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UNA VITA DIVERSA

di Giuseppe Trabace

 


 

Gino e Carlo, due uomini maturi vicini ai cinquanta, passeggiavano lentamente nel primo pomeriggio di una splendida giornata di settembre. Erano in un parco, il verde dell’erba era quasi accecante sotto i raggi solari, i fiori di campo si ergevano in tutta la loro semplice bellezza. Eppure Gino era lì che raccontava pacatamente, ma con la voce velata dalla tristezza, al suo compagno d’infanzia le vicissitudini del suo rapporto d’amore con Ada . Carlo lo rimbeccava con fermezza incrollabile. Si consumavano in quel momento le illusioni di una vita di un uomo buono.

                Si erano conosciuti in discoteca in Versilia in una torrida serata di agosto venticinque anni prima. Ada ballava un frenetico rock  con un ragazzotto smilzo più giovane di lei. Era bella con quei suoi occhi azzurro-mare che scrutavano in profondità, con quel corpo agile e guizzante, con quel sorriso spontaneo. Gino ballava male ma quella ragazza gli piaceva troppo. Le si avvicinò, improvvisò qualche battuta spiritosa e improvvisamente se la trovò tra le braccia che ballavano una dolce samba brasiliana. Si rividero sempre più spesso. Presto li unì un’intensa passione carnale. Carlo la conobbe nei giorni di Natale e, pur ammirando la sua bellezza, provò un’istintiva diffidenza verso quella giovane donna  così disinvolta e sicura di sé ma che quasi naturalmente imponeva la sua volontà all’amico del cuore. Avvertì Gino sui suoi dubbi ma furono parole vane. I due si sposarono in primavera.

Lei si trasferì da Modena a Roma dove Gino svolgeva la sua professione di avvocato. Non era un atto d’amore ma un preciso e fermo intento di quella donna di vivere in una grande metropoli. Ada ci sapeva fare, aveva creato attorno a sé un vasto giro di amicizie romane  e passava da un salotto all’altro con disinvoltura. Gino la lasciava fare, tutto sommato era orgoglioso delle persone dell’alta borghesia che la moglie gli aveva fatto conoscere anche perchè talvolta divenivano suoi clienti.

Trascorsero molti anni, la passione amorosa in lei si era spenta da tempo e Gino ci soffriva tanto pensando che in fondo era stata lei a premere per la decisione concordata (?), poco dopo il matrimonio, di non avere figli. Gino si era intanto riavvicinato all’amico Carlo. Lo invitava spesso a casa sua nei fine settimana. Infinite le discussioni tra i due amici su tutto ma d’altronde a chi confidare le frustrazioni di un amore aggredito forse dal peso degli anni trascorsi? Carlo stava a sentire meditabondo. La frequentazione di quella casa gli aveva permesso di notare le assenze continue della moglie dell’amico. La seguì in un pomeriggio freddo di dicembre quasi istintualmente. La donna scese dal taxi in  Piazza Venezia e si diresse a passo svelto verso una viuzza del centro storico. Entrò con sicurezza, senza lanciare nemmeno uno sguardo alle vetrine, all’interno di un  negozio che vendeva ceramiche Carlo sbirciò all’interno del negozio vi era soltanto una giovane commessa dalla pelle olivastra. Passò oltre un’ora ed ecco Ada uscire frettolosamente dal negozio, questa volta seguita da un uomo elegante sulla quarantina. Entrarono in un minuscolo bar, lui le si avvicinò fino a sfiorarle con le labbra il collo, lei gli rivolse uno dei suoi sorrisi fascinosi. Tutto durò qualche minuto, poi i due, usciti dal bar, presero direzioni diverse.

         Raccontò tutto  a Gino. L’amico tradito gli credette, quella donna gli era entrata dentro ma lui sentiva da anni che non era più sua………Eccoli ora a passeggiare in quel parco con Carlo che con ferma dolcezza  consigliava  l’amico di togliersi di mente quell’ossessione amorosa. Quell’uomo umiliato tradiva dal volto imbarazzo e dolore e respingeva con voce calma le accorate argomentazioni di chi voleva salvarlo. Il tramonto dal color arancione calava su quel luogo incantevole ma Gino era accasciato su una panchina mentre Carlo in piedi lo scrutava con apprensione.  D’un tratto l’uomo in crisi si alzò di scatto ed a passo veloce uscì dal parco. L’amico lo seguì a qualche metro di distanza ed ebbe appena il tempo di vedere Gino saltate sulla sua auto e quasi fuggire da quel luogo.

Mesi e mesi trascorsero e di Gino non si seppe più nulla. Ada non lo cercò più di tanto, si limitò a segnalare la cosa ai carabinieri Poteva disporre senza problemi del denaro del marito e la scomparsa la ritenne un  fastidioso incidente di percorso. Ai primi di aprile le giunse una telefonata del commissariato di polizia di Ferrara. Le dissero sbrigativamente che il marito si era fatto vivo per richiedere un documento di identità e che il suo recapito era presso un convento di frati francescani del luogo.

Carlo, subito informato, corse dall’amico. Giunse quasi trafelato ed un giovanissimo frate gli disse che Gino si trovava in quel momento presso una mensa della Caritas  per aiutare in cucina. Lo vide arrivare nel primo pomeriggio con i capelli ritti per un vento violentissimo che attraversava l’orto del convento. Si abbracciarono, poi Gino subito gli disse che aveva dato un taglio netto alla vita vuota di prima. Non chiese nulla di Ada ma Carlo comprese che la ferita si era rimarginata. Lo diceva il suo sguardo sereno,  il suo calmo sorriso. Si confidò. In un primo periodo aveva perfino pensato di suicidarsi, era stato un attimo di crisi profonda, tutta la sua vita era stata sbagliata, non era stato mai felice. Tutto per quell’amore profondo per Ada che infine si era rivelato un bluff. Aveva riflettuto a lungo anche sulle parole che l’amico di sempre gli aveva detto quel giorno nel parco. Una passione amorosa, anche la più travolgente, non poteva distruggere un uomo sino a quel punto. Sommerso dai pensieri aveva girato senza meta con l’auto per le città della sua regione, l’Emilia. Ad un tratto si era senza un particolare motivo si era fermato ed era entrato  lì dove si trovavano, nell’orto del convento. Una sensazione di pace lo aveva avvolto. Un silenzio interrotto solo dal suono di una piccola campanella e dal bisbigliare di quei frati che  zappavano la terra con allegra lena. Entrò nella piccola chiesetta e quella nuda croce di legno gli si stagliò davanti come un richiamo intenso ai veri valori della vita. Ma si! Poteva ancora dare tanto agli altri per dare un senso al suo esistere ora non più inutile. I buoni frati lo avevano accolto con semplicità. Una piccola cella e il cibo gli furono offerti.. Da circa due mesi trascorreva la giornata aiutando quei religiosi nelle loro opere di assistenza alle persone malate o prive di mezzi. La giornata trascorreva velocemente e la sera, stanco per il suo operoso trafficare, cadeva in un sonno profondo e ristoratore. Carlo ascoltò silenzioso quel lungo sfogo dell’amico. Forse Gino aveva veramente trovato la sua strada anche se il mondo di fuori probabilmente avrebbe considerato folle questa sua scelta di vita.  Forse, pensò Carlo, il suo amico sarebbe tornato , prima o poi, alla vita “ normale “ ma nulla più sarebbe stato come prima. Ormai imbruniva e i due vecchi amici si salutarono con affetto. Certamente Carlo avrebbe portato con sé nel suo animo un pezzettino della pace di quel convento.

 

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