I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZO    STORICO
in tre parti

 

 

SECONDA  PARTE
(1)

Passata la bufera della guerra, il mondo cominciò a risorgere dalle macerie seminate dall’immane conflitto, come dalle ceneri di un vulcano che, impietosamente, con la sua coltre incandescente di lava, distrugge tutto quello che incontra lungo il suo cammino.

La rinascita si presentò difficile e laboriosa perché ostacolata da oscure forze nefaste che, sobillando le masse, seminavano discordie e malcontenti.

Gli anarchici, calpestando i valori patriottici per i quali si era combattuto, rinnegavano le istituzioni, distruggendo i meriti di quanti avevano donato i loro anni migliori e, innumerevoli, anche la vita per i più alti ideali di Patria.

L’era della politica di massa prese ad avanzare in un clima reso torbido dallo smarrimento e dall’insicurezza del domani; nulla era più certo; scioperi, ostruzionismi e disordini erano all’ordine del giorno seminando dappertutto paure e allarmi, giungendo a disgregare perfino le compagini familiari dividendole in opposti punti di vista..

Quel poco che rimaneva delle attività primarie e dei necessari servizi pubblici furono messi a soqquadro da nuclei di facinorosi che giravano armati; gli ex combattenti, reduci e mutilati, compresi coloro che si erano prodigati volontariamente per alleviare le sofferenze delle vittime, venivano derisi, vilipesi e oltraggiati come fossero responsabili della guerra.

Le aeree cittadine come alcuni paesi, furono teatri di rivolte sanguinose cosicché, fra prepotenze e delazioni, ebbero buon giuoco i nuclei con idee innovatrici che promettendo ordine e benessere giunsero in marcia sulla Capitale ergendosi a salvatori.

Malgrado la confusione e le idee poco specificate, quel nuovo Direttorio assunse il comando del governo coinvolgendo, suo malgrado la poco energica casa regnante, assumendosi l’arduo compito di ristabilire ordine e disciplina.

I problemi sociali da risolvere erano troppi e i metodi troppo pesanti e drastici per questo lo scontento non cessò di serpeggiare.

Dopo anni di propaganda,servita a convincere e rastrellare gl’incerti e, a confinare i dissidenti, s’instaurò la Dittatura che impaurendo le popolazioni, mise fine alle opposizioni, rendendo obbligatoria l’iscrizione al Regime.

Quel braccio di ferro era destinato a durare venti lunghissimi anni, fra alterne vicende che coinvolsero gli italiani nella sete di potere dei gerarchi fanatici ed egocentrici.

Ci furono anche molte cose ben fatte, la maggior parte delle quali organizzate con fini di spettacoli appariscenti e propagandistici con l’illusione di far risorgere i fasti dell’antica Roma, ma purtroppo la ricerca di quel nuovo Impero segnò soltanto l’inizio di una catastrofe.

Le innovazioni più salienti furono le continue competizioni con relative pompose premiazioni che, sminuivano gli scherni e ringalluzzivano i vincitori.

Premi per la natalità, per gli sviluppi agricoli, per le imprese industriali e urbanistiche, tutto doveva essere competizione e l’ingegno umano venne spremuto al massimo per ricavarne nuove formule da sottoporre all’ammirazione del mondo all’insegna dell’autarchia. Coloro che collaborarono col Regime non si resero conto di essere stati usati come strumenti di arrivismo a beneficio di una minoranza di presuntuosi megalomani, d’altro canto la non iscrizione al Partito avrebbe comportato il rischio di non trovare lavoro e di essere schedati come avversari...

l popolo minuto ama vivere tranquillo quindi meglio una tessera che la lotta, per questo la maggioranza si assoggettò all’obbedienza, sperando che il tempo avesse veramente portato a dei benefici sostanziali alle generazioni future.

La situazione, opprimente per il libero pensiero, aprì le porte dell’esilio a moltissimi grandi ingegni che non accettarono il servilismo a cui voleva costringerli tale dittatura, preferendo portare altrove i loro brevetti e collaborare con più soddisfazione al progresso del mondo. E il mondo progredì veramente in quegli anni.sperimentazioni e scoperte nuove si susseguirono, specialmente nel campo medico, furono scoperti farmaci nuovi che ebbero ragione d’infezioni virali che fino ad allora avevano mietuto migliaia di vittime, naturalmente anche la media della vita umana cominciò ad alzarsi.

Nonostante le insoddisfazioni e gli ostacoli, l’uomo in quanto tale, sa lottare, reagendo con forza e temerarietà e, molto spesso i successi che raggiunge sono frutto dei grandi e continui sacrifici a cui si sottopone per una meta che si prefigge.

Ogni conquista sarà lo sprone per proseguire e superarsi ancora.

Peccato però che accanto alle menti aperte volte a futuri migliori se ne annoverano altre che non vogliono evolversi, rimanendo ancorate a pregiudizi e consuetudini e, ottusamente, non vogliono vedere i vantaggi del progresso.

Alcuni componenti della famiglia Sarducci erano fra costoro.

La mentalità del capostipite non destava più meraviglia giacché non era mai stato propenso alle innovazioni, anzi le avversava per principio, ma che anche suo figlio Andrea avesse cominciato a trascurare l’efficienza del negozio, trascurandone la manutenzione era una cosa che dava da pensare, non riteneva necessario apportargli quelle modifiche atte a modernizzarlo, come stavano facendo altri di Roma inoltre non era neanche più disposto a rimanervi consecutivamente per tutta la durata dell’orario di vendita. Approfittava della moglie in modo indecente e la poveretta spessissimo rimaneva sola col l’anziano suocero che seduto alla cassa non si dava nessun pensiero di aiutarla mentre Andrea aveva presa l’abitudine di passare molto tempo al vicino biliardo dove perdeva invariabilmente partite su partite.

Rientrava in bottega poco prima della chiusura ed era così nervoso e di malumore che un nonnulla bastava a farlo uscire dai gangheri prendendosela con tutti, specialmente con la sfortuna, invece di ammettere che per quel giuoco era negato, oramai però il vizio lo aveva preso e tutti i giorni si ripetevano le stesse scene.

Sulla disgraziata moglie ricadevano sovente le sue collere, specialmente se ella si lasciava sfuggire il consiglio di tralasciare quel suo svago così controproducente per il suo fegato e per il portafoglio.

Non erano questi i consigli che voleva sentire e alla assennata donna, non era raro, che arrivasse qualche manrovescio unitamente a qualche improperio.

La delicata Lilia aveva imparato a conoscere a sue spese il carattere del suo consorte, ma ad ogni nuova constatazione era un avvilimento in più, accorgendosi che la sua disponibilità verso i suoi voleri invece di affetto credeva in lui solo insofferenza ed astio.

Probabilmente gli seccava dover riconoscere le capacità di sua moglie giacché l’attività funzionava anche senza la sua assidua presenza e la clientela ben presto le si era affezionata. La mite signora bionda che ancora non aveva messa a fuoco la personalità dei due uomini coi quali condivideva la giornata lavorativa, si chiedeva spesso dove stava sbagliando per ché il loro volti erano sempre torvi nel guardarla.

Lavorava sodo e si era adattata ad una posizione da dipendente in quel negozio e a nessuno veniva in mente che avesse pure diritto a qualche pausa di riposo. Dalla mattina all’ora del pranzo e per tutto il pomeriggio, sempre al servizio dei clienti a misurare stoffe e nastri e a scegliere bottoni con un su e giù di scatole stressante che non finiva mai; il suocero non si muoveva dalla cassa neppure quando il negozio rigurgitava di gente.

Succedeva spesso che pure le domeniche doveva passarle li dentro quando c’erano nuovi arrivi di merci che bisognava prezzare e mettere in ordine e per i suoi tre figli non aveva mai tempo, affidati fin dalla nascita alle cure di quella donna saggia e impagabile che nonna Irene, si erano abituati a vedere la madre di sfuggita e sempre di corsa che neppure la cercavano più. Non che incolpasse la suocera per la quale nutriva una vera e propria venerazione perché si era resa conto di quanta sofferenza fosse stata intessuta la sua vita, ma l’impostazione del suo menage coniugale era stato sbagliato in partenza ed oramai il binario da percorrere non si poteva più cambiare, rimaneva la ferita profonda di non aver potuto dedicarsi ai suoi frugoletti quanto avrebbe voluto.

Si sentiva vittima del destino perché non le era permesso neppure respirare dovendo subire la costante sorveglianza del suocero per tema che agevolasse qualche cliente con degli sconti sui prezzi, neppure a sua madre le era stato concesso, cosa questa che la signora Elvira non aveva mai preteso, ma avendo capito come stavano le cose, per non imbarazzare sua figlia aveva finito per servirsi da un’altra parte….così anche le possibilità di scambiare due parole con lei erano diminuite.

Perché suo marito non stava mai dalla sua parte? Che amore era il suo?

Non era mai disposto a darle una soddisfazione, certe volte, al contrario, l’aveva pure messa in imbarazzo, trattandola da deficiente in pubblico.

Era veramente deprimente accorgersi di essere per lui lo strumento tuttofare per il quale non provava neppure quel po’ di rispetto del quale ciascuno ha diritto in quanto essere umano. La sua esistenza, invero, scorreva molto squallida!      

Delle tre coppie, la più riuscita era senza alcun dubbio, quella di Aurora e Placido che ad Albano vivevano una esistenza attiva e felice, circondati dall’affetto e dalla stima di tutto il circondario. Erano un esempio concreto del risultato che possono dare amore tenerezza e rispetto di una unione ben assortita; loro due, in particolare, lavoravano anche insieme perché Aurora si trovava a suo agio nel ruolo di assistente del veterinario e il loro impegno non si esauriva nella cura degli animali, ma si estendeva veramente a tutta la società perché disponibili come erano, venivano interpellati dalle più svariate persone ogni volta che avevano bisogno di consigli.

Il Casale delle bestie, come tutti lo chiamavano, era un recapito che infondeva salute, forza e coraggio tanto agli animali che alle persone ed anche i nipoti romani, Beatrice, Bruno e Bertilla vi soggiornavano a turno, durante l’estate, riportandone un bagaglio di sensazioni ed insegnamenti che non avrebbero dimenticato per tutta la vita,  

L’ingresso era sempre libero anche per Bianca e Baldo, figli di Alfio e Rosa, ma essi non l’apprezzavano tanto quanto i cugini di Roma perché non amavano sottostare a certe regole che al Casale dovevano essere rispettate, come quella di non infastidire le bestiole in cura, mentre la loro impertinenza non dava requie e non amavano neppure essere ripresi e questo era per il loro padre un cruccio che non gli dava pace anche se fisicamente erano belli e robusti per la vita all’aperto che conducevano da mattina a sera, proprio come due puledri selvaggi, senza freni.

Zia Aurora ospitava volentieri Bice, abbreviandone il nome, tranquilla e beneducata, perché, interessata a tutte le cose che facevano zia e suocera, che se la ritrovavano sempre accanto in cucina oppure fra gli animali da governare.

Bertilla, aveva meno occasioni di stare presso zia Aurora poiché, molto spesso faceva compagnia alla nonna sarta che era molto contenta di averla seco.

Quello che dava qualche pensiero ad Aurora era Bruno, col suo caratterino più difficile, ma confidava che gli insegnamenti di nonna Irene, sarebbero serviti a smussare qualche asperità di quel maschietto troppo vivace.

In conclusione, in tutti e cinque i nipoti, si stavano rivelando le caratteristiche più salienti dei Sarducci e le buone o cattive tendenze si sarebbero evidenziate più tardi, ma nessuna educazione specifica le avrebbe potute cambiare completamente.

Il brutto purtroppo sarebbe stato se alcuni difetti che avevano generato sofferenze e infelicità avrebbero ancora causato gli stessi danni con drammi che nessuno sarebbe stato in grado di prevedere.

I tiranni, le vittime e i ribelli di quella stirpe si sarebbero ancora alternati e i giovani virgulti coi loro comportamenti li stavano già delineando.

L’umanità si divide costantemente in buoni e cattivi e gli uni e gli altri, associandosi e dissociandosi, con l’alternarsi delle generazioni saranno sempre i protagonisti delle vicende umane che, a volte, divengono drammatiche se c’è la prepotenza che tiranneggia i deboli che per non soccombere completamente riescono a ribellarsi.

Per approfondire le motivazioni primarie, di certi fatti inesplicabili e complicati, bisogna scavare l’animo umano e si vedrà che anche la persona più mite e tranquilla, racchiude caratteri atavici imprevedibili che, nonostante l’evolversi della specie e il sopravvenire di ere e circostanze nuove, ritornano identici e, a farli scomparire, non serviranno né esempi, né educazione, né correzioni.

Alfio cercava di svolgere la sua vita nel modo più congeniale al suo carattere, uniformandosi ai suoi retti principi, non lasciandosi influenzare dalle incresciose delusioni subite, si era ben inserito nella vita di provincia ed era ben visto e stimato da tutti anzi lo avevano anche proposto come Podestà perché persona degna e acculturata.

E’ costume antico che la provincia che tenga in piedi dei circoli culturali frequentati dalla élite ed anche ad Albano si svolgevano riunioni settimanali nella saletta comunale dove gli intellettuali conversavano e discutevano le notizie che giungevano dalla Capitale. Anche il capitano v’interveniva e i suoi giudizi erano tenuti in alta considerazione, ma egli preferiva gli avvenimenti artistici, con preferenza a quelli musicali, non tralasciava infatti di seguire il gran Maestro d’orchestra del momento, il grande Arturo Toscanini, che stava facendo parlare molto di sé per la pignoleria con cui preparava i suoi orchestrali ed anche per la sua cocciutaggine, a tal proposito, si raccontava di lui che non tenendo conto dell’esplicito divieto ufficiale inserì brani di Paesi antagonisti, nei concerti di Montecarlo e di Cormons, come aveva prestabilito e, questo, in piena guerra.

Era l’unico italiano che contestasse gli ordini perché – diceva – la musica è universale e non ha bandiere.

Pur non amando i Dittatori, il carattere fiero del Maestro piaceva ad Alfio che unitamente agli scroscianti applausi si prendeva pure sonore fischiate, a causa appunto della sua scontrosità verbale, ma la sua alta capacità era indubbia, per questo nel 1926 non tralasciò di seguire le cronache che riportavano i suoi trionfi nelle Tournèe di Vienna e Berlino alla direzione dell’Orchestra della Scala.

Era anche rammaricato, l’ eroe, per l’inutilità della guerra che l’aveva mutilato giacché si andava evidenziando il malumore popolare che fra insoddisfazione e sarcasmo vedeva infrangersi le promesse sperate, al pari di quelle della sua vita privata.

La sua mente analitica si soffermava sui motivi per cui l’umanità non sa raggiungere la felicità secondo lui, di ragioni ve ne erano molte: insofferenza, incomprensione, incontentabilità, tutte molto valide, ma la difficoltà di comunicare era certamente la più responsabile perché a lungo andare deteriora i rapporti interpersonali specialmente fra coniugi di differente personalità e sentimento che non riescono a spiegarsi.

Come smussare gli angoli di caratteri diversissimi, caparbi e ineducati?

 Ne aveva, purtroppo, la prova nella difficile sua situazione domestica, ove tutti gli sforzi fatti per ingentilire un poco la sua rozza metà, erano naufragati; che almeno la mente le si fosse un po’ aperta, anche se i modi, malauguratamente erano ormai fissati in maniera inamovibile.

Bianca e Bruno stavano seguendo i principi sballati della loro madre, disordinata e ignorante e non si davano affatto pensiero di migliorare pensavano soltanto a soddisfare i loro desideri e cercando di copiare il modo di vivere come i coetanei con più mezzi economici, appoggiati dalla madre che aveva sempre avuto un complesso d’inferiorità. Questa la sofferenza più grossa per il povero padre, avere dei figli, insubordinati e scansafatiche, che non avevano amato lo studio, da piccoli e vivevano da parassiti da grandi.

Ovunque si presentassero i due ragazzi si dimostravano prepotenti e talvolta anche violenti perché sempre volevano far valere le loro ragioni a tutti i costi pretendendo di essere al disopra degli altri, allo sfortunato capitano arrivavano continui reclami per offese alle persone e danni alle proprietà.

Una vera vergogna, alla quale non sapeva rassegnarsi, aveva fatto anche da madre ai suoi figli quando Rosa, spersa fra i campi per giornate intere, li lasciava a piangere soli, affamati e, sporchi, nelle loro culle che se non fossero state le sollecitudini paterne ne sarebbero morti. Invece di essergliene grata, la donna, lo aveva sempre messo in berlina davanti a tutti, facendolo apparire come un mezzo uomo, perché invalido, rinfacciando la sua misera pensione, che poi non era tanto misera, ma ella sbraitava per ogni soldo che doveva sborsare da parte sua, specialmente se i suoi magri raccolti ortofrutticoli, in certe annate non davano il risultato sperato.

Si sentiva fallito il povero capitano, come uomo, come marito e come padre e confrontava sua moglie con la sorella Aurora così perfetta e buona.

Soltanto lei e Placido comprendevano il suo dramma, ma anch’essi erano impotenti a trattare con quel virago che era Rosa, perfino la zia Maria si vergognava di averla scoperta per quel che era veramente, rimpiangendo amaramente che nessuno l’avesse ben conosciuta per tempo. I cattivi vengono in luce sempre troppo tardi perché prima si mascherano e recitano per ingarbugliare il prossimo, quando alla fine avranno danneggiato i rapporti instaurati con l’inganno, ci sarà quasi sempre un solo torturato. il più debole. Subentrerà il silenzio, duro e ostinato che non renderà più possibile alcuna comunicazione per una eventuale riconciliazione e sarà…la fine inevitabile.

La vittima soffrirà perché sopraffatta e umiliata e odierà chi l’avrà prevaricata, ma anche il despota coverà lo stesso odio per la persona che lo avrà tenuto nello stato ansioso per lo sforzo di dover dimostrare costantemente la sua supremazia.

Anche il bastone del comando logora chi lo usa con cattiveria ed è capace di distruggere la fibra più robusta.

Tutte le volte che Alfio riportava la mente ai primi tempi del suo matrimonio, ritrovava i sentimenti di allora, almeno da parte sua c’era stata la viva speranza di una sistemazione tranquilla e pacifica basata su normali binari di convivenza.

Sospettando le scarse risorse di Rosa che l’aveva quasi scelto, si era ripromesso di interessarla a qualcosa di più sociale e soddisfacente per lo spirito che avrebbe compensata il suo inesistente insegnamento scolastico, nn avrebbe preteso di coinvolgerla nelle disquisizioni letterarie del suo Circolo culturale e neppure costringerla ad ascoltare la musica che a lui piaceva, ma che almeno le fosse stata accanto affettuosamente come una brava moglie e una buona madre.

Invece, nulla di questo poichè, negata per una vita casalinga normale non accettando di accudire né marito né figli che crescevano come tante bestiole, seguendo l’esempio materno aveva istigato nei figli il rigetto per una vita ordinata.

A loro tre piaceva vivere alla giornata senza darsi pensiero di predisporre regolarmente l’andamento quotidiano delle necessità casalinghe, nulla veniva organizzato.

Mangiavano quello che non doveva richiedere un preparazione accurata, a meno che non fosse qualcun altro a prepararlo e spesso questo compito era assolto dal padre, visto che, altrimenti non avrebbero mai avuto un pasto caldo.

Gli orari poi …erano tutti sfalsati, dormivano di giorno e andavano in giro la notte con altri scavezzacollo come loro,

Rosa si comportava al pari di certi animali che una volta nati, abbandonano i figli al loro destino e, si può dire, che neppure si accorgeva delle loro azioni da teppisti e se qualcuno reclamava qualche risarcimento di danno, inveiva ignorantemente verso chi aveva osato tanto, dando sempre ragione ai figli.

La casa proprio non sapeva mandarla avanti in nessun settore!

Ponendosi al suo fianco, l’ignaro marito, aveva provato a farle da Pigmalione e la sua delusione fu immensa nello scoprire quanto fosse prevenuta su ogni cosa che gli diceva; si accorse ben presto che quello mancava nella sua testa era precisamente l’ordine del pensiero e la linearità della condotta.

Sembrava una sottospecie di animale, giacché alcune bestiole, danno perfino dei numeri agli uomini coi loro perfetti sistemi … familiari.

Per quella contadina non esistevano doveri, non si era mai data la pena di stirare una camicia al proprio marito, né di attaccargli un bottone, adducendo la scusa di non avere tempo.

Difatti, si alzava tardi e subito se ne andava in mezzo alle sue “verdure” che neppure sapeva curare a dovere, eseguendo in modo sprovveduto tutte le operazioni che vanno fatte ad arte e alle debite ore.

Sprovveduta in tutto, non s’impegnava in nulla e, avendo sempre risultati negativi ne incolpava la “sfortuna” o gl’influssi di qualche magia che la perseguitava.

Non aveva attitudine per i lavori domestici e, tantomeno, per l’allevamento della prole e, se non fosse stato per il marito, i loro bimbi sarebbero morti di fame per la sua trascuratezza.

Stirare una camicia o dare in orario la pappa ai bambini, erano per quella inetta, compiti gravosi ai quali si era sempre sottratta.

Il coniuge, sul principio, l’aveva compatita, sapendo che era rimasta orfana giovanissima, per cui non aveva potuto usufruire di nessuna guida, venendo su semplice e rozza, ma, fondamentalmente, buona e sincera,

Così aveva creduto in buona fede!

Purtroppo la rivelazione di quella subdola personalità era stata una vera mazzata per lui ed aveva escogitate tante procedure di menage che non avevano sortito l’effetto desiderato.

Né più né meno di quanto avesse fatto sua madre anni addietro.

Per certe nature non ci sono rimedi e non si sa se per ottusità o per ostinazione.

Neppure la zia la conosceva a fondo avendola trovata già grande quando si era trasferita lassù con suo figlio per fondarvi l’ ospedaletto, Rosa a quel tempo era già orfana con le sue cattive abitudini che la facevano vivere come una sbandata usando la casa solo per dormire capitandole in casa solo saltuariamente e disdegnando ogni suo consiglio.

Neppure coi suoi piccoli poderi seguiva criteri precisi di coltivazione, spesso erano i contadini delle vicinanze che vi seminavano o vi piantavano qualcosa che oltre che necessario per il sostentamento dell’orfana poteva consentirle qualche piccolo introito in denaro; nessuno mai era riuscito a farle accettare qualche insegnamento, neppure gli anziani più esperti che gli andavano ripetendo ad ogni stagione, che la terra è generosa e sa ripagare chi la cura con amore, vale la pena per questo di fare qualche sacrificio, come quello di alzarsi per tempo al mattino.

Nulla e nessuno aveva avuto il potere di plasmare quel carattere indolente e neghittoso, furbo però per accaparrarsi la benevolenza di chi la vedeva per la prima volta, com’era successo al capitano che credendola pronta alla risata cordiale e spensierata, l’aveva ritenuta di buon carattere anche se poco istruita e sarebbe stato facile farle apprendere un po’ di galateo, l’euforia di quella giornata lo aveva ingannatore la delusione fu grande.

Alfio si ritrovò accanto una estranea bizzosa e negligente che opponeva rifiuti rabbiosi ogni volta che il marito tentava di suggerirle una diversa organizzazione domestica.

Rosa voleva restare zotica come era sempre stata e si rivolgeva al marito come se gli fosse nemico perché nei suoi confronti si sentiva inferiore e questo complesso la spingeva ad offenderlo volgarmente mettendolo sempre in ridicolo davanti ai figli.

Egli, affabile e affettuoso, ne soffriva terribilmente e si augurava che i figli non avessero ripreso la pigrizia e l’aridità di sentimenti della madre, sventuratamente si era già dovuto ricredere sul Bianca, la primogenita, allorché nacque il fratellino Baldo.

La gelosia che manifestò subito per lui era feroce e più volte cercò di accecare quell’ esserino scomodo che dalla culla le sorrideva perché era venuto ad insidiarle il posto di primogenita.

Fino a che il bambino non fu in grado di difendersi da solo,fu un incubo impedire alla maligna ragazzina, di aggredire quel fratello indesiderato.

Però, anche lui crescendo non si rivelò migliore e la madre che oltraggiava il marito ogni volta che cercava d’insegnare loro la buona creanza, finì per inculcare nel loro cervello che bisogna vivere liberi, pensando solo a soddisfare le proprie voglie, senza curarsi dei diritti di nessuno.

Molti erano i momenti critici che costringevano il capitano ad allontanarsi verso il lago in compagnia di Fido che ancora rimaneva il suo amico più fedele.

Camminavano insieme dal bosco fino alla riva del lago, godendo di quel clima lacustre che mescolandosi all’effluvio dei castani boschivi dava molto riposo alle membra e pace allo spirito.

Aveva sempre sofferto ed era destinato ancora a soffrire lo sfortunato Alfio e spesso si chiedeva se era proprio lui che non sapeva stare su questo mondo e meglio sarebbe stato che non fosse mai nato.

Poi pensava alle care donne della sua famiglia che avevano superato con coraggio le tante prove della loro infelice esistenza e riprendeva la sua croce, incoraggiato dalla stupenda natura che lo circondava, la tazza d’acqua che prendeva il colore del cielo e offriva la sua bellezza a barcaroli e pescatori ed anche ai bagnanti che vi veleggiavano e vi si bagnavano in estate.

La sua anima poetica si riempiva di quella visione che lo riconciliava con la vita, beandosi di quelle visioni naturali che fanno comprendere l’immensità della creazione ed il mistero che la circoscrive.

Inutile arrovellarsi nel pensiero del come e perché è scaturito il mondo, ci si accontenti di goderlo e di conservarlo intatto rispettandone i sistemi ecologici.

Non si chiede altro all’uomo!
Il mutilato, ritornava da quelle lunghe passeggiate sereno, ma piuttosto affaticato perché il suo arto anchilosato era facile a gonfiarsi nei lunghi percorsi, anche se Placido gli raccomandava di tenerlo sempre in movimento e, per questo, molto spesso gli chiedeva di accompagnarlo nelle visite a domicilio dei suoi pazienti fra case e cascinali.

 Al ritorno c’era la sosta obbligata e gradita al Casale dove la signora Maria e Aurora li attendevano con i friabili e profumati biscotti tradizionali e una bella tazza di tè.

 Pomeriggi sereni che lo ritempravano e lo ripagavano delle tristezze consuete e che si prestavano a delle considerazioni che saltavano agli occhi molto evidenti ed era il comportamento delle due donne impagabili ed eccezionali che aveva di fronte.

 Amorevoli e sollecite, sua sorella e la suocera, non lo erano soltanto con le persone, ma anche con i loro ospiti animali per i quali non erano mai stanche.

 Se almeno sua moglie avesse fatto frequentare più spesso quella casa ai loro ragazzi, essi avrebbero appreso le buone maniere, ma l’invidia inconscia per pervadeva Rosa nei confronti delle brave persone, li aveva prevenuti facendo apparire i parenti come spauracchi pronti sempre a criticarli insieme alla loro povera madre che nessuno poteva vedere. Con questi concetti insulsi, Bianca e Bruno stavano alla larga, salvo ad andare a chiedere aiuto quando qualcuno dei dintorni si risentiva per qualche loro malefatta, come quella volta che si erano divertiti ad avvelenare l’ acqua di un fontanile che serviva da abbeveraggio agli animali da lavoro.

 Non era la prima volta che combinavano guai del genere e da quando furono individuati come autori di diverse malefatte del genere, i figli del capitano, vennero segnati a dito e tenuti d’occhio.

 Se non avesse interceduto per loro lo zio Placido, impegnandosi a curare gratis tutti gli animali rimasti intossicati, quella volta, se la sarebbero vista brutta.

 Quando i due scavezzacolli volevano introdursi fra i figli di professionisti o nobili, si servivano come lasciapassare dei nomi dei loro parenti, il valente zio Placido, i quattrinosi Sarducci di Roma ed anche del loro padre, sulla cui testa allora faceva comodo porre l’aureola di eroe. Convinti che le loro parentele li autorizzasse a fare tutto quello che faceva piacere a loro dando fastidio al prossimo, non disdegnavano provocare e offendere. Sempre su istigazione della loro madre, che non perdonava a suo marito di aver lasciato la sua parte di azienda nelle mani del fratello quando poteva costituire l’eredità anche per i loro figli, essi invece di prepararsi ai fini di una futura occupazione dovevano concentrarsi nell’inserimento in quei gruppi più aristocratici che invece li disdegnavano per la loro maleducazione e istruzione approssimativa.

 Nei riguardi della cognata. il risentimento di Rosa, per essere stata scelta dal cugino in sua vece,non l’aveva ancora smaltita per questo l’aveva sempre snobbata affibbiandole i nomignoli più strani per ridicolizzarla, specialmente nel sapere che era una valida collaboratrice del medico era amata e considerata da tutti.

 Era sempre una grande invidia a promuovere l’acidità dei suoi giudizi su chi valeva più di lei. Il loro afflitto padre, si lambiccava il cervello per trovare qualche soluzione che li riportasse sulla buona strada, ma ogni volta che voleva far valere la sua autorità paterna per spronarli a fare qualcosa di utile per il presente e per il futuro, Bianca darsi da fare in casa e Bruno a prendersi un qualche attestato di studio, Rosa lo interrompeva dicendo:” Lasciali tranquilli….Ne avranno di tempo per occuparsi di qualche cosa che sarà di loro gradimento…Non saranno di certo le cose che vorresti tu. Per ora, dovranno solo imparare a fare i signori!

 Non capiva l’incosciente donna che i suoi incoraggiamenti al non far niente, li avrebbe condotti sulla strada della perdizione.

 Segretamente, Alfio, rifuggiva dal farsi ritenere nemico dai figli perché lui aveva troppo sofferto di avere avuto un padre ostile e per questo finiva per desistere dal fare altre pressioni, sperando che veramente giungesse “il momento della voglia “che invocava Rosa.
Anche a via degli Schiavoni la infelice Lilia continuava ad avere i soliti problemi ed era infastidita continuamente da quell’aria di comando che il marito ostentava mettendo in difficoltà tutti quanti.

 Ma perché egli doveva manovrare a suo piacere, come dei burattini tutte le persone con cui era a contatto? Così aveva fatto col padre, che pure essendo ancora un osso duro, si era visto soppiantare nella direzione della sua attività commerciale come aveva tanto manovrato per scalzare i fratelli dalla stessa, rimanendo padrone del campo.

 Lei stessa si era lasciata sovrastare dal suo dispotismo che aveva finito per esserne schiavizzata perché lui decideva in anticipo qualsiasi cosa la riguardasse, stabilendo perfino il periodo di riposo dopo ogni parto, pochi giorni erano stati sufficienti purché il banco di vendita non fosse rimasto sguarnito.

 Trattata peggio di qualunque altro dipendente mentre lui voleva far credere di rla

 Così in negozio e altrettanto in famiglia, privata pure di poter stabilire con maggiore tenerezza i rapporti coi loro bambini che continuavano a ricorrere alla nonna per ogni loro necessità e di questo si sentiva defraudata, anche se alla adorata suocera doveva moltissimo. Era la perduta confidenza coi figli che la faceva soffrire perché si sentiva messa in disparte e sentiva affievolirsi in loro la voce del sangue che deve essere sempre rafforzata dalla assiduo scambio di emozioni, sia pure nelle banali consuetudini di tutti i giorni.

 Ad entrambe le parti erano mancate affettuosità e coccole perché il loro tessuto familiare era labile e poco consistente e i bambini, abituati da nonna Irene a coricarsi prima del rientro dei genitori li vedevano poco e niente e se erano intimoriti dai modi burberi di padre e nonno, per la madre sentivano solo noncuranza.

 Così, almeno pensava la delusa bottegaia.

 Il ruolo di madre sconfitta pesava sul suo cuore come un macigno perché era stata privata della gioia di rispondere agli inesauribili “ perché “di quelle piccole anime che considerandoli, fonte di conoscenza, si affidano con fiducia e rispetto ai loro genitori che dovrebbero assolvere sempre degnamente questo compito, base per una esistenza equilibrata. Soffrendone intensamente, non era però riuscita mai a spezzare la sua catena di servilismo nei confronti del suo tiranno che godeva immensamente nel comandare tutti e diventava furioso verso chi non era disposto ad obbedirgli.

 Lilia, meno istruita della suocera che era in grado di motivare, in parte, i motivi di certi caratteri prevaricatori derivanti dagli atavici complessi d’inferiorità di antenati schiavizzati, che avevano sempre covati propositi di vendetta, si arrovellava al pensiero che suo marito fosse soddisfatto solo quando imponendo la sua volontà faceva soffrire chi invece avrebbe dovuto amare.

 Le duoleva anche la falsità di certe sue affermazioni in pubblico quando qualche loro cliente, suggeriva amichevolmente suggeriva di sostituire …”la Signora” con una commessa, visto i tre figli che l’attendevano a casa.

 Per costoro era pronta la risposta di suo marito: “ Mia moglie sa bene che faticherebbe più a casa che qui nel suo negozio…ed è stata una sua libera scelta perché nessuno la costringe…. E poi suocera e nuora insieme dalla mattina alla sera finirebbero per litigare.” La moglie a queste parole si sentiva salire il sangue alla testa, ma sapeva che sarebbe stata una inutile polemica inserirsi per dire il contrario !

 L’animo umano si compone d’innumerevoli sfaccettature che rappresentano misteri imperscrutabili, persino di sé stessi riesce difficile districare alcune anomalie che non appaiono logiche. A Lilia capitava sovente di non capire perché non fosse pronta a ribattere le bugie di suo marito.

 Forse perché le ripugnava farlo davanti ad estranei ?

 Sfortunatamente però, passato il momento, quelle frasi che nella sua mente erano giuste e precise, venivano accantonate e finivano per scomparire; non aveva mai avuta la capacità di essere tempestiva e, a caso ripensato non era capace di ritornarci sopra.

 Per questo si considerava veramente stupida. L’opinione pubblica non la considerava affatto stupida, vedendo il suo comportamento affabile e giudizioso con la clientela che serviva con precisione e rapidità.

 Forse c’era chi pensava che fosse attaccata al denaro e non accettava di farsi sostituire da una commessa che non avrebbe lavorato col suo stesso impegno.

 Attaccata al denaro poi… era veramente assurdo!

 Aveva chiesto parecchie volte al marito di esonerarla dal lavoro in pubblico perché sarebbe stato più giusto dare il suo aiuto a nonna Irene, invece di togliere dalla scuola Bice per questo scopo. Massimo, nel vero senso della parola… faceva sempre orecchie da mercante. Neanche il pensiero che fosse diventato gravoso per sua madre tener testa ai loro figli dinamici e ribelli perché la vivacità della nuova generazione, portava i segni dell’insofferenza lasciata dalla guerra appena trascorsa e quei ragazzi non erano diversi dalla maggioranza.

 La nonna faceva il possibile per mantenerli docili e obbedienti e in parte ci riusciva anche se era sempre pronta a riparare le loro sporadiche marachelle perché non incorressero nei castighi paterni.

 Se Irene aveva preso la sua vita da reclusa come una penitenza da offrire alla famiglia, Lilia, aveva il conforto della fede che suo marito, a differenza del padre, non aveva proibito alla moglie di andare in chiesa e Lilia, di primo mattino, prima di andare a negozio non tralasciava di assolvere i suoi obblighi religiosi.

 Faceva anzi di più, svolgendo un suo apostolato nascosto, per aiutare in molti modi le persone bisognose del rione che si rivolgevano al Parroco di S. Rocco,la sua amata chiesa parrocchiale ove aveva puntualizzato i momenti più significativi della sua vita : la prima Comunione, la benedizione della salma del suo sventurato padre, il matrimonio così fastoso da non parere più neppure un Sacramento.

 Ognuno di quei ricordi era scolpito nel suo cuore, devoto particolarmente al Santo che gli dava il nome che era raffigurato nel grande dipinto insieme al suo cane che gli aveva salvato la vita, quando spogliatosi dei suoi beni in favore dei poveri, si fece pellegrino taumaturgo e colpito da peste, sarebbe morto se la fedeltà della fedele bestia non avesse trovato il modo di nutrirlo.

 E la piccola signora bionda che tutti amavano, pur controllata e poco libera di agire come quel cane trovava sempre il modo di far giungere il suo conforto a chi soffriva, sia pure con un messaggio di speranza.

 Traboccava d’amore per il prossimo infelice e le sue preghiere non chiedevano nulla per se stessa. Ed era scritto che per lei ci fosse un calice amarissimo da sorbire.

 Si era sempre sentita intimidita dalla forza fisica di suo marito e lui si divertiva a fargliela subire nei modi più brutali, spesso all’improvviso, l’alzava da terra afferrandola per i capelli, insensibile alle sue grida di dolore, mai con lui aveva avuto momenti d’intimità dolci e riposanti, tutto si svolgeva bruscamente in modo rapido e affrettato, con l’ansia repressa di una forzata fecondazione.

 Non si era mai verificato che un loro colloquio fosse stato dolce e sentimentale, non certo davanti alla clientela e neppure di notte nel letto matrimoniale dove c’era sempre stato un neonato in mezzo a loro.

 Lilia si era sempre sentita usata e vi si era rassegnata perché conosceva la situazione di molte donne che era simile alla sua che il pessimo carattere del suo partner rendeva peggiore. Se così si doveva vivere bisognava adattarvisi perché nessuno si faceva carico della sofferenza femminile, fino a che i legislatori avessero messe a punto leggi idonee a preservare le donne da sfruttamenti e soprusi.

 Ma quel tempo era lontano a venire.


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