che
lavorano negli uffici stampa degli enti pubblici o
delle aziende private.
C’è
bisogno di far circolare più aria, in questo 2021
che comincia, anche all’interno delle redazioni dei
giornali e in tutto il sistema dell’informazione. A
favore dei giovani, innanzitutto. Ma più in generale
a beneficio dei cittadini, del pluralismo e della
libertà di stampa.
sito: www.fondazionemurialdi.it |
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