ROMANZO
STORICO
in
tre parti
TERZA
PARTE
(2)
Per
l’anno Santo 1950, avvennero a Roma molteplici sistemazioni urbane per
porla in grado di ricevere degnamente l’imponente afflusso di pellegrini
che sarebbe giunto da ogni parte del mondo.
Le manifestazioni che si stavano allestendo si sarebbero
svolte all’insegna della solennità malgrado le notizie catastrofiche
che giungevano dalla Corea a causa di truppe ribelli che causavano
continui disastri e l’O N U per questo decise d’inviarvi tempestivi
aiuti militari poiché, le immagini del conflitto, trasmesse in tempo
reale, giungevano nelle case
degli
utenti già forniti di televisore, sensibilizzandoli e coinvolgendoli.
L’angoscia e lo sbigottimento nell’assistere al risultato
dell’uso di micidiali nuove armi, diede la stura a numerose iniziative
per abolirne la costruzione.
Ognuna di queste iniziative finì nel nulla perché
gl’interessi economici legati agli armamenti non si sconfiggeranno mai,
per conseguenza, la parola Pace diventa una utopia.
Quegli anni videro la scomparsa di moltissimi alti ingegni da
Fermi a Einstein, da De Gasperi a Don Gnocchi.
La fine di quest’ultimo rimane legato all’estremo suo atto
fraterno, quello della donazione dei suoi occhi a due ciechi giovinetti
che, grazie a lui, riacquistarono la vista.
Purtroppo il gesto non sensibilizzò che un esiguo numero di
persone e ancora nel tempo furono limitati donazioni e trapianti di
organi.
Parallelamente invasero il mondo macchine automatiche che
permisero di vivere con più comodità e meno fatica e fu d’allora una
rincorsa al consumismo che insegnò alle nuove generazioni ad acquistare,
usare e gettare con assurda velocità con grande scandalo degli anziani
parsimoniosi e conservativi.
Chiarissimo ai loro occhi quanto inutili diventavano i loro
insegnamenti di risparmio, di modestia e sacrificio ; si sovvertirono
principi e ideali: tutti volevano lavorare poco, guadagnare facilmente e
godere di molto tempo libero.
La cosa più triste fu quella di assistere
all’incoraggiamento, in questo senso, dato dai genitori più giovani ai
loro ragazzini, avvezzandoli a seguire questi principi sbagliati, senza
saper prevedere che la cieca rincorsa al piacere egoistico, li avrebbe
condotti alla dispersione dei valori fondamentali, sovvertendo ordine e
moralismo.
Civiltà non vuol dire dissolutezza e intolleranza, poiché
fatalmente, così facendo si scivolerà dal materialismo
all’insicurezza.
Se si sfaldano le fondamenta ataviche del vivere sano, la
gioventù non avrà più appigli per organizzare il proprio avvenire.
Proprio questo accadde a Bianca che si ritrovò ad essere
madre nubile.
La triste riuscita della ragazza influì negativamente sui
suoi genitori, ma in modo diverso perché la madre centuplicò il suo
astio verso il proprio marito ritenendolo responsabile delle azioni della
figlia e il fatto di dover ammettere di avere un nipote bastardo la fece
diventare ancora più misantropa.
Non le avvenne mai di rimproverare se stessa per i consigli
che aveva elargito a sua figlia fin da piccola, l'aveva sempre spronata
all' infingardaggine e all’arrivismo, confidando solo sulla bellezza
fisica e senza nessuna cultura.
Imprecando contro …la sfortuna di avere incontrato un uomo
come suo marito da cui, secondo lei, derivava la sorte dei figli che
l’avevano abbandonata e in seguito all’odio che aveva accumulato verso
Alfio, non volle neppure più dormigli accanto preferendo occupare la
stanza che era stata di Bianca.
Si rinchiuse sempre più in casa, da dove passava direttamente
nell’orto e fra i suoi polli; pettegola come era sempre stata,
sparlando di tutti, sapeva bene come gli estranei si comportavano quando
c’erano fatti scandalosi da raccontare, per questo finì di chiudersi in
casa per non dire che era diventata nonna di una nipotina che non aveva
padre… privandosi persino di recarsi a Roma per vedere la piccola
Cinzia.
Cosa che fece il capitano, rintuzzando il durissimo colpo, sia
affettivo che morale, cercò di compiere il suo dovere, aiutando figlia e
nipote, sistemandole, momentaneamente, in una piccola casa nella periferia
di Roma, assegnando loro, inoltre, un assegno mensile.
Se la ragazza in seguito avesse trovato anche un lavoro
avrebbe potuto vivere decorosamente, visto che non aveva nessuna
intenzione di ritornare ad Albano.
L’autocontrollo del quale era dotato Alfio, faceva sì che
egli contenesse i suoi dolori in un’apparente calma, mentre il suo
intimo, veniva lacerato dal crollo della famiglia, dai dispiaceri che le
avevano sempre dato i suoi ragazzi che non si erano mai accontentati di
una vita tranquilla, inseguendo fantasie impossibili, promesse da persone
poco raccomandabili
Per Bianca, che amava vivere allo sbaraglio, era intervenuto
più volte, all’insaputa di sua moglie, salvandola da molte situazioni
incresciose, ma tutte le sue esortazioni per ricondurla sulla buona strada
erano naufragate di fronte alla sua sfrontata sete di indipendenza; si
augurava che l’amore per la bimba, frutto della relazione avuta con un
militare alleato, la facesse rinsavire.
Baldo, sembrava essersi dimenticato di avere dei genitori, mai
una riga, mai un saluto, si era augurato che una volta inserito nella
carriera militare, sentisse l’orgoglio e la responsabilità della
divisa, ma le notizie che gli giungevano, da fonti amichevoli, non erano
incoraggianti.
Arruolatosi in Marina, egli si era illuso di trovarvi la
libertà, ma se ne era dovuto ricredere con dispetto giacché la
disciplina marinara è una delle più dure, addirittura ferrea e per lui
che era vissuto senza rispettare ne regole né orari, era quanto di peggio
poteva capitare; stizzito specialmente perché veniva ripreso
continuamente dai superiori.
Le critiche del prossimo non le aveva mai sopportate,
figurarsi in quell’ambiente dove vi erano pronte le punizioni per ogni
mancanza.
Si ripromise tacitamente di prendersi la rivincita a suo
tempo.
Credendo di essere in posizione privilegiata perché figlio di
“capitano, eroe di guerra “ al quale si potessero concedere delle
agevolazioni, dovette prendere coscienza del fatto che sotto le armi non
si deroga dagli ordini, si deve solo obbedienza.
Gli costò un enorme sforzo adeguarsi e non mollò per
testardaggine e per non essere tacciato di debolezza fino a che, mordendo
il freno e adattandosi forzatamente alle circostanze, riuscì gradatamente
a raggiungere il grado di sottocapo che lo inserì perfettamente nel ruolo
di…dittatore, compiendo atti di malversazione nei confronti delle
reclute.
Cominciò a spadroneggiare sfogando la sua cattiveria sui
subalterni, ma il suo sadismo non passò inosservato neppure ai superiori
più duri che nelle note caratteristiche segrete annotarono: “ Duro,
spietato, troppo esigente, comanda i subalterni come non fossero esseri
umani”
Non fu sfiorato neppure dal pensiero che c’ è modo e modo
di comandare e proprio nel modo di dare un ordine, la persona rivela
origine, provenienza e grado sociale.
Avrebbe anche dovuto sapere che coloro che sono abituati,
atavicamente, a trattare con dipendenti, sanno usare modi signorili, senza
offendere e senza far pesare l’autorità..
Chi, invece, riesce ad occupare con scaltrezza e
impreparazione, solo con lo scopo di prevaricare, sarà sempre sgarbato e
insolente, riuscendo solamente a farsi odiare.
E questo accadde all’arrogante Baldo Sarducci che fu
scansato persino dai suoi compagni, ma lui non perché ambiva elevarsi
ancora, cercando di farsi amico qualche tenente perché sperava se ne
dolse troppo perché ambiva frequentare circoli più selezionati.
Non desiderava proseguire la carriera militare, ma cercava
degli agganci per il futuro, forse anche per fare un, eventuale,
matrimonio vantaggioso,
Tornava il pallino dei Sarducci che cercavano di appoggiarsi
inizialmente a una donna per poi distruggerla col proprio disprezzo,
dovuto all’ inevitabile senso d’inferiorità.
Non avendo amici, nessuno sapeva come impiegava il suo tempo
nelle libere uscite.
Un certo giorno però le cronache riportarono la tragica
notizia del suicidio di una giovane guardarobiera di una sala da ballo,
frequentato da marinai.
La sconvolgente nota, non aggiungeva altri chiarimenti, ma
l’inchiesta che seguì, mise in luce che la poverina, sedotta e
abbandonata da un uomo misterioso, aveva lasciato un bimbo piccolissimo
presso un orfanotrofio.
Il piccino di nome Cesare era figlio di Baldo
Sarducci.
Proprio lui, che dopo avere stuprata e poi illusa una
sprovveduta ragazza minorenne, l’aveva abbandonata al suo destino,
spingendola ad uccidersi perché non aveva retto al disonore.
Obbligato dal suo Comando a riconoscere il bambino, dovette
obbedire con riluttanza, impegnandosi a pagarne la retta nell’Istituto
per orfani, ma per quella innocente creatura non sentì mai nessuna
carnalità, né il dovere di andarlo a trovare.
Si dava da fare sempre per accaparrarsi qualche vantaggioso
incarico e per lucrare una crociera ambita da molti suoi colleghi, brigò
alquanto per far parte nell’equipaggio
del
grandioso transatlantico Andrea Doria nel suo viaggio inaugurale con a
bordo persone insigni e socialmente di spicco e Baldo voleva essere fra
quelli.
La partenza festosa di quella che doveva essere una
soddisfacente crociera si concluse purtroppo in modo tragico, divenendo
anche la bara di un altro Tiranno che morì solo e senza il conforto di un
bacio e di una benedizione.
Bertilla fu quella che raccolse l’ultimo respiro della
adorata nonna Elvira che per lei aveva fatto veci di madre, con dolore
immenso la vegliò ancora fino ai funerali, ma dovendo ancora terminando
il periodo di quarantena impostale dal Convento, usufruì ancora
dell’ospitalità offertale da sua sorella.
Essendo ormai guarita dall’infezione che l’aveva colpita e
non dovendo più recarsi in ospedale, ebbe giornate intere libere da
impegni, con l’opportunità di condividere la vita della famiglia in
tutte le sue sfaccettature.
Vivere insieme, per le due sorelle, non fu solo ritrovarsi, ma
conoscersi a fondo e ricavarne dei benefici, scoprirono di avere molte
affinità specialmente nel ridere senza ritegno
a
gola spiegata, cosa che da piccole non avevano mai fatto e per la reclusa,
specialmente era veramente inusitato lasciarsi andare, poiché la prima
regola che aveva dovuto imparare, era stata quella di reprimere gli
slanci, dovendo sempre controllarsi.
La coabitazione la portò a scoprire un mondo nuovo fatto di
calore e di affetto e per sua sorella fu la rivelazione della solitudine
di un’anima buona, ma non appagata perfettamente dalla dedizione che
prodigava e dalla preghiera costante.
Nella casa di Bice vi erano quattro cuori che battevano
all’unisono e questo alla suora rivelò che il matrimonio se bene
assortito, sa essere la realizzazione più bella tanto per la donna quanto
per l’uomo.
Lo aveva immaginato già da tempo, ma da quando viveva fra
quegli esseri felici ne aveva avuta conferma.
Il segreto però stava nell’amarsi e nel contentarsi di ciò
che avevano.
La madre si beava pure della fatica che comportava stare
dietro a tutto e ne ringraziava sempre il cielo perché la comunione di
spirito e il cameratismo che li univa alleggeriva ogni fatica e concedeva
ai ragazzi di crescere senza traumi.
Temeva soltanto l’imprevisto, la vulnerabile donna, perché
pensava che quella loro
felicità
non potesse durare per sempre, non si accorgeva così di essere troppo
protettiva per i suoi ragazzi che se vedeva accaldati per una corsa o con
gli occhi arrossati per il lungo studiare, subito se ne agitava.
Era talmente evidente il suo modo di fare che cominciò a dare
fastidio ai figli, perché dava il destro ai compagni di scuola per
prenderli in giro.
Curzio e Caterina, cominciarono a sentirsi mortificati,
rischiando di diventare scontrosi per troppo amore materno.
Fortunatamente la zia psicologa afferrò subito la situazione,
decidendo di raddrizzarne le storture parlandone apertamente con sua
sorella.
Poté dirsi, un trattamento psicoanalitico, quello intrapreso
da Bertilla che ebbe esito felicissimo giacché Bice comprese che non era
giusto continuare a trattare i suoi ragazzi come quando avevano pochi
anni.
Ben preparati e pronti per prendere le loro strade, a lei non
toccava interferire più di tanto, se ambiva alla loro realizzazione
sociale.
Lasciatasi guidare dai saggi consigli, Bice, acquietò la sua
ansia inutile e controproducente e nello stesso tempo ebbe modo di
valutare pure il valore della sorella che mostrò di essere una valida
conoscitrice dell’animo umano, pur essendo vissuta lontano dal mondo.
Per le sue qualità innate era riuscita a qualificarsi
nell’insegnamento e continuando ad approfondire le sue conoscenze poteva
aspirare ad altre cose che non le era stato dato di constatare di persona,
assorbita com’era sempre stata dagli esercizi spirituali, nei continui
ritiri,durante i quali colloquiava solo con i Santi.
Aveva dato tanto all’Ordine, immolando se stessa, come un
fiore congelato, privata della linfa vitale per cui non aveva raggiunta la
completa maturazione.
I suoi slanci nell’ambito del Servizio Divino, si stavano
esaurendo, mentre si sentiva attratta dalla vita esterna, non per rapporti
di natura personale, ma per continuare ad offrire la sua dedizione con
basi più allargate, con qualche sua iniziativa che concretamente avrebbe
aiutato il prossimo.
Anelava realizzarsi nell’amore per gli altri, senza
costrizioni, continuando l’insegnamento se glielo avessero consentito e
sarebbe stata pronta a partire missionaria.
Bice raccolse la confessione dalla voce vibrante della sorella
minore e la sincerità con la quale aveva messa a nudo la sua anima le
diede conferma della purezza dei suoi ideali.
Ne fu angosciata e intimidita, ma capì che la vita del
convento non le sarebbe più bastata e la data del rientro era prossima,
sentiva il dovere di aiutarla, ma era una questione troppo seria che
necessitava essere sottoposta al giudizio di una mente illuminata e
comprensiva e il suo pensiero corse immediatamente allo zio Placido.
Fu d’accordo anche Bertilla e, insieme, si recarono ad
Albano.
Placido
raggiunti i sessanta anni, che non erano moltissimi, ma per la sua figura
massiccia, la fluente barba candida, i gesti calmi e sicuri aveva preso
l’aspetto di un profeta.
Possedeva,
in più, il raro dono di entrare nella psiche dei suoi interlocutori che
trovavano in lui l‘ascoltatore ideale, a quale aprirsi sinceramente,
Continuava
ad essere il veterinario esperto, ma era pure il consigliere ideale di chi
aveva qualche problema e con la sua aria paterna indicava il consiglio
giusto per ogni evenienza.
Fecero
tutti festa al giungere delle amate nipoti, e all’accenno del motivo
della visita,
lo
zio si dispose a vagliare il grave problema che urgeva risolvere con una
certa sollecitudine.
Come
lo fu per Bice, a suo tempo, egli divenne l’angelo salvatore di
un’altra nipote e trovò la via più opportuna per presentare in una
istanza le ragioni della monaca.
Ragioni
che egli comprese immediatamente puntualizzandole con una sentenza: "Meglio una buona Maestra che una cattiva monaca" aggiungendo:
"Diamoci da fare finché sei in permesso speciale!"
Lo
zio Alfio che nel frattempo era sopraggiunto, fu incaricato di redigere la
domanda
da
inviare al Tribunale del Vicariato motivandola come vizio di consenso e
specificando che la decisione di farsi suora era stata manovrata da
persone più grandi di lei.
Non
si era trattata quindi di vera vocazione, ma di una obbedienza che, troppo
bambina, non era stata in grado di valutare.
Con
il comportamento irreprensibile di tanti anni d’insegnamento aveva dato
prova della sua rettitudine e della sua serietà, ma per il futuro voleva
riprendere la vita laica.
Bianca,
si stancò presto di fare la mamma tutta casa e figlia e ritornò a
frequentare gli
Ambienti
che più amava che erano quelli dell’avanspettacolo, dove sperava
d’incontrare il Mecenate che l’avrebbe lanciata in qualche particina
cinematografica.
Il
guaio era,che si portava dietro la piccina, sballottandola da un teatro
all’altro, e facendola diventare sfacciata ed esibizionista.
La
piccola Cinzia aveva una bella capigliatura bionda e riccioluta e sua
madre si era messa in testa che avrebbe potuto ambire a divenire la
Shirley Temple italiana,
Con
tali mire, le insegnava balletti e canzoncine osé che divertivano tutti
e facevano gongolare la madre in attesa di scritture favolose.
Bianca
era sempre una bella donna, ma a furia di rimpinzarsi di dolciumi era
ingrassata più del dovuto e per questo e, per gli abbigliamenti sempre
provocanti, era ancor più appariscente.
Finì
per accettare la proposta di matrimonio del proprietario di un cinema di
periferia che sporadicamente presentava qualche numero di varietà di
terzo ordine.
Il
signor Giovannino, di origine milanese, era una buona pasta di uomo e da
anni conosceva Bianca, alla quale aveva elargito consigli e qualche
sporadico pasto nei suoi momenti critici, aveva qualche anno più di lei,
ma offrendosi di sposarla, intendeva proteggere la bimbetta, alla quale si
era affezionato, conoscendola dalla nascita, mentre la donna poteva essere
di…"guarnizione" alla cassa del suo cinema teatro, attirando col suo
sorriso un numero maggiori di clienti.
Un
modo di ragionare molto commerciale e poco…amoroso, ma Bianca non stette
a sottilizzare troppo le sue intenzioni e l’idea di diventare la
proprietaria di quel locale la entusiasmò perché oltretutto avrebbe
avuto l’avvenire assicurato.
Si
sentì subito a suo agio nel ruolo di padrona anzi quand’era alla cassa
tutta coperta di monili, si sentiva regina e ben presto fu circuita da una
corte di guitti che chiedevano la sua intercessione per essere scritturati
dal marito.
Portavano
pure regali a sua figlia per intenerirla e qualche volta era stato
possibile
offrire
agli spettatori qualche bel numero che permetteva di alzare il costo del
biglietto.
Le
larghe vedute del Signor Giovannino non lo facevano adombrare per le
avance che qualcuno si permetteva con Bianca perché sapeva bene che alla
donna premeva molto la posizione raggiunta e non avrebbe mai rischiato di
perderla, inoltre egli aveva dato il suo none a Cinzia col patto di fedeltà
perciò avevano fiducia l’uno nell’altra.
E
poi lui non era uno sciocco e sapeva ben vigilare.
L’unico
cruccio era quello di non essere riuscito a convincere sua moglie di non vedere sempre in mostra quella ragazzina, ma su questo punto ella
dissentiva perché era sempre in attesa del colpo di fortuna che avrebbe
lanciata la sua bimba prodigio, come lei la chiamava.
Gli
anni però passavano e gli insegnamenti a sua figlia erano gli stessi che
aveva avuto da sua madre: “mangiare quando si ha fame e dormire quando
si ha sonno” cosicché Cinzia crebbe sregolata e capricciosa e ogni
volta che il marito voleva metterci bocca.
Zittito
con le solite parole: “ Non sei tu il padre perciò non t’immischiare!
Lei deve fare quello che dico io….i progetti per lei li ho tutti chiari
nella mente. Aspetta e vedrai!”
I
progetti vennero poi a galla.
Voleva
che diventasse una attrice, quello che era stato un suo miraggio, per sua
figlia doveva essere realtà e con questo pensiero fisso la mandava a
presentarsi a tutti i provini possibili e immaginabili compresi i Party
che in quel tempo avevano preso piede.
Erano
gli anni in cui i giovanissimi impazzivano per i Beatles e altri complessi
simili che diffusero nuovi musiche innovatrici e corali che riempivano le
piazze di ragazzi isterici e osannanti all’ amore libero.
E
che l’equilibrio psichico non era più troppo stabile nelle schiere
giovanili di tutto il mondo, fu dimostrato anche a Roma, considerata ancora
patriarcale, nell’esibizione del ’63 dei beniamini Beatles durante la
quale la sfrenatezza giovanile fece il finimondo, scatenando le tensioni
accumulate, ricacciando nel nulla, la civiltà.
La
ribellione verso le istituzioni, condusse branchi di adolescenti a
lasciare le loro case per vivere promiscuamente nelle Comuni ove già
serpeggiava la droga incanalata a divenire il fenomeno pauroso che nessuno
riuscì più ad arginare.
Gli
Hippies, capelloni e sudici, riportarono insetti e malattie, delle quali
furono gli stessi a soccombere per primi; vittime di eccessi che
s’immolavano al vizio, morendone con accanto la loro siringa malefica
che non aveva dato loro l’effimero oblìo del quale si erano illusi,
dando invece l’ annientamento di ogni ideale.
Quell’atmosfera
subdola e micidiale che terrorizza genitori e educatori, sparsa a macchia
d’olio che è riuscita a contaminare persino le scolaresche delle scuole
dell’obbligo è sicuramente il flagello più grave dell’umanità.
Alfio
fu ancora preso nella morsa del disonore per colpa dei figli; passò
giorni cupi perché non si sentiva di andare a conoscere l’orfano del
suo disgraziato figlio.
Non
per scarso affetto che, anzi, contava già di aiutare il piccolo Cesare
che non aveva nessuno, ma perché aveva vergogna del comportamento tenuto
dallo sciagurato marinaio che era stato causa della morte di sua madre.
Lui
non si sentiva ancora di perdonarlo per le tante sue malefatte e la sua
tragica fine sembrò essere stata una punizione celeste.
L’esistenza
di quel nipotino gli era stata notificata dal Ministero della Marina,
unitamente alla morte di Baldo, lasciandolo sgomento, ma la tenerezza
della quale era stato privato così a lungo, egli sentiva di dovergliela
centuplicare.
La
vittima innocente di un altro Sarducci, avrebbe trovato in lui un nonno
attento e premuroso, si augurava soltanto che non avesse ereditato la
natura cinica di suo figlio.
Ma
anche in quel malaugurato caso, avrebbe fatto in modo di indirizzarlo nel
giusto verso, tenendolo lontano da colei che aveva seminato rancore e
cattiveria nell’animo dei figli… la moglie sciagurata e incapace che
aveva seminato discordia e disamore.
Meglio
quindi, per il piccino, tenerlo in un buon collegio, ne sarebbe uscito
istruito per affrontare il suo futuro.
Si
accinse a compiere la sua missione partendo alla volta di Napoli,
desideroso di ritrovare una parte di se stesso in quel piccolo di quattro
anni per il quale sarebbe stato non solo nonno, ma veramente padre
amoroso.
Ritrovò
uno scopo per vivere e nell’incontrare quello sguardo innocente non ebbe
bisogno di spiegare molte cose.
Bastò
dirgli: "Sono nonno Alfio" nel prenderlo in braccio e godere della
sua gioia nel prendere possesso dei numerosi giocattoli che erano tutti
per lui.
La
causa religiosa che sciolse Bertilla dai voti, ebbe una procedura di
urgenza, più lunga fu la ricerca di un lavoro.
Nel
frattempo continuò ad abitare presso sua sorella, mentre si preparava
agli esami laici che avrebbero parificato i titoli di studio acquisiti
nella Università cattolica.
Volle
però prendere dei bambini a ripetizione per poter ripagare sua sorella
che la ospitava da tempo, anche se lei rifiutava di accettare il denaro,
Bertilla non voleva esserle di peso.
Finirono
per mettersi d’accordo su una giusta quota settimanale.
Si
sentiva piena di coraggio nell’affrontare la sua nuova vita, le veniva
sicuramente da quella casa ove aleggiava ancora lo spirito volitivo di
nonna Irene; la sua aura la circondava e la spronava ad essere sicura
delle sue future scelte.
Ella
che nella sua immensa infelicità aveva sempre trovata la forza per andare
avanti aveva lasciato nei suoi scritti il segno tangibile del suo
passaggio terreno, che non era stato affatto negletto, ma fulgido e bello.
Vissuto
da donna semplice e operosa, ma con tanta ricchezza di sentimento che
l’aveva resa nobile.
La
ex suora ogni sera, prima di addormentarsi prese l’abitudine di
sfogliare i "Libri delle erbe" che giacevano da tanti anni
nell’ultimo cassetto di quel canterano antico.
Formule,
consigli, aneddoti, nel leggere quel bagaglio d’informazioni, la ragazza
si sentiva commossa e fiera di discendere da quella donna esemplare.
Per
prepararsi agli esami, la professoressa, studiava nella veranda, piena di
luce e contornata di fiori, aveva cambiato aspetto, ma era pur sempre il
terrazzo della nonna ed aveva dinanzi lo stesso scenario sul quale
fantastica ella pure, specialmente quando doveva condurre una vita più
sedentaria a causa del cuore malfermo.
L’
animo della nipote si riempiva di poesia come accadeva all’ava.
Non
è sempre necessario scriverle le poesie per dimostrare di saper godere
dei doni preziosi che sa offrire la natura, basta la sola emozione che si
prova in un tramonto ricco di sfumature o di fronte all’esplosione di
colori di un cesto di fiori o di un verde prato tappezzato di tremule
margheritine spontanee, nate per la felicità di sciami di farfalle… e
ancora…respirare a pieni polmoni l’ossigeno dato dalle chiome frondose
di alberi secolari nei boschi ove i richiami di uccelli canori si
dipartono e tutto attorno è vivo, questa è poesia vissuta.
Poesia
vera, senza artefizi, che sorge dal nulla o meglio, da ciò che sembra
nulla, mentre è vera felicità, è gioia di vivere.
Potrà
cambiare lo stato d’animo col mutarsi degli eventi e delle età, ma i
collegamenti
restano
e d’improvviso si riallacciano col ritorno di sensazioni già provate e
di pensieri che sembrano fuggiti per l’eternità, ma sono ancora in noi.
Invece, nascosti nei meandri della memoria, pronti a saltare fuori non
appena "quella musica"” "quel profumo" "quella pagina" o
"quella frase" li farà rivivere.
Cose
impalpabili, che ognuno sa e che formano il tessuto della vita, della
propria vita giacché ognuno ha il suo bagaglio personale di emozioni e di
ricordi per i quali è valso vivere, nonostante una grama esistenza.
Ogni
essere umano è un mondo e nulla di quel mondo deve andare perduto!
La
serenità interiore della semplice ragazza, stava riaffiorando e la
rendeva lieta al pari di un uccellino che uscito dalla gabbia ha un attimo
di esitazione, ma sente che le sue ali hanno ancora forza per volare e
prova a volare e si libra e va lontano.
La
ex suora aveva attorno anche la forza dell’amore della sua famiglia e i
due nipoti che le stavano d’attorno e la rendevano felice.
Curzio
e Cate erano due ragazzi stupendi, pieni di buone qualità che sarebbero
tanto piaciuti anche a nonna Irene e loro chiedevano di lei e Bertilla
raccontava …
Erano
intelligenti e si erano indirizzati verso studi molto impegnativi,
professioni sociali specialistiche : la medicina per il maschio e la
biologia per la femmina.
Influenzati
anche da documentari televisivi erano attratti dalle occupazioni
altruistiche; le loro scelte aveva soddisfatto tutta la famiglia.
Avevano
presa l’abitudine della visita domenicale dei monumenti romani e insieme
alla zia vi si recavano pieni di curiosità, questo loro arricchimento
culturale li rendeva sempre fra i più preparati nelle varie materie, ma
specialmente quando si trattava di ricerche storiche e artistiche davano
dei punti a tutti gli altri studenti.
Seguivano
la zia anche quando partecipava alle cerimonie religiose alle quali ella
era rimasta legata, così erano con lei nel seguire i funerali del
Pontefice Pio XII come pure alle “fumate” in Piazza S. Pietro per l’
investitura di Papa Roncalli.
Bertilla,
già al corrente del suo Apostolato, continuò a seguirne l’operato e i
suoi insegnamenti ecumenici furono la sua guida spirituale e gioì
moltissimo allorché gli fu attribuito il Premio Balzan a riscontro della
sua umanità e per la pace e la fratellanza fra i popoli; mai premio fu più
meritato perché, Egli, con la catechizzazione ecumenica del mondo,
dimostrò di essere l’unico e vero socialista al quale preme il
benessere parificato di ogni creatura della terra.
Come
un fulmine a ciel sereno, giunse ad Albano, la sconvolgente notizia della
morte della giovane Cinzia, avvenuta in circostanze misteriose
Era
stata ritrovata, seminuda e assiderata, nella campagna che circonda il
Lago di Bracciano e nessuno dei conoscenti seppe dire come vi fosse
giunta.
Le
indagine chiarirono che vi fosse stata trasportata dopo la morte.
L’unica
che potesse dare qualche ragguaglio in proposito era solo la madre che fra
i singhiozzi disse subito di non saperne nulla, ma negli ulteriori
interrogatori fece dei riferimenti circa dei provini fotografici dei quali
le parlava.
Le
sue ammissioni frammentarie, condussero gli inquirenti sulle tracce di una
losca associazione che irretiva minorenni, giovanissimi e sprovveduti,
speranzosi di sfondare nello spettacolo, usandoli invece per” balletti
rosa “ che finivano per diventare filmati pornografici, che rendevano
fior di milioni solo ai produttori.
Bianca
fu scagionata perché risultò evidente la sua buona fede, come quella di
altre genitrici poco accorte pronte a spingere i figli a misteriose feste
i cui invitati avevano nomi nomi altisonanti, interessati alle produzioni
di film internazionali.
Colei
che avrebbe dovuto esserle da guida e proteggerla, fu presa da crisi
isteriche di fronte a tante crude verità.
Questa
sciagura schiantò nonno Alfio che fu colto da infarto.
Nei
primi giorni del novembre 1966, tutta la Penisola fu subissata dal
maltempo, ma le ore più drammatiche le visse Firenze.
Sembro
scatenarsi sulla città, una vera ira celeste, con una paurosa alluvione
che rapidamente causò disastri e tragedie, il livello dell’acqua crebbe
vertiginosamente ingoiando tutto e da ogni dove giunsero volontari per
portare generosi e validi aiuti.
In
maggioranza furono i giovani, operai e studenti, ad essere sensibilizzati
e che immediatamente si misero a disposizione in una catena di soccorsi
per sopperire alle necessità urgenti degli alluvionati, ma anche per
cercare di salvare le cose preziose di quella culla di arte che è sempre
stata Firenze
Agli
universitari, che partirono da Roma, si unirono Curzio e Caterina che si
prodigarono generosamente per più giorni, insieme ai loro compagni, per
estrarre dal fango antichi Codici e Manoscritti,insieme a pitture e
arazzi.
Il
cedimento di una diga aveva causato tanto disastro che divelse cavi
elettrici e telefonici, lasciando isolati città e dintorni.
Il
prodigarsi in quelle condizioni rasentò l’eroismo e soltanto la
caparbietà e l’ardimento appassionato di tanta bella gioventù, riuscì
a recuperare e mettere in salvo vite umane e opere d’arte che furono, in
seguito affidate ad esperti per essere ripuliti, restaurati e riconsegnati
all’ ammirazione mondiale.
Lavorarono
tutti con impegno senza chiedere nulla, dimenticando le proprie necessità
e, se non fosse stato, per l’iniziativa militare sarebbero morti di fame
insieme alla popolazione colpita.
Gli
aiuti giunsero da tutto il mondo con toccanti episodi di solidarietà che
rimarranno testimonianze dell’amore da cui è circondata la Città del
Fiore.
La
furia degli elementi toccò anche la Capitale con i suoi Castelli e il
furioso vento che soffiava alla velocità di 104 chilometri orari,
travolse ogni cosa, scaraventando automobili circolanti, schiantando
alberi e spazzando via le bidonville delle periferie.
Particolarmente
ad Albano l’alluvione fece smottare la collina, compresa l’abitazione
mezza diroccata di Rosa che, alla verifica, il Genio Civile definì
inabitabile, ma questo
non
impedì alla testarda proprietaria, rimasta vedova, di continuare ad
abitarla a suo rischio e pericolo, disdegnando l’invito di Aurora di
ritirarsi nel Casale, solido e abbastanza grande da poterle offrire
ospitalità, avrebbe potuto occupare la stanza lasciata dalla zia che
gi’ da due anni non c’era più.
Ma
una vera tragedia, causata ancora dalla bufera, stava per abbattersi sul
Casale.
Ne
fu vittima proprio il veterinario che a bordo della sua utilitaria, stava
rientrando a casa dopo avere assistito una cavalla partoriente in
difficoltà.
Presa
in pieno dal turbine del vento, la piccola macchina precipitò lungo un
dirupo
dove
il suo guidatore perse la vita.
Così
chiuse la vita un uomo giusto e buono che aveva affrontato la tempesta per
prestare aiuto ad un animale che rischiava la vita.
La
morte del Dottor Placido fu pianta da tutti con sentito cordoglio perché
chiunque si era a lui rivolto aveva trovato aiuto.
La
donna che lo aveva tanto amato, non resse a tanto dolore e fece temere che
lo avrebbe seguito perché, svuotata e senza più il perno su cui ruotava,
considerava finita anche la sua esistenza.
Furono
lunghi giorni e interminabili notti d’incredulità che la tennero
immobile dinanzi all’immagine di colui che l’aveva resa tanto felice.
Poi,
come aveva sempre fatto, seppe reagire all’immenso dolore che l’aveva
annientata, ripresasi dalla prostrazione in cui era caduta, dovette
prendere le redini della casa ed
eseguire
le ultime volontà di suo marito.
Ne
avevano parlato insieme pacatamente, qualche tempo addietro, accordandosi
per
quello
che dovevano disporre se uno dei due veniva a mancare perché avevano dei
mandati da compiere in nome di Alfio.
Discorsi
delicati e commoventi, ma con una nota d’inutilità perché si sentivano
ancora in forma e pieni di energia e poi stavano ancora così bene insieme
che pensare alla morte era veramente assurdo.
Eppure
il triste evento era giunto imprevisto e terribile!
Toccava
a lei riordinare tante cose e decidere di essere ancora utile ad altre
persone care perché sarebbe rimasta nella casa avendone l’usufrutto
vita natural durante.
Il
Casale veniva ereditato da Cesare, prossimo ai diciotto anni, che vi
avrebbe fissato la sua residenza insieme alla sua tutrice che per volere
di nonno Alfio doveva essere la zia Bertilla che lo poteva così seguire
negli studi superiori che avrebbe intrapresi, visto che aveva
predisposizione per il settore scientifico.
Il
nonno, lasciava a Cesare tutte le sue cose e cioè la biblioteca, la
discoteca e il Museo romano, sicuro che ne avrebbe fatto buon uso.
In
tal modo si ricostituiva una famiglia attorno ad Aurora che non sarebbe
rimasta sola e si sarebbe assicurata l’assistenza dei nipoti fino a
tarda età.
Fu
necessario rimuovere i recinti che erano serviti per gli animali, ripulire
gli ambienti
e
dare forma nuova a tutto l’edificio per renderlo adatto alle esigenze
dei nuovi abitanti.
In
seguito a questi lasciti, la professoressa Bertilla chiese di poter
insegnare a Frascati, visto che si sarebbe stabilita ad Albano dove
l’avrebbe raggiunta anche Cesare non appena sarebbe uscito di collegio.
La
sistemazione era ideale per tutti e tre e lasciava prevedere che la
serenità di un tempo vi sarebbe tornata, col rimpianto sempre vivo per i
cari che non c’erano più.
Bertilla
covava sempre la speranza di essere utile ai giovani e una sua idea
cominciava a prendere forma, dopo essere stata discussa e approvata da
tutti e tre.
Aiutate
da Cesare, che era diventato un bel giovanotto alto e robusto, le due
donne trasportarono le eredità lasciate da Alfio nel grande salone a
pianoterra, ex ospedaletto,
Ci
vollero molti mesi per la classificazione di libri e dischi mentre il
Museo che era già nella vetrina apposita, ancora quella di nonno
Guglielmo, fu lasciato nella stessa disposizione, dopo aver ripuliti e
lucidati vetrina e oggetti.
Il
salone così arredato, avrebbe costituito materia di studio e di curiosità
per tutti gli studenti che avrebbero voluto accedervi da soli o in gruppo.
Il
sogno della professoressa si stava realizzando e un po’ alla volta il
Club dell’Amicizia avrebbe acquistato credito fra i giovani che lo
avrebbero potuto consultare gratuitamente.
Se
poi i ragazzi gradivano anche la musica per fare quattro salti, si
sarebbero stabiliti dei giorni appositi destinati allo svago.
Nei
tre figli di Bruno e Paulette, si notavano alcune caratteristiche ataviche
dei Sarducci
Charles
era possessivo, orgoglioso e pessimista come lo zio Andrea; Corinne,
affettuosa e attiva come zia Aurora; In Corrado prevaleva il senso
musicale e la sete di conoscenza pari a quelle di zio Alfio.
Le
buone tendenze fortunatamente erano in prevalenza, ma quelle negative
portavano danni e nel clima tempestoso della famiglia venivano sempre a
galla.
Paulette
viveva sempre in ansia e metteva tutta la sua buona volontà per arginare
le falle che suo marito lasciava aperte col suo comportamento, toccava
sempre a lei ricomporre le sfilacciature del loro matrimonio male
assortito, ma stava accorgendosi che pur facendo tanto doveva ritenersi
sconfitta perché nulla cambiava e lei era giunta al più alto grado di
saturazione.
Ciò
che più di tutto non sopportava, era l’autorità dispotica di suo
marito, che pretendeva di dirigere tutti loro come fossero burattini,
quando era in casa.
Eh!…
Si!… Solo quando era presente.
Il
ruolo di padre lo esercitava con l’autorità indiscriminata ed era
convinto che urlando ed esigendo, quando gliene saltava il ticchio,
comandi perentori potesse tenere i figli in pugno.
Invece
li intimoriva soltanto e se li allontanava sempre più.
S’irritava
con la moglie quando si accorgeva che otteneva più lei con la gentilezza
che lui con la forza e scaricava il suo livore offendendola e accusandola
di fomentare i ragazzi contro di lui.
Verosimilmente
incoerente, in alcuni momenti, tirava fuori pure tanta cattiveria nel
vedere che i ragazzi si aprivano facilmente con la madre.
Avrebbe
voluto imporre un vero regime carcerario, non gli bastava averla scelta già
recintata come una fortezza.
Egli
che aveva vegliato la salma di sua madre per due giorni e due notti, senza
curarsi neppure di mangiare, era diventato cinico e crudele, invidiando
sempre i compagni che crescevano con le proprie accanto.
Perché
allora il risentimento verso le donne in genere?
Che
lo scaricasse anche sulla genitrice dei suoi figli era inconcepibile e,
Paulette, non l’accettava perché le pareva una incoerenza, tanto da
cominciare a considerare suo marito poco sano di mente.
Anche
quel considerarsi libero di partire improvvisamente alla ventura, senza
lasciare recapiti e senza scadenze, tornando, a suo piacere; per i suoi,
però, non doveva esserci nessuna libertà neppure quella di stringere
amicizie con scambi di visite o per rapporti di studi creando il vuoto
attorno alla loro casa.
I
ragazzi non avevano mai avuto il permesso di far accedere entro il recinto
qualche compagno di scuola, magari per qualche tiro alla palla.
Inutili
sempre, i tentativi della moglie, di farlo ragionare sul fatto che i
bambini hanno bisogno della ricreazione come il cibo.
Non
c’era mai la possibilità di portare a termine una conversazione con
calma perché s’infuriava fin dalle prime parole e, non riuscendo ad
opporre nessuna argomentazione valida, cominciava a scagliare
all’impazzata quello che gli capitava sottomano.
Era
senza dubbio un agire da paranoico che impauriva chi gli stava dappresso
facendolo allontanare e certo questo suo fare non creava comunione, ma
solitudine per lui e per gli altri.
Ci
mise molto tempo, la francese, a capire che l’irascibilità di Bruno era
caratteriale e non abbisognava di un preciso motivo per scattare, lo
scatto d’ira, giungeva imprevisto in qualunque momento ed era un difetto
specifico dei Sarducci, ma Paulette non lo sapeva, continuando a sperare,
fra alti e bassi, che le cose prendessero un’altra piega per il bene di
tutti fino alla nascita del terzo figlio: Corrado.
La
tragica morte della figlia, aveva sconvolta la mente di Bianca che passava
dalle crisi religiose alle manie divinatorie, sperperando in breve tempo
somme cospicue per propiziarsi santi e fattucchiere per riuscire a parlare
con la giovane defunta.
Sedute
spiritiche, amuleti, doni preziosi e quant’altro le andavano suggerendo
maghi e ciarlatani per raggiungere il suo scopo.
Salvo
poi a pentirsi in confessione di tutti gli sbagli commessi e sottoporsi a
penitenze fisiche che la fiaccarono nel corpo e nella mente.
Il
marito, sulle prime la lasciò fare assecondandola, pensando che in
qualche modo doveva pure trovare conforto e distrazione al dolore
terribile, datole dalla prematura morte di quella ragazzina sventata, al
quale aveva preso parte anche lui che l’aveva vista crescere, ma visto
che Bianca si attaccava sempre più a quelle pratiche insane e, peggio
ancora, vi dilapidava troppi denari, drasticamente le disse che non le
avrebbe dato più un soldo.
L’intento
del signor Giovannino era quello di schiarirle le idee perché, da parte
sua, non ci sarebbe stata più collaborazione e mai si sarebbe aspettato
ciò che avvenne subito dopo quando Bianca, prese un paio di grosse
forbici, le si avventò contro ferendolo solo leggermente a una spalla
perché, lui, fece in tempo a schivare il colpo.
Ritentò
il colpo mentre l’uomo dormiva e il poveretto, considerato oramai come
un nemico, non ebbe più pace anche se aveva fatto sparire
dall’abitazione ogni arma di offesa, comprese forbici e coltelli da
tavola.
Altri
episodi insani vennero a turbare il suo menage, fintanto che fu
consigliato dai medici d’internare in una clinica neurologica per
tentare di ricondurla alla ragione con la cura del momento: l’ elettroshock.
Per
lei, sottoposta a ripetute applicazioni, gli esiti furono infausti per la
debolezza cardiaca sopraggiunta, trovando la morte nel mezzo di una crisi
convulsiva parossistica acuta che la clinica stessa mise a tacere con
molta sollecitudine per evitare controlli sulle procedure delle terapie
che, erano si, all’avanguardia, ma con risultati non sempre positivi.
Non
furono molti a piangere per quella donna vanesia e frivola che per
rincorrere il suo egoismo, non era mai stata capace di compiere un
qualsiasi gesto di solidarietà.
Neanche
Rosa poté versare lacrime sulla sua tomba giacché la ferale notizia le
fu tenuta nascosta perché le sarebbe stata fatale, versando ella stessa
in gravi condizioni fisiche a causa della sua ignorante caparbietà.
Aveva
voluto rimanere nella sua abitazione diroccata, priva del minimo conforto,
disdegnando gli aiuti che i parenti del Casale volevano farle accettare,
giungendo al punto di rimettere fuori la porta di casa le ceste di buone
cose inviatele da Aurora tramite il nipote Cesare le lasciava
all’interno che ogni tanto si recava da lei.
Il
figlio di Baldo non lo ave va mai voluto accettare come nipote e non
voleva capire che l’orfano era quanto restava della sua famiglia, lo
considerava un estraneo, mentre avrebbe potuto essere il suo appoggio,
vecchia e sola, come era.
Cesare
rappresentava uno dei nuovi rami dei Sarducci che prometteva buoni frutti.
Educato
nell’ottimo collegio scelto da nonno Alfio, coll’intelligenza viva
che possedeva, aveva bruciato le tappe, frequentando anticipatamente il
liceo scientifico, che lo condusse all’università, realizzando il suo
sogno di diventare ingegnere.
Fin
da piccino, il suo maggior divertimento, era quello di disfare e
ricostruire i giocattoli che il nonno gli portava, fattosi più grande,
furono sostituiti dalle complesse strutture dei “ Meccani” fatti
apposta per sviluppare inventiva e manualità.
Fra
le assicelle di metallo forato, viti, rondelle, lamelle, ruote ed eliche,
trascorreva lunghe ore, seguendo le indicazioni degli schemi annessi.
Ed
era fiero di mostrare a colui che gli stava dando l’amore di padre, le
navi, gli aerei e i ponticelli che costruiva con tanta perizia; quasi
impazzì di gioia quando ricevette in dono “ Il piccolo ingegnere” e
quello fu il momento che decise la sua strada.
L’ampia
fronte e lo sguardo limpido esprimevano la sua dirittura morale e gli anni
di interno nell’orfanotrofio gli avevano data la spinta per elevarsi
socialmente.
Serbò
sempre intatta la venerazione per il nonno che gli era stato, anche
fratello e amico donandogli comprensione, consigli e un lascito che gli
avrebbe permesso gli studi superiori che, purtroppo, la sua improvvisa
scomparsa non gli permise di vedere conclusi.
Vi
era in Cesare qualcosa d’ineffabile che sapeva conquistare e quella
comunicativa immediata che desta la persona simpatica che sa trattare con
tutti senza differenze di classi sociali che lo avrebbero portato ad
essere lo scienziato umanitario che si pone al servizio della società.
Da
quando si era istallato al Casale era divenuto il beniamino delle zie che,
orgogliose di quel bel ragazzone bruno, si facevano in quattro per lui ;
Aurora stava sempre a spignattare intorno ai fornelli per rifornirlo
di…calorie e, Bertilla, che aveva preso la patente di guida era felice
di accompagnarlo al treno, col quale lui proseguiva per Roma, verso la
Città Universitaria che frequentava da pendolare.
Il
contatto quotidiano aveva creato molta confidenza fra zia e nipote forse
maggiore di quanta ce ne potesse essere fra madre e figlio e per la ex
suora era una soddisfazione immensa vedere come egli l’ascoltava
compunto allorché il discorso cadeva sull’internato di giovane monaca
che rassomigliava per molti motivi al suo, orfano come lei.
Le
due zie si sentirono sempre in dovere di supplire anche l’ affetto
mancante della sua acida nonna che stava finendo i suoi anni da sola nella
casa umida e decrepita, mantenendo vivo un rancore che non aveva mai avuto
ragion d’essere se non nell’invidia.
Ma
sopraggiunse un’altra notte di temporale torrenziale a porre fine a
quella esistenza che non aveva portato bene a nessuno.
L’acqua
incessante, col suo peso, fece crollare una parte del tetto, proprio sul
suo letto nel mentre dormiva, schiacciandola sotto i travicelli fradici.
Un’altra
fine drammatica concludeva la vita di una tiranna femminile che aveva reso
infelici tante persone, tiranneggiando perfino se stessa, privandosi di
affetti e cose.
segue
|